Curiosità

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    Quegli inconvenienti di chi va per mare

    di  Franco Schinardi   (*)

    …ricevemmo e con immenso orgoglio ed infinita gratitudine ripubblichiamo.

    Vi racconto una delle mie avventure nella Marina Militare, il mare notturno, le mie esperienze
    …le altre puoi trovarle su:
    http://www.tavoladimessina.com/index.html

    L’apparato di propulsione di nave Proteo era composto da due motori  calettati, tramite giunto Vulcan-Tosi K240 e riduttore, ad un unico asse con elica destrosa a 5 pale con un diametro di 4.40 m. I motori erano 2 grandi motori marini Diesel “UDJ 6” dei Cantieri Navali riuniti di Ancona, impropriamente chiamati “KRUPP” per via delle pompe di alimentazione combustibile della Krupp e sovralimentati con turbosoffiante “Brawn Boveri”. La potenza era di 2.400 HP a 250 g/m asse cadauno.
    Se non ricordo male ci trovavamo, nel settembre del 1978, di base a La Spezia alle dipendenze di COMSUBIN. Ricevemmo  l’ordine di dirigerci a Monfalcone per assistere il sommergibile Fecia di Cossato durante la “bagnarola”, termine che indica la sua prima immersione.
    Insomma si doveva fare il periplo dell’Italia con sosta a Messina per rifornimenti.
    L’allora comandante la base del Varignano era l’ammiraglio Marcello Celio divenuto, successivamente, Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare.
    La navigazione tra La Spezia e Messina fu tranquilla e ciò ci permise, tra l’altro, di gustarci tutte le meraviglie del creato.
    All’arrivo a Messina riabbracciai, dopo mesi di lontananza, la mia famiglia, mia moglie e i miei due figli Sabrina e Daniele. Ma durò poco bisognava procedere alle verifiche del dopo navigazione.
    Prima di tutto il controllo dello stato dei tiranti delle testate. L’operazione viene effettuata introducendosi nel carter del motore, dove una persona stava tranquillamente in piedi, e battendo con un martelletto i 4 tiranti per ciascuna testata per verificare che siano egualmente in tiro. Da questo controllo risulta, inspiegabilmente, che il tirante a poppavia Sinistra del cilindro n. 6 del motore di Sinistra è allentato. Si tenga presente che una testata era 1 metro x 1 metro e alta circa 60 cm. per un peso di circa 1250 Kg.
    Il comandante, Edoardo Luzzi, Dardo per gli amici, entrò subito in fibrillazione e temette che trovandomi vicino casa potessi abbandonare le operazioni di rimessa in efficienza del motore. Seguirono telefonate concitate con l’Ammiraglio Celio il quale chiese di parlare con me. Io chiarì subito la situazione del momento e chiesi che, comunque, non c’era necessità di richiedere l’intervento dell’Arsenale. La mia richiesta fu accordata ed entrai anch’io in fibrillazione quando, fatto il piano di lavoro, mi accorsi che a bordo non avevamo un martinetto idraulico per il tiraggio del tirante. Comunque, la decisione era presa e non si poteva certamente più tornare indietro. Radunai i miei (i miei ragazzi) e con loro studiai le strategie di intervento.
    Soluzione trovata e subito al lavoro.
    Per primo scoprimmo che il bullone di serraggio del tirante, del tipo autobloccante, aveva perso le sue caratteristiche e questo complicava ancora di più l’intervento. Nel cielo del locale avevamo un binario dove scorreva il paranco che veniva utilizzato per sollevare le testate e questo doveva essere il nostro martinetto. Mettemmo il dado e infilammo un filo di cavo d’acciaio nella cruna del tirante e su col paranco. Scordai che il dado non era più autobloccante e quindi decidemmo di mettere un pezzo di filo d’acciaio tra la filettatura del tirante e il dado e via a serrare battendo, ogni tanto col martelletto, sul tirante per verificarne il giusto serraggio.
    Ad operazione ultimata ricevetti un abbraccio  commosso da parte del comandante Luzzi e una telefonata, da me graditissima, da parte dell’ammiraglio Celio per complimentarsi. Non avevamo perso tempo nel portare avanti la nostra missione e al mattino ripartimmo per Monfalcone.
    La mia famiglia l’avevo vista solo all’arrivo ma il mio prestigio era salvo.

    (*) Franco Schinardi è deceduto nel 2018.

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    19.1.1883, impostata la regia nave Etna

    di Antonio Cimmino

    …dal 1862 ai giorni nostri.

    Per adeguarsi alla tattica navale del tempo (che poi si rivelò sorpassata) il governo italiano ordinò alla società inglese Armstrong, un nuovo tipo di nave denominato “ariete torpediniere” con le funzioni di, eventualmente, speronare una nave nemica con il rostro prodiero rinforzato e di lottare efficacemente contro le insidiose torpediniere. La nave era il Giovanni Bausan che servì da prototipo ai successivi ariete-torpediniere costruite in Italia. L’Ispettore del Genio Navale Carlo Vigna, dunque, progettò tale classe di nave di tre unità: Etna, Stromboli e Vesuvio.

