Racconti

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    26.4.1931, varo della regia nave Folgore

    di Carlo Di Nitto

    Il regio cacciatorpediniere Folgore (2°), classe “Dardo”, dislocava 1920 tonnellate. Costruito nei Cantieri delle Officine e Cantieri Partenopei di Napoli, era stato impostato il 30 gennaio 1930, varato il 26 aprile 1931 ed era entrato in servizio dal °1 luglio 1932.
    Affondò alle ore 01.16 del 2 dicembre 1942 in combattimento contro unità britanniche nel Canale di Sicilia.
    Era partito il mattino del 1° dicembre da Palermo, insieme con altri due cacciatorpediniere e due torpediniere, di scorta ad un convoglio di quattro navi dirette a Biserta. Nella notte il convoglio venne attaccato nel Canale di Sicilia da una superiore formazione britannica composta da tre incrociatori e due caccia. Il FOLGORE, portatosi all’attacco eseguì il lancio di due salve di siluri, ma investito su due lati dal fuoco nemico, nonostante fosse in preda alle fiamme, continuò a sparare sino ad esaurire tutte le munizioni delle riservette del calibro principale, poi si capovolse ed affondò nel punto 37°43′ N e 11°16′ E, nella zona nota con il nome di “Banco di Skerki”.
    Nell’affondamento portò con sé 124 Marinai che costituivano oltre metà dell’equipaggio.
    Alla memoria del comandante, CC. Ener Bettica. fu conferita la Medaglia d’oro al Valor Militare.
    Il suo motto fu “Fulgur in hostem” (come folgore sul nemico)
    ONORE AI CADUTI !

    di Lucia Guazzoni
    (1 dicembre 2013)

    …riceviamo e pubblichiamo la commovente “testimonianza”, per non dimenticare mai.

    Regio Cacciatorpediniere Folgore
    La “rotta della morte”: gli equipaggi delle navi che attraversavano il mare per raggiungere la Tunisia, durante l’ultima Guerra, sapevano che la strada da percorrere portava un nome poco simpatico, la Rotta della Morte.
    L’Ammiraglio inglese Cunnigan, Comandante della flotta inglese nel Mediterraneo, scrisse nelle sue memorie: “E’ sempre stato per me fonte di meraviglia il modo in cui i marinai italiani continuavano ad operare con le loro navi…..soggetti ad attacchi navali, subacquei, bombardieri, aerosiluranti, mine vaganti e magnetiche per tutta la rotta…”
.

    Questa è la storia del convoglio H, partito in data 1-12-1942 e mai più tornato.
    Il convoglio era formato da quattro mercantili e una scorta composta dal CT DARECCO, il CT CAMICIA NERA, il CT FOLGORE (sul quale era imbarcato mio padre, Edgardo Guazzoni, come Secondo Capo di Macchina) la Torp. CLIO e la Torp. PROCIONE.
    L’ordine di operazione era preciso: in caso di incontro con navi nemiche le siluranti di scorta dovevano andare all’attacco del nemico impegnandolo a fondo e coprendo il convoglio con nebbia, mentre le unità mercantili dovevano assumere, anche senza ordini, la rotta più rapida di allontanamento. Il FOLGORE e il CLIO dovevano restare col convoglio.
Il nemico intercettò il convoglio alle ore 00.37 del 2-12-1942 e affondò immediatamente un mercantile carico di munizioni. Mentre il resto del convoglio cercava di invertire la rotta, venne esteso l’ordine anche al FOLGORE e al CLIO di attaccare.
Il Cap. di Corvetta ENER BETTICA con il CT FOLGORE diresse all’attacco senza nemmeno aspettare l’ordine generale. A soli 1000 metri dal nemico lanciò da destra la prima salva di siluri, poi accostò per disimpegnarsi ma visto l’altro incrociatore inglese, tornò sulla sinistra e lanciò altri tre siluri. Assunse quindi la rotta di allontanamento, aprendo il fuoco con tutte le artiglierie.

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    Il FOLGORE navigava con gli incendi che divampavano a poppa, con la prora dilaniata dagli scoppi ma continuava a combattere. Era inquadrato da cinque o sei proiettori, illuminato dal susseguirsi dei bengala, crivellato da proiettili di ogni genere.
    Mentre il Comandante dava l’abbandono nave e controllava che tutti i suoi uomini fossero fuori bordo, contrariamente a quello che tutti raccontarono in seguito, riprese il timone della sua nave. Era ferito e sanguinava dalla fronte, mio padre fu forse l’ultimo a vederlo perchè era tornato indietro a prendere dalla sua cabina i suoi oggetti personali, era il suo compleanno e quindi ci teneva particolarmente e il Comandante lo incitò. “Che ci fai ancora qui, Guazzoni? Via, via, a mare!”
 E mentre mio padre si buttava e raggiungeva a nuoto i superstiti, aggrappati ai salvagenti, il Comandante eseguì l’ultima manovra: il FOLGORE affondò di prua, entrando in acqua con tutte le luci accese e le sirene spiegate e scivolò accanto ai suoi uomini che lo seguirono con gli occhi fino a che poterono, la gola chiusa dalla commozione.

