Curiosità

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    26.4.1874, disarmo della pirofregata Italia

    di Antonio Cimmino

    a cura Antonio Cimmino

    … a Castellammare di Stabia c’era un arsenale che costruiva navi, e adesso?

    La fregata di I rango ad elica Farnese fu impostata il 2.9.1857 nel Real Arsenale di Castellammare di Stabia per conto della Marina Borbonica. Fu varata il 6.4.1861 per conto della Regia Marina Italiana e ribattezzata Italia. Era una nave gemella di Gaeta e Borbona (poi Garibaldi) sempre varate nel cantiere navale stabiese.
    La regia fregata Italia, disarmata a Napoli il 26.4.1874, fu radiata il 31.3.1875.

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    Arturo Martini (Napoli, 5.11.1881 – Gaeta, 26.4.1969) e la Beffa di Buccari

    di Carlo Di Nitto (1)

    (Napoli, 5.11.1881 – Gaeta, 26.4.1969)


    …il ricordo di un marinaio mai dimenticato.

    Eravamo ragazzi allora e vivevamo intensamente i favolosi anni Sessanta.
    Al cinema, Clint Eastwood faceva giustizia con la sua “colt” nei film di Sergio Leone ed i nostri miti erano i Beatles ed il mare.
    Eravamo ammalati di mare e per noi la pesca rappresentava il massimo del nostro rapporto con la natura.
    Quando andavamo a Gaeta vecchia, quasi sempre incontravamo a Punta della Sanità un vecchio signore intento a pescare. La sua canna da pesca era rigorosamente di bambù, non come quelle di oggi fatte in fibra o resina, e doveva essere anche abbastanza pesante; portava tutte le sue cose in un cestino di vimini che gli serviva pure da sgabello. Si diceva che i cefali tremavano quando lo sentivano arrivare.
    Nonostante l’età, era ancora un bell’uomo; ispirava una simpatia istintiva ed il suo portamento era caratterizzato da una fierezza che ci affascinava, anche se non sapevamo perché.
    Cercando di dargli il minor fastidio possibile, gli chiedevamo consigli che lui, ben volentieri, ci forniva con dovizia di particolari. Ci parlava del mare come di un grande amico, dei suoi segreti, dei suoi misteri, della sua poesia, del rispetto che gli è dovuto.
    Era conosciuto da tutti come il cavalier Martini, Arturo Martini.
    Negli anni successivi, appresi che il cavalier Martini durante la Grande Guerra era stato decorato più volte per il suo eroico comportamento. Nella sua modestia non aveva mai parlato di sé ed allora, cercando di saperne di più, scoprii molte cose della sua nobile e generosa vita, che oggi me ne rendono ancora più vivo ed entusiasta il ricordo.
    Era nato a Napoli nel 1881 e si arruolò ben presto nella Regia Marina con la categoria di silurista. Trovandosi a Gaeta per servizio, conobbe Laura, una bella ragazza gaetana che sarebbe diventata la sua sposa.

    Durante la Grande Guerra, con il grado di Secondo Capo silurista ed assegnato ai MAS al comando di Luigi Rizzo, prese parte alle più note ed eroiche imprese compiute da questo Comandante, sulle quali tanto è stato scritto.
    Fu Arturo Martini, imbarcato sul MAS 9, che il 9 dicembre 1917 sganciò i siluri che affondarono la corazzata austroungarica “Wien” nel corso di un’ardita azione nel porto di Trieste.
    Successivamente, nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, partecipò alla “Beffa di Buccari(2), impresa di grande risonanza psicologica e propagandistica, alla quale prese parte anche il poeta Gabriele d’Annunzio che, cantandola nei suoi versi, contribuì a risollevare il morale italiano dopo la triste esperienza di Caporetto:

    «… Siamo trenta d’una sorte,
    e trentuno con la morte.

    … Siamo trenta su tre gusci
    su tre tavole di ponte:
    secco fegato, cuor duro,
    cuoia dure, dura fronte …»

    “… Non torneremo indietro‑ «Memento Audere Semper» leggo su la tavoletta che sta dietro la ruota del timone: il motto composto poco fa, le tre parole che sono la disciplina del nostro Corpo. Il timoniere ha trovato subito il modo di scriverle in belle maiuscole, tenendo con una mano la ruota e con l’altra la matita. «Ricordati di osar sempre».”

    Per la sua compartecipazione a queste imprese, Arturo Martini venne decorato di medaglie d’argento e di bronzo al Valor Militare.
    Negli anni successivi il cavalier Martini, si stabilì definitivamente a Gaeta a trascorrere con serenità gli anni della vecchiaia. La vita non gli aveva concesso la gioia di avere figli, ma la sua gentilezza e la sua cordialità lo resero amato ed apprezzato da quanti ebbero la fortuna di conoscerne le qualità umane.
    Nel 1969 la sua amata Laura si addormentò per sempre. Poche ore dopo, anche il nobile e generoso cuore di Arturo Martini, che non aveva  retto al dolore di aver perso la compagna della sua lunga vita, cessò di battere.
    Dormono insieme nel cimitero di Gaeta e, per una circostanza fortuita, vicino a lui riposa un eroico compagno di Buccari: il Marinaio scelto Giuseppe Corti da Ponza.
    Sulla tomba si legge:

    Cavaliere Arturo Martini, “dei trenta di Buccari”.

