Storia

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    Salvatore Denti Amari (Napoli, 27.4.1875 – Bologna, 1.8.1942)

    a cura Antonio Pisanelli (*)

    (Napoli, 27.4.1875 – Bologna, 1.8.1942)

    Salvatore Denti Amari Duca di Pirajno, nacque a Napoli il 27 aprile 1875 da Giuseppe e da Rosalia Amari. Conseguì gli studi all’Accademia navale di Livorno.Durante la guerra italo-turca, come capitano di corvetta fu prima comandante di una dirigibile ed in seguito comandante dell’intero reparto nonché dei cantieri di Tripoli. Fu decorato a seguito delle varie imprese compiute al comando del dirigibile, in particolare una ricognizione a bassa quota effettuata sul campo della battaglia di Zanzur, ma anche per le 34 ascensioni compiute in condizioni avverse. Nel corso della prima guerra mondiale, col grado di capitano di fregata, dal dicembre 1916 al luglio 1918 fu comandante d’aeronautica del Basso Adriatico. Fu direttore della Scuola aeronautica di Taranto dalla fine del 1916 al 1918.
    Nel 1923 fu nominato aiutante di campo di Vittorio Emanuele III, l’anno successivo fu promosso ad aiutante onorario.
    Nel 1924 svolse una crociera in Sud America a bordo dell’incrociatore corazzato San Giorgio.
    Nel 1930-31 comandò la Divisione navale speciale sull’esploratore Quarto, passando dal 21 novembre 1934 al comando della 2ª Navale.
    Nel 1936 fu nominato dal Re Grande Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Nel 1938 fu elevato al grado più alto del medesimo ordine, cioè Cavaliere di gran croce. In seguito fu prima presidente del Consiglio superiore di marina e poi del Comitato degli ammiragli. Autocandidatosi al Ministero della Marina nel 1938, il 25 marzo 1939 fu nominato senatore. Dal 17 aprile 1939 fino alla sua morte, avvenuta a Bologna il 1º agosto 1942, fu membro della Commissione dell’economia corporativa e dell’autarchia e della Commissione per il giudizio dell’Alta Corte di Giustizia.

    Onorificenze
    – Cavaliere di gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro – nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran Croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro — 7 giugno 1938
    – 
    Cavaliere di gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia – nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia — 27 ottobre 1935
    – Ufficiale dell’Ordine militare di Savoia – nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale dell’Ordine militare di Savoia — 18 dicembre 1919
    – Medaglia d’argento al valor militare  – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d’argento al valor militare
    – Medaglia di bronzo al valor militare – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia di bronzo al valor militare
    – Medaglia Mauriziana – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia Mauriziana
    – Croce per anzianità di servizio militare (40 anni) – nastrino per uniforme ordinaria Croce per anzianità di servizio militare (40 anni)
    – Croce al merito di guerra  – nastrino per uniforme ordinaria Croce al merito di guerra
    – Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia
    – Medaglia commemorativa delle campagne d’Africa – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia commemorativa delle campagne d’Africa
    – Medaglia commemorativa della campagna in Cina – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia commemorativa della campagna in Cina
    – Medaglia commemorativa della guerra italo-turca 1911-1912 – nastrino per uniforme ordinaria Medaglia commemorativa della guerra italo-turca 1911-1912
    – Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918 – nastrino per uniforme ordinaria
    – Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918
    Distintivo d’onore per i feriti di guerra; – nastrino per uniforme ordinaria Distintivo d’onore per i feriti di guerra;
    – immagine del nastrino non ancora presente Distintivo d’onore di mutilato in guerra;
    – immagine del nastrino non ancora presente Distintivo ex piloti-aviatori in guerra.

    Onorificenze straniere
    – Commendatore dell’Ordine della Spada (Svezia) – nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell’Ordine della Spada (Svezia)
    – Cavaliere di II classe dell’Ordine del Dannebrog (Danimarca) – nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di II classe dell’Ordine del Dannebrog (Danimarca).

    (*) per conoscere le altre sue ricerche digita sul motore del blog il suo nome e cognome.

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    Angelo Bertolotto (Roma, 1.7.1881 – Napoli, 27.4.1909)

    a cura Francesco Carriglio
    www.augusta-framacamo.net 

    (Roma, 1.7.1881 – Napoli, 27.4.1909)

     Angelo Bertolotto nacque il 1° luglio 1881 a Roma, entrato nella Regia Accademia navale nell’agosto 1897 ne usciva con la nomina a guardiamarina alla fine del 1900.
    Nel 1902 era già sottotenente di vascello e, trascorsi sei anni, tenente di vascello. Dopo vari imbarchi su navi di squadra, come sulla nave Lepanto e sul  Re Umberto I, e su navi onerarie, come sul «Vulcano», nel 1907 iniziò il suo periodo di istruzione presso i sommergibili rimanendo definitivamente destinato sul « Delfino » nell’agosto dello stesso anno.
    La pratica acquistata dal giovane ufficiale, e l’interesse da lui posto nell’impiego e nella tecnica della nuovissima arma, lo fecero chiamare, sul « Foca », sommergibile di nuovissima costruzione.
    Nel settembre 1908 era l’ufficiale in 2^ del piccolo ma temibile battello. L’eroica sua morte nel fatale avvenimento del 26 aprile fu un lutto per la Marina, e con “Regio Decreto del 23 giugno 1910 si volle esaltarne la purissima memoria concedendo la medaglia d’oro al valor militare con la motivazione seguente:
    Per l’eroico contegno e per l’elevato sentimento del dovere dimostrato dopo lo scoppio del sommergibile “Foca” avvenuto a Napoli il 26 aprile 1909 mentre vi si trovava imbarcato”.
    Morì all’ospedale militare marittimo di Napoli il 27 aprile 1909 in seguito alle ferite riportate.

    Medaglia d’Oro al Valor Militare al Tenente di Vascello Angelo Bertolotto (1881 – 1909)

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    Tobruk 27.4.1912, nave pronta a partire per Rodi (1.5.1912)

    a cura Carlo Di Nitto 

    TOBRUK 27/04/1912, MARINAI ADDETTI AL CARBONAMENTO  SULLA NAVE IN PARTENZA PER RODI

    TOBRUK 29/04/1912, CARBONAMENTO QUASI COMPLETATO  E CANNONIERI SULLA NAVE IN PARTENZA PER RODI

    TOBRUK 30/04/1912, I MARINAI DEL CARBONAMENTO 
    SI LAVANO SUL PONTE DELLA NAVE

    TOBRUK 01/05/1912, NAVE PRONTA A PARTIRE PER RODI.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Pittori di mare,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    27.4.1930, varo della regia nave Giovanni Delle Bande Nere

    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra, Carlo Di Nitto, Pasquale Mastrangelo, Stefano Piccinetti, Francesco Venuto, Claudio Spanò, Michael Locci + altri.