    I superstiti rimasero in acqua fino al giorno 4-12-1942, sospinti dalle correnti verso le coste della Sardegna, silenziosi e inermi, chiudendo la bocca ai feriti per non farsi intercettare dalle navi inglesi che battevano la zona in cerca di naufraghi.
    Furono finalmente avvistati da un aereo di ricerca e tratti a bordo del Partenope partito da Trapani.
    Il convoglio H fu completamente distrutto. Il Darecco e il Clio subirono danni e perdite ma tornarono in porto da soli. Il Camicia Nera era rientrato prima di tutti, dopo aver sparato tutti i suoi siluri. Col FOLGORE perirono 4 Ufficiali, 13 Sottufficiali e 117 Marinai.
    Mio padre fu uno dei superstiti, decorato con Croce al Valore e Croce di Guerra e quella tragedia lo segnò per sempre. A parte fisicamente, che portò i dolori alle ossa per la lunga permanenza in mare per tutta la vita, ma fu psicologicamente che fu provato. Continuò a combattere, tornò ad imbarcarsi, perché quel tipo di uomini non si tirano indietro, ma l’immagine del FOLGORE che si inabissa, con le luci accese e le sirene spiegate e lo sguardo del Comandante Bettica che fino all’ultimo si preoccupava per i suoi uomini, quello non l’ha mai dimenticato.


    Oggi è il 2 Dicembre, sarebbe il compleanno di mio padre, se fosse ancora vivo. E sarà l’anniversario di una pagina di storia del mare e di gloria che purtroppo non viene insegnata a scuola, così che i nostri figli, e i figli dei figli non sapranno mai di cosa sono stati capaci i loro nonni e bisnonni.
    Ma io sono viva, io ricordo, io voglio che la mia memoria non vada perduta!

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    ALTRE TESTIMONIANZE

    2.12.1942, Francesco Santoro (a cura Antonio Cimmino)




    Il cacciatorpediniere Folgore faceva parte di un convoglio formato da 9 navi con un totale di 3.300 marinai e soldati imbarcati. 
Furono attaccati da soverchianti forze inglesi, il convoglio fu distrutto e trovarono la morte 2.200 uomini nel Canale di Sicilia – Banco di Sherki.
    Il regio cacciatorpediniere Folgore fu affondato il 2.12.1942 nel Canale di Sicilia dagli incrociatori inglesi Aurora, Argonauta e Sirius nella cosiddetta “Battaglia dei Convogli”.
Scomparvero in mare 123 uomini dell’equipaggio su un totale di 165 compreso il Comandante Bettiga decorato con Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Il cacciatorpediniere Folgore faceva parte di un convoglio formato da 9 navi con un totale di 3.300 marinai e soldati imbarcati. 
Furono attaccati da soverchianti forze inglesi, il convoglio fu distrutto e trovarono la morte 2.200 uomini nel Canale di Sicilia – Banco di Sherki

    Francesco Santoro, Marinaio segnalatore di Avola (SR), classe 1925, matricola 68482 riuscì a salvarsi.
 Per il suo coraggioso comportamento fu decorato con Croce di Guerra al Valor Militare e Croce al Merito di Guerra con la seguente motivazione:
    “Imbaracato sul cacciatorpediniere impegnato in combattimento notturno contro forte formazione navale, si adoperava efficacemente per soccorrere i feriti e contribuiva ai tentativi di estinzione dell’incendio causato dal tiro di artiglieria, cooperando a vuotare le riservette di munizioni.
Dopo l’affondamento dell’unità, cedeva volontariamente ad un compagno esausto di forze il posto in zattera, dimostrando elevato spirito di altruismo”.
    Circa 2.200 Marinai non ritornarono invece all’ormeggio e adesso riposano in pace fra i flutti e le onde…
    Banca della memoria per non dimenticare mai.

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    Marino Bello
    di Antonio Cimmino

    Nasce il 30 giugno 1919 ad Alesano (Lecce) di Orazio e di Colaci Pasqualina.
    Arruolato giovanissimo nella Regia Marina è nominato Sergente con la qualifica di Furiere.
    La sua storia si intreccia con il regio cacciatorpediniere Folgore.
    Questa unità fu varata a Napoli il 26 aprile 191 dalla Società Cini & Scali Napoletani. Dopo 155 missioni di guerra fu affondata dall’incrociatore inglese Sirius appartenente alla Forza Q della Royal Navy (3 incrociatori e 2 cacciatorpediniere) mentre, unitamente ai cacciatorpediniere Da Recco e Camicia Nera e alle torpediniere Procione e Clio scortava, diretto a Biserta, il Convoglio H, formato dalle navi trasporto truppe Aventino e Puccini, dalla nave tedesca K7 e dal traghetto Aspromonte.
    Il regio cacciatorpediniere Folgore si difese con le armi di bordo fino all’ultimo ma, colpito da ben 9 cannonate, immobilizzato ed in fiamme, si capovolse ed affondò alle ore 1-16 del 2 dicembre 1942.
    Perirono con la nave 123 uomini su 165 componenti l’equipaggio.
    Il comandante, Capitano di Corvetta Ener Bettica, si inabissò volontariamente con la sua nave.
    Il corpo del sergente furiere Marino Bello fu rinvenuto, in avanzato stato di decomposizione, il 1° aprile 1943 sulla spiaggia di Centola.

