Racconti

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    18.3.2015, Mario De Luca

    di Mario De Luca

    Quelli di seguito sono i link dove Mario De Luca ha lasciato una scia del suo passaggio in questo diario di bordo. Mario carissimo, adesso riposa in pace fra i flutti dell’Altissimo, sono certo che questo nuovo mondo è ancora più bello di quello di un marinaio, emigrante di poppa, con il cuore rivolto a Napule.
    (Pancrazio “Ezio” Vinciguerra)

    https://www.lavocedelmarinaio.com/2014/03/sabotaggio-e-incendio-del-fella-30-marzo-1941/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2013/06/paolo-emilio-thaon-di-rivel-il-duca-del-mare/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2013/02/a-proposito-dei-18-000-prigionieri-italiani-in-australia/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2013/05/il-conte-rosso/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2013/01/i-mercantili-in-guerra/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/12/tu-puoi-diventare-uomo-di-mare/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/06/napoli-10-giugno-1940-2/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/11/era-napoli-la-mia-citta-4-dicembre-1942/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2013/02/le-promesse-da-marinaio/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2015/03/18-3-2015-addio-mario-de-luca/

    Era Napoli, la mia città (4 dicembre 1942)
    Pubblicato il 29 novembre 2010
    di Mario De Luca (*)

    “Caro Ezio,
    sono molto commosso. La mia storia e molto lunga e complicata, penso che non c’è abbastanza spazio per raccontarla nei dettagli. Qualcuno potrebbe ricordare, sentirsi male, ed io non voglio.
    Posso però riassumerti a grandi linee quello che accadde quel giorno per noi indimenticabile…purtroppo!…
    Si fu una brutta esperienza da quel lontano 10 giugno 1940, io avevo solo 12 anni.
    Come ogni giorno, ormai da troppo tempo, verso le ore 16.00 e per sei o sette ore, andavamo giù al ricovero. Il ricovero era un posto squallido, puzzolente, dove già da tempo si rifugiavano i più poveri della città anche quando non c’era la guerra.
    Io abitavo al primo piano del palazzo con la mia famiglia.
    La RAF, sorvolava tutta Napoli per cercare bersagli da bombardare e le incursioni aeree continuarono per circa due anni. Anche gli americani, due anni più tardi, incominciarono con le loro incursioni aeree a bombardare quello che era rimasto della mia città.
    Mi ricordo quel giorno per ché mi trovavo al porto e l’incrociatore Nunzio ATTENDOLO fu affondato proprio li, ed io vidi tutto.
    Loro, gli americani, si stabilirono nella mia città fino alla fine della guerra,mentre i “germanesi” cercavano di bombardare il porto pieno di navi alleate. E’ una lunga storia. La città era in rovine ed io abitavo fuori al porto al centro dell’azione.”
    Oggi non abito più lì …vivo in Florida.
    P.s. QUEL GIORNO 4 DICEMBRE 1942 ERA LA FESTA DI “SANTA BARBARA”. Mario

    Tu puoi diventare uomo di mare
    Con ciò non voglio dire che i ragazzi nati e vissuti nei paesi del retroterra non possono, al pari, dedicarsi alle arti marittime. Solamente intendo far risaltare la tua posizione di privilegio rispetto a quelli a tale riguardo, in quanto tutti gli elementi materiali e spirituali necessari ad infondere nei giovani l’amore per il mare, se per te sono a portata di mano, sono forse sconosciuti o quasi ai ragazzi che vivono, per esempio, nel cuore del Piemonte o della Lombardia.

    Poiché tu, ragazzo del litorale, di qualunque punto del litorale, sei circondato indubbiamente da una infinità di segni, piccoli e grandi, che ti parlano delle nostre glorie marinare antichissime, antiche e recenti. Lo stesso porto o porticciolo a pochi passi dalla tua abitazione o dalla tua scuola, può essere stato, un tempo, famoso per approdi o partenze. Può essere stato sede di arsenali marittimi importantissimi. Può avere ispirato a qualche tuo lontano concittadino ardimenti ed audacie navali che sono passate alla storia.
    Dimmi, di quale paese se tu della costa? Di quale paese che non sia uno di quelli come Genova, Venezia, Napoli, Amalfi e tanti altri la cui tradizione marittima è fin troppo nota in tutto il mondo? Sei di Rimini, di Fano, di Molfetta, di Civitavecchia, di Messina, di Sorrento? Ebbene, sappi che Rimini fu una importantissima base di operazioni navali durante la seconda guerra punica; che Fano fece parte della Pentapoli marittima ai tempi dell’Impero d’Occidente; che Molfetta ha posseduto e possiede i più audaci pescatori
    …il volere è potere, nulla è difficile volendo, non chi comincia ma chi persevera, sono motti di celebri italiani del passato.
    Tu puoi diventare uomo di mare.
    Una piccola storia della mia gioventù trascorsa a Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale. Allo scoppio della guerra, il 10 giugno 1940, avevo solo 12 anni e abitavo in un appartamento locato fuori al porto. Per sei mesi la RAF faceva incursioni aeree sulla città quasi ogni giorno. Solo di notte non bombardavano alcun bersaglio. Ogni incursione durava circa sei o sette ore alla volta io andavo giù al primo piano che si usava come ricovero.
    Sei mesi più tardi la RAF incominciò a bombardare il porto e le fattorie industriali. Queste incursioni aeree sono durate per quasi due anni. Napoli era diventata la base della Regia Marina Militare dove scortavano i convogli delle navi mercantile dirette in Nord Africa. Quel tragico giorno, 4 Dicembre 1942, il giorno della festa di Santa Barbara, parecchie navi erano in porto con tutti i marinai a bordo per festeggiare la Santa protettrice di tutti noi.
    Era quasi mezzogiorno; tutto d’un tratto, senza nessun preavviso di sirene, circa 90 aerei americani cosiddetti “liberator” lanciavano i loro siluri in un incursione sul porto e nelle vicinanze della città.
    L’incrociatore Nuzio Attendolo insieme ad altre navi furono colpite ed affondate, circa 900 i morti tra marinai e civili.
    Io stavo a casa le bombe cadevano a destra e sinistra non so come non sono morto anch’io quel giorno, la mano di Dio…
    Quando arrivarono gli alleati a Napoli la RAF faceva solo sporadiche incursioni ed il porto era pieno di navi americane da guerra e da carico. Le successive settimane i tedeschi effettuarono anche loro le incursioni aeree sulla città ormai ridotta in rovine.
    La mia città era ferita in ogni angolo solo macerie, morte e fame.
    Sono rimasto fino alla fine della guerra poi sono emigrato in Florida dove sono ritornato a vivere in pace ma mi manca Napoli, la mia città.