    Profilo ETNA - www.lavocedelmarinaio.com Copia

    L’Etna fu impostata nel regio cantiere navale di Castellammare di Stabia il 19 gennaio 1883, varata il 26 settembre 1885 e completata il 3 dicembre 1887.
    Il dislocamento a pieno dell’unità era di 3.950 tonnellate ( 3.530 quello normale), le dimensioni erano di metri 91,40 dei lunghezza (fuori tutta) e 86,40 (fra le perpendicolari), 13,22 metri di larghezza e 5,85 di pescaggio. Due motrici alternative a doppia espansione tipo Hawthorn-Leslie, erano alimentate da 4 caldaie cilindriche per una potenza di circa 7.000 cavalli, due eliche imprimevano una velocità di 16 – 18 nodi.
    La nave non possedeva una grossa protezione con un torrione di 30 mm di spessore ed un ponte protetto di 40 mm, ma in compenso aveva un rilevante armamento. La protezione laterale era composta unicamente dai depositi carbone ( ne imbarcava 630 tonnellate) che, sistemati in strutture cellulari, dovevano servire anche ad attutire eventuali colpi di cannone di navi nemiche.
    Cannone a tiro rapido da 57 mm - CopiaDue cannoni da 255mm./canna 20 calibri erano sistemati rispettivamente in caccia ed in ritirata cioè a proravia ed a poppa. Tre per lato, 6 cannoni a tiro rapido tipo Armostrong da 152 mm./32 in impianto singolo scudato, davano una adeguata protezione a dritta ed a sinistra. Essi erano in grado di sparare 5-7 colpi al minuto imprimendo al proietto una velocità di 657 metri/secondo che, con alzo 20°, possedeva una gittata di circa 9.000 metri. C’erano anche 5 cannoni singoli a tiro rapido tipo Hotchkiss Mk I da 57/40 mm che sparavano proietti da 2,7 chilogrammi di peso ad una velocità di 554 metri/secondo e con cadenza di 25 colpi al minuto. I calibri minori eraano rappresentati da 5 pezzi da 37/20 mm e 2 mitraglie MG. Per la lotta alle torpediniere la nave era dotata anche di quattro tubi lanciasiluri da 355 mm.
    L’equipaggio era formato da 308 uomini di cui ventisette  ufficiali.
    Il motto della nave era: Latent ignis (alle navi successive con lo stesso nome fu assegnato il motto Tenacemente ovunque.

    Nave ETNA 1890 - www.lavocedelmarinaio.com - Copia

    Entrata in esercizio nel 1887, la bandiera di combattimento le fu offerta l’8 novembre 1888 dalle cittadinanze dei comuni etnei Acireale, Giarre, Riposto, Randazzo e Linguaglossa.  Nel processo verbale del Municipio di Riposto, si legge:

    “ …i Municipi..deliberarono donare al R.Ariete-Topediniere “Etna”  una bandiera di onore, in segno di imperituro affetto alla regia Marina e di speciale simpatia alla nave che porta il nome del vulcano che sorge maestoso accanto ad essi…”

    Attività operativa fino al 1900
    cannone da 152-40mm - Copia
    Entrata in linea nel 1887 ed ebbe una intensissima vita operativa. Nei suoi primi anni fu  in America a protezione degli interessi italiani. Nel 1895/1896 fu dislocata nel Mar Rosso in appoggio alle operazioni dell’Esercito in Eritrea e si distinse per la cattura del piroscafo olandese Doelwijk con un carico di armi destinato agli etiopici.
    Nel biennio 1891-92 operò essenzialmente in Italia in attività di crociera e di addestramento. Nel febbraio 1892 si recò ad Alessandria d’Egitto in missione di rappresentanza. Nel biennio 1891-92 il comandante dell’unità fu il Capitano di Vascello Carlo Amoretti. Il 26 agosto 1893, al comando del contrammiraglio G.BMagnaghi, partecipò alla rivista navale internazionale di Hampton Roads toccando porti canadesi, statunitensi, delle Antille e dell’America centrale; durante questa navigazione furono effettuate ricerche scientifiche riguardanti la piattaforma subacquea del continente americano.
    Nel 1893 quale nave ammiraglia della Divisione Navale d’America, partendo da  Spezia il 21 marzo,  visitò il Nord, il Centro e il Sud America.
    Dopo aver subito alcuni lavori di manutenzione a Venezia, il 1° dicembre 1895, al comando del Capitano di Vascello Luigi De Simone,  lasciò la città per recarsi nel Mar Rosso dove, fino al mese di settembre 1896, fu nave ammiraglia della Forza Navale dislocata in Eritrea, al comando del contrammiraglio Carlo Turi.
    Il 1° agosto 1896, durante l’infausta giornata di Adua, che vide il massacro del corpo di spedizione italiano ad opere dell’esercito del Negus Menelik, l’Etna contribuì ad appoggiare le operazioni a terra dei nostri sfortunati soldati.
    del bono - CopiaNel 1897 partecipò, al comando del Capitano di Vascello Giovanni Giorello,  alle operazioni multinazionali a Creta, unitamente alle unità Ruggiero di Lauria, StromboliSicilia, Re UmbertoVesuvio, Bausan ed Euridice, contro rappresaglie ottomane ai danni della popolazione locale. I marinai dell’Etnapresidiarono l’ufficio telegrafico della Canea  e raccolsero 1240 cretesi terrorizzati, sbarcati successivamente sull’isola greca di Sira.
    L’unità era inquadrata nella 2a Divisione della Regia Marina, facente parte della Forza navale multinazionale inviata nell’isola dalle Potenze europee. Nel gennaio del 1898, assegnata alla Divisione Oceanica, fu invita in Centro – America per seguire il conflitto ispano-americano e, successivamente, nel Pacifico alla volta del conflitto tra Cile ad Argentina. Passando per i mari della Cina rientrò a Napoli nel 1900.
    Il 22 maggio 1899, in viaggio di circumnavigazione, al comando del Capitano di Vascello Giovanni Girello, giunse ad Hong-kong, passando alle dipendenze del Contrammiraglio napoletano Francesco  Grenet,nominato Comandante della Divisione Navale dell’Estremo Oriente.
    Prima di giungere in Cina, insieme all’incrociatore Piemonte, effettuò il giro del mondo visitando anche i porti della Polinesia, dell’Australia e dell’Arcipelago della Sonda.