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    Nicola Sibilli

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    2/12/1942 – 2/12/2018. In memoria ed onore di tutti i caduti, e in memoria ed onore dei superstiti tra i quali mio padre Consales Antonio classe 1924, deceduto il 2/08/2007, che per tutta la sua vita la mattina del 2 dicembre cadeva in un pianto a dirotto nel ricordo dell’accaduto. Lui è rimasto 12 ore in mare aggrappato ad un relitto fino all’arrivo dei soccorsi. ❤️❤️❤️❤️
    Consales Gabriella

    Ener Bettica (Castagnole delle Lanze (Asti), 15.2.1907 – Banco di Skerki (Canale di Sicilia), 2.12.1942)
    a cura Antonio Pisanelli (*)

    (Castagnole delle Lanze (Asti), 15.2.1907 – Banco di Skerki (Canale di Sicilia), 2.12.1942)

    Ener Bettica nacque a Castagnole delle Lanze (Asti) il 15 febbraio 1907. Intraprese la carriera militare nel novembre 1927 come allievo dell’Accademia Navale di Livorno conseguendo la nomina a Guardiamarina il 4 aprile 1929. Raggiunta il 5 aprile 1934 la promozione a Tenente di Vascello ebbe il comando della regia torpediniera Castelfidardo, poi della regia torpediniera Generale Marcello Prestinari, della regia torpediniera Circe ed infine della regia torpediniera Polluce, al cui comando si trovava all’inizio del secondo conflitto mondiale.
    Il 16 giugno 1940 al comando della Polluce in acque siciliane, in cooperazione con le altre unità della 13ª squadriglia torpediniere affondò senza superstiti il sommergibile posamine inglese Grampus. Promosso Capitano di Corvetta nel settembre 1940, il successivo 28 ottobre ebbe l’incarico di direttore del Centro Studi ed Esperienze dei Servizi Ottici della Regia Marina di Pola lasciando tale mansione il 5 novembre 1942, quando venne designato comandante del regio cacciatorpediniere “Folgore”.
    Nel dicembre del 1942 il Folgore ingaggiò presso i Banchi di Skerki (tra la Sardegna e l’Africa settentrionale) un furioso combattimento contro le soverchianti forze alleate della Royal Navy. Inizialmente furono usati i siluri con i quali forse veniva colpito l’incrociatore Sirius, e poi i cannoni, scatenando una furibonda reazione avversaria. Il Folgore fu rapidamente colpito da numerosi proiettili che provocarono gravissimi danni e incendi. Tuttavia la nave proseguì il combattimento fino ad esaurimento delle munizioni, tentando poi di dirigere su Cagliari, ma i danni ricevuti ne provocarono uno sbandamento tale da impedirne la salvezza.
    Messo in salvo l’equipaggio, il comandante Ener Bettica si inabissava con la nave alle ore 01:16 del 2 dicembre 1942. Nella furiosa battaglia del Banco Skerki che costò più di 2200 caduti, solo del Folgore perirono 4 ufficiali, 13 sottufficiali e 107 marinai.

    Al comandante Ener Bettica, decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria è stato intitolato un pattugliatore della Marina Militare (classe Comandanti)
    Il comune di Castagnole delle Lanze ha intitolato al comandante Ener Bettica la via principale che attraversa il centro storico.
    A Lido di Ostia (ROMA) esiste una Piazza intitolata al Comandante Ener Bettica.

    Onorificenze
    Medaglia d’oro al valor militare – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d’oro al valor militare
    «Ufficiale Superiore di alte virtù combattive, chiedeva con insistenza di imbarcare su siluranti nonostante che per una sua specifica e geniale attività tecnica fosse destinato a conservare una destinazione terrestre.
    Ottenuto il comando di un cacciatorpediniere, nel corso di un aspro combattimento notturno contro una formazione avversaria, composta di incrociatori e cacciatorpediniere, con impavido animo si lanciava due volte all’attacco delle unità nemiche e, incurante della violenta reazione, con freddo ardimento e serena abilità, riusciva a portare a segno i suoi siluri, dalle distanze più serrate, con sicuro effetto distruttivo di una delle navi avversarie. Gravemente colpita la sua unità in più parti, trovandosi nel cuore della formazione nemica, ed esauriti i siluri, proseguiva per oltre mezz’ora di combattimento col cannone fino all’estremo limite di ogni possibilità. Dopo aver provveduto alla salvezza dell’equipaggio, affondava con la nave al suo comando, immolando la vita sempre e tutta fieramente dedicata alla Marina, al suo progresso ed alla Patria». — Canale di Sicilia, 2 dicembre 1942