    La regia nave Giovanni Delle Bande Nere era un incrociatore leggero varato presso i cantieri navali di Castellammare di Stabia (Napoli) il 27.4.1930.
    La nave fu affondata dal sommergibile Urge il 1° aprile 1942 a largo dell’isola di Stromboli.

    Giovanni D’Adamo
    a cura Carlo Di Nitto 

    Marinaio Cannoniere Giovanni D’Adamo, di Tommaso e di De Meo Maria Civita, Croce di Guerra al V.M., disperso nell’affondamento del Regio Incrociatore “Giovanni delle Bande Nere” il 01 aprile 1942.
    L’unità, colpita da due siluri lanciati dal Smg. inglese Urge, si spezzò in due tronconi ed affondò immediatamente con gran parte dell’equipaggio. Mar Mediterraneo, a circa miglia 11 per 144° dall’isola di Stromboli.
    Era nato il 19 giugno 1920 a Castellonorato.
    (foto p.g.c. della Famiglia)

    Tancorre Vincenzo, marinaio di una volta come me, come noi…

    di Pasquale Mastrangelo

    Carissimo Ezio,
    come promesso giorni fa, ti allego una scheda riepilogativa relativa al Meccanico Navale Tancorre Vincenzo (mio compaesano), perito a seguito dell’affondamento della regia nave Giovanni delle Bande Nere.
Ti allego altresì un file contenente la foto da Allievo della Scuola Meccanici di Venezia, copia di una lettera inviata ad un suo amico nell’imminenza della fine del Corso da Allievo (prima di imbarcare) e della cartolina che è l’ultimo suo scritto prima dell’affondamento, praticamente sei giorni prima!
    Nel rileggere la lettera scritta al suo amico sono rimasto molto colpito dalle parole che un giovane di 19 anni sentiva di scrivere. Parole dettate dal senso di appartenenza, dallo spirito di corpo, dall’amore per le istituzioni ed il senso di Patria. Abbiamo tanto da imparare da queste frasi, soprattutto tanti giovani di questa epoca che si divertono a distruggere auto, vetrine e colpire nel cuore le Istituzioni.

    So’ per certo che saprai come tuo solito valorizzare questa grande testimonianza secondo i tuoi canoni e so’ di mettere “il tutto” nelle migliori mani possibili.
    Ho anche suggerito ad Aldo Capobianco cognato del TANCORRE (*) la tua amicizia su facebook. A lui puoi tranquillamente rivolgerti per eventuali altre informazioni al riguardo.
    Ti rinnovo i sentimenti di amicizia e stima e ti ringrazio per il privilegio di esserti amico.
    Pasquale Mastrangelo.

    Tancorre Vincenzo, nato a Gioia del Colle (Bari) il 7.7.1923. Frequentò la scuola per meccanici di Venezia. Perì a seguito dell’affondamento della regia nave Giovanni delle Bande Nere il 1° gennaio 1942. Fu dichiarato disperso il giorno successivo.
    (*) https://www.facebook.com/aldo.capobianco.54

    Nota della redazione
    Giovanni Dalle Bande Nere era un incrociatore Leggero varato a Castellammare di Stabia il 27.4.1930. Partecipò alla Guerra dei Convogli e alla Seconda Battaglia della Sirte.
    Il mattino del 1° aprile 1942 lasciò Messina diretto a La Spezia scortato dal cacciatorpediniere Aviere e dalla torpediniera Libra.
    Alle ore 09.00, a undici miglia da Stromboli, le navi vennero intercettate dal sommergibile britannico Urge.
    Un siluro spezzò in due lo scafo e l’unità affondò rapidamente, trascinando con se 381 Marinai su 507 uomini dell’equipaggio. Fra di essi c’era anche Nicola Verdoliva nato a Castellammare di Stabia il 5.12 1916 che risultò disperso in mare. Di Lui non abbiamo nessuna foto a corredo di questo articolo ma siamo certi, ovunque si trovi con i suoi Frà che non fecero più ritorno all’ormeggio, che adesso riposano in pace fra i flutti dell’Altissimo.

    Quel giorno del 1° aprile 1942
    narrato da Guido Piccinetti (*)

    Questa è la storia di Guido Piccinetti, giovane fanese classe 1919, con la passione profonda per il mare, la pesca e la cucina marinata, socio storico della nostra associazione e memoria storica della città di Fano. Il racconto è stato dettato al figlio Stefano, direttamente narrato da Guido che riviveva, con occhi lucidi, i momenti drammatici e memorabili della guerra dal 1939 al 1945.
    Vorrei ricordare mio padre, salpato per l’ultima missione il 2 luglio 2015 all’età di 95 anni.
    Penso che abbia fatto una buona vita sia come uomo che come Cristiano. Era buono e, soprattutto, era un marinaio nell’anima, dignitoso e fiero, come sono gli uomini di mare.
    Ciao Guido “Marinaio per sempre”.
    Stefano Piccinetti

