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Il miracolo degli arancini

di Cinzia Caminiti Nicotra

C’è una storia che sento da quando sono nata, che è corsa di bocca in bocca fra parenti e affini, che riecheggia, si tramanda di generazione in generazione, e che ancora circola, suscitando sempre curiosità e interesse. Chi fino ad oggi la va raccontando giura sia vera.

Tutto era cominciato un inverno quando la “sbinnonna Carolina”, novantaquattrenne, cominciò a soffrire di una brutta tosse che non la lasciava mai. Né speziali, né donne pratiche di decotti e rimedi, né megere erano riuscite ad alleviare quel malanno e anzi dopo pochi mesi la situazione sembrò peggiorare cosicché dalla condizione di sofferente ella passò a quella di malata grave, poi di malata ‘nfirma e quindi di moribonda.
Dalle nostre parti si dice che quando “uno resta con l’anima ‘mpinta tra li labbra” per più di tre giorni significa che “malucristianu” fu …
L’agonia della sbinnonna Carolina durava ormai da sette lunghissimi giorni e sette interminabbbili notti!!
In quel tempo, in cui oltre all’anima tutto era rimasto “‘mpinto”, cominciò in quella casa un  infinito via vai di gente: primo fra tutti ad arrivare il medico che, chiamato da Palermo, dopo averla vista e visitata e dopo aver platealmente allargato le braccia e spalancato il palmo della mano per accogliere il lauto onorario, andò via dicendo: “Chiamate il prete!” che venne, per secondo, ad ordinare che si iniziasse il viatico, a dare l’estrema unzione, ad aprire il palmo della mano per ricevere la lauta mercede per poi alla fine sentenziare: “Chiamate il sarto!”; per terza, trafelata,  la sarta venne a pigliare le misure per il sacco di Santa Rita da mettere, “quannu sarà… a Diu mali ppi cent’anni” alla SBINNONNA Carolina e dopo aver aperto il palmo dalla mano per percepire il lauto compenso, ticchitticchi, s’incamminò per andarlo a confezionare  e riportarlo “belleffatto”… da lì a cent’anni…; quindi da soli o a coppie o a gruppi arrivarono i parenti, prima quelli stretti e man mano tutti gli altri, nell’ordine: i cugini carnali, i cugini di secondo e terzo grado seguiti dai vicini (che certe volte sono meglio dei parenti), per ultimi “quelli” del quartiere e i semplici conoscenti…
Alla fine dei sette giorni l’aria in quella stanza era assolutamente irrespirabbbile e il mesto vocio misto al costante  piagnisteo francamente insopportabbbile..:
– “e dieci milia e centu e ludamu u Sacramentu e sempri sia ludatu Nostru Diu Sacramintatu…
– e vinti milia e centu e ludamu u Sacramentu e sempri sia ludatu Nostru Diu Sacramintatu…
– e trenta milia e centu……”, le cinque poste del rosario della buona morte venivano recitate di continuo e orde di donne si davano il cambio per non farlo mai mancare;
e quando le campane suonavano a viatico (a botta di trentatré rintocchi alla volta) tutte si chinavano a baciare con le mani il terreno per tre volte in modo da ottenere sì una “Santa morti curta e netta” ma anche le indulgenze necessarie al trapasso;
e inoltre qualcuno a turno stava sempre fuori dalla porta ad ascoltare i buoni e i cattivi presagi per andarli subito dopo a riferire al gruppo di preghiera che, a seconda dei casi, rincarava o diminuiva l’enfasi delle giaculatorie;
e si badava di mantenere altresì sempre accese le fiammelle dei nove ceri, benedetti il giorno della Candelora,  per ottenere una buona agonia;
e la finestra socchiusa per permettere all’armuzza, quando sarebbe venuto il momento, di volarsene via;
e questo e quello e quell’altro, non si sapeva più che fare….

Contrariamente, però, a quello che si fa in questi casi parlando del “chiù mortu ca vivu”, lodandone virtù, pregi e meriti, l’unica cosa sulla quale si stendeva un velo pietoso erano le doti e le qualità della congiunta e all’enunciazioni di queste si preferiva il silenzio.
Per il resto tutto era pronto: le candele comprate, i fiori ordinati, le prefiche avvisate, la chiesa prenotata, la roba del lutto di ogni componente della famiglia lavata e stirata…
Insomma in quella casa, oramai,  non s’aspettava altro che la Morte.
La nonna Vincenzina, una delle quattro nuore di quella che era stata una trista, cattiva, pessima, malvagia, infida, tremenda, mala-suocera, era lì da sette giorni e sette notti a preparare caffè e limonate per tutti, a scaldare acqua e pezzuole per l’inferma, ad accogliere le visite e a ringraziare gli intervenuti, in sostanza a prendersi, come sempre aveva fatto in vita sua, cura di tutti e di tutto e mai come in questo caso si sarebbe potuto dire: dei vivi e dei morti anzi dei mezzi vivi e dei mezzi morti.
Fu all’alba dell’ottavo giorno, quando tutto pareva stesse volgendo per il meglio (o per il peggio?) cioè quando “la fine” sembrava stesse sopraggiungendo in maniera serena e sottoforma di  un sonno leggero ed eterno, che sbinnona Carolina, dopo aver dato tre terribbbili colpi di reni ed essere sobbalzata almeno di due palmi dal letto, aver rivoltato le orbite fin dietro la nuca, aver afferrato con tutta la forza che aveva in corpo la mano del suo primogenito, cominciò a farfugliare qualcosa in  modo incomprensibbbile: “Silenziu, muti!!! a mamà sta parrannu!” disse terrorizzato il figlio secondogenito e dopo una pausa lunghissima lunghissima  lunghissima  con un filo di voce  e  con quel poco di fiato rimastole la sbinnonna Carolina così parlò:
– MI MANCIASSI DU’ ARANCINI!!!