    Attività operativa fino alla demolizione
    Dopo un disarmo di circa due anni dal 1902 al 1904, la nave fu sede dell’Ispettorato Torpediniere per poi essere destinata a La Maddalena con funzioni di nave ammiraglia.
    Dal 1905 al 1907 fu trasformata in nave scuola e come tale operò fino al 1911.
    Al comando del Capitano di Vascello  Baggio Ducarne, nel 1909 effettuò una campagna oceanica d’istruzione degli allievi dell’Accademia Navale di Livorno, toccando anche i porti di Port Hamilton, Baltimora, Annapolis, Norfolk, Filadelfia, New York, Punta Delgada,  Spezia.
    Rinnovata nell’armamento, partecipò alla guerra italo-turca agendo come appoggio alle forze terrestri e con una continua presenza nei porti di Tobruck, Dema e Bengasi. Al comando del Capitano di Vascello Cusani Visconti, l’Etna, nell’autunno del 1922, assunse le funzioni di nave sede di Comando Superiore in Cirenaica.
    libia - CopiaLa nave dal 1907 al 1912 e nel 1914 effettuò 7 campagne di istruzione per l’Accademia Navale di Livorno.
    Durante la crociera d’istruzione nel 1912, al comando del Capitano di vascello  Simonetti, unitamente al Flavio Gioia ed alla nave gemella Amerigo Vespucci,era inquadrata nella Divisione Navale di Istruzione, comandata dal Vice Ammiraglio Borea Ricci. A bordo erano imbarcati gli allievi della 1a e 4a classe dell’Accademia Navale con il loro Comandante il Contrammiraglio Alberto Del Bono e, durante un’incursione contro i beduini capeggiati da ufficiali turchi, sbarcarono per dar man forte al IV Reggimento Fanteria diretti all’oasi di Garines ad est di Bengasi. Era il 26 agosto del 1912.
    Le truppe da sbarco erano composte, oltre che dai marinai ed allievi dell’Etna, anche da una Compagnia di allievi della Scuola Mozzi imbarcati su nave Flavio Gioia. I marinai e gli allievi delle tre unità parteciparono anche alla battaglia di Zanzur, vicino a Tripoli, che segnò la definitiva  conquista della Libia.
    L’11 ottobre 1914 l’unità diventò nave ammiraglia della Divisione Speciale composta anche dagli incrociatori Calabria e Piemonte al comando del Contrammiraglio Patris.
    Partecipò alla I G.M. ( al comando del Capitano di Fregata Dondero), stazionando in Tripolitania e poi a Taranto come nave caserma e come sede del Comando in capo dell’Armata Navale.
    Dopo un’ultima crociera nel Levante e nel Mar Nero (1920), la nave passò in disarmo e nel maggio del 1921, l’anziano incrociatore venne radiato dal Quadro del Naviglio Militare e venduto ai privati per la demolizione.

    Nuovo armamento
    Con i lavori di ristrutturazione del 1911 gli originali cannoni da 254 mm furono sostituiti da pezzi da 120 mm., gli altri pezzi erano: 4 cannoni da 152 mm., 2 da 76 mm., 4 da 57 mm., 2 da 37 mm e 1 mitragliera.