    Note:
    (1) Carlo Di Nitto 
    Nasce il 5 novembre 1948 a Gaeta (LT)  in anni ancora difficili; ha vissuto una giovinezza stupenda nei favolosi anni ’60. Orgogliosamente ha prestato servizio nella Marina Militare ed ha navigato un po’ nella Marina Mercantile come Allievo ufficiale Macchine. E felicemente coniugato, ha due figlie splendide che lo vorrebbero un po’ più magro (e in questo sono più dure della madre).
    Dopo trentasette anni di servizio nella pubblica Amministrazione (I.N.P.D.A.P.) è approdato alla pensione. Attualmente riveste l’incarico di Presidente dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia Gruppo di Gaeta (Latina) e i suoi passatempo preferiti sono la lettura e la fotografia.
    Digita sul motore di ricerca del blog il suo nome  e cognome per conoscer glia altri articoli.
    Contatti

    http://www.anmigaeta.com
    carandin@iol.it
    carlo.dinitto@libero.it

    (2) La Beffa di Buccari
    L’azione svoltasi nella notte sull’11 febbraio 1918, passò alla storia come la beffa di Buccari, e fu annoverata dagli storici “tra le imprese più audaci” del conflitto con una “influenza morale incalcolabile”, anche se purtroppo “sterile di risultati materiali”. Al comando di Costanzo Ciano, all’azione parteciparono i M.A.S. 96 (al comando di Rizzo con a bordo Gabriele D’Annunzio), 95 e 94, rimorchiati ciascuno da una torpediniera e con la protezione di unità leggere. Dopo quattordici ore di navigazione, alle 22.00 del 10 febbraio, i tre M.A.S. iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l’isola di Cherso e la costa istriana sino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari.
    L’audacia dell’impresa trova ragione di essere nel percorso di 50 miglia tra le maglie della difesa costiera nemica, anche se l’attacco non riuscì, dato che i siluri lanciati dalle 3 motosiluranti si impigliarono nelle reti che erano a protezione dei piroscafi alla fonda. Le unità italiane riuscirono successivamente a riguadagnare il largo tra l’incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto, e che non reagirono con le armi ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.
    Dal punto di vista propriamente operativo, emerse un elemento importante dalla scorreria dei M.A.S. a Buccari: le facili smagliature ed il mancato coordinamento del sistema di vigilanza costiero austriaco che finiva per prestare il fianco all’intraprendenza dei marinai italiani sempre più audaci.
    L’impresa di Buccari ebbe poi una grande risonanza, in una guerra in cui gli aspetti psicologici cominciavano ad avere un preciso rilievo, anche per la partecipazione diretta di Gabriele D’Annunzio, che abilmente orchestrò i risvolti propagandistici dell’azione e che lascio in mare davanti alla costa nemica, tre bottiglie ornate di nastri tricolori recanti un satirico messaggio così concepito: “In onta alla cautissima

    Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto, il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro, è venuto con loro a beffarsi della taglia”.
    (tratto da
    http://www.marina.difesa.it/storiacultura/storia/palazzomarina/Pagine/LabeffadiBuccari.aspx)

    Per saperne di più
    Autore: Giorgio Giorgerini;
    Titolo: Attacco dal mare;
    Casa editrice: Mondadori;
    Anno di pubblicazione: 2007;
    ISBN: 8804512431;
    Cartonato con sovraccoperta, f.to 14,0 x 21,5 cm. pag. 468.
    Dai Primi MAS della Grande Guerra ai barchini esplosivi e ai “maiali” della X Flottiglia, ai mezzi avveniristici di oggi: un secolo di storia dei reparti d’assalto navale italiani.

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    I nonni del Reggimento San Marco

    di Carlo Di Nitto

    I “Nonni” dei Marò del “San Marco”, ovvero i “Marinai dei reparti da sbarco” si imbarcano per rientrare a bordo delle proprie unità sulla spiaggia di Vendicio tra Gaeta e Formia. Fotografia eseguita verosimilmente nel mese di settembre 1909 al termine di una imponente esercitazione terrestre e navale svoltasi alla presenza del re Vittorio Emanuele III con largo impiego di marinai dei reparti da sbarco. Sullo sfondo l’inconfondibile profilo della collina di Monte di Conca sovrastata dal Forte di artiglieria costiera “Emilio Savio” che fu oggetto di un attacco simulato da parte dei reparti da sbarco appoggiati dalle artiglierie delle unità navali partecipanti.

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    25-29.4.1945, salvataggio della nave Sergio Laghi

    di Carlo Di Nitto

    Storia di una nave: la motocisterna “ SERGIO LAGHI”

    La motocisterna “Sergio Laghi” venne costruita dai Cantieri Riuniti dell’Adriatico a Monfalcone, stazzava 16.189 tonnellate. Appartenente alla società AGIP (Agenzia Generale Italiana Petroli) di Roma, era iscritta al Compartimento Marittimo di Genova, matricola n. 2336. Fu varata il 2 aprile 1942 e consegnata a dicembre dello stesso anno.
    Fu requisita dalla Regia Marina il 14 febbraio 1943.
    Fu catturata il 29 novembre 1943 dai tedeschi a Venezia.
    Utilizzata come deposito galleggiante di acqua, era da questi stata destinata ad essere affondata all’imboccatura del Lido per ostruirla. Durante il viaggio di trasferimento dalla Marittima al Lido, il 29 aprile 1945 fu salvata in extremis da un drappello del Corpo Volontari della Libertà (CVL) di Venezia e poi riconsegnata alla società armatrice dagli Alleati.