    Il 15.12.1939 fui chiamato alle armi ed arruolato nella Regia Marina.
    Come prima destinazione ebbi Venezia presso le Scuole C.E.M.M. (Corpi Equipaggi Militari Marittimi), situata a Sant’Elena, dove fui addestrato ed istruito con la categoria Fuochista di Bordo.
    Dopo circa 40 giorni fui destinato a Taranto ed imbarcato sul regio cacciatorpediniere Giovanni delle Bande Nere che in quel periodo era ai lavori in arsenale nel Mar Piccolo nella base navale di Taranto.
    Stavamo rientrando da Tripoli da una scorta convogli, eravamo nel Golfo della Sirte con un forte mare al traverso e dopo qualche giorno di navigazione siamo entrati nella base navale di Messina.
    La sosta durò qualche settimana nei quali facemmo servizi di guardia, poi il Comando di bordo decise di andare a La Spezia per i danni subiti dal maltempo.
    Salpammo alle ore 06.00 del 1° aprile 1942, era una bella giornata di sole e il mare era buono. Eravamo circa all’altezza delle isole Eolie vicino Stromboli e le condizioni del mare mi invitarono a riposarmi al centro nave, così mi coricai sopra i lancia siluri. Ad un tratto sentii un gran scoppio che mi sollevò in aria, poi più nulla fino a ritrovarmi a circa 20 – 30 metri dalla nave. Al contatto con l’acqua ripresi i sensi e mi guardai intorno, vedevo solo fumo e sentivo le urla e i lamenti dei miei compagni, percepivo il sangue colarmi dalla testa e vidi una leggera ferita alla gamba destra, ma mi rassicurai capendo che non era niente di grave.
    Dopo qualche ora in balia delle onde, vidi mio cugino Ivo che era in difficoltà poiché non aveva il salvagente; nuotando faticosamente lo raggiunsi e gli diedi il mio salvagente, così ci siamo aggrappati a una latta di plastica per mantenerci a galla.
    Poco dopo la zona fu sorvolata da un aereo dell’Aviazione Italiana che ci sganciò i salvagenti individuali.
    Dopo circa 8 – 9 ore in balia delle onde, venne on nostro soccorso il regio cacciatorpediniere Maestrale, il quale ci fornì le prime cure a bordo e ci portarono a Messina dove sono stato ricoverato all’ospedale militare Santa Margherita per circa 10 giorni. Al termine del ricovero in ospedale ebbi una breve licenza per recarmi a casa per riabbracciare i miei genitori, per poi ripartire verso la nuova destinazione alla polveriera di Malcontenta provincia di Venezia. Successivamente fui fatto prigionieri dai tedeschi e deportato in Germania nel campo di concentramento per prigionieri di Fraureuth provincia di Werdau in bassa Sassonia. Ebbi la fortuna di lavorare fuori dal campo, in una falegnameria, il titolare e Sindaco del paese si chiamava Wully Smithe, fu la mia salvezza. Alla fine della guerra nell’agosto 1945 tornai in Patria.
    Questa è sommariamente la mia storia, le emozioni e le sofferenze forse non si possono cogliere in queste due righe, ma ancora oggi mi commuovo continuamente al pensiero di quello che hanno visto i miei occhi e al ricordo delle urla dei miei compagni, naufraghi di un mare senza colpa ma complice nel destino.

    (*) Nato il 20.12.1919 e residente a Fano.
    Oggi unico superstite del regio cacciatorpediniere Giovanni dalle Bande Nere, decorato con Croce al Merito di Guerra, in data 29 luglio 1947.
    Guido Piccinetti è salpato per l’ultima missione dalla sua Fano il 2.7.1915.

    1.4.1942, il sommergibile inglese Urge tagliava in due il regio incrociatore Giovanni Dalle Bande Nere
    
di Francesco Venuto

    Buongiorno Ezio,
    Le invio, se le può essere utile, un mio servizio pubblicato da Giornale di Sicilia nel 1991 e da altri giornali in seguito cordiali saluti, Francesco Venuto ex sergente radiotelegrafista (di leva).

    Questo articolo è dedicato, per grazia ricevuta, a Paolo Puglisi.

    STROMBOLI – Cinquantuno anni fa, il primo aprile del 1942, al largo dell’isola di Stromboli due siluri lanciati dal sommergibile inglese “Urge” tagliavano in due l’incrociatore “Giovanni Dalle Bande Nere”.
    Varata nel 1931, la nave effettuò, tra il 10 giugno 1940 e la data del suo affondamento, 15 missioni di guerra, percorrendo in tutto circa 35 mila chilometri. Tra gli ottocento uomini imbarcati sull’incrociatore, quel primo aprile c’era Paolo Puglisi, 75 anni, baffetti alla Clark Gable rimasti neri come ai tempi in cui stava per ore chiuso nella torretta numero 4, pronto ad azionare i cannoni del Bande Nere.
    L‘enciclopedia “La Seconda Guerra Mondiale”, curata da Arrigo Petacco, liquida in un paio di righe l’affondamento dell’incrociatore. Secondo Puglisi, in realtà, vi furono delle circostanze quantomeno sospette per cui le cose non andarono per il verso giusto. Inoltre tra i marinai superstiti dell’affondamento, si parlò con insistenza di una “spiata”, partita proprio da Messina, sui movimenti della nave e sulle sue condizioni di navigazione.

    «Il Bande Nere partecipò alla seconda battaglia della Sirte -ricorda Puglisi- Tornavamo alla base di Messina dopo una navigazione con il mare fortissimo, tanto che due caccia-torpediniere, il “Lanciere” e lo “Scirocco”, colarono a picco per il maltempo. Il nostro incrociatore era piuttosto malconcio e molte erano le avarie che il comandante Lodovico Sirta aveva dovuto annotare sul libro di bordo. Arrivammo nello Stretto con ben 48 ore di ritardo, e con la consapevolezza che il destino della nave era il bacino di La Spezia, dove sarebbero state eseguite le riparazioni.
    Così infatti fu deciso dal comando della Regia Marina Militare, e qualche giorno dopo aspettavamo con ansia l’ordine di mollare gli ormeggi. Il Bande Nere lasciò il porto di Messina il primo aprile 1942 -racconta Puglisi- dopo sei giorni di incomprensibili rinvii. Erano le sei del mattino, due caccia e alcuni ricognitori aerei controllavano che lungo la nostra rotta non vi fossero battelli nemici.

    Tutto filò liscio sino alle nove, all’ora di colazione, di solito un panino con la mortadella o il provolone.
Eravamo al largo di Stromboli, un sommergibile inglese lanciò un primo siluro, il Bande Nere si inclinò di almeno trenta gradi, un minuto dopo arrivò il secondo e definitivo lancio dell’”Urge”, la nave si aprì in due e cominciò ad affondare rapidamente. Io non ebbi il tempo di gettarmi subito in mare, come buona parte dell’equipaggio. Ero infatti ai “pezzi da 100”, proprio nella zona colpita dai siluri. Riuscii comunque a liberarmi dei vestiti e, aggrappandomi alle “traglie”, i passamano, finii sott’acqua trascinato dal risucchio della nave che stava inabissandosi. A sette-otto metri di profondità, non riuscendo ormai a risalire avevo abbandonato ogni speranza di salvarmi. La visione di mia madre e una miracolosa bolla d’aria mi spinsero di nuovo verso la superficie dove sembrava aspettarmi l’idrovolante delle nave capovolto, attorno ai cui galleggianti erano aggrappate almeno settanta persone.
Pioveva, si cercava di resistere a tutti i costi, di non mollare la presa. In molti alla fine furono vinti dalla stanchezza, dall’acqua gelida e dal dolore per le gravi ferite riportate. Cinque ore dopo arrivò il cacciatorpediniere “Libra”, che raccolse i superstiti e i marinai morti.
Il mare era diventato nero per le tonnellate di nafta fuoriuscite dai serbatoi del Bande Nere. Io fui sistemato tra i morti, perché all’atto di essere recuperato persi i sensi, la confusione del momento fece il resto. Mi svegliai tra la meraviglia dei siluristi, non ricordavo nulla, non ci vedevo più, ero diventato cieco.
    Poi mi dissero che era stata la nafta, anche il mio corpo del resto era bruciato per essere rimasto molto tempo a contatto con il carburante. Tornati a Messina, in un primo tempo non fu riconosciuta la mia infermità, ed anche per questo mi misero in prigione. Dopo qualche giorno però fui rimandato a casa, mentre agli arresti ci andò l’ufficiale che aveva ordinato la mia carcerazione. Il sole lo rividi dopo un mese».