Il pubblico numerosissimo andò in delirio e sospiri di meraviglia giunsero da ogni dove fino a che il terzogenito disse al quartogenito: “Curri, vai ‘a ccattari du’ arancini e mi raccumannu, i megghiu ca cci su’!”
Pausa.
Silenzio,
… e la sbinnonna Carolina, alzando il braccino secco secco, con la voce sempre più flebile e tremula così continuò a parlare:
– NO! CHIDDI DI VICINZINA VOGGHIU!!! e risocchiuse gli occhi.

La nonna Vincenzina quasi svenne sentendosi investita da tanta responsabilità ma si trattava di esaudire l’ultimo desiderio di una malata “chiù di ddà ca di ccà” e bisognava fare in fretta.
“Caminati ccu mia!” disse alle cognate portandole con sé in cucina. Tutte si sbracciarono e, affaccendate, si diedero da fare: chi mondava piselli, chi spellava cipolle, chi le affettava, chi tagliuzzava la carne, chi andava a prendere il riso, chi l’estratto di pomodoro per preparare il sugo, chi lo zafferano, chi il cacio cavallo…
Finalmente la nonna Vincenzina, avendo tutto l’occorrente lì sul suo tavolo, poteva preparare gli arancini per la SBINNONNA Carolina che, anche se non se li meritava affatto, andava, in quel momento di tregenda e prima di esalare l’ultimo respiro, rispettata, accontentata e forse anche perdonata.
Così mia nonna, grande cuore, preparò i suoi magnifici arancini e quando furono pronti li adagiò su di un vassoio e li portò ancora fumanti alla suocera che nel frattempo qualcuno aveva messo a sedere nel mezzo del letto.
Debitamente “bardata” di bavaglino, la vecchia venne dapprima imboccata e mangiò il primo arancino piano piano, poi passò al secondo addentandolo da sola e con grande avidità, quindi dopo aver accettato un sorso d’acqua reclinò il capo e s’addormentò serena sotto lo sguardo attonito dei presenti.
Pareva aver ripreso pure colore e il suo viso, che fino a quel momento assomigliava a un limone rancido e rattrappito, adesso era roseo e disteso…
– “Mah!?!” dicevano alcuni astanti
– “Daveru Mah!?!” ribattevano gli altri passandole davanti,”
– “Datini notizii, bonanotti!”e ancora increduli si congedavano…
– “Bonanotti!” e la casa in tempo niente si svuotò e finalmente ritornò silenziosa e quieta.
La sbinnonna Carolina da quel giorno non si alzò più dal letto e visse servita e riverita dettando leggi, comandando a bacchetta figli, nuore, nipoti, sparando sentenze, sparlando ora questa e ora quell’altra, ingiuriando, accusando e maledicendo chi solo le si avvicinava come sempre aveva fatto in tutta la sua grama vita.
Passarono così altri quattro inesauribbbili anni prima che l’Angelo della Morte se la venisse a prendere nel sonno… ma questa volta, vestito presto presto col sacco di Santa Rita il cadavere, smontato in fretta il cataletto, qualche breve rintocco di campane a morto, un rèpito moderato, un composto accompagnamento della morta al camposanto, un visito di soli tre giorni e ci si dimenticò quasi subito e poco si soffrì per la perdita di quella che era stata un’intollerabbbile persona.
Quello che non si volle né si  poté mai dimenticare fu il MIRACOLO DEGLI ARANCINI e spesso negli anni a venire capitò che qualche congiunto disperato venisse a chiederne la ricetta a mia nonna e lei, dopo un primo momento di imbarazzo e di ritrosia, grazie alla sua proverbiale generosità gliene faceva volentieri dono non senza però aver prima raccomandato che in CERTUNI CASI la somministrazione di un arancino ad un moribondo avrebbe potuto dare esiti funesti se non addirittura  essere FATALE…
Tuttavia, considerate le sempre più frequenti richieste, un bel giorno mia nonna comprò un calepino, si munì di penna e calamaio e si adoperò per  scrivere a mano cento e cento volte quella che, secondo alcuni, era la ricetta miracolosa per eccellenza,  una di quelle capaci di far resuscitare i morti!!!!
Questo è un fogliettino che ho trovato, qualche tempo dopo che mia nonna ci lasciò, dentro uno scrigno insieme a dei petali di viole ancora profumati.
Che Dio ti abbia in gloria, nonnina.