    Riscrivo di seguito, un passo tratto dalla ricerca di mio fratello, capitano Francesco Di Nitto, e da lui riportato su un suo lavoro relativo alla storia della flotta petrolifera AGIP – SNAM:
    Il salvataggio della “Sergio Laghi”
    Il documento che segue, è la trascrizione integrale dell’estratto del Giornale Nautico, parte prima, della “Sergio Laghi” dove sono raccontati gli avvenimenti accaduti tra il 25 ed il 29 aprile 1945 a seguito del tentativo dei soldati tedeschi di affondare la nave al Lido di Venezia.
    Grazie al contributo del Comm. Davide Tonolo, del Corpo Volontari della Libertà, dei membri dell’equipaggio e del rappresentante Agip di Venezia, il salvataggio dell’unità andò a buon fine.
    Il Comm. Tonolo, quando seppe dell’intenzione dei tedeschi di affondare la nave, prese contatti con il Com.te del CVL di Venezia (Corpo Volontari della Libertà), avv. Almansi, e assieme decisero di intervenire. Un drappello di partigiani s’imbarcò sulla nave e sui rimorchiatori (d’accordo con l’allora proprietario, Comm. Emilio Panfido) per effettuare il movimento citato nell’ultima pagina dell’estratto del giornale nautico che segue.
    Si ringrazia il dott. P. Tonolo per aver fornito l’eccezionale documento.

    MOTOCISTERNA “ SERGIO LAGHI “
    ESTRATTO GIORNALE NAUTICO PARTE 1^
    A pagina 44 e seguenti leggesi:
    25 Aprile 1945

    … Omissis …

    La sera alle 18,30 il capitano di porto tedesco avverte il Comandante che la nave dovrà fare movimento nella giornata di domani

    … Omissis …

    27 Aprile 1945.- A mezzodì si riceve dal Capitano del Porto tedesco l’ordine di preparare la nave per il movimento che si deve fare alle 18,00 e cioè di virare a bordo l’ancora e di ritirare i cavi grossi.
    Essendo il comando di bordo venuto a conoscenza per mezzo di un italiano che la nave deve essere portata al Lido per essere affondata e quindi ostruire il porto alle navi alleate, mentre il direttore di macchina signor Molinino Claudio si addossa la responsabilità di non preparare la macchina, il comandante ad arte allontana l’equipaggio facendo restare la sola guardia e di conseguenza non eseguendo l’ordine di togliere gli ormeggi e di virare l’ancora a bordo. Quindi il Comando di bordo come per accordi presi precedentemente con il direttore della Filiale AGIP sig. Montegazzini Carlo per tentare di salvare la nave, ne inizia l’appesantimento, immettendo acqua di mare nelle cisterne vuote con lo scopo di farla poggiare vieppiù sul secco e quindi di rendere impossibile smuoverla oppure per farla rendere troppo pesante e poco governabile per il rimorchio.
    Verso le 18,00 un motoscafo tedesco constata l’assenza del personale e la non esecuzione degli ordini, circa i cavi e l’ancora.
    Verso le 19,30 il personale di guardia osserva un motoscafo tedesco, che attraccatosi alla catena dell’ancora, vi sta attaccando una mina. Essendo stato ordinato di allontanarsi, ci si allontana dalla nave, allo scoppio della mina attaccata alla catena, nel dubbio che siano state collocate altre mine lungo il bordo, e per le insistenti segnalazioni dei tedeschi dal motoscafo invitanti a scappare, il personale si allontana dalla Marittima. Restano nascosti nel magazzino 112 attiguo alla nave il Comandante Bratovich e il direttore della filiale AGIP sig. Montegazzini che era stato nel frattempo avvertito a mezzo del nostromo Schiavi, disposti a salire a bordo per disinnescare eventualmente mine.
    Allontanatosi il motoscafo tedesco, raggiungono la nave ed assicuratisi che fuori bordo non erano state attaccate delle mine, allagano anche le rimanenti cisterne vuote e si assicurano che le porte d’accesso alla macchina, locali prora, timoneria ed alloggi siano chiusi a chiave. Mentre stanno ultimando questa opera e cioè verso le ore 20,15 attracca un rimorchiatore con a bordo il personale tedesco che deve sostituire quello italiano scappato; il Comandante e il Direttore riescono a squagliarsela non visti e riparano in città per rincasare prima del coprifuoco.