    Per saperne di più
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
    Mentre si trovava nella città partenopea il 4 dicembre 1942, giorno di Santa barbara, vi fu un bombardamento da parte dei B-24 americani partiti dall’Egitto che arrivarono indisturbati sulla città in quanto scambiati per una formazione di Ju 52 tedeschi, sganciando le loro bombe da oltre 6000 metri di altitudine, nel tentativo di colpire le navi da battaglia presenti in porto.
    Le bombe mancarono il bersaglio principale, ma vennero colpite altre navi militari presenti.
    L’Eugenio di Savoia ebbe 17 morti e 46 feriti e danni alla parte posteriore dello scafo in 40 giorni. Il Montecuccoli venne colpito da una bomba al centro nave proprio dentro il fumaiolo che venne disintegrato lasciando al suo posto un cratere, ma la protezione della corazzatura riuscì a salvare la nave che ebbe 44 morti e 36 feriti ed ebbe bisogno di ben sette mesi di lavori.
    Il Muzio Attendolo venne colpito al centro da una o due bombe e venne danneggiato sotto la linea di galleggiamento, mentre diversi incendi scoppiarono nella parte posteriore della nave. Quando gli incendi vennero domati la nave non era stata ancora messa in salvo, ma un allarme di un nuovo attacco aereo, rivelatosi poi falso, fece sospendere le operazioni di soccorso che quando ripresero era ormai troppo tardi, in quanto la nave si era inclinata affondando. Alla fine tra l’equipaggio si contarono 188 morti e 46 feriti. Anche tra l’equipaggio della corazzata Littorio vi fu un morto, mentre tra le 150 e le 250 vittime vi furono tra la popolazione.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Dino Buglioni (Camerino, 18.3.1921 – Mare, 9.2.1943)

    di Andrea Grelloni

    (Camerino, 18.3.1921 – Mare, 9.2.1943)


    Per la stesura di questo articolo ci tengo a ringraziare Gualberto Ferretti, ex sommergibilista e presidente della locale ANMI (Associazione Nazionale Marinai d’Italia) di Porto Potenza Picena, per le preziose informazioni confidatemi su Dino Buglioni, al cui eroismo e sacrificio questo contributo è dedicato.

    A primo impatto può apparire un fatto alquanto insolito inoltrarsi nell’entroterra del maceratese, a ridosso della dorsale appenninica, ed imbattersi di fronte ad un monumento in stile marinaresco.
    Il mare è lontano da queste terre, dove il paesaggio è caratterizzato in gran parte da montagne e rilievi collinari, a limite lo si può intravedere dalle cime più alte dei monti, in quelle limpide giornate prive di foschia che permettono allo sguardo di spingersi a chilometri e chilometri di distanza.
    Eppure, recandosi presso il piccolo borgo fortificato di Castel Santa Maria, nel comune di Castelraimondo, almeno con l’ausilio dell’immaginazione, è possibile respirare un po’ di aria marittima.
    Infatti, poco fuori le sue mura si trova una lapida commemorativa, con tanto di ancora appoggiata sul suo basamento, che attraverso le parole incise nel marmo ricorda la storia di un equipaggio di marinai che durante la Seconda guerra mondiale persero tragicamente la vita a bordo del sommergibile Malachite.
    Nella lastra spiccano anche le generalità di uno dei membri di quel valoroso manipolo; si tratta del sottocapo Dino Buglioni, ed è proprio lui a rappresentare il trait d’union che lega in maniera così indissolubile il mare alla montagna.

    Per conoscere la sua vicenda personale, insieme a quella del Malachite, bisogna andare parecchio a ritroso nel tempo ed addentrarsi negli eventi della storia italiana del secolo scorso.
    Dino Buglioni nacque il 18.3.1921 a Camerino da una famiglia di umili origini, forgiando la sua giovinezza secondo i valori del dovere e del sacrificio.
    Il destino di questo giovane ragazzo sembra già segnato a rimanere confinato nella sua terra, ma in testa ha altre ambizioni ed è il mare la fonte della sua aspirazione, così, motivato da una grande volontà di servire il suo Paese, appena sedicenne, si arruolò nella Regia Marina Militare in qualità di allievo elettricista.
    Superato il corso di base, fu inviato a bordo di un’unita di superficie dove ottenne la qualifica di sottocapo, finché con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 viene imbarcato a bordo del sommergibile Malachite.
    Quello del sommergibilista è un compito assai arduo e rischioso, per il cui adempimento è richiesta un’alta specializzazione tecnica, un grande coraggio e un forte spirito di adattamento, dovendo operare in spazi limitati ed in condizioni di elevata pressione psicologica.

    Nel corso della guerra il Malachite partecipò a numerose e diversificate missioni nel Mar Mediterraneo, consistenti nel trasporto di truppe e materiali bellici, nel pattugliamento nonché in azioni offensive, fino al giorno del suo affondamento.
    Nel febbraio del 1943, di ritorno da una missione in Algeria dove si era recato per sbarcare un gruppo di incursori, il Malachite, che si trovava in prossimità delle coste meridionali della Sardegna in procinto di attraccare presso il porto di Cagliari, fu intercettato da un sommergibile nemico, l’olandese Dolphin per la precisione, che con un siluro riuscì a centrarlo nella zona poppiera e nel giro di un minuto colò a picco.
    Dei quarantotto membri dell’equipaggio soltanto in tredici riuscirono a mettersi in salvo e tra questi non vi era Dino Buglioni che con il Malachite si inabissò nelle profondità marine senza più fare ritorno nella sua amata Castel Santa Maria, dove oggi quella lapide ne ricorda il supremo sacrifico.