    Corvetta ad elica di II rango Etna varata a Catellammare di Stabia nel 1862 - www.lavocedelmarinaio.com

    Notizie e curiosità
    La volontà di far costruire nei cantieri nazionali le tre unità fu manifestata dal governo per far fronte alla crisi del settore cantieristico per cui le altre due unità della stessa classe furono costruite nei cantieri di Livorno e nell’Arsenale di Venezia. Le tre unità erano similari perché differivano leggermente sia nel dislocamento e sia nell’apparato motore. L’Etna possedeva un dislocamento maggiore, il suo apparato motore era inglese, mentre quello dello Stromboli era dell’Ansaldo e quello del Vesuvio della società livornese Orlando. Nonostante alcuni limiti strutturali connessi all’inadeguata protezione orizzontale e all’assenza di protezione verticale, nonché ad una velocità di solo 17 nodi, queste unità rappresentarono la base per la costruzione dei futuri incrociatori che abbandonarono definitivamente la prora a sperone. Lo speronamento non rientrò più nella tattica di guerra navale perché, con la comparsa di veloci torpediniere armate di siluro, non si verificarono più scontri ravvicinati che permettessero tale superato sistema d’attacco.

    ETNA - www.lavocedelmarinaio. com - Copia

    Altre navi con lo stesso nome
    Una nave Etna, corvetta bombardiera, fu varata, sempre a Castellammare di Stabia, il 18 settembre 1830 ma, dopo un lungo periodo di disarmo, in considerazioni delle sue scarse qualità nautiche, il 4 giugno del 1859 fu venduta per la demolizione, ad Enrico Ciliberti di Castellammare di Stabia. Era una unità con scafo in legno e carena ramata, con due ponti, due alberi a vele quadre e bompresso, armata di 1 mortaio da 12 libbre sistemato a prora e 12 carronate, sempre da 12 libbre, sul ponte di coperta.
    La seconda nave con tale nome fu costruita sempre a Castellammare di Stabia nel 1862. Era una corvetta di II rango a ruote, con tre alberi a vele quadre, Prese parte nel 1866 alla III Guerra di Indipendenza e, nella Battaglia di Lissa ebbe il ruolo di unità ripetitrice di segnali.

    Nave Etna A5328 - già Uss Whitley www.lavocedelmarinaio.com

    La quarta unità con il nome Etna fu un incrociatore antiaerei costruito a Trieste nel 1938 per conto della Thailandia con il nome Taksin e requisito dall’Italia nel dicembre del 1941 per essere sottoposto a notevoli lavori di trasformazione in funzione di nave trasporto truppe, ma l’entrata in vigore dell’armistizio del 1943 non fece ultimare i detti lavori; lo scafo, requisito dai tedeschi, venne affondato dagli incursori italiani e, dopo la guerra, recuperato e demolito.
    Nel febbraio del 1962 gli Stati Uniti d’America cedettero all’Italia la nave USS Whitley, costruita nel 1944 per operazioni anfibie. Questa fu la quarta unità con il nome Etna – matricola A 5328 e destinata nave appoggio. Venne radiata il 1° maggio 1973.
    L’ultima unità con il nome Etna è stata varata il 12 luglio 1997 nella Fincantieri di Riva Trigoso e classificata nave da rifornimento, inquadrata nel COMFORAL ha base a Taranto

    Nave Etna 1997 - www.lavocedelmarinaio.com

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    18.1.1945, a Zonderwater dichiarammo fedeltà

    di Marino Miccoli 

    Marino-Miccoli-2014-per-www.lavoce-delmarinaio.com_2Zonderwater è una vasta area situata a circa 40 km Nord Est dalla città di Pretoria ed è vicina alle note miniere di diamanti del Cullinan, nel Sud-Africa. L’altopiano (1500 mt. s.l.m.) in cui si trova è incluso nella Provincia del Transvaal. Nel 1941 è stato realizzato un grande campo di prigionia, suddiviso in blocchi, dove sono stati raccolti moltissimi prigionieri di guerra italiani e tedeschi. Dalle navi mercantili dove erano stati stivati, i prigionieri erano sbarcati nel porto di Durban; da qui in treno in due giorni di viaggio arrivavano a Zonderwater. I primi prigionieri italiani arrivarono alla fine dell’inverno del 1941 e tra questi vi era mio padre Antonio Miccoli (maresciallo capo-cannoniere stereotelemetrista della Regia Marina, uno dei pochi sopravvissuti all’affondamento del Regio Incrociatore Fiume, avvenuto a largo di Capo Matapan – Grecia- nella tragica notte del 28 marzo 1941). Egli era stato prima internato in un campo di prigionia ad Alessandria d’Egitto, laddove dopo aver subito un primo interrogatorio gli fu assegnato il numero di matricola: n. 123415.
    ingresso-cimitero-italiano-Zonderwater-CopiaZonderwater, che in lingua Afrikaans significa senza acqua (anche se in realtà l’acqua era presente e abbondante nel sottosuolo), è una località costituita da una pianura arida con alcune ondulazioni. La flora è rada e bassa. L’orizzonte è costituito da modeste colline. La vasta zona riservata ai prigionieri (dall’aprile del 1941 al marzo del 1947 furono accolti nel campo più di 100.000 prigionieri italiani) era situata da un lato sulle colline e dall’altro si apriva verso il piano. Il clima è quello continentale del nord est del Sud Africa. Possiamo affermare che le stagioni sono essenzialmente due: estate e inverno. L’estate va da novembre ad aprile e l’inverno da maggio a ottobre. Il vento regna, anzi impera nella zona di Zonderwater: infatti le tempeste di sabbia, le trombe d’aria fanno volare tetti, coperture, lamiere, tende, staccionate e recinzioni; i venti hanno una forza e un’intensità tale da “togliere il fiato”. Dopo il vento arrivano quasi sempre i temporali e con essi i fulmini. Sì, quei tremendi fulmini di cui mio padre (che fu detenuto a Zonderwater dall’aprile del 1941 al maggio 1946) aveva un terrificante ricordo. Infatti egli narrava che:

    – “Le tende erano fatte a forma di cono. In ogni tenda eravamo in otto prigionieri; si dormiva distesi sul terreno con i piedi rivolti al palo di sostegno e la testa verso l’esterno. A Zonderwater i fulmini erano un concreto pericolo per le persone… al tempo della tendopoli, dal 1941 al 1943 (a partire dalla fine di questo ultimo anno si iniziò la costruzione delle prime baracche), le punte dei pali di ferro che reggevano le tende si trasformavano in vere e proprie calamite per i fulmini; così i prigionieri che si trovavano a contatto o vicino ai pali metallici morivano fulminati”.
    Lapide-Caduti-Italiani-ZONDERWATER-CopiaEgli riferiva che a decine i prigionieri italiani rimanevano vittime dei numerosi fulmini che si scatenavano durante i temporali, forse a causa di una composizione particolarmente ferrosa del suolo, e ogni temporale era vissuto da loro con terrore. A testimonianza di quanto sopra, a Zonderwater per commemorare i non pochi prigionieri folgorati è stato poi edificato un monumento che è possibile visitare ancora oggi, così come il cimitero dei prigionieri italiani.
    Ma torniamo alla narrazione di mio padre sulla sua vita in prigionia; i prigionieri si dividevano fondamentalmente in tre “fazioni”:

    1) “irriducibili”
    ovvero i prigionieri fascisti convinti e memori delle cruente battaglie sostenute per difendere le colonie, i quali minacciavano e mettevano in atto azioni punitive contro quei traditori che collaboravano con gli inglesi.

    2) “non cooperatori”
    che non erano fascisti, ma militari delle varie armi, che non intendevano lavorare per il nemico. Questi credevano che collaborare significava dare segno di anti italianità e di slealtà al Re e alla Patria.

    3) “cooperatori”
    che aspiravano alla libertà, anche se parziale; essi volevano migliorare la loro difficile condizione di vita e pertanto acconsentivano ad andare a lavorare per molti datori di lavoro sudafricani, soprattutto nelle varie fattorie del Transvaal. Qui si fecero notare ed apprezzare per la loro perizia nell’edilizia e nella costruzione di strade. Ma al loro rientro nel campo di prigionia, dopo un periodo di lavoro all’esterno, i “cooperatori” venivano accolti malamente, subivano ceffoni ed erano sottoposti alla cosiddetta «coperta», una punizione corporale solitamente inflitta loro di sorpresa da un gruppo di prigionieri.

    Giuseppe Polimeno - www.lavocedelmarinaio.com

    Mio padre non mi ha mai detto a quale di questi tre gruppi di prigionieri appartenesse ma, avendolo conosciuto, mi sento di affermare che era un prigioniero tra i tanti “non cooperatori”. Ciò anche in considerazione del fatto che a causa delle sue conoscenze tecniche riguardanti il telemetro italiano e del suo reiterato diniego a rivelarne l’esatto funzionamento, fu più volte maltrattato dagli inglesi. Collaborò con un prigioniero di cognome Santoro ed altri per la realizzazione di un cimitero dove poter dare una degna sepoltura agli internati che morivano nei vari blocchi del campo di Zonderwater.

    – “Un cucchiaio di lenticchie in poca brodaglia” questo egli riferiva essere il suo pasto nel campo di prigionia… sì, i prigionieri italiani con e come lui provavano la fame, una maledetta fame tanto che mia madre afferma che nei primi tempi della sua liberazione, quando nell’estate del 1946 fu rimpatriato e reintegrato nella neonata Marina Militare, mio padre pesava 46 kg. e non riusciva a domare l’istinto di afferrare nel pugno le mosche che gli svolazzavano vicino per portarsele alla bocca. Passò un po’ di tempo prima che egli riuscisse a trattenersi da simile abitudine evidentemente acquisita durante la prigionia per sopravvivere; non vi nascondo che oggi anch’io, nel rinnovare il ricordo di quei tristi avvenimenti, provo sincera commozione.
    Delle vicende di guerra e delle vicissitudini della prigionia egli scrisse un diario, che purtroppo gli fu requisito a Napoli, il giorno del rimpatrio, nel maggio 1946. Ciò era inspiegabile per mio padre perché gl’inglesi erano a conoscenza del fatto che egli ne possedeva uno e consapevolmente gli permisero di tenerlo fino al termine della prigionia.
    Il maresciallo Antonio Miccoli fu pluridecorato e nominato Cavaliere al Merito nel 1959 dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi; si congedò il 28 marzo 1962 con il grado di sottotenente del C.E.M.M..
    A conclusione di questo mio modesto ricordo scritto riguardante i 5 anni e 2 mesi di prigionia di mio padre, allego l’immagine di un raro documento: si tratta della DICHIARAZIONE DI FEDELTA’ che gl’inglesi gli fecero sottoscrivere il 18 gennaio 1945, quasi un anno e mezzo prima della sua liberazione che avvenne con il rimpatrio a MARIDEPO Napoli il 20 maggio 1946. In essa si richiedeva l’impegno e la collaborazione con gli Alleati nel combattere contro il comune nemico: la Germania.
    Desidero inoltre qui riportare un significativo brano del discorso tenuto dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi quando si recò in visita di Stato in Sud-Africa e rese omaggio ai Caduti al Sacrario Militare di Zonderwater, il 15 marzo 2002:

    Dichiarazione di fedeltà del Maresciallo Antonio Miccoli - www.lavocedelmarinaio.com

    “ […] Non devono dimenticare, specie i più giovani, chi si è sacrificato per la Patria ovunque, in guerra e in pace; chi è caduto; chi ha vissuto in prigionia lunghi anni della più bella stagione della vita e che, tornato, ha ricostruito l’Italia in un’Europa concorde e unitaria […]”

    Sento il dovere di ricordare inoltre alcuni dei nomi di coloro (conterranei e commilitoni) che condivisero con mio padre la drammatica esperienza della prigionia: Giuseppe Salvatore Polimeno (mio zio), Donato Carlo, Antonio Corvaglia, Luigi Cutrino, Attilio Rini, tutti militari originari di Spongano (LE).
    Mi inchino riverente dinanzi al sacrificio di tutti prigionieri di guerra morti durante la prigionia, tra stenti e indescrivibili patimenti, lontano dalla loro Patria e dalle amate famiglie; onoro la loro memoria e mi auguro che mai più, ripeto mai più l’umanità debba patire simili sofferenze a causa di quell’assurda follia costituita dalle guerre.

    Antonio Miccoli - www.lavocedelmarinaio.com

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    Sommergibili della classe W

    di Claudio53

    …e la perdita del regio sommergibile W4.

    La Classe “W” era composta da 4 sommergibili di piccola crociera, a doppio scafo, costruiti in Gran Bretagna nei cantieri Armstong Whitworth. I sommergibili sono stati costruiti come battelli sperimentali per la Royal Navy su progetto francese “Schneider-Laubeuf”. Tra i primi due e gli ultimi ci sono differenze strutturali ma non di allestimento. Il W3 ed il W4 sono stati modificati per le esigenze della Royal Navy per superare alcune delle carenze di progettazione; in particolare furono rimossi i drop-collar.

    regio sommergibile W4 foto U.S.M.M. copia - www.lavocedelmarinaio.com

    Il W1 e il W2 erano lunghi 52,45 metri, larghi 4,7, l’immersione era di 2,76 metri ed i dislocamenti di 330 e 500 tonnellate rispettivamente in superficie e in immersione. Il W3 e il W4 erano lunghi 45,7 metri, larghi 5,18, l’immersione era di 2,88 metri ed i dislocamenti di 322 e 480 tonnellate rispettivamente in superficie e in immersione. La propulsione su due eliche era assicurata in emersione da due diesel Schneider da 760 CV ed in immersione da due motori elettrici CGE da 480 CV. La velocità massima era in superficie di 11.2 nodi per W1/W2 e di 13 nodi per W3/W4 ed in immersione per tutti di 8,5 nodi. Profondità di collaudo di soli 30 metri. L’armamento prevedeva 2 tubi lanciasiluri AV da 450 mm armati con 2 siluri ed 1 cannone da 76/30 mm antiaereo tipo Armstrong. L’equipaggio che i britannici avevano previsto era di 23 uomini che fu incrementato a 36 dagli italiani (2 Ufficiali, 34 CREM) per avere a disposizione personale a sufficienza in caso di defezione di qualcuno, ciò creò problemi di abitabilità.
    L’intera classe di sommergibili venne acquistata dalla Regia Marina Italiana in attesa dell’entrata in servizio dei sommergibili classe “F” e giunsero in Italia tra agosto e settembre del 1916.