    Medaglia di bronzo al valor militare – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia di bronzo al valor militare
    «Comandante di silurante, all’avvistamento di un sommergibile nemico assecondava prontamente la manovra del caposquadriglia intesa ad evitare i siluri e conduceva quindi a fondo con perizia, metodo e spirito aggressivo la caccia contro l’unità nemica, conseguendo sicuri effetti distruttivi dalle armi impegnate.» — Mediterraneo centrale, 16 giugno 1940

    (*) per conoscere le altre sue ricerche digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

  • Racconti,  Recensioni,  Storia

    Particolare della Liberazione

    di Giorgio Gianoncelli (*)

    In valle l’insurrezione del 25 aprile 1945 ha un giorno di scarto rispetto alla città di Milano e provincia. Il giorno 26 aprile Benito Mussolini è sulle rive di lago di Como per travestirsi da soldato tedesco mentre, i Patrioti (Partigiani) sulle coste della Valtellina sono ancora nel silenzio.
    Tresivio apprende dal comunicato radio diffuso dagli altoparlanti del nosocomio l’Alpina l’avvenuta insurrezione di Milano del giorno prima, anche i gruppi sulle coste sono raggiunti dalla notizia e tutti si mettono in movimento per scendere a valle.
    Tresivio è presidiato da un piccolo distaccamento del Secondo Battaglione Sondrio di Boirolo, mentre il grosso al comando di Caligola è in Val Grosina. Il distaccamento al comando del Commissario Artemio Crapella, coadiuvato da Vittorio Beltrama (Dino) e Albino Moretti, raduna un buon numero di giovani tra i 16 e 18 anni, prendono il camion della spesa dei Sanatori di Alpina e Prasomaso, impiantano sul cassone una ben oliata mitragliatrice e partono per Ponte in Valtellina, dove ci sono circa 600 militi del duce, soprattutto, c’è il tenete Canova che deve rendere qualche cosa d’importante a Tresivio.  Nel contempo arrivano da Sondrio un plotone di Patrioti (Partigiani) con un gruppo di Comando del CLNV, guidato da Virgilio Bonomi.  

    Mentre i soldati fascisti schiamazzano all’interno della Caserma  (Dopolavoro), Virgilio Bonomi chiede la resa al maggiore Onorio Onori, comandante della Guardia Nazionale Repubblicana, che subito consegna la pistola di ordinanza con il pugnaletto e ordina la resa ai suoi soldati con la deposizione delle armi.
    I Patrioti di Tresivio dopo una breve ricognizione non trovano Il tenente Canova nel gruppo dei prigionieri. Artemio non impiega molto a capire dove possa essere, Infatti, circondano la casa paterna e dopo una ricognizione esterna entrano in casa e nella cucinaccia dove solitamente confezionano i salumi del maiale, scovano l’arrogante tenete abbarbicato sulla canna fumaria del grosso focolare.
    Tirato giù a forza da quell’incomoda situazione l’arrogante tenentino, che si presente tutto di nerofumo coperto, come provetto spazzacamino, dismesso nell’uniforme e lo sguardo spento. Ha paura il tenente, teme il peggio, ha la coscienza sporca e lo sa. Artemio Crapella si limita a rimproveragli tutto il terrore che ha seminato in Tresivio con i crimini commessi in valle e gli notifica l’arresto nel nome dell’Italia Libera. Fatto salire sul camion, legato in piedi all’affusto della mitragliatrice, nero di fuliggine conciato, in modo che in molti vedessero quanto sia  cambiato di aspetto e lo consegnano alle patrie galere di Sondrio. Il tenente Canova è stato poi processato e condannato alla fucilazione in quanto ritenuto criminale di guerra.
    Buona lettura, grazie per l’attenzione.

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome. Giorgio Gianoncelli è deceduto il 7.9.2022.

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    Ulisse, il suicidio delle sirene e altro

    a cura Antonio Cimmino

    Questo articolo è dedicato a tutte le donne, in modo speciale a quelle dei marinai, che in ogni istante della loro esistenza si armano di santa pazienza, di buona volontà e di amore per l’unità della famiglia. Esse, come Penelope, amano semplicemente, come sempre e per sempre (Pancrazio “Ezio” Vinciguerra)