    Dino Buglioni
    21/09/2008

    A nome dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia, porgo il saluto alle Autorità Civili, Religiose e Militari, alle Rappresentanze delle Associazioni d’Arma e Combattentistiche, a tutti i graditi ospiti e sopra tutti a Voi ragazze e ragazzi delle Scuole Elementari e Medie che sarete le donne e gli uomini di domani, madri e padri del futuro.
    Quella di oggi è la dodicesima volta che ci ritroviamo in Castel Santa Maria per ricordare il sacrificio di milioni di italiani per unire l’Italia e consegnarci, poi, un’Italia libera e democratica.
    Sicuramente per oggi avevate altri progetti, altri programmi.  Questo piccolo sacrificio, di cui siete artefici, non è sicuramente lo stesso che fecero i vostri nonni e le persone che hanno dato la vita per l’Onore dell’Italia e la sua Bandiera. Il passato va ricordato e valorizzato come salda radice che affonda nella realtà di ieri, per consentire al tronco di oggi di mettere nuove gemme e nuovi virgulti per il domani. Queste gemme e questi virgulti siete Voi, cari ragazzi. A voi spetta l’onere e l’onore di continuare sul percorso tracciato dai vostri nonni e bisnonni, magari migliorarlo e perfezionarlo, in modo che simili orrori non vengano più a mortificarci il cuore e l’anima. E’ preoccupante la caduta di tensione verso i valori della Patria e dell’identità nazionale che porta a relegare cerimonie come questa, nella dimensione del “nostalgico”: una di quelle rievocazioni retoriche del “bel tempo andato”. Non c’è dubbio che gli incontri tra veterani assomigli un po’ alle rimpatriate tra vecchi compagni di scuola, ma con una differenza davvero non trascurabile che nulla toglie al piacere del ritrovarsi: quello di un forte presidio del rigore e del dovere della memoria. Qui ogni analogia finisce e con essa ogni rischio di caduta in un malinteso spirito nostalgico che, in genere, tende a contrapporre il bel tempo antico ad un presente preferibilmente dipinto con toni apocalittici.
    La guerra, sia per chi vince sia per chi è sconfitto, porta solo lutti e distruzione!
    Se essere giovani, non è soltanto una condizione generazionale, ma anche una inestinguibile propensione ad affrontare la vita con slancio e con spirito positivo, allora dobbiamo dire che la manifestazione di oggi è un’occasione veramente straordinaria per esprimere questo sentimento e questo senso giovanile della vita. Esser giovani nello spirito avendo l’età rispettabile del veterano, significa sempre e prima di tutto rifiutare questo atteggiamento persino quando esso, basandosi su dati di fatto, può trovare negli eventi dell’attualità una qualche consistente  ragione. Il compito, diremmo la missione, del veterano è la quinta essenza del pensare positivo. E’ il mettere la propria esperienza al servizio dei giovani che affrontano oggi, nel mutato spirito dei tempi, difficoltà non dissimili nella sostanza a quelle che hanno affrontato le vecchie generazioni. Quando si riesce a svolgere questa azione di supporto, mettendo a frutto davvero il privilegio e il saper vivere che deriva dall’esperienza, allora si dà un contributo fondamentale alla crescita della società e alla capacità dei giovani di assicurarle un futuro migliore.
    Per essere vissuta e capita dai giovani di oggi la rievocazione del passato non deve cadere nella retorica, ma si deve riproporre con la semplicità, il rigore, il senso della misura di chi, raccontando la propria esperienza, vuole contribuire alla formazione delle generazioni dei propri figli e dei propri nipoti.
    Il nostro dovere è quello di non soccombere alla nostalgia, che pure è un sentimento degno e rispettabile, ma di ricercare e di trovare nella nostra storia, nei volti e nella gesta degli uomini che l’hanno nobilitata, le ragioni che rendono le nostre radici e la nostra identità sempre più solide e forti.

    Il Sottocapo Elettricista “Dino Buglioni”
    La sua storia nella Regia Marina, anche se breve, è stata intensa. E’ durata soltanto cinque anni. Comincia da questa graziosa località di montagna, quando riceve la notizia che è stato accettato, come allievo elettricista, nella Regia Marina Militare. Correva l’anno 1937 ed Egli aveva appena sedici anni. Un forte giovincello, ancora imberbe, che aveva già nel cuore i valori di cui oggi si sono perse le tracce.  Dopo un anno di studi, superato il corso da elettricista, Dino, viene inviato a bordo di una Unità di superficie, sulla quale riceve i galloni di Sottocapo. L’Italia entra in guerra e il nostro Buglioni viene trasferito a bordo del Regio Sommergibile “Malachite”. Affronta, con successo, molte missioni, ma nel febbraio del 1942 al rientro da una missione in Nord Africa,  a 3 miglia a Nord di Capo Spartivento, vicino Cagliari, mentre era in superficie, viene individuato da un sommergibile olandese, il Dolphin, che lancia quattro siluri, tre dei quali vengono schivati dal Malachite ma il quarto lo colpisce affondandolo. Dei 52 uomini di equipaggio si salvano solo dodici marinai, ma tra questi non c’è Dino. Avrebbe compiuto 21 anni solo una settimana dopo l’affondamento. Quanto dolore, quanta costernazione, quale dramma, quante lacrime versate dalla mamma per l’unico fiore della sua casa. “Statti contenta” le avrà scritto Dino, che chi muore per la Patria e la Sua Bandiera, non muore mai. Certo è così! Il suo ricordo vivrà sempre, e fintanto ci saranno uomini che della memoria faranno un insegnamento per il futuro, la guerra non albergherà più nei nostri cuori. Il passato, è la garanzia dell’avvenire. Il Suo ricordo Vi ispiri, cari ragazzi, coraggio e fermezza nell’affrontare i compiti che la vita oggi vi affida, per missioni di pace e di fratellanza.  “Non torneremo mai! Tante le sofferenze ed il supremo sacrificio. Siamo i figli di tutta l’Italia. Siamo tanti. Sacrificati e dimenticati. Offesi dal lungo pesante silenzio. Abbiamo fatto il nostro dovere. Vi abbiamo insegnato ad amare la Patria. Se non ci ricordate Voi, noi siamo morti invano per l’Italia”.

    Dello stesso argomento sul blog
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2020/02/9-2-1943-affondamento-regio-sommergibile-malachite-2/

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni

    Franco Vetturini (17.3.1946 – 6.1.2024)

    (17.3.1946 – 6.1.2024)

    La radio è la musica che abbiamo dentro
    di 
    Franco Vetturini

    Carissimo Ezio,
    adesso ti racconto una piccola fase della mia vita . Da ragazzo il mio sogno era la Meccanica avevo appena finito la le scuole Elementari. Mio padre mi diceva:
    – “se vuoi andare a lavorare nella Ferrari a Maranello devi studiare da ingegnere meccanico”.
    Io gli risposi  di si però poi non l’ho fatto. Mi sono iscritto alla Scuola Radio Elettra e ho preso il diploma per la radio che avevo ho montato.
    E’ da quel momento che la musica é entrata nelle mia vita.
    Guadagnati i primi soldi, e mi sono comperato una radio con giradischi e andavo a ballare, poi ho comprato una radiolina per andare allo stadio Adriatico per sentire le partite, e poi ancora un’altra radiolina quando sono partito in Marina. Quest’ultima l’avevo sistemata in mezzo ai tubi, nel posto letto, più precisamente al terzo posto sotto il piano di coperta per sentire la Musica.
    Adesso ne ho una sul comodino e mi sveglio con la Musica, ne ho una vicino al computer, una in bagno, una nella macchina di mia figlia non si sa mai e una persino nel piccolo stanzino dove ho tutti gli attrezzi …e la musica a volontà.
    Mi  manca quella che ho costruito nel mio  piccolo laboratorio dove sviluppavo le foto.
    P.s. Mia moglie un giorno mi chiese:
    – “ ma perché in macchina  hai tolto la radio?
    Io gli risposi per la sicurezza a non distrarmi mentre guidavo
    Ezio ti ho raccontato le storie delle mie Radio per ascoltare la musica, spero di non averti annoiato. Ah dimenticavo: le due radio che avevo da ragazzo… mia figlia mi ha detto:
    – “Babbo queste radio per tè hanno un valore inestimabile però adesso le tramandi a tua figlia”.
    Ho dovuto dire si anche se sono radio da collezione, anche se sono funzionanti.
    Grazie Ezio del tempo che mi dedichi ciao Franco.
    Ascolta sempre la musica che hai dentro…non perderla mai!

