• Attualità,  Curiosità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    Zonderwater 18 gennaio 1945, DICHIARAZIONE DI FEDELTA’

    di Marino Miccoli

    Marino-Miccoli-2014-per-www.lavoce-delmarinaio.com_2Zonderwater è una vasta area situata a circa 40 km Nord Est dalla città di Pretoria ed è vicina alle note miniere di diamanti del Cullinan, nel Sud-Africa. L’altopiano (1500 mt. s.l.m.) in cui si trova è incluso nella Provincia del Transvaal. Nel 1941 è stato realizzato un grande campo di prigionia, suddiviso in blocchi, dove sono stati raccolti moltissimi prigionieri di guerra italiani e tedeschi. Dalle navi mercantili dove erano stati stivati, i prigionieri erano sbarcati nel porto di Durban; da qui in treno in due giorni di viaggio arrivavano a Zonderwater. I primi prigionieri italiani arrivarono alla fine dell’inverno del 1941 e tra questi vi era mio padre Antonio Miccoli (maresciallo capo-cannoniere stereotelemetrista della Regia Marina, uno dei pochi sopravvissuti all’affondamento del Regio Incrociatore Fiume, avvenuto a largo di Capo Matapan – Grecia- nella tragica notte del 28 marzo 1941). Egli era stato prima internato in un campo di prigionia ad Alessandria d’Egitto, laddove dopo aver subito un primo interrogatorio gli fu assegnato il numero di matricola: n. 123415.
    ingresso-cimitero-italiano-Zonderwater-CopiaZonderwater, che in lingua Afrikaans significa senza acqua (anche se in realtà l’acqua era presente e abbondante nel sottosuolo), è una località costituita da una pianura arida con alcune ondulazioni. La flora è rada e bassa. L’orizzonte è costituito da modeste colline. La vasta zona riservata ai prigionieri (dall’aprile del 1941 al marzo del 1947 furono accolti nel campo più di 100.000 prigionieri italiani) era situata da un lato sulle colline e dall’altro si apriva verso il piano. Il clima è quello continentale del nord est del Sud Africa. Possiamo affermare che le stagioni sono essenzialmente due: estate e inverno. L’estate va da novembre ad aprile e l’inverno da maggio a ottobre. Il vento regna, anzi impera nella zona di Zonderwater: infatti le tempeste di sabbia, le trombe d’aria fanno volare tetti, coperture, lamiere, tende, staccionate e recinzioni; i venti hanno una forza e un’intensità tale da “togliere il fiato”. Dopo il vento arrivano quasi sempre i temporali e con essi i fulmini. Sì, quei tremendi fulmini di cui mio padre (che fu detenuto a Zonderwater dall’aprile del 1941 al maggio 1946) aveva un terrificante ricordo. Infatti egli narrava che:

    – “Le tende erano fatte a forma di cono. In ogni tenda eravamo in otto prigionieri; si dormiva distesi sul terreno con i piedi rivolti al palo di sostegno e la testa verso l’esterno. A Zonderwater i fulmini erano un concreto pericolo per le persone… al tempo della tendopoli, dal 1941 al 1943 (a partire dalla fine di questo ultimo anno si iniziò la costruzione delle prime baracche), le punte dei pali di ferro che reggevano le tende si trasformavano in vere e proprie calamite per i fulmini; così i prigionieri che si trovavano a contatto o vicino ai pali metallici morivano fulminati”.

    Lapide-Caduti-Italiani-ZONDERWATER-CopiaEgli riferiva che a decine i prigionieri italiani rimanevano vittime dei numerosi fulmini che si scatenavano durante i temporali, forse a causa di una composizione particolarmente ferrosa del suolo, e ogni temporale era vissuto da loro con terrore. A testimonianza di quanto sopra, a Zonderwater per commemorare i non pochi prigionieri folgorati è stato poi edificato un monumento che è possibile visitare ancora oggi, così come il cimitero dei prigionieri italiani.
    Ma torniamo alla narrazione di mio padre sulla sua vita in prigionia; i prigionieri si dividevano fondamentalmente in tre “fazioni”:

    1) “irriducibili”
    ovvero i prigionieri fascisti convinti e memori delle cruente battaglie sostenute per difendere le colonie, i quali minacciavano e mettevano in atto azioni punitive contro quei traditori che collaboravano con gli inglesi.

