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Ottavio Battista (Mola di Bari, 28.10.1915 – Mare, 13.12.1941)

di Associazione “il Mondo Solidale”

… e la regia nave Alberico da Barbiano.

Ottavia Battista era un marinaio caduto durante la Seconda Guerra Mondiale  nato a Mola di Bari il 28 ottobre 1915. E’ stato imbarcato sul regio incrociatore leggero Alberico da Barbiano affondato durante la Seconda Guerra Mondiale, nella Battaglia di Capo Bon il 13 dicembre 1941. Aveva 26 anni.
L’Alberico da Barbiano era un incrociatore leggero della classe Alberto di Giussano della Regia Marina, battezzato in onore del cavaliere e capitano di ventura del XV secolo Alberico da Barbiano.

Caratteristiche tecniche
Dislocamento 6.954 tonnellate a pieno carico
Lunghezza: 160 mt.
Larghezza: 15,5 mt.
2 eliche. Potenza: 95.000 HP
Velocità: 37 nodi
Combustibile: 1.250 t di nafta
Autonomia: 3800 miglia a 16 nodi
Era armato da:
8 cannoni da 152/53 mm.
6 cannoni da 100/47 mm
2 mitragliere da 40/39 mm.
8 mitragliere da 13,2 mm.
4 tubi lanciasiluri da 533 mm.
2 aeroplani
Equipaggio: 507

Ottavio Battista era un marinaio imbarcato su  questo incrociatore che trovò la morte, insieme ad altri 534 Caduti, per l’affondamento della nave da parte di 4 navi inglesi.
Il 12 dicembre 1941 l’incrociatore Alberico da Barbiano lasciò il porto di Palermo insieme alla nave gemella Alberto di Giussano per trasportare rifornimenti urgenti di carburante per aerei da Palermo a Tripoli.
Venne intercettato al largo di Capo Bon da quattro cacciatorpediniere nemici (i britannici Sikh, Legion e Maori e l’olandese Hr. Ms. Isaac Sweers).

 

Prima di avere il tempo di reagire (solo poche mitragliere poterono aprire il fuoco), la nave, centrata da almeno tre siluri lanciati dal Sikh, dal Legion e dal Maori, e da varie cannonate, s’incendiò all’istante, senza scampo per chi si trovava sottocoperta.

Fuori controllo, la nave italiana andò alla deriva scosso da varie esplosioni, e affondò, capovolgendosi, alle 3.35 del 13 dicembre 1941, a meno di dieci minuti dall’inizio dell’attacco.
Su 784 uomini dell’equipaggio i morti furono 534, fra di loro l’ammiraglio Antonino Toscano, comandante della IV Divisione, ed il comandante della nave.
Il Cigno (nave di scorta), mancato dai siluri degli avversari, si prodigò per raccogliere i naufraghi, in condizioni disperate: sulla superficie del mare, piena di nafta, si svilupparono molti incendi, cui si aggiunsero i pescecani giunti sulla zona.

Con l’aiuto di pescatori tunisini e di un idrovolante italiano, furono recuperati 687 naufraghi, poi trasportati a Trapani.
Nella Battaglia di Capo Bon del 13 dicembre 1941 navi alleate affondarono due incrociatori italiani l’incrociatore Barbiano e il Giussano, uccidendo 817 persone. Una pagina nera, nella storia della Marina.