    Emigrante di poppa e motorista navale Alpino
    di Franco Vetturini

    Caro Ezio ho letto il tuo libro Emigrante di poppa.
    Il  libro l’ho condiviso anche con mia moglie perché quando mi e arrivato il libro, il giorno prima, mia moglie era uscita dall’ospedale e così  mi ha  chiesto se lo leggevo anche a lei.
    Ho iniziato la lettura a puntate per non farla stancare.
    Ezio sei riuscito a mettere insieme, con i ricordi, la storia della tua adolescenza e gioventù.
    Bello il racconto del televisore, di Carosello e quello di Franco e Ciccio, il trattore, i cazzotti che ai rifilato, e anche la passione della musica che forse e un fono che ti ha trasmesso tuo padre.
    Un grazie anche da parte di mia moglie perché sono stati dei momenti di “ricordi” anche per noi.
    Ezio auguri per la passione che hai per la musica che ai e hai sempre avuto. Ti ringrazio per la bella dedica nei miei confronti, sei un Amico.
    Ci hai commosso quando sulla poppa della nave vedevi allontanarsi la tua amata Sicilia per poi arrivare al C.A.R. della Marina Militare di Taranto, sono dei momenti tristi.

    Adesso ti racconto, con poche parole, anche la mia partenza da Pescara per Taranto.
    Eravamo in 20 ragazzi, era il lontano novembre 1966, durante il viaggio passavano donne e uomini che vendevano mozzarelle, trecce, bevande calde. Abbiamo mangiato quel ben di Dio perché erano cosi appetitosi e perché eravamo certi che non li avremmo più mangiati. La Mattina quando siamo arrivati alla Stazione d Taranto era li pronto un Camion della Marina Militare che ci portò a Maridepocar.
    Forse sul libro  mi sono allargato troppo ma volevo dare un’idea a chi leggerà dopo di me consigliandolo che è un bel regalo che fai alla gente di mare e non solo.
    Un saluto anche da parte di mia Moglie siamo appena rientrati da una visita in ospedale.
    Ciao un saluto di vero cuore Franco.

    Marinaio per sempre
    di Franco Vetturini
    Carissimo Ezio,
    ti mando una poesia che scrisse Giuseppe Garibaldi sulla sua Caprera e  che io ho riscritto dietro una foto quando ero alla Maddalena per prendere il brevetto da Motorista Navale nel lontano Gennaio 1967. Se ti fa piacere la puoi anche pubblicare, io l’ho messa sul Sito di Nave Alpino F580-68 73.
    Ti saluto di vero Cuore. Franco

    Caprera 29 Gennaio 1967

    è l’ermo anelante cercai sul derelitto
    lido della Sardegna a te trovai Caprera
    venturosa OH! Caro scoglio rifugio amato
    dal mio cuor qual donna Amata!…..

    Giuseppe Garibaldi

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Racconti,  Recensioni

    Antonio Sotgiu (Aggius, 27.10.1941 – Sacrofano, 17.3.2020)

    di Carmelo Galati

    (Aggius, 27.10.1941 – Sacrofano, 17.3.2020)

    Un gentiluomo, un signore di altri tempi, un amico, un fratello un padre spirituale.

    Quanti marinai e come marinai intendo tutti, ufficiali, sottufficiali e truppa nel corso della loro lunga o breve permanenza nella Marina Militare hanno avuto il piacere di conoscere e anche di trovarsi alle dipendenze dell’Ammiraglio Antonio Sotgiu? Immagino tantissimi. Io sono uno di questi tantissimi.

    Adesso non è più fra noi, è salito in cielo, in un momento drammatico per il Paese, solo nella sua solitudine e sofferenza, senza un abbraccio, senza essergli vicino per un ultimo saluto, questa è la cosa più straziante. Ma verrà anche il tempo per ricordare tutti insieme Antonio.
    Da parte mia non posso che dirgli Grazie. Grazie per tutto quello mi ha insegnato, grazie per le tirate di orecchio che mi hanno fatto maturare, crescere come uomo e ufficiale, grazie per aver creduto in me portandomi con Lei negli ultimi 13 anni della mia carriera. Commidife prima, Direttore Sportivo al Circolo Ufficiali e Capo Ufficio a Maridoria dopo. La prima volta che ho conosciuto l’Ammiraglio è stato nel lontano 1976/77, io ero destinato alla Terza Divisione di Maripers e lui era Capo Ufficio del Direttore Generale. Subito mi colpì di lui la bella presenza in uniforme e il suo modo di fare, pacato e bonario nei confronti di tutti ma in particolare dei sottufficiali. Poi venni a sapere che suo padre era stato un sottufficiale della Marina Militare.  E’ sempre stato uno sportivo di tennis e di vela. Mai avrei pensato che poi a distanza di tantissimi anni avremmo incrociato le nostre racchette da compagni o da avversari  sui campi in terra rossa del Circolo Ufficiali Marina Militare di Roma,  che lui ha diretto in qualità di Presidente per ben dieci anni.

    Gli anni che ho trascorso insieme sono stati bellissimi e produttivi. Grazie alla sua creatività, intuizione, lungimiranza, coraggio e passione per l’incarico, ho visto crescere per aggregazione, eventi , rinnovamenti e  organizzazione il Circolo Ufficiali. In particolare, nel campo sportivo a lui si deve la nascita dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Caio Duilio per mezzo della quale si potevano disputare gare Federali di tennis e per mezzo della quale e’ nata la scuola tennis per i figli dei Soci.
    A lui si deve la nascita, su mia proposta, era il 2001, dei Centri Estivi per ragazzi.
    Ma potrei fare un lungo elenco delle innovazioni e migliorie portate al Circolo dall’Ammiraglio, con determinazione stravolgendo regole e convenzioni.
    A Maridoria è stato amato e ben voluto da subito dal personale alle sue dipendenze. Molto elastico e benevolo verso chi  si rivolgeva all’istituto  per necessità a volte sforando il budget che si era imposto ma lui si era inventato la parola …fondo extra.
    Grazie alla sua caparbietà, ancora era a Marispelog, Ispettore Capo, riuscì convocando a Palazzo il responsabile delle vendite di abbigliamento con il logo della Marina, a imporre una tassa su ogni capo venduto e ogni fine anno di versare il ricavato a Maridoria.  Il primo anno è andato benissimo, oltre ogni rosea previsione, dal secondo anno di soldi ne sono arrivati molto meno perché il 70% era stato trattenuto da Maristat per esigenze di rappresentanza del Capo di Stato Maggiore.
    A nulla sono valse le dimostranze scritte nel pro-memoria di fine anno dall’Ammiraglio Sotgiu, Presidente dell’Istituto.  Una vera delusione lo si leggeva negli occhi.