    2) “non cooperatori”
    che non erano fascisti, ma militari delle varie armi, che non intendevano lavorare per il nemico. Questi credevano che collaborare significava dare segno di anti italianità e di slealtà al Re e alla Patria.

    3) “cooperatori”
    che aspiravano alla libertà, anche se parziale; essi volevano migliorare la loro difficile condizione di vita e pertanto acconsentivano ad andare a lavorare per molti datori di lavoro sudafricani, soprattutto nelle varie fattorie del Transvaal. Qui si fecero notare ed apprezzare per la loro perizia nell’edilizia e nella costruzione di strade. Ma al loro rientro nel campo di prigionia, dopo un periodo di lavoro all’esterno, i “cooperatori” venivano accolti malamente, subivano ceffoni ed erano sottoposti alla cosiddetta «coperta», una punizione corporale solitamente inflitta loro di sorpresa da un gruppo di prigionieri.

    marinaio-Polimeno-Giuseppe-Prigioniero-a-Zonderwater-per-gentile-concessione-Marino-Miccoli-a-www.lavocedelmarinaio.com-Copia

    Mio padre non mi ha mai detto a quale di questi tre gruppi di prigionieri appartenesse ma, avendolo conosciuto, mi sento di affermare che era un prigioniero tra i tanti “non cooperatori”. Ciò anche in considerazione del fatto che a causa delle sue conoscenze tecniche riguardanti il telemetro italiano e del suo reiterato diniego a rivelarne l’esatto funzionamento, fu più volte maltrattato dagli inglesi. Collaborò con un prigioniero di cognome Santoro ed altri per la realizzazione di un cimitero dove poter dare una degna sepoltura agli internati che morivano nei vari blocchi del campo di Zonderwater.

    – “Un cucchiaio di lenticchie in poca brodaglia” questo egli riferiva essere il suo pasto nel campo di prigionia… sì, i prigionieri italiani con e come lui provavano la fame, una maledetta fame tanto che mia madre afferma che nei primi tempi della sua liberazione, quando nell’estate del 1946 fu rimpatriato e reintegrato nella neonata Marina Militare, mio padre pesava 46 kg. e non riusciva a domare l’istinto di afferrare nel pugno le mosche che gli svolazzavano vicino per portarsele alla bocca. Passò un po’ di tempo prima che egli riuscisse a trattenersi da simile abitudine evidentemente acquisita durante la prigionia per sopravvivere; non vi nascondo che oggi anch’io, nel rinnovare il ricordo di quei tristi avvenimenti, provo sincera commozione.
    Delle vicende di guerra e delle vicissitudini della prigionia egli scrisse un diario, che purtroppo gli fu requisito a Napoli, il giorno del rimpatrio, nel maggio 1946. Ciò era inspiegabile per mio padre perché gl’inglesi erano a conoscenza del fatto che egli ne possedeva uno e consapevolmente gli permisero di tenerlo fino al termine della prigionia.
    Il maresciallo Antonio Miccoli fu pluridecorato e nominato Cavaliere al Merito nel 1959 dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi; si congedò il 28 marzo 1962 con il grado di sottotenente del C.E.M.M..
    A conclusione di questo mio modesto ricordo scritto riguardante i 5 anni e 2 mesi di prigionia di mio padre, allego l’immagine di un raro documento: si tratta della DICHIARAZIONE DI FEDELTA’ che gl’inglesi gli fecero sottoscrivere il 18 gennaio 1945, quasi un anno e mezzo prima della sua liberazione che avvenne con il rimpatrio a MARIDEPO Napoli il 20 maggio 1946. In essa si richiedeva l’impegno e la collaborazione con gli Alleati nel combattere contro il comune nemico: la Germania.
    Desidero inoltre qui riportare un significativo brano del discorso tenuto dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi quando si recò in visita di Stato in Sud-Africa e rese omaggio ai Caduti al Sacrario Militare di Zonderwater, il 15 marzo 2002:

    dichiarazione-di-fedeltà-Copia-n-per-gentile-concessione-Marino-Miccoli-a-www.lavocedelmarinaio.com_