    28 aprile. Il mattino il Comandante viene informato dal caporale di macchina sig. Bottoni che riuscito a raggiungere la testata della Marittima verso le 06,30 aveva trovato la nave invece che ormeggiata disormeggiata, colla prua rivolta verso il largo e la poppa verso la banchina.
    Essendo stato impossibile recarsi in mattinata verso la Marittima a causa delle scaramucce tra i volontari del Corpo di Liberazione ed i fascisti, nel pomeriggio verso le quattordici il direttore sig. Montegazzini, il Comandante Bratovich Fortunato accompagnati dal nostromo Schiavi Onorino e dai marinai Caiselli Aldo, Berna Virgilio e Vuksan Branko si recano dal Cap. Bruno Comandante l’omonima brigata del C.V.L. dal quale ottengono la costituzione di una piccola squadra d’azione che composta dai summenzionati, da elementi della brigata stessa dovrebbe recarsi a prendere possesso della nave mentre ancora in Marittima i tedeschi continuano a resistere.
    Mentre ci si sta per imbarcare viene la notizia (smentita) che la Germania ha chiesto la cessazione delle ostilità. Giunti in Marittima, si trova la nave girata a banchina e se ne prende possesso innalzando la bandiera italiana.
    Si consta che la stessa é stata sottoposta ad atti di vandalismo dal personale tedesco; di questi danni se né farà un elenco nel presente giornale non appena si potrà ultimare la constatazione e l’elencazione.
    Per la sorveglianza della nave rimangono a bordo; personale dell’equipaggio ed un gruppo di volontari del C.V.L.
    Verso le ore 21,30 al passaggio di una motozattera tedesca avviene uno scambio di colpi di mitra da parte dei volontari e raffiche di mitraglia ed un colpo di cannoncino da parte dei tedeschi. Perdite tra i volontari; un morto sulla banchina vicino alla nave ed un ferito a bordo.

    29 Aprile – Si visitano le cisterne ed i vari locali prospicenti verso il largo per constatare eventuali danni causati dal colpo del cannoncino della motozattera, ma non si riscontra nulla.
    Risulta secondo il racconto del Sig. Tonolo, agente della nave, che la nave e’ stata messa dal posto di ormeggio colle forze di tre rimorchiatori fra i quali il potente Titanus verso le ore 22,15 e che portata fino alla Salute é stata successivamente riportata al presente posto di ormeggio verso le 24, e ciò, per intervento del Sig. Tonolo stesso.

    … Omissis …

    M/c “Sergio Laghi”
    Il comandante
    F. to Fortunato Bratovich

    Sergio Laghi
    Sottotenente di complemento XXIV battaglione eritreo.
    Ufficiale giovanissimo e valoroso, volontario di guerra, in numerosi combattimenti, ai quali partecipò come comandante di un plotone eritreo, dette prove di fulgido ardimento. Guidò con travolgente impeto il suo reparto all’attacco di una forte posizione presidiata da nemico agguerrito e baldanzoso, conquistandola. Incaricato poi di eliminare un forte centro avversario che con efficacissimo tiro d’infilata rendeva insostenibile il mantenimento delle posizioni, si lanciò con superbo ardimento contro il nuovo obiettivo sgominando i difensori e resistendo con indomito coraggio alla violenta reazione nemica. Indi, colpito a morte da una raffica di mitragliatrice, cadde da eroe raccogliendo le sue ultime forze nel grido di: « Viva l’Italia ». Mai Ceu, 31 marzo 1936.

    In questa foto, eseguita nel 1943 a Monfalcone, l’unità è ripresa con pitturazione mimetica e sovrastrutture posticce per camuffarla da comune nave da carico, meno appetibile come bersaglio da parte del nemico.
    Unica della sua classe ad essere sopravvissuta agli eventi bellici, la “Sergio Laghi” fu una della quattro motocisterne gemelle intitolate ai nomi di medaglie d’Oro al Valor Militare (Franco Martelli, Iridio Mantovani, Giulio Giordani e Sergio Laghi) costruite nell’ambito di un progetto aziendale finalizzato all’avvio di una flotta moderna.
    Dopo gli eventi bellici, navigò per il gruppo AGIP fino al 1965. Venduta ad altro armatore, fu demolita nel 1970.
    Su questa Nave, nel dopoguerra, ha navigato a lungo mio Padre come ufficiale in 2^.
    Dedico quest’articolo alla Sua memoria.

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    Giacomo Bove (Maranzano, 23.4.1852 – Verona, 9.8.1887)

    di Antonio Cimmino

    (Maranzano, 23.4.1852 – Verona, 9.8.1887)

    Ufficiale di Marina alla scoperta del Passaggio a Nord-Est


    Giacomo Bove nacque nel piccolissimo paese di Maranzano in provincia di Asti il 23 aprile 1852 e, giovanissimo, entrò nella Scuola di Marina di Genova. Nel 1872 fu nominato guardiamarina di 1° classe e imbarcato sulla regia corvetta a ruote Governolo al comando del Capitano di fregata Enrico Accini.
    La nave il 13 dicembre 1871 lasciò Napoli per l’Estremo Oriente per effettuare una campagna di spedizione scientifica, esplorando le coste del Borneo, Malesia, Filippine, Cina e Giappone. Stazionaria in quelle acque fino al 13 ottobre 1873, l’unità tornò in patria dopo accurate indagini idrologiche e studi etnografici; ormeggiò a Spezia il 28 febbraio 1874. L’Italia, interessata anche ai bachi da seta, con questa spedizione, tentava di aprire sedi commerciali specialmente in Giappone che usciva da un lungo isolamento politico. In questa lunga crociera orientale il Governolo percorse 22.732 miglia di cui 8.567 a vela (per 87 giorno) e 14.165 a vapore (per 108 giorni), consumando 1.071 tonnellate di combustibile.
    Le ruote di propulsione Morgan si sconnessero dall’albero motore ben 19 volte con riparazioni di fortuna nei vari porti. Il giovane ufficiale, addetto alla cartografia e all’idrologia, ebbe modo anche di approfondire la natura dei luoghi visitati e conoscere usi e costumi degli abitanti.