    Elia Soriente (Torre Annuziata (NA), 12.4.1922 – Mare, 1.4.1942)
    a cura di Vincenzo Marasco(*)  e Antonio Papa – Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”

    (Torre Annunziata (NA), 12.4.1922 – Mare, 1.4.1942)

    Alla lieta e cara memoria del Sottocapo Palombaro Soriente Elia, Figlio di Torre Annunziata.

    Questa altra breve storia che voglio raccontare ha anch’essa inizio a Torre Annunziata. Precisamente in quel suo comprensorio, che nei primi anni del Secolo Breve, era considerato ai locali per lo più come un luogo riservato alla borghesia locale, in quanto meno urbanizzato e lontano dal trambusto di quegli agglomerati cittadini in cui era relegato per lo più il popolo torrese.
    Così, nella nascente via Vesuvio, che agli inizi degli anni ‘20 non era altro che una piccola arteria circondata da rigogliosi giardini e su cui si affacciavano poche villette e palazzotti, che dalla industriosa Torre Annunziata menava al più rurale borgo di Trecase, il 12 aprile del 1922 da Francesco e Iovino Lucia, al civico 61, nasce Elia Soriente.
    Elia, per Francesco e Lucia era quel figlio maschio tanto atteso e voluto, considerato come un dono del cielo. Ma a parte le emozioni terrene, egli, come tanti torresi ancora oggi si considerano, nasce come figlio del mare, e attratto da quell’elemento principe in quella lingua di terra dove è cresciuto, un giorno insieme ad un suo caro amico decise di intraprendere la “Carriera”. Fu così che lui e De Santis, il cui nome non ci è dato ricordare, partirono alla volta di Taranto arruolandosi in quella gloriosa Regia Marina Italiana, considerata la regina del Mediterraneo.
    Dai racconti vivi nelle memorie dei suoi parenti, nipoti e cugini, che sono cresciuti con il suo ricordo, si apprende che i due vennero fin da subito assegnati all’equipaggio dell’Incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere, e che solo pochi giorni dal momento della partenza dell’unità navale per un’operazione di guerra in mare aperto, avvenuta da Messina nelle prime ore della notte del 20 marzo del 1942, i due vennero divisi: toccò al De Santis sbarcare e salire a bordo di un’altra unità navale della Marina.
    Fu così che il destino di Elia cominciò a prendere la sua forma e a manifestarsi.
    Il Giovanni delle Bande Nere, uscito dal porto di Messina, così come gli venne ordinato da Supermarina, insieme alla XIII Squadriglia Cacciatorpediniere, incrociò la rotta verso il Sud del Mediterraneo con lo scopo di intercettare un convoglio navale inglese partito da Alessandria e diretto verso Malta.
    L’operazione non partì sotto il buon auspicio meteorologico. Ciò è dimostrato dai notevoli ritardi accorsi sulle partenze degli incrociatori pesanti, sempre da Messina che facevano parte della stessa divisione navale, i quali a causa del forte vento da SE ebbero problemi a lasciare gli ormeggi. Ma nonostante questo l’operazione andava portata a compimento, nonostante il mare dalla mattinata del 21, montato da un fortissimo vento di Scirocco, divenisse sempre più impetuoso.
    Nella tarda mattinata del 22, l’intera Divisione Navale comandata dall’Ammiraglio Iachino, arrivata poco lontani del Golfo della Sirte, incrociò a lunga distanza il convoglio inglese. Le due squadre cominciarono così a studiarsi con manovre di grande perizia e, lì dove potevano, a scambiarsi colpi di artiglieria navale. Nonostante le condizioni meteo marine fossero in ulteriore peggioramento e rendessero difficile sia la navigazione, sia il contatto visivo tra i convogli che la precisione dei tiri dei cannoni, l’inseguimento e lo scontro tra italiani e inglesi durò per tutta la giornata.
    Alle 16.44, ad avere il primo successo fu proprio il Giovanni delle Bande Nere su cui era imbarcato Elia, che da 14.000 metri centrò con una salva da 152mm l’incrociatore inglese Cleopatra di scorta al convoglio e ammiraglia in quel frangente, arrecandogli seri danni all’angolo destro poppiero della controplancia, lì dove vi erano i sistemi di tiro contraereo. Oltre ciò, per quella salva, il Cleopatra perse 16 marinai.
    Calato il buio volse a termine anche la battaglia, passata poi alla storia come seconda battaglia della Sirte.
    Dopo il combattimento tra le due Marine fu la tempesta di Scirocco, che nel frattempo si era scatenata oltre ogni aspettativa, a rendere alla flotta italiana difficile il rientro verso Messina e Taranto.
    A soffrire più di tutti furono le navi cacciatorpediniere come la Giovanni delle Bande Neve, che per contenere il fortissimo rollio furono costrette a ridurre sensibilmente la velocità di navigazione. Ma nonostante tutti gli accorgimenti presi, i danni del maltempo causato alle unità minori furono ingenti, tanto che due di queste, la Scirocco, ironia della sorte, e la Lanciere, all’alba del 23 marzo vennero affondate dalle sferzate di un mare arrivato fino a forza 8!
    Il Giovanni delle Bande Nere, con un equipaggio già stremato dalla lunga battaglia e da una navigazione difficilissima, proseguì in libertà di manovra verso Messina, presentandosi nel primo pomeriggio del 24 alle sue ostruzioni senza non poche avarie.
    Vista la situazione precaria della nave, bisognosa di urgenti interventi riparatori, venne deciso di cantierizzarla presso La Spezia. Ed è così che la mattina del 1° aprile del 1942, effettuato il posto di manovra, il Giovanni delle Bande Nere, scortato dall’Aviere, dal Fuciliere e dal Libra – quest’ultimo subito rientrato per un’avaria – lasciano l’ormeggio di Messina per dirigersi verso la base navale spezzina.
    Ma c’era poco da stare tranquilli e l’equipaggio lo sapeva benissimo. In quel periodo nessuna navigazione poteva definirsi sicura, maggiormente per un’unità navale malconcia come lo era in quel momento il Giovanni delle Bande Nere.