    Sempre in ambito Maridoria ebbe l’idea di regalare a spese di Maridoria, ogni anno, ai vincitori delle borse di studio un viaggio “culturale” in città diverse. Il primo anno i ragazzi raggiunsero la base militare di la Spezia ospiti a bordo di una Unita’Navale per una uscita dimostrativa in mare il secondo anno tutti a Roma Capitale. Un vero successo.
    Come ho riportato sopra l’Ammiraglio Sotgiu è stato per dieci anni Presidente del Circolo Ufficiali, nessuno mai prima come lui.  Si è sempre prodigato notte e giorno per il bene del Circolo e meritava un trattamento ben diverso di quello che gli è stato riservato alla fine del suo mandato.  Altra delusione anzi una ferita profonda che gli ha fatto veramente male ma che con grande dignità ha dovuto suo malgrado accettare.
    Il Consiglio Direttivo del Circolo, io ne facevo parte, prese la saggia decisione di dare giusto riconoscimento all’Ammiraglio Sotgiu per lavoro svolto con dedizione e amore in dieci anni, inviando una lettera a Maricircoli, perché gli fosse rilasciata la tessera di Socio Onorario. Lei non ha i titoli (ho una copia della lettera) questa è stata la risposta. L’Ammiraglio Sotgiu allora inviò copia del suo curriculum, ma già sapeva che non avrebbe ricevuto risposta alcuna.
    La mattina che l’Ammiraglio Sotgiu si presentò in Segreteria Soci per pagare la quota annuale da Socio Ordinario, io ero presente insieme alla consorte Signora Luisa e mi veniva da piangere.
    Non voglio dire altro. Gli vorrò sempre un mondo di bene e lo ricorderò sempre dicendogli Grazie Antonio per tutto il bene che hai fatto. Avrei voluto salutarti per l’ultima volta ma non è stato possibile.

    Hai onorato la divisa che avevi scelto di indossare. Ci hai lasciato tutti orfani ma ricchi di quella eredità che hai saputo consegnare a ciascuno di noi, in modo speciale, con rispetto e signorilità. Buon vento Antonio amico mio occuperai per sempre un posto speciale nel mio cuore.
    Con affetto Carmelo

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Emilio Ramognini (Sassello (SV), 17.3. 1923 – Cengio (SV), 15.8.2014)

    a cura di Renato Ruffino

    (Sassello (SV), 17.3. 1923 – Cengio (SV), 15.8.2014)

    Ripensando ad “Emma” – Ricordi di Emilio Ramognini

    Sono stato arruolato nel Corpo Degli Equipaggi della Marina Militare (anche se avevo a carico due fratelli minori e la mamma vedova) il 4 febbraio 1942 per la ferma di mesi 28 dal consiglio di leva di Savona come Marinaio e lasciato in congedo illimitato in attesa del’avviamento alle armi.
    Lasciato il lavoro, giunsi alle armi il 10 novembre 1942 al deposito C.E.M.M. La Spezia dove sono stato inviato all’ospedale di Marina di Massa per accertamenti medici, rientrato a Maridepocar La Spezia il giorno 17 novembre 1942, sono stato classificato definitivamente Marò. Appositamente vestito e armato con un moschetto, feci molti turni di guardia, per questo mi diedero in dotazione anche un binocolo che portai sempre con me. Appassionato di musica comprai una chitarra, mancava un parte, ma suonava ugualmente; i marinai anziani me la sequestrarono, come pure un cavatappi e la coperta che poi rivendettero a 500 lire, essere reclute voleva dire anche questo. Ma passare per allocchi non andava bene. Insieme a tutte quelle reclute a cui era stato sottratto qualche oggetto, escogitammo un piano. Organizzammo una sortita per impadronirci delle cose sottratte ingiustamente; salimmo nelle camerate degli anziani e fu razzia di coperte, questa volta ci lasciarono in pace, forse intimiditi del nostro folto gruppo che era di gran lunga superiore al loro.
    Giorni dopo mi mandarono a Migliarino alla 10° squadriglia MAS in attesa di imbarco, li trasferimmo tutti i nostri bagagli, bauli con effetti personali, biancheria e divise, in tutto questo via vai di gente, le donne locali che incontravamo ci dicevano: “poveri ragazzi andate contro a morte certa”, subito non realizzai, ma quella frase si rivelò profetica, infatti dopo pochi giorni in un tragico evento bellico, solo io mi salvai, fu un miracolo, senz’altro qualcuno avrà pregato per me in modo che io tornassi a casa.

    Nel porto c’era l’incrociatore “’Attilio Regolo” la sua costruzione avvenne nel Cantiere navale OTO di Livorno dove il suo scafo impostato il 29.9.1939, fu varato il 28.8.1940. Era entrato in servizio il 14.5.1942, il successivo 7 novembre, al rientro da una missione di posa di mine, fu colpito da un siluro dal sommergibile inglese Unruffled che gli asportò completamente la prora. Dopo essere riuscito a raggiungere Messina venne rimorchiato fino al La Spezia, dove gli venne applicata la prora del Caio Mario ancora in costruzione.

    Il 9 dicembre imbarcai sulla motonave “Emma” che si trovava nei cantieri del Muggiano, una nave da trasporto armata con un cannone da 120mm, 7931 tonnellate di stazza, classe Liberty, una nave lenta, un sicuro bersaglio per il nemico che ci attendeva al largo.
    I soldati tedeschi installarono quattro mitragliatrici antiaereo a quattro canne su dei palchi in legno precedentemente costruiti da noi marinai, in seguito uno di questi legni mi fu provvidenziale nel momento in cui mi trovavo naufrago in mezzo alle onde.
    Il Natale lo passammo in navigazione, la rotta era La Spezia-Napoli sottocosta, imbarco di armi e mezzi di trasporto a Napoli e partenza con destinazione Biserta (la rotta della morte) per effettuare il rifornimento ai nostri soldati in Africa.