    Giacomo Bove fu nominato secondo tenente il 24 aprile 1876 e imbarcato sulla nave idrografica Washington che stava effettuando diverse campagne di rilevamenti astronomici, geodetici, nonché di mappatura di baie e golfi nazionali (Milazzo, Genova, Catania); furono mappati coste e porti, scandagliati fondali e studiate correnti marine superficiali e di profondità. Nell’aprile del 1877 il secondo tenente Bove fu inviato proprio sulla nave idrografica che, nello Stretto di Messina, stava studiando le correnti marine.
    Lo Stretto, con particolarità geomorfologica, mette in contatto i due bacini del Tirreno e dello Ionio, con una specie di imbuto attraverso il quale, le acque dei due bacini si riversano vicendevolmente secondo ritmi legati alle fasi lunari, creando correnti e gorghi (mitologico Cariddi). Il comandante del Washington era lo scienziato ed oceanografico Giovan Battista Magnaghi, già direttore dell’Istituto Idrografico della Marina appena istituito
    Il tenente Bove quindi aveva acquisto ormai notevole esperienze in queste variegate ed importanti attività scientifiche, apprezzato dai suoi superiori e anche dalla Società Geografica Italiana.

    In considerazione della sua indubbia professionalità, Giacomo Bove nel 1878 fu scelto dall’esploratore svedese Adolf Erik Nordenskiold per una spedizione per cercare
    il mitico un passaggio a Nord-Est. A bordo vi era una équipe internazionale di scienziati e ufficiali di Marina più 21 uomini d’equipaggio. Bove rappresentava l’Italia ed era addetto principalmente allo studio delle correnti marine e alle osservazioni astronomiche per la posizione della nave. Tra i partecipanti vi erano:
    • Il medico svedese e botanico Ernest Almqvist;
    • L’esploratore e giornalista svedese Charles John Andersson;
    • Il meteorologo Andreas Peter Hovgaard, ufficiale della Marina danese;
    • Il botanico svedese Frans Reinhold Kjellman;
    • L’idrografo e zoologo finlandese Oscar Frithiof Nordquist con compiti anche di interprete russo;
    • Lo zoologo svedese Anton Stuxberg.


    La nave utilizzata, chiamata Vega , era una baleniera con prora rinforzata di metallo, riconvertita nei cantieri navali svedesi Karlskrona di Blekinge e dotata di molte apparecchiature scientifiche. La spedizione venne finanziata dal governo svedese. Il comando della nave fu dato a Luois Palander esperto navigatore svedese che già aveva inutilmente tentato con Nordenskold di raggiungere il Polo Nord.

    Lo scopo era quello di trovare un passaggio a Nord-Est salpando il 28 giugno 1878 da Goteborg fino allo Stretto di Bering che attraversa il 2o luglio 1879. Dal Mare del Nord, quindi, proseguendo per il Mare Glaciale, costeggiando la Siberia e attraverso lo Stretto di Bering, raggiungere l’Oceano Pacifico.
    Durante la navigazione Bove si occupava delle rilevazioni idrografiche, scrivendo nel suo diario:
    ” Esse consistono nello scandagliare esattamente il fondo, mediante uno scandaglio comune o Brooke; dragare per avere saggi di fondo e campioni della fauna di questi mari; gettare le larghe reti alla superficie del mare per raccogliere alghe e altre sostanze vegetali in sospensione; misurare temperatura, peso specifico, quantità di sale contenuto nell’acqua a diverse profondità”.
    Nelle lunghe giornate di navigazione, Giacomo Bove pensava di organizzare una Spedizione Antartica Italiana per trovare e studiare il Continente Antartico allora sconosciuto. Così scriveva nel suo diario:
    ” …….Sino a ieri avevo pensato di muovere l’Italia  a fare una spedizione artica a Wrangel; ora addio spedizione artica, sono volato all’altro polo e faccio castelli in aria per un viaggio alla TERRA ANTARTICA……”
    Trovato il passaggio di Nord-Est, la nave proseguì per il Giappone e, attraversando l’Oceano Indiano e il Canale di Suez, la nave giunse a Napoli il 4 febbraio 1880 ricevendo un’accoglienza trionfale. Ricevimenti e visite a bordo si svolsero per diversi giorni tra il tripudio della folla e delle autorità locali. L’intero equipaggio fu poi ricevuto a Roma dal re Umberto e, nella capitale, si svolsero altri festeggiamenti con ambasciatori di varie nazioni e con la Società Geografica Italiana.

    La nave proseguì per la Svezia ove il capo della spedizione Nordenskiod venne nominato baronetto ed accademico dal re. Nella spedizione erano state percorse più di 22.000 miglia.

    Durante la sua successiva permanenza in Italia, la proposta di Giacomo Bove di esplorare l’Antartide, pur rivelatasi interessante dalla Società Geografica Italiana nel 1880, non ebbe seguito a causa degli alti costi. Bove allora accettò l’incarico del governo argentino di esplorare la Patagonia. Il governo argentino, tramite il Ministro Plenipotenziario e il capitano Moyano, appositamente incaricati dalla Marina argentina, chiesero al governo italiano un congedo straordinario per l’ufficiale della Regia Marina Giacomo Bove.