    Il Sottocapo torrese Elia Soriente, che aveva stretto e sposato l’indissolubile legame col mare, lo sapeva benissimo!
    Alle 8.41 il convoglio navale italiano venne intercettato dal sommergibile britannico Urge, in appostamento nei pressi dell’Isola di Stromboli, lì dove vi era l’accesso settentrionale allo Stretto di Messina. Alle 8.54, l’Urge, già in posizione di tiro, come il cacciatore si pone di fronte alla sua preda, da una distanza di quasi 5000 metri lancia 4 siluri verso il Bande Nere. Dopo alcuni minuti una prima esplosione si verificò a centro nave, seguita da un’altra dopo nemmeno dieci secondi dalla prima: era arrivata la sua fine e con essa si stava compiendo anche il destino del nostro Elia Soriente.
    La nave colpita al cuore, nemmeno in due minuti, sbandò, si piegò nel suo centro fino a spezzarsi in due tronconi che presero la forma di due braccia alzate al cielo nel tentativo di una vana richiesta d’aiuto. Quel momento cruento durò nemmeno tre minuti e della Regia Nave Giovanni delle Bande Nere non restò più nulla se non tanti ricordi e una miriade di storie appartenenti ai suoi marinai, tra cui vi è quella del giovanissimo Elia Soriente, che sarebbe diventato ventenne da lì a qualche giorno.
    Dei 772 marinai del suo equipaggio, 381 scomparvero tra i flutti. Chi ebbe la fortuna di salvarsi, successivamente, ebbe modo poi di raccontare ogni attimo di quanto accadde in quel momento, rendendo così viva la Memoria di quei loro compagni scomparsi tra l’immensità del mare.
    Evviva il Sottocapo Palombaro Elia Soriente!

    Fonti: Archivio Anagrafe di Torre Annunziata, sez. Leva;
    www.difesa.it/Il_Ministro/Onorcaduti.it;
    www.conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com;
    www.regiamarina.netwww.elgrancapitan.orgwww.world-war.co.uk.
    (*) digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome per conoscere gli altri suoi articoli. 

    Vincenzo Pincin
    di Sergio Covolan

    (Campolattaro, 16.4.1923 – Mare, 1.4.1942)

    Vincenzo Pincin, nato a Campolattaro il 16 aprile 1923, era un motorista navale imbarcato sulla regia nave  Giovanni Delle Bande Nere affondato nel Mediterraneo Centrale il 1° aprile 1942 alle ore 09:00. Lui fu uno dei tanti dispersi in mare.

    Vincenzo Pincin era mio cugino di secondo grado.

    Giuseppe Tumminia, mio padre (26.3.1922 – 25.10.2011)
    di Antonino Tumminia

    … riceviamo e con infinito immenso orgoglio pubblichiamo.

    Mio padre, Giuseppe Tumminia, siciliano, era uno dei Cannonieri della Giovanni dalle Bande Nere, quel 1° aprile del 1942, ( sic proprio una pesce d’aprile), era fra i naufraghi. Mi raccontava che si era salvato con altri 40 marinari sopra un pezzo di sughero che galleggiava, e rimasti per 4 ore in quel mare gelido, in attesta di essere ripescato con gli altri sopravvissuti. Sul ponte della nave che li salvò (non ricordo il nome della nave), c’erano tutti i suoi compagni morti, distesi in fila sul ponte. Le macchie di petrolio o nafta che avevano bruciato i suoi piedi rimasero lì per parecchio tempo. Quanto io, a 18 anni partii militare, mi ritrovai marinaio e fui destinato al Ministero della Difesa, a Roma, lavoravo negli uffici del Ministero, segretario dattilografo, nell’ufficio di una sezione (che ometto) con un Tenente Colonnello, un Maresciallo, un Tenente, con il loro aiuto riuscii a fare avere a mio padre la Croce di Guerra che meritava e che il Ministero non aveva mai rilasciata, forse perché mio padre non sapeva cosa fare per ottenerla, assieme a quell’attestato gli spedii una foto della “Bande Nere”; venni a sapere dopo, che pianse tanto nel rivederla, pensando ai suoi amici morti.Mio padre ormai non c’è più, ma sulla stanza dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, c’è ancora in cornice la sua Croce di Guerra, con la sua foto di allora e la Giovanni dalle Bande Nere, che mi rendono orgoglioso di mio padre, per l’uomo e il marinaio che è stato.
    Antonino Tumminia

    Gent.mo Sig. Vinciguerra
    Ringrazio Lei, per il suo interessamento per mio padre Giuseppe. E’ nato a Palermo il 26.3.1922 e nel 2011 è partito per il suo ultimo viaggio. Purtroppo io non mi trovo a Palermo perché dal 1975 mi sono trasferito nel Modenese dove attualmente risiedo, a Palermo è rimasto uno dei miei fratelli, al quale chiederò di inviarmi la foto dell’attestato della Marina Militare e una foto ritratto di mio padre di allora. Appena riceverò questo materiale sarà mia cura farle pervenire. Pere ciò che riguarda eventuale missione non ricordo nulla in merito, da quello che mi raccontava, stavano per andare per riparazioni, quando i due colpi di siluro del Surge, affondarono la Bande Nere, mio padre fortunatamente si trovava sul ponte ed è riuscito a tuffarsi appena in tempo, proprio mentre la nave si spaccava in due tronconi e affondava verticalmente. Mi ha raccontato molte cose della sua vita militare e di quando è stato prigioniero dei francesi e delle umiliazioni subite da lui e dagli altri italiani, ma ho vergogna a raccontarle degli sputi ricevuti dai francesi  mentre, prigionieri, in corteo, sfilavano  per le vie e dai balconi i nostri cugini francesi gli sputavano addosso, al punto che arrivati a destinazione erano proprio bagnati. Riguardo stazionamenti o trasferimenti non so dirle nulla, per certo so che stava a Messina, perchè mi raccontava che scaricavano i bossoli dalla nave sul molo a Messina (dove c’è ancora oggi la base navale, Martello Rosso o qualcosa di simile… dove anch’io sono stato solo per 15 giorni prima del mio congedo) Il suo imbarco è stato il primo ed unico,  con la categoria  di Cannoniere, appena in tempo per  imparare a sparare,  …con la bocca aperta per non farsi saltare i denti daii contraccolpi delle cannonate.Appena possibile le invierò i materiali.
    Un Cordiale saluto. Antonino TUMMINIA.