    Attraccati nel porto di Napoli, vedevamo il Castello Angioino bello e imponente, non molto distante la nave “Lombardia” fungeva da prigione, e se alzavi il naso si vedeva il sonnacchioso Vesuvio che a buon ragione temevo, infatti nel 1944 mentre mi trovavo al centro ortopedico di Bologna, il 18 marzo eruttò, provocando la morte di 26 persone nell’area interessata dalla caduta di ceneri a causa dei crolli dei tetti e delle abitazioni stesse, 2 centri abitati furono in parte distrutti dalle colate laviche, e si persero ben 3 anni di raccolti nelle aree interessate dalla caduta delle ceneri.
    Le operazioni di carico armi, venivano effettuate di notte, le munizioni venivano stivate all’interno della nave in gran segreto, tant’è vero che io non vidi mai nulla, I camion invece erano sistemati in coperta. Insieme al carico di munizioni e ai mezzi di trasporto, partirono con noi una compagnia di soldati tedeschi che andavano in Africa a rimpiazzare morti e i feriti, aggregati a loro una trentina di prigionieri Siberiani guardati a vista.
    Essendo Marò adibito a servizi vari, a bordo ricoprivo le mansioni di cambusiere e quelle di cameriere, il mangiare era sempre abbondante, la pasta non mancava mai, e quando avanzava la portavo ai prigionieri Siberiani che mi ringraziavano sempre, mentre i tedeschi erano sempre scontrosi e maleducati.
    La sera del 15 gennaio alle ore 17.00, partimmo da Napoli con 300 tonnellate di munizioni (una vera polveriera viaggiante), i soldati tedeschi, alcuni soldati italiani; i membri dell’equipaggio non superavano la quarantina (i comandanti erano due, uno militare e l’altro un civile militarizzato), la torpediniera “Clio” ci faceva da scorta. Salii subito di guardia in plancia, ma non c’erano ordini, scesi nelle stanze dove alloggiavano i soldati tedeschi perché avevo notato una fisarmonica; preso dalla voglia di suonare qualche nota chiesi il permesso di usufruirne, ma il proprietario si arrabbiò, così me ne ritornai in plancia a scrutare il mare con il mio binocolo. A 10 miglia da Ischia, con mare grosso da maestro alle ore 20.00 il sommergibile Britannico “P228 Splendid” che era in agguato, lanciò un siluro che ci colpì nelle sala macchine immobilizzando la nave. La torpediniera “Clio” si affiancò per soccorrerci, ma la violenza delle onde la sbatterono contro la fiancata del nostro mercantile subendo gravissimi danni, tanto da dover rientrare a Napoli senza poter trarre nessuno in salvo.
    Quella notte ero agitato, dalle stive non usciva nessuno, si sentivano delle grida, forse c’erano le scale impraticabili, non lo so, ma sentivo che qualche cosa d’altro doveva ancora succedere. Fu una notte d’inferno e da incubo, la luna ogni tanto spariva lasciando il buio più nero del nero, quando riappariva le ombre riflettevano sul mare la tragedia che si stava consumando, eravamo in balia delle onde, il vento e le onde sferzavano il mio volto, solo all’alba arrivarono due rimorchiatori d’altura partiti dal porto di Napoli con lo scopo di rimorchiarci fino alla nostra base di partenza, le operazioni di aggancio erano difficoltose per le brutte condizioni del mare, quando a un tratto mi accorsi della scia di due siluri.
    Erano le ore 8.00, senza pensarci due volte, mi lanciai in mare senza salvagente, dalla parte opposta la direzione dei siluri. Non so se ero già in acqua o ancora in volo, quando un boato spezzò l’aria, un siluro centrò la Santa Barbara e la nave saltò letteralmente in aria con un boato immenso, ancora oggi a distanza di quasi 70 anni lo sento presente nelle mie orecchie, nella caduta persi il binocolo da cui non mi separavo mai. Da un altezza approssimativa di 20 metri, mi lanciai a soldatino, ovvero con i piedi all’ingiù, e sprofondai nel mare, nella caduta il piede sinistro colpì qualche detrito e mi ferii, poi riemersi a galla, ero vivo, era avvenuto un miracolo. Vidi un cadavere galleggiare con il salvagente, mi avvicinai per prenderlo, ma mi accorsi che era decapitato, e senza un braccio, preso dallo sgomento mi allontanai, vidi i tronchi usati per fare la base delle mitragliatrici antiaerea, galleggiare intorno a me, anche se sapevo nuotare benissimo, mi aggrappai ad uno di essi e non lo mollai più.
    Le onde alte sembrava giocassero all’altalena, in un primo momento sembrava che il mare ti inghiottisse, poi venivi rilanciato in alto tra la schiuma spumeggiante e subito dopo ti sentivi ancora inghiottire, la paura era tanta, l’acqua era fredda, ma non la sentivi nemmeno, devo ricordare che eravamo nel mese di gennaio, inspiegabilmente non presi nemmeno il raffreddore. Un aereo italiano segnalava ai rimorchiatori dove si trovavano i naufraghi, rimasi in acqua forse un ora, o forse meno, non so…in quei momenti il tempo sembra non passare mai, ogni tanto riaffioravano i detriti della nave esplosa, copertoni, legni, casse ecc., poi finalmente mi issarono a bordo, mi adagiarono su una coperta e con una sciarpa mi fasciarono il piede per fermare momentaneamente il sangue che perdevo copiosamente, nel frattempo un cagnolino mi leccava le orecchie.
    La mente tornò a quei bravi ragazzi scomparsi con la nave, erano tanto giovani e pieni di vita, ricordo un marò quasi senza denti e un testicolo, un giorno gli chiesi perché non avesse provato a far domanda di esonero, ma a quel tempo arruolavano tutti, c’era bisogno di personale, ricordo un altro marò di Milano con i baffetti, faceva il panettiere con suo padre, ricordo anche un maresciallo cannoniere veneto tanto bravo … adesso erano tutti morti.

    Dei 350 uomini imbarcati che io sappia ci siamo salvati solo in quattro (i libri dicono sette, ma forse tre erano tedeschi ed erano stati ricoverati in un altro ospedale), io sono l’unico marinaio superstite, un sergente dell’esercito, un maresciallo dei carabinieri, e un autiere dell’esercito, era lo scarso elenco dei sopravvissuti.

    Portato a Napoli all’ospedale di Piedigrotta della Marina Militare (Il complesso, noto come Basilica di Santa Maria di Piedigrotta, è un importante riferimento turistico e culturale per le opere d’arte del periodo Barocco in esso custoditi. Edificata nel Trecento e intitolata a Santa Maria dell’Idria, a cui il culto era votato; culto che si riallaccia a quello pagano della Dea Hodigidria (in greco colei che conduce), molto diffuso nelle colonie della Magna Grecia e quindi anche a Napoli, devozione che rivive ogni 8 settembre con la Festa di Piedigrotta, manifestazione anche di profondo significato folkloristico se la si collega a quella “Piedigrotta” che ha coinciso a lungo con il lancio delle più note e belle canzoni napoletane. Nella facciata si notano l’immagine della Madonna di Piedigrotta tra re Alfonso d’Aragona, Papa Niccolò V e Sant’Agostino. L’interno, molto ricco e decorato, custodisce la trecentesca statua della Madonna col Bambino, affreschi di Belisario Corenzio e una tavola cinquecentesca di stile fiammingo. Il chiostro è attualmente occupato dall’Ospedale della Marina Militare), dove arrivai la sera stessa, mi operarono al piede sinistro per esiti di ferita da scheggia, e lesione dei tendini, una suora infermiera prima di addormentarmi con l’etere mi disse”adesso vai in paradiso”. Mi sveglia con la gamba interamente ingessata fino alla coscia che tenni per quattro mesi, inutile dire che mi si atrofizzò. Mi salvarono il piede ma non l’articolazione. Siccome avevo perso tutti i miei beni nell’affondamento della nave, e al momento del ricovero indossavo solo degli abiti laceri e sporchi, il professore che mi operò mi regalò 50 lire e il capo sala 25, poca cosa, ma in quel momento erano tanti, la vita ricominciava.
    Venne a trovarmi la fidanzata di un maresciallo segnalatore disperso in mare, mi disse che dalla partenza della nave aveva pregato finché la vide, inoltre, continuò, presto si sarebbero dovuti sposare; sapendo benissimo che i soli sopravvissuti eravamo in quattro, per sdrammatizzare, e uscire fuori da quella brutta situazione, dissi che forse era stato salvato da qualche altra nave.
    Un giorno mentre camminavo con le stampelle incontrai una compagnia di soldati tedeschi, indossavo i tipici pantaloni alla marinara larghi in fondo a zampa di elefante e il piede era nascosto dentro, senz’ altro pensarono che fossi un amputato perché si misero tutti sull’attenti e mi salutarono con tutti gli onori. Ricordo che quando sabotarono ed esplose la motonave “Caterina Costa” di 8.060 tonnellate, ormeggiata nel porto di Napoli, carica di rifornimenti ed armamenti (1.000 tonnellate di benzina; 900 di esplosivi; carri armati ed altro) da trasportare a Biserta in Africa.
    Il 28.3.1943 vi scoppiò un incendio a bordo, forse doloso, divenuto incontrollabile, raggiunse la stiva e ne provocò l’esplosione, la deflagrazione fu devastante: il molo sprofondò e tutt’intorno un gran numero di edifici venne distrutto o gravemente danneggiato. Alcune navi vicine si incendiarono e affondarono mentre parti roventi di nave e di carri armati furono scagliate a grande distanza, finendo in via Atri e piazza Carlo III. Altri frammenti raggiunsero piazza Mercato e il Vomero ed altri ancora (comprese le ancore) incendiarono la stazione ferroviaria Centrale, un Ammiraglio lo trovarono sul tetto di un palazzo; gli oltre 600 morti e gli oltre 3.000 feriti riempirono letteralmente le strade, io ero seduto al tavolo con la suora e altri feriti, intenti nel recitare il Santo Rosario, lo spostamento d’aria ci fece cadere a terra,… i giornali tacquero! Per portare via i morti fu necessario usare i camion.