    “ […] Non devono dimenticare, specie i più giovani, chi si è sacrificato per la Patria ovunque, in guerra e in pace; chi è caduto; chi ha vissuto in prigionia lunghi anni della più bella stagione della vita e che, tornato, ha ricostruito l’Italia in un’Europa concorde e unitaria […]”

    Sento il dovere di ricordare inoltre alcuni dei nomi di coloro (conterranei e commilitoni) che condivisero con mio padre la drammatica esperienza della prigionia: Giuseppe Salvatore Polimeno (mio zio), Donato Carlo, Antonio Corvaglia, Luigi Cutrino, Attilio Rini, tutti militari originari di Spongano (LE).
    Mi inchino riverente dinanzi al sacrificio di tutti prigionieri di guerra morti durante la prigionia, tra stenti e indescrivibili patimenti, lontano dalla loro Patria e dalle amate famiglie; onoro la loro memoria e mi auguro che mai più, ripeto mai più l’umanità debba patire simili sofferenze a causa di quell’assurda follia costituita dalle guerre.

    La-foto-del-maresciallo-Antonio-Miccoli-nel-1941-quando-sopravvissuto-a-Zonderwater-collezione-privata-famiglia-Miccoli-per-gentile-concessione-a-www.lavocedelmarinaio.com_

  • Marinai,  Recensioni,  Sociale e Solidarietà,  Storia

    Zonderwater, 18 gennaio 1945: DICHIARAZIONE DI FEDELTA’

    di Marino Miccoli

    Zonderwater è una vasta area situata a circa 40 km Nord Est dalla città di Pretoria ed è vicina alle note miniere di diamanti del Cullinan, nel Sud-Africa. L’altopiano (1500 mt. s.l.m.) in cui si trova è incluso nella Provincia del Transvaal. Nel 1941  è stato realizzato un grande campo di prigionia, suddiviso in blocchi, dove sono stati raccolti moltissimi prigionieri di guerra italiani e tedeschi. Dalle navi mercantili dove erano stati stivati, i prigionieri erano sbarcati nel porto di Durban; da qui in treno in due giorni di viaggio arrivavano a Zonderwater. I primi prigionieri italiani arrivarono alla fine dell’inverno del 1941 e tra questi vi era mio padre Antonio Miccoli (maresciallo capo-cannoniere stereotelemetrista della Regia Marina, uno dei pochi sopravvissuti all’affondamento del Regio Incrociatore Fiume, avvenuto a largo di Capo Matapan – Grecia-  nella tragica notte del 28 marzo 1941). Egli era stato prima internato in un campo di prigionia ad Alessandria d’Egitto, laddove dopo aver subito un primo interrogatorio gli fu assegnato il numero di matricola:   n. 123415.
    Zonderwater, che in lingua Afrikaans significa senza acqua (anche se in realtà l’acqua era presente e abbondante nel sottosuolo), è una località costituita da una pianura arida con alcune ondulazioni. La flora è rada e bassa. L’orizzonte è costituito da modeste colline. La vasta zona riservata ai prigionieri (dall’aprile del 1941 al marzo del 1947 furono accolti nel campo più di 100.000 prigionieri italiani) era situata da un lato sulle colline e dall’altro si apriva verso il piano. Il clima è quello continentale del nord est del Sud Africa. Possiamo affermare che le stagioni sono essenzialmente due: estate e inverno. L’estate va da novembre ad aprile e l’inverno da maggio a ottobre. Il vento regna, anzi impera nella zona di Zonderwater: infatti le tempeste di sabbia, le trombe d’aria fanno volare tetti, coperture, lamiere, tende, staccionate e recinzioni; i venti hanno una forza e un’intensità tale da “togliere il fiato”. Dopo il vento arrivano quasi sempre i temporali e con essi i fulmini. Sì, quei tremendi fulmini di cui mio padre (che fu detenuto a Zonderwater dall’aprile del 1941 al maggio 1946) aveva un terrificante ricordo. Infatti egli narrava che:

    – “Le tende erano fatte a forma di cono. In ogni tenda eravamo in otto prigionieri; si dormiva distesi sul terreno con i piedi rivolti al palo di sostegno e la testa verso l’esterno. A Zonderwater i fulmini erano un concreto pericolo per le persone… al tempo della tendopoli, dal 1941 al 1943 (a partire dalla fine di questo ultimo anno si iniziò la costruzione delle prime baracche), le punte dei pali di ferro che reggevano le tende si trasformavano in vere e proprie calamite per i fulmini; così i prigionieri che si trovavano a contatto o vicino ai pali metallici morivano fulminati”.