    Gent.mo Sig. Vinciguerra,
    Spesso mi rivedo accanto a  mio padre, ad ascoltare i suoi racconti di guerra,  della sua prigionia, e dei posti visitati, e non ricordo tante cose, ma alcune mi sono rimaste impresse nella mente, magari sono dei flash, ma sono immagini che ancora navigano nella mia mente. Ricordi di umanità,  anche di sorrisi, d sofferenze e di furbizie per sopravvivere in campi di prigionia. Credo che lo shock di quel naufragio se le portato addosso come un vestito nero, come un lutto perenne, per la sua bella nave e l’umanità dei suoi compagni. Ironia della vita, l’ultima notte della sua vita, trascorsa in ospedale,  passata a raccontare, al dottore di turno, storie di marinaio della Bande Nere, il dottore stesso, meravigliato della sua improvvisa dipartita, ci raccontò, che  trascorse molto tempo a parlare della guerra, all’alba, si è imbarcato per l’ultimo viaggio, questa volta non doveva stare ai cannoni e non doveva sparare, viaggiava verso l’amore e la luce, dove troviamo tutti quelli che ci hanno amato e una schiera di amici, in parata militare, che lo aspettano a bordo di una anima d’amore.                                                                                                                                                                          Antonino Tumminia 

    Caro Ezio, un anno il 2020 purtroppo con un mare agitato, sperando che questo mare si calmi lasciandoci navigare con serenità, colgo l’occasione  di inviarti i più sinceri.
    Ti allego un’illustrazione che ho realizzato modificando un disegno del Bande Nere, che come tu sai ci sono legato per mio padre che era cannoniere su questo incrociatore. Un abbraccio e cari saluti e auguri per tutti i tuoi lettori della Voce del Marinaio da  Antonino Tumminia.

    Filippo Lo Piparo
    di Claudio Spanò

    (Bagheria (PA), 8.10.1920 – Mare, 1.4.1942)

    … riceviamo e con immenso orgoglio e commozione pubblichiamo.

    Buonasera,
    Filippo Lo Piparo era mio prozio, fuochista della regia nave Giovanni Delle Bande Nere e perito l’1.4.1942 nell’affondamento (disperso). Abbiamo da poco trovato queste foto che le invio, chissà che qualcun altro riesca a riconoscere i marinai che sono con lui in foto, con tutta probabilità anch’essi sulla stessa nave. Filippo è quello in basso a sinistra. Gli altri non so. Se le fa piacere può pubblicare queste foto nel suo sito.

    Era nato a Bagheria (PA) l’8.10.1920.
    Grazie per il suo lavoro di memoria.
    Cordiali saluti.

    Nota
    Sull’elenco dei Caduti e Disperi della Marina Militare è  riportato il cognome Lo Pipero.

    Si consiglia la lettura del seguente link:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2021/04/1-4-1942-affondamento-della-regia-nave-giovanni-delle-bande-nere-4/

    Fiorenzo Locci
    di Michael Locci

    (Monastir 12.4.1918 – Mare, 1.4.1942)

    … riceviamo e con immenso orgoglio misto a commozione pubblichiamo.

    Salve,
    sono Michael Locci pronipote del Sottocapo Cannoniere Fiorenzo Locci  deceduto il 1° aprile 1942 sul regio incrociatore Giovanni delle Bande Nere.


    Vorrei inviarli delle foto, come scopo storico e anche per ricordarlo…
    Vi ringrazio anticipatamente.


    Lo zio era nato a 
    Monastir il 12 aprile 1918.
    Saluti.

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    27.4.1915, affondamento della regia nave Leon Gambetta

    di Pier Francesco Liguori

    AVVERTENZA: Le notizie sono in parte estratte da un articolo di Pier Francesco Liguori edito per il centenario dell’affondamento il 10 aprile 2015 da CULTURA SALENTINA Rivista (on line) di pensiero e cultura meridionale.

    Chi non ha visto il film “Tutti insieme appassionatamente” con Julie Andrews che nel 1966 commosse il mondo e che ebbe 10 nominations all’Oscar (ne vinse poi ben 5) e non ne ricorda la trama? È ambientato a Salisburgo (Austria) nel 1938 e narra le vicissitudini della famiglia di un Comandante sommergibilista austriaco, eroe della 1^ guerra mondiale, che in previsione dell’Anschluss i nazisti intendono precettare per la loro Marina. Vi starete chiedendo: cosa c’entra tutto questo con il Leon Gambetta? Ebbene quel Comandante della Marina Imperiale Austriaca vedovo e padre di ben 7 figli è Georg Ritter von Trapp Tutti insieme appassionatamente (foto internet) proprio il Comandante dell’U-Boot 5 autore dell’affondamento del Leon Gambetta. Malgrado la sua tragicità l’evento rimane pressoché sconosciuto a causa di altri accadimenti ben più tragici che catturano l’attenzione dell’opinione pubblica come l’affondamento del Lusitania (7 maggio 1915) con le sue 1.400 vittime e la sanguinosa sconfitta militare inglese dei Dardanelli. L’intera storia merita di essere raccontata anche perché ancora una volta rimase sconosciuto ai molti il coraggio, l’altruismo e l’accoglienza delle popolazioni Salentine (quelle stesse che tra qualche mese saranno coinvolte anche nell’esodo dell’esercito Serbo).