    Nella camerata, eravamo in sette o forse otto, un marinaio tutto bruciato gridava mamma…mamma…mamma! Era imbarcato su di una motozattera con alcuni fusti di benzina vicino, un giorno durante un incursione aerea britannica, presero fuoco provocando morte e distruzione, lui rimase gravemente ustionato in tutte le parti del corpo e nella notte morì, lo portarono via dentro un lenzuolo bianco. Come cura dovevo assumere dei solfamidici, ma i farmaci mi bloccavano lo stomaco, erano micidiali, non potevo mangiare. C’era un infermiere, un certo Fumagalli, un marinaio alto quasi due metri che aveva sempre una gran fame, escogitai un compromesso: non potendo mangiare, inevitabilmente, mi avanzava sempre del cibo, così proposi lo scambio del mio cibo, con la distruzione di una parte dei farmaci che dovevo ingerire gettandoli nel bagno, diventammo amici e mi accompagnò al centro ortopedico Putti di Bologna il 4 aprile 1943, (centro ortopedico specializzato per la cura e la riabilitazione dei traumatizzati per cause belliche nei locali del seminario arcivescovile di Villa Revedin a San Michele in Bosco. Dipendente dall’Ospedale militare dell’Abbadia, il Centro Mutilati Putti ospita anche un grande orto di guerra, una stalla con mucche e maiali, un forno e una distilleria. Nel luglio 1944 passa sotto la supervisione della Sanità militare tedesca. Il 29 novembre il Centro è accerchiato dalle SS e dalle Brigate nere, alla ricerca di partigiani. Il direttore prof. Oscar Scaglietti è arrestato e interrogato nella sede della Gestapo in via Santa Chiara). Con grande sorpresa, quando arrivai, per prima cosa mi tagliarono le crucce (le stampelle), e le gettarono via, non capii e chiesi il perché. Per risposta mi dissero che se avessi continuato a camminare con le crucce, presto avrei avuto la gobba e la schiena si sarebbe andata a far benedire, in cambio mi diedero due bastoni fatti a T fasciati nella parte superiore con delle bende, che funzionavano da ammortizzatore, in tal modo avrei anche rinforzato le braccia, se proprio non avessi avuto modo di camminare con i bastoni, avrei potuto usufruire della carrozzella.
    Debbo dire ad ogni modo che fui trattato benissimo, e non mi posso lamentare. I medici hanno sempre operato con professionalità maestra, ricordo che un marinaio che aveva le mani bruciate gliele impiantarono nel ventre e quando la carne ricrebbe le separarono nuovamente con un ottimo risultato, ad un altro ricostruirono la vescica, ad un altro ricostruirono il naso, asportato da un colpo di fucile, ad un altro ancora ricostruirono il calcagno salvandogli la gamba, tutte queste operazioni oltre ad avere lo scopo di rendere la vita di questi poveri sventurati il più normale possibile, avevano anche lo scopo di erogare il meno possibile pensioni di invalidità. Rioperato al piede sinistro che non si era saldato bene, incominciai a soffrire di osteomielite, un male tremendo che non mi lasciava quiete, un giorno la suora vedendomi così addolorato, mi diede una pastiglia bianca che estrasse da un botticino che teneva sempre al collo, non seppi mai cosa fosse, ma in compenso dormii più di 24 ore e ne trassi un grande beneficio, mi ripresi presto.

    La guerra è una cosa orribile, ho visto le atrocità più terribili, c’era un ragazzo che avrà avuto 22 anni, aveva perso entrambe le gambe, le braccia, un occhio e un orecchio, a vederlo era un vero strazio, un altro ufficiale era privo delle mani e degli occhi, a chi era stata amputata solo una gamba era da ritenersi fortunato. Un ufficiale medico, un giorno mi disse se potevo aiutarlo, dovevo tenere fermo un marinaio con una gamba amputata e il moncone era pieno di pus, aveva l’infezione e la febbre alta, con il bisturi incise, e il sangue schizzò ovunque, andai a lavarmi nella vasca da bagno, ma mi accorsi che dentro c’era una ragazza morta. Nel bombardamento precedente, i morti li avevano portati anche all’ospedale perché non sapevano più dove metterli. Ai momenti in cui tutto era tragico, si alternavano i momenti allegorici, a vent’anni la goliardia è cosa normale, una sera decideremmo di fare un gavettone a Calderoli, un ragazzo ferito ad un braccio, ma che usciva tutte le sere, inaspettatamente entrò il Prete e l’acqua piazzata sulla porta si rovesciò sul capo del malcapitato, scappò un imprecazione per il bagno imprevisto ma si dimostrò compiaciuto nel saperci in allegria, ci scusammo per l’accaduto e spiegammo che lo scherzo non era indirizzato a lui ma bensì al nostro amico Calderoli. Tanto per far capire come lo spirito dei vent’anni era così bello e pieno di vita, ricordo che due marinai a cui mancava un braccio ciascuno ad uno il sinistro e l’altro il destro, legati vicino, suonavano la fisarmonica, uno i bassi e l’altro alle voci, era tutto uno spettacolo, un terzo marinaio senza una gamba suonava il mandolino, a vederla era un orchestra un po’ anomala ma la musica era ottima, il Professor Scaglietti era contentissimo perché vedeva il nostro il morale rimanere alto.
    Un giorno venne mia madre a trovarmi, ero impossibilitato ad uscire in quanto il piede mi faceva sempre male, c’era un marinaio senza le due gambe seduto sulla carrozzella, lo prese gentilmente e lo sedette sulla finestra, sbalordito chiesi cosa stesse facendo, se forse non avesse visto che lui era senza le gambe, e che la carrozzella serviva esclusivamente a lui e non a me, ma irremovibile disse che avremmo fatto solo un breve giretto in giardino e poi l’avrebbe restituita, e così fu.
    L’otto settembre 1943 ero a casa in convalescenza, avevo una licenza tedesca per cui non ebbi problemi nel mio continuo peregrinare nell’andare avanti e indietro da Bologna a Camerana luogo di mia residenza. A Bologna c’era una contessa che aveva delle piantagioni di frutta, e quando era stagione di raccolta provvedeva per tutto il centro, una volta mi regalò persino un bel bastone da passeggio. Essendo la guerra ancora in atto, non poterono congedarmi anticipatamente per inabilità, dovevo concludere la ferma di mesi 28, così mi inviarono all’ospedale Regina Margherita di Castelfranco Emilia, in attesa dello scadere dei termini. Un giorno venne a farci visita la Principessa del Piemonte Maria Josè, colti di sorpresa, per far prima ci mettemmo a letto con le scarpe, poi arrivò accompagnata da Ammiragli, Generali, Ufficiali e da tutto il seguito, attenta e scrupolosa annotava tutto, si dimostrò molto generosa, per esempio ad un marinaio senza una gamba diede 1.000 lire, poi venendo da me e saputo che ero capo famiglia con due fratelli minori a carico, la mamma vedova e in più il piede malridotto, mi diete 500 lire e la foto dei suoi figli che conservo tuttora, era veramente una principessa e soprattutto non voleva la guerra.
    Il 16 febbraio 1945, a Torino fui sottoposto a visita collegiale e proposto per la settima categoria di pensione quale invalido di guerra. Un Guardia Marina saputo che mi ero salvato dall’esplosione di nave “Emma” mi disse di fare un quadro alla madonna (ex voto) per la grazia ricevuta.
    Fui congedato definitivamente Il 5 dicembre 1945.
    Di quelli che si salvarono con me quella tragica notte non ricordo più il nome, ma nemmeno ho saputo più nulla.