    Ulisse il mitico personaggio omerico rappresenta una metafora del viaggio di ogni individuo, quello che conduce alla conoscenza del mondo e di se stessi. Eroe antico e moderno allo stesso tempo, è un navigatore esperto che sa governare una nave ed un regno. Con il suo desiderio di avventura, il suo coraggio, la determinazione nel perseguire l’obiettivo, la capacità di leadership, la capacità di saper offrire sicurezza al proprio equipaggio, rappresenta la massima possibile espressione delle aspirazioni e delle qualità che un uomo di mare si pone e di cui desidererebbe poter disporre per realizzare i propri traguardi. D’altra parte l’uomo di mare è molto concreto per scelta e per necessità, dovendosi confrontare con un elemento che, in alcuni momenti, non lascia molto spazio alla fantasia e che richiede in ogni istante di dover risolvere il problema contingente prima di approntarsi alla soluzione di quello successivo. In questo senso ciascuno di noi marinai deve essere pienamente consapevole delle proprie capacità, frutto dell’esperienza e di un duro lavoro, per applicarle al meglio, avendo a riferimento i valori che la figura di Ulisse emblematicamente rappresenta. In una parola nessun marinaio può presumere di sentirsi come Ulisse. Ma identifica in questo mitico eroe la possibilità di raggiungere anche le mete più impegnative. Le reincarnazioni dell’eroe omerico sono decine e decine, e coloro che inaugurano il modernismo, Erza Pound, T.S. Eliot e James Joyce, lo aprono tutti significativamente, con l’ombra e le tracce di Ulisse. Un meccanismo che si ripete puntualmente dopo l’Ulisse dantesco, in romanzi come “Il vecchio e il mare”, “Il capitano Achab”, racconti coinvolgenti che nascono dallo stupore che l’uomo prova dinanzi a ciò che non conosce. In estrema sintesi, quando ciascuno di noi viene a contatto con le meraviglie del nuovo e dell’ignoto.

    La storia ci narra che oltre ad essere un indomito guerriero, fu un abile ingegnere, ne è testimonianza la prodigiosa invenzione del cavallo di Troia che ancora oggi ci sorprende per la genialità. La guerra tra troiani e greci fu vinta, da quest’ultimi, grazie a questo espediente, frutto della sua intelligenza. Oltre ad essere un abile artigiano, costruttore della zattera e del talamo nuziale, è il simbolo di chi sperimenta, ricerca, stupisce e si stupisce, di chi va alla scoperta del perché delle cose e delle ragioni di ciò che prova o incontra. Quando gli altri ritornano dalla guerra lui continua a navigare con i suoi amici per il Mediterraneo malgrado a Itaca, sua amata patria, abbia lasciato la fedele e innamorata moglie Penelope ed il figlio Telemaco. Penelope non è una donna torbida e intrigante come la malevola Circe che trasforma gli uomini in maiali. Sebbene altre donne innamorate e generose come Calipso e Nausica abbiano tentato di sedurlo, Ulisse non ha che un pensiero fisso: come ogni marinaio pensa alla sua amata, a suo figlio e alla propria terra. Prima di approdare nella sua Itaca, deve però affrontare uragani e divinità avverse; i mostri marini Scilla e Cariddi, resistere ai canti ammalianti delle sirene facendosi legare all’albero della nave. Perde i compagni nei naufragi. Si misura con il ciclope Polifemo: il gigante con un solo occhio che nell’Etna fabbrica i fulmini di Giove. Scende persino nell’Ade. Quando finalmente raggiunge la sua Itaca, malgrado Minerva lo ha trasformato in un mendicante per renderlo non identificabile, viene riconosciuto dal suo fedele cane Argo e dalla nutrice d’infanzia Euriclea. Si vendica dei Proci che tentano invano di rubargli la moglie e il regno e li uccide aiutato dal figlio. Fin qui l’epica storia del più ammirato dei marinai. Nonostante siano passati millenni dalle vicende raccontate nell’Odissea ancora oggi l’angelo del focolare resta la donna. Anzi negli ultimi tempi le donne sono diventate più forti e, pur avendo conquistato importanti posizioni nel lavoro e nella società contemporanea, rimangono, per la loro dedizione e generosità, la vera anima della famiglia, il punto di riferimento per i loro cari, il porto sicuro dopo le battaglie a cui la vita moderna ci sottopone.

    Ognuno di noi marinai sa che in fondo al proprio cuore c’è sempre una “Penelope” ad aspettarlo: la propria amata. La donna del nostro destino; la tessitrice di quel filo che, come Penelope, non finisce mai di raggomitolare, di quel filo, simbolo del legame e della continuità dell’amore eterno, che genera la vita (Pancrazio “Ezio” Vinciguerra).

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Racconti,  Recensioni

    25.4.1952

    …riceviamo ed orgogliosamente pubblichiamo.