18 commenti

  • Daniela Campione

    E la chicca della frase aggiunta alla fine della ricetta: – Il perdono fa più bene a chi lo da che a chi lo riceve … saggezza infinita, quanto mi piace nonna Vicenzina e come sei brava a raccontare Cinzia…

  • Alfano Catia

    Grazie Cinzia ! Ricordi preziosissimi che tu condividi con noi. Sembra di sbirciare nel tempo passato,quel tempo che conserva le cose belle e buone ,ma che purtroppo non ritorna più, se non nelle nostre belle testimonianze

  • Giuseppe Lazzaro Danzuso

    Un gioco di fuoco è, questo racconto: sei bravissima! Ora però vulemu l’arancini!

  • Ezio Vinciguerra

    Mink…che nostalgia e che profumo. Qui li pago a 2 euro e mi viene il dubbio che siano anche made in china. Cinzia raccogli tutto e mi aspetto grandi cose da te. Preparati anche a farmi degustare la sua zuppa di fagioli. Sono sfacciato? Si…italiani, greci una faccia una razza e una panza (D.Abatantuono – Mediterraneo)

  • Salvatore Spoto

    E’ una storia bellissima, dire magica è poco! A proposito, un paio di giorni fa, nella piazza sotto casa mia, a Roma, è spuntato un nuovo locale. E’ catanese, fanno arancini, messicani, cipolline, cannoli etc. Cercano cose catanesi particolari da mettere in mostra. Posso dare una “strisciata” (gergo giornalistico) di questo scritto da mettere esposto? Sinceramente mi ha toccato il cuore per la delicatezza della scrittura, al tempo stesso incisiva. Cinzia, se io sono nato nella casa di Angelo Musco, in via Garibaldi, tu sei sicuramente nata appressu a porta, in quel cortile “Gallinaccio” dove visse un certo poeta…chi? E’ iniutile che te lo dico…m’affruntu ccu ttia..ma fu un grande poeta che interpretò la città mia….
    Complimenti!

  • Cinzia Caminiti Nicotra

    Grazie, grazie, grazie!!!! Daniela che sensibilità…. sei riuscita a scovarla la chicca, ci speravo proprio…. eh certo che ti piace la nonna Vincenzina… Lei è tutte le “grandi donne” Mela, copiala pure e falli assaggiare ai vivi che mi sa che gli arancini di mia nonna allungano la vita…. grazie pure per le condivisioni.: ..certo Lucia che puoi condividerla e certo Salvatore che puoi portarla al tuo amico arancinaro, sarebbe un onore per me. Non t’affruntari ccu mia…. la mia “cultura” non è alla tua altezza…. GiuseppeLazzaro Danzuso

  • Cinzia Caminiti Nicotra

    (continua)Giuseppelazzarodanzuso grazie per l’apprezzamento ma chi è, stai strasicannu? (ti piace il termine?) ca voi l’arancini? prestu prestu ti nni mannu dui…. Mela semmai farò delle degustazioni ti prometto che insieme al mio amico Giuseppe sarete i primi ad essere invitati, come Giusy, Licia, Giselda….. Caterina, le “nostre” (mie e anche tue)tesimonianze aiutano a conservare un passato che non deve essere dimenticato pena un incerto e squallido futuro…. Ezio, Amico mio, marinaio di poppa ti aspetto io e ti aspetta la mia zuppa. w gli uomini di panza!!!!Marella, grazie, mi è caro il tuo commento, non sai quanto…. Antonella, grazie a te, l’ho

  • Cinzia Caminiti Nicotra

    ‎(continua) l’ho visto oggi il tuo stato: è stata un’iniezione di autostima per me,,,, Melania, amica mia tenerissima,, grazie per le tue parole, le accetto volentieri, so che sono sincere come il tuo affetto per me. Ti abbraccio anch’io. Dany che dire? ne hai fatto dei piccoli regali da condividere con le persone che ami…. E grazie sempre e soprattutto alla nonna Vincenzina e perchè no, anche a SBINNONNA Carolina (pace all’anima sua)

  • Dino Stornello

    Cara Cinzia, sei una fonte inesauribile…. aneddoti, testimonianze, ricette, canti popolari, di tutto di più!!

  • stefania

    oh sapessi! per molti anni la mia famiglia ha avuto tra l’altro una rosticceria in quel di messina e gli arancini… beh! mi hai fatto tornare indietro con gli anni! GRAZIE! 🙂

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