    Si approntò allora un’équipe scientifica tutta italiana formata dal geologo Domenico Lovisato, dallo zoologo Decio Vinciguerra, dal botanico naturalizzato argentino Carlo (Carlos) Spegazzini e dall’ufficiale della Regia Marina Giovanni Roncagli come idrografo. Imbarcati sulla corvetta Cabo de Hornos, il 17 dicembre del 1881 salparono da Buenos Aires ed effettuando diversi rilievi. Attraversarono lo Stretto di Magellano. Trasbordati sulla goletta cilena San Josè effettuarono altre importanti osservazioni scientifiche ma il 31 maggio la nave naufragò. Furono salvati dalla nave inglese Aller Gardiner. Il 1° settembre l’intera spedizione ritornò a Buenos Aires.
    Con il nome di Bove in suo onore,furono denominati una montagna, un fiume e un ghiacciaio nella Terra del Fuoco, nonché un promontorio dell’isola di Dikson nell’arcipelago delle Vega a sud del Circolo Polare Artico.

    Tornato in patria, Giacomo Bove fu nominato il 28 gennaio 1883, membro onorario della Società Geografica Italiana. Il carteggio numeroso e variegato con la SGI (più di 41 lettere) era caratterizzato da un linguaggio particolare che univa le osservazioni scientifiche ad uno stile narrativo scorrevole.
    Sempre finanziato dal governo argentino Giacomo Bove, organizzò un’altra spedizione scientifica in compagnia degli italiani Carlo Bosetti e Adamo Lucchesi.
    La spedizione raggiunse la giungla di Misiones, esplorò il fiume Paranà e arrivò alle Cascate dell’Iguazu dando nomi italiani a molte cataratte. La loro imbarcazione rischiò anche di naufragare.
    Evidentemente il fascino della Terra del Fuoco non abbandonò del tutto Bove, nonostante le disavventure precedenti. Il 10 gennaio 1884, accompagnato dalla moglie e sostenuto dalla numerosa e prospera comunità italiana in Argentina, tornò in Patagonia per raccogliere materiale antropologico, etnografico, zoologico e botanico.

    Tornato in Europa, lo spirito di avventura e l’interesse scientifico, spinsero Giacomo Bove il 2 dicembre 1885 a risalire il fiume Congo per studiare la possibilità di aprire la zona al commercio italiano e per favorire anche l’emigrazione. La spedizione, finanziata da Roma, partì da Liverpool integrata dal capitano di fanteria Giuseppe Fabrello e dal medico Enrico Stassano. Approdati sulle coste congolese, a piedi e a vaporetto si inoltrarono verso l’interno fino a Leopoldville, ma Bove e Stassano contrassero la malaria. Tornato in patria il 17 ottobre 1886, Bove sconsigliò il governo italiano a intraprendere nessuna iniziativa commerciale per la difficoltà logistiche e climatiche della zona. A proposito dell’emigrazione in questa zona dell’Africa, egli scrisse:
    ”…non dico sconsigliarla, ma il solo permetterla, mi sembrerebbe un delitto”.
    Dimessosi dalla Regia Marina, Giacomo Bove fondò a Genova la società di navigazione La Veloce ma, le sue condizioni psicofisiche peggiorarono a cause delle malattie contratte nei suoi lunghi viaggi.
    Tornando in treno da Vienna e diretto a Genova, Giacomo Bove si suicidò a Verona il 9 agosto 1887. Dopo aver comprato una pistola, si diresse fuori città e, sotto un albero, si tirò un colpo in testa. Aveva appena 35 anni.
    Il giovane e sconosciuto cronista del giornale l’Arena che si recò sul luogo del suicidio, era Emilio Salgari che sarebbe diventato famose per i suoi libri di avventure nei mari lontani, forse ispirati proprio alla vita avventurosa di Bove. Lui, però, a differenza del Bove, non era mai uscito dall’Italia. La cosa strana fu che anche Salgari si suicidò con un rasoio facendo harakiri , il 25 aprile 1911 a Torino lasciando scritto tre lettere, una privata e due pubbliche, così come aveva fatto Giacomo Bove.

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    23 aprile San Giorgio: le navi della Marina Militare