    Stimatissimo Maresciallo Vinciguerra,

    Spezia, 25 aprile 1952.
    Il Comandante del Dipartimento Militare Marittimo dell’Alto Tirreno, presumibilmente l’Ammiraglio De Pace, passa in rassegna i picchetti di Marinai frequentatori le Scuole C.E.M.M. di La Spezia.
    Questa bella quanto rara fotografia è gentilmente concessa dal signor Gianni Maccà (classe 1933) che all’epoca era Sottocapo S.D.T. e che ringrazio perché egli è stato e si sente sempre Marinaio.
    Marino Miccoli

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    25-29.4.1945, salvataggio della nave Sergio Laghi

    di Carlo Di Nitto

    Storia di una nave: la motocisterna “ SERGIO LAGHI”

    La motocisterna “Sergio Laghi” venne costruita dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico a Monfalcone, stazzava 16.189 tonnellate. Appartenente alla società AGIP (Agenzia Generale Italiana Petroli) di Roma, era iscritta al Compartimento Marittimo di Genova, matricola n. 2336. Fu varata il 2 aprile 1942 e consegnata a dicembre dello stesso anno.
    Fu requisita dalla Regia Marina il 14 febbraio 1943.
    Fu catturata il 29 novembre 1943 dai tedeschi a Venezia.
    Utilizzata come deposito galleggiante di acqua, era da questi stata destinata ad essere affondata all’imboccatura del Lido per ostruirla. Durante il viaggio di trasferimento dalla Marittima al Lido, il 29 aprile 1945 fu salvata in extremis da un drappello del Corpo Volontari della Libertà (CVL) di Venezia e poi riconsegnata alla società armatrice dagli Alleati.


    Riscrivo di seguito, un passo tratto dalla ricerca di mio fratello, capitano Francesco Di Nitto, e da lui riportato su un suo lavoro relativo alla storia della flotta petrolifera AGIP – SNAM:
    Il salvataggio della “Sergio Laghi”
    Il documento che segue, è la trascrizione integrale dell’estratto del Giornale Nautico, parte prima, della “Sergio Laghi” dove sono raccontati gli avvenimenti accaduti tra il 25 ed il 29 aprile 1945 a seguito del tentativo dei soldati tedeschi di affondare la nave al Lido di Venezia.
    Grazie al contributo del Comm. Davide Tonolo, del Corpo Volontari della Libertà, dei membri dell’equipaggio e del rappresentante Agip di Venezia, il salvataggio dell’unità andò a buon fine.
    Il Comm. Tonolo, quando seppe dell’intenzione dei tedeschi di affondare la nave, prese contatti con il Com.te del CVL di Venezia (Corpo Volontari della Libertà), avv. Almansi, e assieme decisero di intervenire. Un drappello di partigiani s’imbarcò sulla nave e sui rimorchiatori (d’accordo con l’allora proprietario, Comm. Emilio Panfido) per effettuare il movimento citato nell’ultima pagina dell’estratto del giornale nautico che segue.
    Si ringrazia il dott. P. Tonolo per aver fornito l’eccezionale documento.

    MOTOCISTERNA “ SERGIO LAGHI “
    ESTRATTO GIORNALE NAUTICO PARTE 1^
    A pagina 44 e seguenti leggesi:
    25 Aprile 1945

    … Omissis …

    La sera alle 18,30 il capitano di porto tedesco avverte il Comandante che la nave dovrà fare movimento nella giornata di domani

    … Omissis …

    27 Aprile 1945.- A mezzodì si riceve dal Capitano del Porto tedesco l’ordine di preparare la nave per il movimento che si deve fare alle 18,00 e cioè di virare a bordo l’ancora e di ritirare i cavi grossi.
    Essendo il comando di bordo venuto a conoscenza per mezzo di un italiano che la nave deve essere portata al Lido per essere affondata e quindi ostruire il porto alle navi alleate, mentre il direttore di macchina signor Molinino Claudio si addossa la responsabilità di non preparare la macchina, il comandante ad arte allontana l’equipaggio facendo restare la sola guardia e di conseguenza non eseguendo l’ordine di togliere gli ormeggi e di virare l’ancora a bordo. Quindi il Comando di bordo come per accordi presi precedentemente con il direttore della Filiale AGIP sig. Montegazzini Carlo per tentare di salvare la nave, ne inizia l’appesantimento, immettendo acqua di mare nelle cisterne vuote con lo scopo di farla poggiare vieppiù sul secco e quindi di rendere impossibile smuoverla oppure per farla rendere troppo pesante e poco governabile per il rimorchio.
    Verso le 18,00 un motoscafo tedesco constata l’assenza del personale e la non esecuzione degli ordini, circa i cavi e l’ancora.
    Verso le 19,30 il personale di guardia osserva un motoscafo tedesco, che attraccatosi alla catena dell’ancora, vi sta attaccando una mina. Essendo stato ordinato di allontanarsi, ci si allontana dalla nave, allo scoppio della mina attaccata alla catena, nel dubbio che siano state collocate altre mine lungo il bordo, e per le insistenti segnalazioni dei tedeschi dal motoscafo invitanti a scappare, il personale si allontana dalla Marittima. Restano nascosti nel magazzino 112 attiguo alla nave il Comandante Bratovich e il direttore della filiale AGIP sig. Montegazzini che era stato nel frattempo avvertito a mezzo del nostromo Schiavi, disposti a salire a bordo per disinnescare eventualmente mine.
    Allontanatosi il motoscafo tedesco, raggiungono la nave ed assicuratisi che fuori bordo non erano state attaccate delle mine, allagano anche le rimanenti cisterne vuote e si assicurano che le porte d’accesso alla macchina, locali prora, timoneria ed alloggi siano chiusi a chiave. Mentre stanno ultimando questa opera e cioè verso le ore 20,15 attracca un rimorchiatore con a bordo il personale tedesco che deve sostituire quello italiano scappato; il Comandante e il Direttore riescono a squagliarsela non visti e riparano in città per rincasare prima del coprifuoco.