    Egli riferiva che a decine i prigionieri italiani rimanevano vittime dei numerosi fulmini che si scatenavano durante i temporali, forse a causa di una composizione particolarmente ferrosa del suolo, e ogni temporale era vissuto da loro con terrore. A testimonianza di quanto sopra, a Zonderwater per commemorare i non pochi prigionieri folgorati è stato poi edificato un monumento che è possibile visitare ancora oggi,  così come il cimitero dei prigionieri italiani.
    Ma torniamo alla narrazione di mio padre sulla sua vita in prigionia; i prigionieri si dividevano fondamentalmente in tre “fazioni”:

    1) “irriducibili”
    ovvero i prigionieri fascisti convinti e memori delle cruente battaglie sostenute per difendere le colonie,  i quali minacciavano e mettevano in atto azioni punitive contro quei traditori che collaboravano con gli inglesi.

    2) “non cooperatori”
    che non erano fascisti, ma militari delle varie armi, che non intendevano lavorare per il nemico. Questi credevano che collaborare significava dare segno di anti italianità e di slealtà al Re e alla Patria.

    3) “cooperatori”
    che aspiravano alla libertà, anche se parziale; essi volevano migliorare la loro difficile condizione di vita e pertanto acconsentivano ad andare a lavorare per molti datori di lavoro sudafricani, soprattutto nelle varie fattorie del Transvaal. Qui si fecero notare ed apprezzare per la loro perizia nell’edilizia e nella costruzione di strade. Ma al loro rientro nel campo di prigionia, dopo un periodo di lavoro all’esterno, i “cooperatori” venivano accolti malamente, subivano ceffoni ed erano sottoposti alla cosiddetta «coperta», una punizione corporale solitamente inflitta loro di sorpresa da un gruppo di prigionieri.

    Mio padre non mi ha mai detto a quale di questi tre gruppi di prigionieri appartenesse ma, avendolo conosciuto, mi sento di affermare che era un prigioniero tra i tanti “non cooperatori”. Ciò anche in considerazione del fatto che a causa delle sue conoscenze tecniche riguardanti il telemetro italiano e del suo reiterato diniego a rivelarne l’esatto funzionamento, fu più volte maltrattato dagli inglesi. Collaborò con un prigioniero di cognome Santoro ed altri per la realizzazione di un cimitero dove poter dare una degna sepoltura agli internati che morivano nei vari blocchi del campo di Zonderwater.

    – “Un cucchiaio di lenticchie in poca brodaglia” questo egli riferiva essere il suo pasto nel campo di prigionia… sì, i prigionieri italiani con e come lui provavano la fame, una maledetta fame tanto che mia madre afferma che nei primi tempi della sua liberazione, quando nell’estate del 1946 fu rimpatriato e reintegrato nella neonata Marina Militare, mio padre pesava 46 kg. e non riusciva a domare l’istinto di afferrare nel pugno le mosche che gli svolazzavano vicino per portarsele alla bocca. Passò un po’ di tempo prima che egli riuscisse a trattenersi da simile abitudine evidentemente acquisita durante la prigionia per sopravvivere; non vi nascondo che oggi anch’io, nel rinnovare il ricordo di quei tristi  avvenimenti, provo sincera commozione.
    Delle vicende di guerra e delle vicissitudini della prigionia egli scrisse un diario, che purtroppo gli fu requisito a Napoli, il giorno del rimpatrio, nel maggio 1946. Ciò era inspiegabile per mio padre perché gl’inglesi erano a conoscenza del fatto che egli ne possedeva uno e consapevolmente gli permisero di tenerlo fino al termine della prigionia.
    Il maresciallo Antonio Miccoli fu pluridecorato e nominato Cavaliere al Merito nel 1959 dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi; si congedò il 28 marzo 1962 con   il grado di sottotenente del C.E.M.M..
    A conclusione di questo mio modesto ricordo scritto riguardante i 5 anni e 2 mesi di prigionia di mio padre, allego l’immagine di un raro documento: si tratta della DICHIARAZIONE DI FEDELTA’ che gl’inglesi gli fecero sottoscrivere il 18 gennaio 1945, quasi un anno e mezzo prima della sua liberazione che avvenne con il rimpatrio a MARIDEPO Napoli il 20 maggio 1946. In essa si richiedeva l’impegno e la collaborazione con gli Alleati nel combattere contro il comune nemico: la Germania.
    Desidero inoltre qui riportare un significativo brano del discorso tenuto dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi quando si recò in visita di Stato in Sud-Africa e rese omaggio ai Caduti al Sacrario Militare di Zonderwater, il 15 marzo 2002:

    “ […] Non devono dimenticare, specie i più giovani, chi si è sacrificato per la Patria ovunque, in guerra e in pace; chi è caduto; chi ha vissuto in prigionia lunghi anni della più bella stagione della vita e che, tornato, ha ricostruito l’Italia in un’Europa concorde e unitaria […]”

    Sento il dovere di ricordare inoltre alcuni dei nomi di coloro (conterranei e commilitoni)  che condivisero con mio padre la drammatica esperienza della prigionia: Giuseppe Salvatore Polimeno (mio zio), Donato Carlo, Antonio Corvaglia, Luigi Cutrino, Attilio Rini, tutti militari originari di Spongano (LE).
    Mi inchino riverente dinanzi al sacrificio di tutti prigionieri  di guerra morti durante la prigionia, tra stenti e indescrivibili patimenti, lontano dalla loro Patria e dalle amate famiglie;  onoro la loro memoria e mi auguro che mai più, ripeto mai più l’umanità debba patire simili sofferenze a causa di quell’assurda follia costituita dalle guerre.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Pittori di mare,  Recensioni,  Storia

    Capo Matapan, su di noi si chiuse il mare

    di Marino Miccoli

    A TUTTI QUEI VALOROSI MARINAI ITALIANI

    Ricordando Capo Matapan nell’83° anniversario.

    Quando la sera del 28 marzo 1941 i Marinai degli Equipaggi della Prima Divisione videro invertire la rotta delle loro Unità non pensavano certamente di andare incontro alla morte. Non lo immaginavano nemmeno perché sapevano che si trattava di una missione di soccorso, che le loro navi avevano invertito la rotta per andare a prestare assistenza e rimorchiare l’incrociatore POLA che poco tempo prima, precisamente alle ore 19,46 durante un attacco aereo, era stato colpito gravemente da un siluro e pertanto era rimasto fermo e immobilizzato sul mare.
    Fu così che le navi italiane in linea di fila andarono incontro al loro crudele destino COMPLETAMENTE IGNARE della presenza della flotta britannica in quelle acque del Mediterraneo centrale. In testa alla formazione vi era lo ZARA, su cui era imbarcato il Comandante della Divisione ammiraglio Carlo Cattaneo, seguito dal FIUME e dai quattro Cacciatorpediniere: ALFIERI, GIOBERTI, CARDUCCI, ORIANI.
    Alle ore 22,27 le tenebre della notte furono improvvisamente squarciate dai fasci di luce dei proiettori del nemico che inquadrarono per primo proprio l’incrociatore FIUME… su di lui si abbattono le prime terribili bordate della corazzata inglese WARSPITE. Dopo pochi secondi anche la VALIANT e la BARHAM aprirono il fuoco e fu così che una vera e propria TEMPESTA DI PROIETTILI si abbatté da breve distanza (circa 3000 metri) sulle Unità italiane.