    La storia
    Siamo nella primavera del 1915, l’Italia con l’annuncio della sua neutralità ha già rinunciato a rinnovare il patto della Triplice Alleanza, anzi ad aprile ha, segretamente, sottoscrive un patto con l’Intesa che la vincola ad entrare in guerra entro un mese. In previsione di questo evento la Francia invia una squadra navale composta da quattro incrociatori corazzati (tra cui il Leon Gambetta) per chiudere l’Adriatico ed interdire alla Marina Imperiale Austriaca ogni tentativo di uscita dall’antico Golfo di Venezia. La linea di pattugliamento si sviluppa sulla congiungente Santa Maria di Leuca- Othoni (meridiano 18°22’N).
    Dal canto suo anche la Marina Imperiale vuole assumere il controllo del Basso Adriatico e operativamente lo fa in forma occulta facendo operare in zona degli U Boote con il compito di attaccare e segnalare le unità nemiche in entrata nell’Adriatico. Tecnologicamente i sommergibili hanno un enorme vantaggio rispetto alle navi di superficie che non dispongono di apparati idonei alla scoperta dei battelli quando in immersione.
    È in questo quadro generale che avviene l’incontro/scontro tra il Leon Gambetta e l’U-Boot 5.È la notte tra il 26 ed il 27 aprile l’incrociatore, comandato dal Capitano di Vascello Georges Henri André e avendo a bordo il Contrammiraglio Victor Baptistin Sénès, Comandante la piccola squadra navale, è in pattugliamento. A mezzanotte (circa) il piccolo sommergibile austriaco (16 uomini di equipaggio più il Comandante), uscito da Cattaro in Montenegro due giorni prima, emerge per ricaricare le batterie. Favorito dal chiarore lunare (la luna è già transitata allo zenith e mancano appena tre giorni al plenilunio) il sommergibile vede all’orizzonte la sagoma imponente della nave nemica. Rapidamente il Comandante von Trapp decide di attaccare; si immerge e quando a quota periscopio (8 mt sotto il pelo dell’acqua) riavvista il Gambetta lancia una coppiola di siluri in rapida successione. Il primo siluro perfora la corazza, penetra nello scafo colpendo la sala macchine e la centrale elettrica mentre il secondo esplose subito dietro il ponte principale. La “Léon Gambetta” si inclina immediatamente di 15 gradi sul lato di sinistra. La nave è ferma e inclinata e al buio si trova, quindi, nell’impossibilità di lanciare l’SOS come anche di mettere a mare le scialuppe di salvataggio. L’incendio divampa per tutto lo scafo i superstiti parlano di scene da inferno dantesco; altri asseriscono di aver visto tra i bagliori delle fiamme il piccolo U 5 a qualche centinaio di metri con in torretta il Comandante che osserva impassibile l’agonia dell’incrociatore (a fine guerra Von Trapp dichiarerà, invece, di essersi rapidamente allontanato, in immersione, dalla zona quando si era reso conto che la nave affondava).Una sola scialuppa rimase a galla e su questa imbarcarono un centinaio di naufraghi che diressero verso la costa salentina; alle 08.30 quando in vista della costa venne presa a rimorchio da alcune imbarcazioni di pescatori e trainata fino all’approdo di S.M. di Leuca. La notizia dell’affondamento fu immediatamente trasmessa dal Capo posto della postazione semaforica di Leuca, C° Sandri, al Comando Marina di Brindisi ed all’Ammiragliato di Taranto. Da Brindisi il comandante della Base fece uscire in soccorso due torpediniere, la PN 33 (*) comandata dal Gualtieri Gorleri e la PN 36(*) comandata da Enrico Viale, queste a 24 nodi diressero sul punto del siluramento dove giunsero alle 13,20. Alla fine la 33 salvò 26 naufraghi e 12 la 36. Da Taranto l’Amm. Cerri fece uscire la 2a Squadra di cacciatorpediniere (Impavido, Indomito, Intrepido, Irrequieto, Impetuoso ed Insidoso) al comando del C.V. Orsini (su Nave Impavido) per raggiungere il luogo del disastro con viveri, coperte e medicinali.
    La sera del 27 aprile, quando le operazioni di salvataggio furono ultimate si contarono 58 corpi senza vita recuperati, 137 sopravvissuti dei quali 108 imbarcati sulla scialuppa di salvataggio, 27 salvati dalle PN (secondo alcune fonti 26) e 2 dal CT Indomito. I dispersi furono considerati 533, ma il giorno dopo salirono a 684 tra cui il Comandante André, il Contrammiraglio Sénès e molti ufficiali che non avevano abbandonato la nave.
    L’incertezza nella conta dei sopravvissuti che assegna 26 salvataggi al posto di 27 alle due torpediniere, dà ampio credito ai racconti dei pescatori anziani del mio paese secondo cui la scialuppa di salvataggio venne rimorchiata in porto dalle imbarcazioni più piccole mentre le quattro più grandi (a 8/10 vogatori) che la notte erano state impegnate nella pesca alle sardine con la rete grande (in salentino chiamata “la chiance” , in italiano rete a cianciolo da circuizione) diressero a remi verso il largo nella direzione del punto d’affondamento della Leon Gambetta alla ricerca di altri naufraghi (ovviamente non sapevano che stavano arrivando in zona anche le navi militari). Raccontavano d’aver salvato qualche marinaio oltre ad aver recuperato dei corpi senza vita(**).
    I 26 o 27 recuperati dalle torpediniere furono sbarcati a Brindisi accolti dalla popolazione con vini pregiati, sigari, sigarette, frutta e una cesta di fiori composta con i colori francesi e italiani.
    Il Console Francese raccontava che quando giunse a Leuca le 58 vittime recuperate erano state tutte identificate e composte nel cimitero di Castrignano del capo e che le Autorità locali già pensavano di dedicare loro un monumento commemorativo.
    I sopravvissuti furono trasferiti a Siracusa e “internati” (l’Italia era ancora formalmente neutrale ed a Siracusa era presente una forte colonia di tedeschi fortemente gallofobi al punto che si era anche pensato in una parte attiva alla vicenda essendo stato notato qualche giorno prima un sommergibile in acque siciliane.
    Qualche settimana dopo l’Italia entrò in guerra sicchè i naufraghi del Leon Gambetta il 30 maggio furono portati a Malta da dove vennero rimpatriati.

    Incrociatore corazzato “Leon GAMBETTA” (dall’articolo di Francesco Liguori)
    Varato il 26 ottobre 1902 nell’Arsenale di Brest, entrò in servizio nel luglio 1905. La nave dislocava 11.959 t., era lunga 146,5 m. e larga 21,4 m. con un pescaggio di 8,41 m. La propulsione era affidata a 3 motori a vapore per un totale di 28.500 hp. che le consentivano una velocità massima di 22,5 nodi e un’autonomia di 6.600 miglia nautiche a 10 nodi. L’armamento era costituito da 4 cannoni da 194/40 mm (su due torri binate), 16 cannoni da 165/45 mm (su quattro torri singole e sei binate), 24 cannoni da 47/40 mm (in impianti singoli), 2 cannoni da 37/20 mm (in impianti singoli), 2 tubi lanciasiluri da 450 mm (sommersi). La corazzatura variava dai 200 mm. della torre principale e del torrione di comando, ai 150 mm. Della cintura e ai 35 mm. del ponte.

    Il comandante Georg Ludwig von Trapp
    Georg Ludwig von Trapp nacque a Zara in Dalmazia, allora parte dell’Impero austro-
ungarico, il 4 aprile 1880. Figlio di August, ufficiale della marina austriaca, Georg seguì
le orme del padre ed entrò nell’accademia navale di Fiume, da dove uscì col grado di
Cadetto di II classe. Dopo numerosi imbarchi, von Trapp entrò nella U-Boot Waffe
dell’Imperial-Regia Marina col grado di Tenente di vascello. Il 22 aprile 1915 egli prese
il comando dell’U-5, con cui, cinque giorni dopo, affondò la “Léon Gambetta”. Ad agosto
fu la volta del sottomarino italiano “Nereide”, nei pressi dell’isola di Pelagosa. Alla fine
del conflitto, von Trapp aveva sostenuto ben 19 scontri navali, aveva affondato 2 navi da
guerra e 11 navi mercantili . Nel maggio del 1918, col grado di Capitano di corvetta, gli
venne affidato il comando della base dei sottomarini alle Bocche di Cattaro. Finita la
guerra, poiché nato a Zara, gli venne automaticamente concessa la nazionalità italiana. Si
trasferì quindi a Salisburgo e, alla vigilia dell’annessione dell’Austria al III Reich, con la sua numerosa famiglia passò in Italia (non in Svizzera come si è raccontato) e dall’Italia emigrò negli Stati Uniti. Morì a Stowe (USA) il 30 maggio.