    28 aprile. Il mattino il Comandante viene informato dal caporale di macchina sig. Bottoni che riuscito a raggiungere la testata della Marittima verso le 06,30 aveva trovato la nave invece che ormeggiata disormeggiata, colla prua rivolta verso il largo e la poppa verso la banchina.
    Essendo stato impossibile recarsi in mattinata verso la Marittima a causa delle scaramucce tra i volontari del Corpo di Liberazione ed i fascisti, nel pomeriggio verso le quattordici il direttore sig. Montegazzini, il Comandante Bratovich Fortunato accompagnati dal nostromo Schiavi Onorino e dai marinai Caiselli Aldo, Berna Virgilio e Vuksan Branko si recano dal Cap. Bruno Comandante l’omonima brigata del C.V.L. dal quale ottengono la costituzione di una piccola squadra d’azione che composta dai summenzionati, da elementi della brigata stessa dovrebbe recarsi a prendere possesso della nave mentre ancora in Marittima i tedeschi continuano a resistere.
    Mentre ci si sta per imbarcare viene la notizia (smentita) che la Germania ha chiesto la cessazione delle ostilità. Giunti in Marittima, si trova la nave girata a banchina e se ne prende possesso innalzando la bandiera italiana.
    Si consta che la stessa é stata sottoposta ad atti di vandalismo dal personale tedesco; di questi danni se né farà un elenco nel presente giornale non appena si potrà ultimare la constatazione e l’elencazione.
    Per la sorveglianza della nave rimangono a bordo; personale dell’equipaggio ed un gruppo di volontari del C.V.L.
    Verso le ore 21,30 al passaggio di una motozattera tedesca avviene uno scambio di colpi di mitra da parte dei volontari e raffiche di mitraglia ed un colpo di cannoncino da parte dei tedeschi. Perdite tra i volontari; un morto sulla banchina vicino alla nave ed un ferito a bordo.

    29 Aprile – Si visitano le cisterne ed i vari locali prospicenti verso il largo per constatare eventuali danni causati dal colpo del cannoncino della motozattera, ma non si riscontra nulla.
    Risulta secondo il racconto del Sig. Tonolo, agente della nave, che la nave e’ stata messa dal posto di ormeggio colle forze di tre rimorchiatori fra i quali il potente Titanus verso le ore 22,15 e che portata fino alla Salute é stata successivamente riportata al presente posto di ormeggio verso le 24, e ciò, per intervento del Sig. Tonolo stesso.

    … Omissis …

    M/c “Sergio Laghi”
    Il comandante
    F. to Fortunato Bratovich

    Sergio Laghi
    Sottotenente di complemento XXIV battaglione eritreo.
    Ufficiale giovanissimo e valoroso, volontario di guerra, in numerosi combattimenti, ai quali partecipò come comandante di un plotone eritreo, dette prove di fulgido ardimento. Guidò con travolgente impeto il suo reparto all’attacco di una forte posizione presidiata da nemico agguerrito e baldanzoso, conquistandola. Incaricato poi di eliminare un forte centro avversario che con efficacissimo tiro d’infilata rendeva insostenibile il mantenimento delle posizioni, si lanciò con superbo ardimento contro il nuovo obiettivo sgominando i difensori e resistendo con indomito coraggio alla violenta reazione nemica. Indi, colpito a morte da una raffica di mitragliatrice, cadde da eroe raccogliendo le sue ultime forze nel grido di: « Viva l’Italia ». Mai Ceu, 31 marzo 1936.

    In questa foto, eseguita nel 1943 a Monfalcone, l’unità è ripresa con pitturazione mimetica e sovrastrutture posticce per camuffarla da comune nave da carico, meno appetibile come bersaglio da parte del nemico.
    Unica della sua classe ad essere sopravvissuta agli eventi bellici, la “Sergio Laghi” fu una della quattro motocisterne gemelle intitolate ai nomi di medaglie d’Oro al Valor Militare (Franco Martelli, Iridio Mantovani, Giulio Giordani e Sergio Laghi) costruite nell’ambito di un progetto aziendale finalizzato all’avvio di una flotta moderna.
    Dopo gli eventi bellici, navigò per il gruppo AGIP fino al 1965. Venduta ad altro armatore, fu demolita nel 1970.
    Su questa Nave, nel dopoguerra, ha navigato a lungo mio Padre come ufficiale in 2^.
    Dedico quest’articolo alla Sua memoria.