    W1 – Impostato il 19/10/1913; varato il 19/11/1914; nella Regia Marina dal 23/08/1916; radiato il 14/09/1919.
    W2 – Impostato il 04/12/1913; varato il 15/02/1915; nella Regia Marina dal 23/08/1916; radiato il 14/09/1919.
    W3 – Impostato il07/03/1914; varato il 28/07/1915; nella Regia Marina dal 23/08/1916; radiato il 14/09/1919.
    W4 – Impostato il 20/03/1914; varato il 11/09/1915; nella Regia Marina dal 07/08/1916; affondato il 5/6 agosto 1917.

    fig 3

    Sommergibile W1
    Giunto in Italia da Portsmouth al Comando del T.V. Giovanni Ferretti fu assegnato alla 3^ Squadriglia di Brindisi. Quasi subito inviato ai grandi lavori a Taranto alla fine, dal gennaio a maggio del 1918, fu destinato alla difesa della base di Valona dopodiché rientrò nuovamente ai lavori e non venne più impiegato operativamente fino al termine del conflitto. E’ stato radiato il 19 settembre 1919.
    Sommergibile W2
    Giunto in Italia da Portsmouth entrò direttamente ai grandi lavori a Taranto e al termine, nel settembre del 1917, fu assegnato alla 3^ Squadriglia di Brindisi e dopo una missione offensiva nelle acque di Cattaro ed una difensiva davanti al porto di Brindisi il battello fu assegnato alla difesa della base di Valona sino ad aprile del 1918 quando fu aggregato sino alla fine del conflitto al Gruppo Sommergibili Disarmati, con insegna di Comando sull’unità appoggio Missana nel porto di Gallipoli, venendo impiegato come battello scuola per idrofonisti. E’ stato radiato il 19 settembre 1919.
    Sommergibile W3
    Giunto in Italia da Portsmouth al Comando del T.V. Ugo Cosentini venne aggregato alla 3^ Squadriglia e, dal dicembre 1916, svolse attività operativa compiendo tre missioni offensive nelle acque prospicienti i porti austriaci del Basso Adriatico. Dal gennaio 1918, Comandante il T.V. Silvio Arata, compì altre 9 missioni sino al termine del conflitto. Il battello è stato radiato il 19 settembre 1919.
    Sommergibile W4
    Assegnato alla 3^ Squadriglia di Brindisi nel dicembre 1916 il W 4, al comando del T.V. Alessandro Giaccone, ebbe una intensa attività operativa compiendo numerosi agguati offensivi lungo le rotte di traffico del nemico tra Cattaro e Durazzo. Per la diciannovesima missione il Sommergibile W4 (figura 1) partì da Brindisi alle 19.00 del 3 agosto 1917 per raggiungere la costa nemica e rimanere in agguato tra Punta Menders e la foce del Drina nella zona «A» le direttive prevedevano che se tale zona fosse stata troppo pericolosa, per presenza di velivoli o torpediniere nemiche, il battello poteva spostarsi nella zona «B». Il ritorno alla base era previsto il mattino del 6 agosto. La carica degli accumulatori doveva effettuarsi la notte tra i 4 e 5 agosto.
    Alle 11.30 del giorno 6 non essendo rientrato e non avendo ricevuto alcuna notizia (il rientro, a meno di avarie, era di solito fra le 08.00 e le 11.00) il Contrammiraglio Acton, Comandante Superiore Navale di Brindisi, ordinò che fossero inviati in volo due idrovolanti con il compito di esplorare lungo le rotte di ritorno sia della zona «A» che dalla zona «B» (fig. 4) e l’uscita in mare dei Cacciatorpediniere Nullo e Mosto. Il risultato fu negativo ma nonostante la convinzione che il sommergibile fosse da ritenere perso, fu disposto per i successivi giorni 7 e 8 una ulteriore esplorazione aerea e una ricerca in mare con sei apparecchi e 4 Cacciatorpediniere (CC.TT. Missori, Nullo, Mosto, Schiaffino); anche questa iniziativa ebbe esito negativo.