    P.s. Mi chiamavo Emilio Ramognini ero nato il 17 marzo 1923 a Sassello (SV) e sono deceduto a Cengio (SV) il 15.8.2014.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Francesco Caccavale (Taranto, 14.4.1915 – Caserta, 17.3.1963)

    di Maria Caccavale

    (Taranto, 14.4.1915 – Caserta, 17.3.1963)

    … riceviamo e con infinito orgoglio e commozione pubblichiamo.

    Buongiorno,
    mi chiamo Maria Caccavale, sono la figlia di Francesco Caccavale, nato a Taranto il 14 aprile 1915, 2° Capo Cannoniere Artificiere, imbarcato sulla regia nave Diana  al momento dell’affondamento avvenuto nel 1942.
    Papà fu salvato dalla Nave Ospedaliera, dopo giorni di galleggiamento.
    In questo periodo mi sono dedicata alla trascrizione (per adesso manuale, perché è molto difficile l’interpretazione di alcuni termini) del diario di quella tragedia vissuta da papà e dai suoi compagni, diario scritto subito dopo le cure e durante la convalescenza. De diario custodisco gelosamente una fotocopia e reca la data del 3 agosto 1942.
    Papà, purtroppo, ci ha lasciato troppo presto. È morto a Caserta il 17 marzo 1963, a soli 47 anni. 

    Papà è il primo in alto a sinistra 

    Non è possibile descrivere l’emozione che ho provato nel leggere quelle pagine piene di sentimenti, disperazione, coraggio. In quelle pagine ho riscoperto mio padre, uomo meraviglioso, uomo eroico che, con la sua disciplina, mi ha insegnato ad andare avanti da sola.

    Papà è quello che comanda il plotone di Marinai

    Il monito di papà, a noi quattro figli, era: STUDIARE, STUDIARE. Io gli ho dedicato la mia laurea.
    La vicenda tragica di mio padre e dei suoi compagni dovrebbe far riflettere la società attuale.

    Mi piacerebbe tanto avere un riscontro da parte di parenti di quei marinai che hanno vissuto la tragedia di papà.
    Grazie. 

    Queste foto che invio sono incorniciate e non ci permettiamo di toccarle. Le ha in custodia la prima sorella.

    La regia nave Diana. La nota è di papà.

    Il diario non ha copertina. Le mando la prima e l’ultima pagina dove sono riportati  i nomi dei suoi compagni.

    Papà con i suoi ragazzi

    Breve storia della regia nave Diana
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
    L’avviso veloce Diana fu progettato come yacht del Capo del Governo e successivamente modificato per le esigenze belliche.
    Costruito presso i Cantieri del Quarnaro a Fiume fu impostato il 31.5.1939, varato il 25.5.1940 ed entrò in servizio il successivo 12 novembre.

    La sua brevissima vita fu costellata anche da spiacevoli episodi. Un primo incidente si verificò il 28 settembre 1940 nel porto di Messina, quando entrò in collisione con il regio sommergibile Onice danneggiandolo; u secondo episodio avvenne il 1° novembre 1940 mentre la nave era in manovra nel porto di Fiume dove accidentalmente speronò e affondò il regio rimorchiatore Quarnero.
    Inviata nell’isola di Rodi per approvvigionamento viveri (il comandante ricevette una medaglia d’argento al valor militare da parte del governatore del Dodecaneso).

    La regia nave Diana fu impiegata anche come nave appoggio durante la fallimentare incursione della X Flottiglia MAS contro Malta. Salpò da Augusta al comando del Capitano di Corvetta Mario Di Mauro il 25 luglio 1940 con a bordo 9 barchini esplosivi e un motoscafo modificato che avrebbero dovuto distruggere le ostruzioni. L’attacco fu un totale fallimento per il rilevamento dei radar, tutti i barchini e gli SLC andarono distrutti o catturati, mitragliati da aerei britannici … solo in undici marinai si salvarono su una cinquantina di operatori.
    La regia nave Diana effettuò la sua ultima missione a Tobruk dove fu silurata ed affondata dal sommergibile HMS Thrasher il 29.6.1942 alle ore 11.45  e s’inabissò rapidamente a 75 miglia a nord del Golfo di Bomba (Cirenaica) in posizione 33°30’N e 23°30’E.
    I soccorsi arrivarono tra il 29 e il 30 giugno, da parte della nave ospedaliera Arno che si occupò del recupero dei superstiti.
    Perirono 336 uomini.

    Caratteristiche tecniche
    Dislocamento: normale: 2.487 tonnellate – pieno carico: 2.591 tonnellate
    Dimensioni: lunghezza: 113,9 (fuori tutto) mt. – larghezza: 11,7 mt. – immersione: 3,9 mt.
    Motori: 4 caldaie – 2 turbine – 2 eliche
    Potenza: 31.100 HP
    Velocità: 28 nodi
    Armamento: 2 pezzi da 102/35 – 6 pezzi da 20/65 – 2 scaricabombe A.S. – 87 mine
    Equipaggio : 152 uomini.

    Dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2019/06/29-6-1942-in-ricordo-di-erasmo-franciosa-e-laffondamento-del-regio-avviso-veloce-diana/