  • Attualità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Per Grazia Ricevuta,  Racconti,  Recensioni

    25 aprile e 1° maggio – lettera al signor Presidente della Repubblica Italiana

    di Don Gino Delogu

    Signor Presidente della Repubblica Italiana, una premessa e una domanda.

    Il 25 aprile, festa della Liberazione e il 1° maggio festa del Lavoro, tutti le attività lavorative sospese e tutti gli esercizi commerciali chiusi con severe Ordinanze sindacali; mentre il 2 Giugno festa della Repubblica Italiana, viene considerato giorno feriale e lavorativo. La domanda è:

    – questa nostra Repubblica non merita proprio niente?

    – Come mai si continua a sostenere il disamore per quello che rappresenta la conquista più importante del nostro popolo?

    Nel 1961 abbiamo celebrato i 100 anni dell’unità d’Italia, adesso ci apprestiamo a celebrare i 150 anni, giusto anzi giustissimo, ma, come mai tanta passione per questa celebrazione che comunque è stata realizzata da un Re di Casa Savoia e non per la nostra amata Repubblica?
    Che significato ha, avere una Italia unita e repubblicana se poi ci lascia tanto indifferenti?

    Con riverente gratitudineDon Gino Delogu

    PER GRAZIA RICEVUTA
    Ciao Don Gino,
 molti di noi, come me, ti conoscevano come uomo di mare e di Dio.

    Mi sento di affermare, a nome di tutta la grande famiglia dei marinai che occuperai, per sempre, un posto speciale nei nostri cuori. Hai vissuto intensamente e fuori dal comune questa vita straordinaria che Lui ci ha donato e adesso, in questo giorno particolare e in questo anno misericordioso straordinario, Lui ti ha voluto nel suo Regno per continuare la navigazione nella Gerusalemme divina in supporto di chi prima di noi è salpato per l’ultima missione…


    Don-Gino-Delogu-e-gli-inseparabili-amici-marinai
    Riporto le parole che Riccardo scrisse quando diventasti Diacono

    Articolo

    Trovare me stesso.
    Sapere chi sono.
    Non è un fine, non è la meta.
    Non esiste il traguardo di aver raggiunto la consapevolezza di se stessi.
    Essere coscienti di sé è un continuo divenire.
    Una continua scoperta.
    Una sorprendente avventura che dura tutta una vita.
    Ogni giorno io cambio, perché lo stesso universo dentro e fuori di me che muta.
    Perché il mutamento è l’unico punto fermo dell’esistenza.
    Dunque scelgo di guardare davanti a me con gli occhi di un bambino.
    Scelgo di riflettere su quello che vedo con lo sguardo dell’esperienza.
    E poi decido di agire, sentendo e valutando la pesantezza o la leggerezza di tale scelta, prima che venga compiuta.
    E poi vivo.
    Vivo le mie scelte in piena responsabilità.
    Ed è questo che mi fa sentire libero.
    Libero di vivere appieno ogni secondo che il Creatore mi ha donato.
    Libero di cambiare.
    Libero di scoprire un nuovo me stesso in ogni istante che vivo.
    Libero di sorprendere me stesso e ancora e ancora…
    (Lirica di Riccardo Fioravanti)

    Don Gino Delogu - www.lavocedelmarinaio.com

  • Racconti,  Recensioni,  Storia

    25 aprile 1945, la guerra è finita

    di Filippo Amato
    Piombino – Batteria Sommi Picenardi – Parco di Punta Falcone

    In una calma serata di inizio estate di oltre settant’anni fa, 24 aprile 1945, la Città di Piombino viveva uno dei momenti più drammatici della sua storia millenaria. La nostra gente viveva le ultime ore dell’occupazione tedesca, il delicato momento del “passaggio del fronte”. Ore concitate, in bilico tra il timore di una resistenza ad oltranza dei tedeschi ed il desiderio e la speranza di vederli andare via senza combattere.
    Grandi esplosioni squarciarono quella notte insonne di lacrime e preghiere, di terrore e speranza: erano i guastatori della Wehrmacht che applicavano l’ordine di lasciare terra bruciata. Saltarono in aria i pontili del porto, gli impianti chiave delle acciaierie e le batterie costiere, tra cui la Sommi Picenardi. Erano macerie che andavano a sommarsi alle macerie delle bombe degli aerei alleati.
    Ferite che si sommavano ad altre ferite… Ma era il segnale tangibile della ritirata.
    L’alba della liberazione trovò una città deserta e spettrale, immersa in una calma irreale. Poche ore dopo le prime jeep americane della V Armata USA raggiunsero la periferia di Piombino attraversando quartieri devastati e sconvolti. Dopo nove mesi di duri combattimenti avevano raggiunto una città in ginocchio, ferita al cuore… ma viva e determinata a rinascere.
    Era il 25 aprile del 1945 e la guerra era finita!