    La stessa azione vista da parte austriaca
    (Tratta dal sito dell’Associazione legittimista Trono e Altare)

    La nave comparve al punto ed al momento previsto, 15 miglia al largo di Santa Maria di Leuca. Affondò in pochi minuti e quasi 700 uomini d’equipaggio non si salvarono.
L’azione non fece riflettere i francesi che non si fanno guerre in casa d’altri; a questo iniziarono a pensare solo dopo Dien Bien Phu. Tuttavia questo affondamento, unito al siluramento della corazzata Jean d’Arc, li fece sospendere le crociere nel medio ed alto adriatico, gli fece anche abbassare le line di pattugliamento.
    L’ultima azione che tentarono, fu di invadere il porto di Pola con un loro sommergibile, che tuttavia fu catturato, affondato, ripescato e messo agli ordini proprio di von Trapp con il nome di U 14.
Era una carretta indegna, i tedeschi si stupirono di come riuscisse a navigare e l’ammiraglio Haus aveva detto durante i lavori di riattamento, che quello era il suo Schmerzenkind (la pecora nera di casa).
Tuttavia era grande, veloce, poteva sostenere lunghe crociere, sostenere un cannone quasi come quello dei tedeschi e portava parecchi siluri: fu il nostro sommergibile che affondò più navi.
Noi iniziammo la guerra con 4 sommergibili funzionanti, piccole e vecchie carrette dei mari che asfissiavano ed avvelenavano i nostri equipaggi. Erano lenti e portavano solo due siluri; niente cannoni per un lungo periodo, i più vecchi avevano cannoncini da 3,7 cm le quali patrone rimbalzavano sulle lamiere dei vapori nemici.
Gli altri portarono in Adriatico quasi un centinaio di sommergili; l’Italia iniziò con oltre 40 di cui oltre metà in adriatico e terminò il conflitto con quasi 90. La Francia impegnò in Adriatico una ventina di grandi sommergibili, la Gran Bretagna una decina che stazionarono a Venezia.
I soccorsi tedeschi iniziarono ad arrivare nel maggio del 1915, dopo 10 mesi di guerra contro due potenze marittime, ma furono poco impiegati in Adriatico a parte le missioni di addestramento e la posa di mine da parte di un paio dei loro più piccoli UC.
I tedeschi invece, usavano l’Adriatico per uscire in mediterraneo, dove affondarono un numero incredibile di vecchie corazzate anglo francesi della flotta da sbarco nei Dardanelli, oltre ad affondare oltre 5 milioni di tonnellate di naviglio commerciale praticamente da soli e mettere in seria crisi di rifornimenti, la GB.
Oltre a questo, i tedeschi ci fornirono di alcuni sommergibili piccoli ma più affidabili, in cambio di alcuni nostri che avevano sequestrato nei cantieri germanici. E la nostra piccola flotta di sommergibili scalcinati, che non riuscì mai a tenerne in mare una decina contemporaneamente, vinse alla grande il confronto scacciando i francesi, tenendo alla larga i britannici e scacciando pure gli italiani, che dopo la perdita di due incrociatori corazzati e di una corazzata ad opera dei sommergibili, rinunciarono ad aggredire le nostre coste e tennero le grandi navi in porto.

    Davide contro Golia… i nostri ufficiali ed i nostri equipaggi avevano una selezione ed un addestramento fenomenali, che li fecero ammirare addirittura dai britannici, da sempre incontrastati signori del mare.
    (*) Entrambe costruite a Napoli presso i Cantieri Navali Pattison.
    (**) Per uno strano scherzo del destino uno di questi pescatori partecipò anche al recupero del Cte e dei 17 superstiti del Smg. Pietro Micca attaccato ed affondato il 29 luglio 1943 dal smg. inglese Trooper a 3 miglia da Santa Maria di Leuca.

    dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2015/04/26-4-2015-a-castrignano-del-capo-celebrazioni-centenario-affondamento-incrociatore-leon-gambetta/

    RIEPILOGO FOTOGRAFICO A CURA A.N.M.I. Castrignano del Capo

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    27.4.1915, la regia torpediniera costiera 33 PN salva i naufraghi del Leon Gambetta

    di Carlo Di Nitto

    Questa torpediniera, classe PN – 1a. serie (39 unità), dislocava 140 tonnellate a pieno carico e raggiungeva la velocità di 27 nodi. Era stata realizzata su un progetto elaborato dai cantieri Pattison di Napoli dove era stata varata il 2 maggio 1913; entrò in servizio il 12 luglio dello stesso anno. Nell’ottobre successivo, facendo base a La Spezia, in occasione delle elezioni politiche fu adibita al trasporto degli elettori fra Livorno e le isole dell’arcipelago toscano.
    Nel 1914, dopo essere stata brevemente a disposizione dell’Accademia Navale ed aver partecipato alle manifestazioni aviatorie di San Remo, venne inviata a Taranto e poi a Brindisi per la ricerca di mine vaganti lungo le coste albanesi.
    Il 27 aprile 1915 salvò 25 naufraghi dell’incrociatore francese “Léon Gambetta” che era stato silurato dal sommergibile austro – ungarico U 5 a sud di Santa Maria di Leuca perdendo 684 Marinai.
    Durante la Grande Guerra, sempre di base a Brindisi, effettuò numerose ed importanti missioni di scorta nel Canale di Otranto e lungo le coste albanesi. Al termine delle ostilità operò in missioni di dragaggio lungo le coste pugliesi fino al mese di giugno 1920. Divenne quindi stazionaria per circa un anno in acque albanesi.

    Il 1° luglio 1921 fu riclassificata “Torpediniera” e rientrò a Brindisi dove rimase inattiva. Rimorchiata a Taranto, vi rimase in disponibilità per circa due anni.
    Dal 1924 al 1927 effettuò diverse esercitazioni con altre siluranti del 2° Gruppo.
    Rimase quindi inattiva a Taranto in attesa della radiazione, avvenuta il 1° febbraio 1931.
    ONORE AI CADUTI SOTTO OGNI BANDIERA.