    fig 4

    Poiché da parte austriaca non era filtrata/giunta nessuna comunicazione relativa al nostro Sommergibile, questo faceva credere che la perdita non fosse dovuta ad un attacco, ma ad un evento estraneo alla volontà del nemico.
    Il 10 agosto 1917 uno dei quattro colombi viaggiatori in dotazione al Sommergibile W4 rientrò alla propria colombaia del forte di Sant’Andrea nella base di Brindisi. Malconcio, coda quasi completamente asportata, la bestiola fu subito riconosciuta dalla fascetta di identità apposta ad una zampa ma, purtroppo, nessun astuccio metallico porta messaggi era fissato ad una delle penne della coda. Ciò fece pensare che il W4 dovesse trovarsi in emersione al momento della perdita, che avesse avuto il tempo di inviare il colombo e che quindi parte del personale, se non tutto, si fosse potuto salvare. Poiché la colombaia di Sant’Andrea si serviva di colombi di razza belga che lanciati a grande distanza rientravano in piccionaia dopo qualche giorno di permanenza su costa, si pensò che quello giunto fosse stato catturato e fosse poi sfuggito; pertanto furono inviati telegrammi per chiedere notizie sul territorio metropolitano; inoltre, giorno 11 agosto venne effettuata un’ulteriore, ed ultima, esplorazione aerea con quattro velivoli, assistiti in mare dalla torpediniera PN34 e due CC.TT, l’Insidioso e l’Indomito, le cui istruzioni furono emanate dal Comando Superiore Navale di Brindisi. Le ricerche risultarono vane.
    In data 16 agosto lo Stato Maggiore della Regia Marina assegnò al Viceammiraglio Camillo Corsi, Comandante in Capo della Squadra da Battaglia, di condurre l’inchiesta sull’evento relativo al Sommergibile W4. Nell’inchiesta fu messo in evidenza che per il mancato rientro del W4 nessun appunto poteva imputarsi alle direttive impartite, che le ricerche effettuate erano state tempestive e accurate per più giorni, specialmente quella di giorno 8, che il battello era pienamente efficiente e che l’equipaggio e il Comandante erano esperti e ben preparati. Si evidenziava, inoltre, che due aviatori nemici, catturati dopo l’abbattimento del loro aereo sul cielo di Brindisi l’11 agosto, non sapevano nulla sulla sorte del Sommergibile italiano e che probabilmente il W4 poteva aver urtato una mina posata dal nemico a protezione del suo traffico mercantile e militare. Peraltro, era presumibile che le perdite sia del W4 che quelle precedenti del Sommergibile britannico H3 e del francese Fresnel potessero essere state causate da urto con mine, nel desiderio dei Comandanti dei battelli di avvicinarsi alla costa per affondare piroscafi nemici. Pur non potendo esprimere nulla circa la fine del W4 per mancanza di qualunque elemento in proposito, la relazione (foglio n. 1435 in data 27 agosto 1917) evidenziava …omossis…“che il desiderato incontro e l’affondamento di un piroscafo non ci compenserebbe delle perdite subite. Invece l’agguato al largo, anche se meno utile contro i piroscafi nemici, costituirebbe però sempre una buona difesa contro navi da guerra che uscissero da Cattaro per missioni nel Basso Adriatico.”

    fig 2

    …omissis…
    Del Sommergibile non si seppe più nulla né tanto meno alla fine delle ostilità si trovò qualche notizia in merito nella documentazione della kuk Kriegsmarine.
    Ai 22 uomini dell’equipaggio che in un’operazione in prossimità della costa nemica persero la vita fu concessa, alla Memoria, la Medaglia d’Argento al Valor Militare al Comandante e a tutti gli altri la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. 
    Unico sopravvissuto il piccione viaggiatore muto testimone di una tragedia.
    Di seguito i nominativi dei deceduti dell’equipaggio del W4 (leggasi nominativo/luogo di nascita/Capitaneria di Porto di ascrizione)

    – C.C. Giaccone Alessandro – 03/11/1878 – Oneglia – La Spezia;
    – T. V. Melchiorri Michelangelo – 13/04/1891 – Napoli – Taranto;
    – S.T.V. Opiperi Umberto – 14/06/1893 – La Spezia -La Spezia;
    – C°2^cl Mec. Militerni Giuseppe – 18/03/1882 – Napoli – Napoli;
    – 2°C° Mec. De Leonardis Giovanni – 23/06/1893 – Taranto -Taranto;
    – 2°C° Torp. Iarussi Ferdinando Oliviero – 03/10/1886 – Forlì del Sannio – Napoli;
    – 2°C° Torp. Orticello Santo – 31/10/1887 -Napoli – Napoli;
    – 2°C° RT Perillo Arduino – 19/04/1891 – Fragneto l’Abate – Napoli;
    – Sc Mec. Azzollini Gennaro – 15/05/1898 – Molfetta – Bari;
    – Sc Torp. Esposito Francesco – 12/04/1895 – S. Vitaliano – Napoli;
    – Sc Mec. Marazzi Francesco – 02/08/1896 – Sospiro – Genova;
    – Torp. Scelto Dalla Libera Ugo – 11/03/1898 – Cessalto – La Spezia;
    – Mar. Scelto Di Meglio Michele – 25/04/1894 – Ischia – Napoli;
    – Mar. Scelto Pepe Vincenzo – 12/01/1892 – Maiori – Salerno;
    – Mar. Scelto Romeo Sebastiano – 07/06/1894 – Acireale – Catania;
    – Mar. Scelto Zappulla Sebastiano – 30/06/1891 – Siracusa – Siracusa;
    – Torp. El. Bertolini Angelo – 08/03/1894 – Brescia – Genova;
    – Torp. Cassieri Filippo – 07/08/1898 – Civita Castellana – Civitavecchia;
    – Fuochista Delrio Antonio – 29/12/1894 – Genova – Genova;
    – Fuochista Erba Antonio – 10/09/1894 – Genova – Genova;
    – Marinaio Glena Andrea – 01/03/1895 – Nicosia – Catania;
    – Sottonocchiere Marinucci Salvatore – 28/04/1891 – Termoli – Ancona.

    Alcuni pescatori Albanesi, in tempi recenti, affermato che il W4 si trovi al largo di Capo Rodoni (Albania) ed inoltre nell’Encyclopedia of British Submarines 1901-1955 di Paul Akermann edizione 1989, a pagina 190, è riportato che il battello è affondato per urto di mina a Capo Rodoni il 6 agosto 1917. Aspettiamo, fiduciosi, una conferma definitiva da parte italiana.