    di Marino Miccoli

    Il 23 aprile di ogni anno si festeggia un grande santo: San Giorgio. La devozione verso questo Santo cavaliere è molto diffusa da tempi assai lontani in tutta la Cristianità, in Russia come in Gran Bretagna, in Italia come in Portogallo; innumerevoli sono le persone che hanno ricevuto il giorno del loro battesimo questo bel nome; esso deriva dal greco ‘ghergós’ che significa ‘agricoltore’. Più volte la Marina ha imposto il nome di San Giorgio alle sue più prestigiose unità. A tal proposito è doveroso ricordare la gloriosa vicenda del Regio Incrociatore Corazzato SAN GIORGIO, la nave che durante l’ultimo conflitto mondiale nella difesa del porto si meritò il titolo di “Leonessa di Tobruk”, proprio nel momento in cui la città della nostra colonia Libica subì l’attacco degli Inglesi. Mio zio Vittorio Polimeno (era maresciallo della Regia Aeronautica e a quell’epoca si trovava in Libia) mi narrava che la nave San Giorgio è rimasta ormeggiata nel porto di Tobruk per circa otto mesi respingendo con le sue poderose bocche da fuoco i continui ed ostinati attacchi che gli erano stati condotti contro dal mare e dal cielo. Quando apriva il fuoco con tutte le sue armi, il Regio Incrociatore si trasformava in un vero e proprio vulcano e per questo gli Inglesi, soprattutto i piloti della R.A.F., avevano imparato a temere sempre le sue energiche reazioni. Nella notte fra il 21 e il 22 gennaio 1941, dopo aver fronteggiato l’avanzata dell’VIII Armata inglese, questa superba unità che aveva partecipato a tre guerre, era autoaffondata dal suo equipaggio per evitare che cadesse in mano nemica.
    La leggenda di San Giorgio nei secoli è stata alimentata anche dal racconto che segue. Si narra che, ai tempi del Santo, in un’angusta grotta situata nei pressi di Lydda, in Terra Santa, si era rintanato un enorme drago, perciò chiunque si fosse avvicinato sicuramente sarebbe stato sbranato da quella bestia feroce e immonda che spandeva il suo puzzo mefitico e pestilenziale nell’aria circostante, ammorbandola. Dopo alcuni giorni il drago affamato si diresse verso il paese per sfamarsi con le persone che vi abitavano e siccome tutti i cittadini temevano di essere sbranati, si riunirono in assemblea e si decise di tirare a sorte per stabilire chi sarebbe stato dato in pasto per primo a quella terrificante bestia.
    Fu estratto proprio il nome di Rosella, la giovane e bella figlia del re. A bordo di una carrozza, la principessa fu condotta dinanzi alla tana del drago. La folla che l’accompagnava piangeva disperatamente per l’atroce destino al quale la fanciulla era condannata. Proprio in quel momento passò per quella contrada San Giorgio il quale, colpito dai pianti e dalle grida di dolore del popolo, ne chiese il motivo. Conosciutane la causa, il Santo si recò dal re e gli disse:
    – “Io sono Giorgio, cavaliere di Cristo, e m’impegno ad uccidere il drago crudele e a salvare la vostra adorata figliola!”.
    Il re fiducioso rispose:
    – “Oh valoroso cavaliere! Se riuscirete in quest’impresa vi darò in dono metà del mio regno!”.
    – “Non accetto nulla di ciò” rispose S. Giorgio e, dette queste parole, si fece indicare dove fosse la grotta del drago e in sella al suo candido destriero vi si diresse risolutamente.
    Giunto dov’era l’orrenda bestia, si trovò presto al suo cospetto ed ingaggiò con quella un’accesa lotta. San Giorgio stava per avere la peggio quando il suo cavallo, con un balzo prodigioso, consentì al cavaliere di trafiggere con la sua lancia il drago, uccidendolo.
    La principessa era alfine salva e con lei tutti gli abitanti del paese. Il Santo fece montare in sella al suo destriero la regale fanciulla ed insieme giunsero al palazzo. Egli consegnò Rosella al re e disse: – “Maestà, ecco vostra figlia. E’ salva!”.
    – “Prodigioso cavaliere! – esclamò esultante il re – avete mantenuto la promessa, ora io manterrò la mia!”.

    Ma San Giorgio rispose:
    – “Io voglio solo che voi, maestà, ed il vostro popolo siate battezzati nella vera fede e gridiate esultanti il nome di Cristo nostro Signore e Salvatore e di colui che ha vinto il drago selvaggio”.
    Da quel giorno nacque una grande devozione verso il Santo che presto si propagò in tutta la Cristianità.

    Forse nessun santo ha riscosso tanta venerazione popolare quanto San Giorgio e, a testimonianza di ciò, sono innumerevoli le chiese dedicate al suo nome; anche la Parrocchiale di Spongano (il mio paese d’origine, nel Salento) è stata a Lui dedicata quando fu consacrata nel lontano 1768.
    Giova precisare che non soltanto nella Cristianità, ma anche i  musulmani lo onorano; infatti gli diedero l’appellativo di ‘profeta’. Per il grande coraggio ed il valore dimostrati, fu acclamato Patrono della gente in armi e della Cavalleria in particolare.
    Le nazioni e le città che hanno eletto il Santo come proprio Patrono sono numerose: è Patrono del Portogallo, dell’Inghilterra e della Russia; il nome dello stato della Georgia (dove si festeggia il 14 agosto di ogni anno) deriva proprio da Lui; tra le diverse città prime fra tutte le città marinare di Genova, Venezia e Barcellona da cui i cavalieri Crociati partivano per l’Oriente. La croce rossa in campo bianco di San Giorgio è il vessillo della regione Lombardia e, sovrapposta alle croci di Sant’Andrea e di San Patrizio, costituisce l’Union Jack che è la bandiera della Gran Bretagna. Il Santo è ancora oggi invocato contro la peste, la lebbra, la sifilide, i morsi dei serpenti velenosi, le malattie della testa e le popolazioni dei paesi situati alle pendici del Vesuvio lo supplicano contro le devastanti eruzioni del vulcano. A conclusione di questo mio scritto voglio riportare di seguito una bella preghiera in dialetto calabrese che è stata dedicata proprio al grande santo, s’intitola:

    U vintitrì d’aprili”
    U vintitrì d’aprili
    Giorgiu Santu trapassau
    a sua santa, bella gloria
    mparadisu sa levau.
    Lu celu nci l’apriu li sacri porti,
    na quantità d’Angeli calaru
    e tutti chi cantavanu orazioni
    e cantavanu scheri scheri
    “Viva San Giorgi, nostru cavalieri!”

    Il ventitrè di aprile
    San Giorgio morì
    la sua santa, bella gloria
    in paradiso se l’è portata.
    Il cielo gli ha aperto le sacre porte,
    una quantità di Angeli scesero
    e tutti che cantavano orazioni
    e cantavano a schiere a schiere
    “Viva S. Giorgio, nostro cavaliere!”