Ma che cosa avvenne quella notte? E perché questo scontro segnò i destini della guerra? Il 1941 fu un anno durissimo per la Marina italiana.
Il 21 ottobre 1941, la Gran Bretagna aveva inviato a Malta la “Forza K”, un gruppo di navi che affondavano sistematicamente i convogli italiani diretti alle colonie in Africa. In un solo mese, era arrivato a destinazione meno del 40% dei carichi di carburante e di armi.  Era la “guerra dei convogli”, organizzata per indebolire le forze dell’Asse in Africa. Di fronte al rischio che le truppe inglesi avanzassero in Libia, impossessandosi dello strategico porto di Bengasi, a dicembre 1941 il governo italiano aveva deciso di inviare un grosso carico di munizioni e carburante a bordo di navi veloci.
La missione fu affidata ai 2 incrociatori leggeri: l’Alberico da Barbiano e l’Alberto di Giussano. Le navi dovevano caricare viveri, materiali e armi nei porti di Brindisi e di Palermo, per poi dirigersi a Tripoli il 9 dicembre, costeggiando la Tunisia.
Ma l’operazione partiva male.
Le navi che dovevano scortare gli incrociatori (Bande Nere e Climene) erano in panne: così la scorta fu affidata alla sola torpediniera Cigno. In più non era possibile la copertura aerea da Tripoli, perché in Libia mancava il carburante per gli aerei.  Così fu deciso di caricare sui due incrociatori diverse tonnellate di benzina per aerei, ma non nelle solite lattine impiegate per il trasporto su unità da guerra, bensì in fusti, la cui tenuta non era oltretutto ermetica. I fusti furono caricati in coperta, nella zona poppiera: un carico esplosivo, che rendeva gli incrociatori vulnerabili a ogni attacco, sia aereo che navale.
In totale il carico imbarcato era di 100 tonnellate di benzina avio, 250 di gasolio, 600 di nafta e 900 di viveri, oltre a 135 militari destinati a Tripoli: un equipaggio di 1.504 persone, più 155 a bordo del Cigno.La missione era pericolosa: lo scafo degli incrociatori leggeri non era idoneo per resistere ai siluri né ai tiri d’artiglieria e l’unico loro punto di forza, la velocità (potevano toccare i 37 nodi, pari a 68,5 km/h) per risparmiare nafta in modo da poterne scaricare di più a Tripoli, fu imposta la velocità di 22 nodi (40,7 km/h).  Così, non volendo giocare la carta della velocità, si cercò in tutti i modi di tenere segreta la missione e, per evitare incontri con i ricognitori provenienti da Malta, si era decisa una rotta più a occidente delle isole Egadi.
L’arrivo a Capo Bon era previsto alle 2:00 del 13 dicembre; poi si doveva puntare alle isole Kerkennah, dove la 4a Divisione doveva incontrarsi con le torpediniere Calliope e Cantore, per essere scortata fino a Tripoli, con arrivo previsto alle 13:00.
Per proteggere la spedizione, la Marina dispose alcuni pattugliamenti aerei lungo a est e a ovest di Capo Bon.
Un ricognitore avvistò 4 cacciatorpediniere britannici a 60 miglia da Algeri, diretti a Capo Bon e i tedeschi avevano avvisato il comando italiano che di notte alcuni piroscafi inglesi avrebbero lasciato Malta per Gibilterra.
Per i caccia la Marina italiana calcolò la loro ora di passaggio a Capo Bon: ipotizzando una velocità costante a 20 nodi (quella calcolata dai ricognitori) sarebbero arrivati alle 5:00, se avessero aumentato a 28 nodi alle 3:00, un’ora dopo gli italiani. Così non fu considerato necessario annullare la missione o accelerare la velocità di navigazione. Ma l’Italia non aveva fatto i conti con il servizio di decrittazione britannico “Ultra”, in grado d’intercettare e decifrare i messaggi in codice inviati dalle forze dell’Asse con la macchina Enigma.
Gli inglesi seppero tutto nei dettagli, comprese le velocità degli incrociatori, e inviarono contro gli italiani 4 cacciatorpediniere già in rotta verso l’Egitto (Sikh, Maori, Legion e Sweers): dopo aver lasciato Algeri aumentarono la velocità a 30 nodi.
Intanto, le navi italiane (il Cigno in testa, seguito dal da Barbiano e dal di Giussano) arrivarono a Capo Bon alle 3:00 del 13 dicembre: ma la Marina non lo seppe e non ordinò di recuperare il ritardo.
Poco prima, alle 2:45, le unità italiane sentirono un rumore d’aereo: era un ricognitore della Raf di Malta, che aveva individuato le nostre navi.
La Cigno allertò il da Barbiano con i proiettori luminosi, ma lo scambio fu notato dai cacciatorpediniere britannici, che si stavano avvicinando a Capo Bon a grande velocità.
Il comandante Toscano allertò il convoglio: alle 3:20 il da Barbiano invertì la rotta mettendo le macchine alla massima forza e comunicò la manovra alle altre due navi. Il di Giussano lo seguì; il Cigno non se ne accorse e proseguì fino alle 3:25, quando invertì la rotta, restando distanziato a sud.
Sul da Barbiano intanto, l’ammiraglio ordinò di aprire il fuoco contro le navi nemiche, ormai distanti solo 300 metri.
Ma dal Sikh erano partiti 4 siluri: due colpirono il da Barbiano sulla sinistra, causando un’esplosione e un incendio. Il Legion lanciò 6 siluri, uno dei quali colpì il di Giussano.
Alle 3:26 il Maori si accanì contro il da Barbiano in fiamme, falciando il ponte di comando e lanciandogli contro due siluri, uno dei quali andò a segno.  Il da Barbiano, colpito al centro e a poppa, sbandò e affondò in 4-5 minuti, in un inferno di nafta e benzina in fiamme.
Il di Giussano, colpito da un siluro e da due granate, privo di energia per utilizzare le artiglierie, con il centro nave sconvolto dallo scoppio del siluro, sbandava sempre più.
Prima che l’incendio in sala macchine si propagasse ai fusti di benzina in coperta, il comandante ordinò di abbandonare la nave. Alle 4:42 il di Giussano si spezzò in due e affondò.
Il Cigno, mancato dai siluri degli avversari, si prodigò per raccogliere i naufraghi, in condizioni disperate: sulla superficie del mare, piena di nafta, si svilupparono molti incendi, cui si aggiunsero i pescecani giunti sulla zona. Con l’aiuto di pescatori tunisini e di un idrovolante italiano, furono recuperati 687 naufraghi, poi trasportati a Trapani: nello scontro erano morte 817 persone.

SIAMO ALLA RICERCA DI FOTO DI OTTAVIO BATTISTA

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