    La storia
    Alla nave è stato assegnato il nome di San Giorgio, il soldato che fu martire in Palestina ancora prima dell’ascesa dell’Imperatore Costantino.
    L’immagine che l’unità ha adottato per il suo Crest è la riproduzione di quella che abili ed esperte mani di pittori e scultori hanno saputo interpretare e tramandare fino a noi: il coraggioso guerriero a cavallo ripreso nell’atto di trafiggere con la sua lunga lancia l’enorme drago. Di San Giorgio non è possibile tracciare il profilo della vita reale poiché essa sconfina fino a confondersi con la leggenda.
    Si narra infatti di un drago che, uscendo dalle acque di un lago, insidiava gli abitanti di una città della Palestina. Per placare l’ orribile mostro gli abitanti sacrificavano i più valenti giovani finché fu la volta della giovane e bella principessa.
    Fu in quel momento che San Giorgio, raggiunta la città e appreso il motivo del sacrificio, quando il drago uscì dall’acqua per perpetrare il sacrificio, lo inchiodò al terreno con la sua lunga lancia salvando così la principessa e gli abitanti della città. Subito la leggenda si diffuse ad Occidente e ad Oriente e la letteratura, ma soprattutto l’ arte figurativa, si impossessò del mito tramandandoci l’ immagine dell’eroico soldato vincitore.
    L’immagine a cui invece la Cristianità, attraverso i secoli ha voluto ricondurci, è quella del Santo che, con la sua grande forza sia d’animo che fisica, messa al servizio di Dio e con l’ausilio del Suo Prodigio, esalta la lotta dell’uomo contro il flagello del malefico a vantaggio dell’Umanità. San Giorgio è quindi considerato uno dei primi martiri cristiani dai contorni forti e significativi: la notevole intensità del suo volere e la determinazione delle sue azioni sublimano l’ animo verso alti valori. La figura del Santo si carica così di significati e di valori morali ed etici di tale importanza da decretare la sua nomina a patrono di Nazioni come l’Inghilterra e di città come Genova.
    È stato altresì immediato trasporre, con la figurazione, i molti e complessi valori attribuiti a San Giorgio nel significato e nell’operato a cui la nave con scopi militari e civili deve tendere. Il Crest dell’unità, come detto, è la rappresentazione iconografica di quanto l’ arte classica ha trasmesso fino a noi: un valoroso guerriero che con la sua lancia ferma sul terreno il mostruoso drago.
    Il bordo, doppiamente rifinito da una leggera corda, contiene al suo interno, divisi da due stellette, il motto, “Arremba San Zorzo” alloggiato nel semitondo superiore, e il nome dell’unità con la sigla identificativa “LPD S. Giorgio” sistemati, nel semitondo inferiore.

    Le caratteristiche tecniche dell’attuale Nave San Giorgio
    Tipologia: Nave assalto anfibio;
    Impostata il 27/05/1985;
    Varata il 21/02/1987;
    Cantieri Navali Riva Trigoso;
    Dislocamento: 7790 m;
    Lunghezza: 133,3 m;
    Larghezza: 20, 5;
    Larghezza Ponte di Volo: 20,5 m – lungh: 133,3;
    Immersione: 5,4;
    Apparato motore: 2 motori diesel GMT A-420.12, 2 assi con eliche a passo variabile e pale orientabili;
    Potenza: 12353 KW (16565,64 HP );
    Velocità: 20;
    Autonomia: 4500 mg;
    Armamento: 2 mitragliere binate da 25/90; capacità di trasporto: 350 militari delle truppe da sbarco; 36 veicoli corazzati da combattimento VCC-1 più vari veicoli ruotati;
    Equipaggio: 165;
    Motto: Arremba San Zorzo.

    …armatura di fede e scudo di buona volontà.

    PREGHIERA DEL CAVALIERE COSTANTINIANO

    Signore Gesù,
    che Vi siete degnato di farmi partecipare
    alla Milizia dei Cavalieri Costantiniani di San Giorgio,
    Vi supplico umilmente,
    per l’intercessione della Beata Vergine di Pompei,
    Regina delle Vittorie,
    del valoroso San Giorgio Martire, Vostro glorioso Cavaliere,
    e di tutti i Santi,
    di aiutarmi a restare fedele alle tradizioni del nostro Ordine,
    praticando e difendendo la Santa Religione Cattolica, Apostolica, Romana
    contro l’assalto dell’empietà.
    Essa diventi per me armatura di fede e scudo di buona volontà,
    sicura difesa contro le insidie dei miei nemici,
    tanto visibili quanto invisibili.
    Vi prego affinché possa avere la grazia
    di esercitare la Carità  verso il prossimo
    e specialmente verso i poveri ed i perseguitati
    a causa della Giustizia.
    Datemi infine le virtù necessarie per realizzare,
    secondo lo spirito del Vangelo,
    con animo disinteressato e profondamente cristiano,
    questi santi desideri per la maggiore Gloria di Dio,
    la glorificazione della Santa Croce
    e la Propaganda della Fede,
    per la pace nel Mondo ed il bene dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio.
    Così sia.

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    Stimato mio Maresciallo Vinciguerra,
    con la preghiera degli antichi Cavalieri fondati dall’imperatore Costantino, a te e a tutti i lettori de LAVOCE DEL MARINAIO giungono i miei più cordiali saluti.
    Marinareschi saluti da Marino Miccoli.