    La sorpresa fu totale e le devastazioni furono di tale portata che impedirono qualsiasi reazione da parte italiana. L’attacco delle navi britanniche, che costò la vita a oltre 2300 Marinai Italiani, durò non più di tre minuti.
    Dei 1083 uomini imbarcati sul Regio Incrociatore FIUME soltanto 269 furono i sopravvissuti e ben 814 furono i Caduti e Dispersi. Tra questi vi era il capocannoniere Nazzareno Bramante di Siracusa.
    A tutti quei valorosi Marinai Italiani  che non fecero più ritorno alla base.

    di Marino Miccoli (*)

    Buongiorno Ezio,
    ti invio una mia poesia dal titolo “Su di noi si chiuse il mare”, che ho scritto in occasione dell’82° anniversario di Capo Matapan, con l’intento di ricordare il sacrificio e onorare la memoria di tutti i Marinai italiani Caduti e Dispersi. Come sai mio padre Antonio Miccoli (all’epoca era capocannoniere stereo-telemetrista imbarcato sul regio incrociatore Fiume) fu uno dei pochi sopravvissuti di quella tragica notte e, sebbene le ferite nel corpo da lui riportate con il passare del tempo si rimarginarono un po’, invece le ferite che quei drammatici fatti procurarono nella sua anima non si chiusero mai. A tal proposito ricordo che Egli era restìo a ricordare Capo Matapan e, quelle rare volte che lo faceva, non riusciva mai a terminare il racconto di quegli avvenimenti, di cui era stato diretto testimone, a causa della forte commozione che i ricordi di quella notte funesta provocavano nel più profondo del suo animo. Allora interrompeva la sua narrazione e con gli occhi arrossati si allontanava…

    In questa occasione rivolgo un deferente pensiero ai suoi Amici e Commilitoni morti nonché a tutti i Marinai italiani Caduti e Dispersi la notte del 28 marzo 1941; ne onoro la memoria e a tutti loro dedico i pochi versi che seguono.

    SU DI NOI SI CHIUSE IL MARE

    L’ordine ricevuto era di invertire la rotta
    raggiungere, soccorrere e rimorchiare l’incrociatore Pola rimasto indietro,
    fermo con macchine in avaria, con morti e feriti a bordo, causa siluramento nemico.
    Fu così che alle 22,30 circa di una notte fredda e oscura di fine marzo
    mentre dirigevamo sul punto segnalato fummo abbagliati da una luce improvvisa
    e istantaneamente udimmo un gran fragore, come rombo di tuono…
    erano le batterie nemiche che aprivano il fuoco contro di noi…
    fuoco ravvicinato e preciso,
    fuoco spietato,
    fuoco inesorabile,
    fuoco di morte che tutto squarcia e tutto incendia,
    tutto distrugge e tutto disintegra sulle nostre belle navi…
    fuoco che dilania e smembra i nostri corpi,
    fuoco che stermina tantissime nostre giovani vite…
    fuoco micidiale che giungendo di sorpresa nelle tenebre non ci concede scampo…
    fuoco crudele portato dalle devastanti bordate da 381 mm delle navi da battaglia britanniche
    sulle nostre Unità della I Divisione Incrociatori pesanti
    e sulle Cacciatorpediniere di scorta della IX Squadriglia,
    IGNARI fino a qualche attimo prima di andare incontro alla morte.
    APPENA POCHI MINUTI di tiro notturno delle corazzate inglesi,
    un tiro guidato dai radar, preciso e letale…
    APPENA POCHI MINUTI
    e fu così che il mare si trasformò in inferno,
    l’acqua si tramutò in fuoco,
    nell’aria echeggiarono urla disumane e grida strazianti
    delle vittime di questa carneficina,
    grida mai dimenticate da quei pochi Marinai che sopravvissero;
    APPENA POCHI MINUTI
    e fu così che le onde si tinsero di rosso del nostro giovane sangue…
    SU DI NOI MARINAI D’ITALIA
    dopo cotanto immane strazio
    SU DI NOI SI CHIUSE IL MARE.

    Iddio grande ed eterno, Signore del cielo e dell’abisso,
    che con tali appellativi sei invocato devotamente dai nostri Marinai quando sono in preghiera,
    accogli in Paradiso le anime di TUTTE LE VITTIME di questa terribile STRAGE
    e nella tua infinita misericordia non permettere più quell’assurda follia chiamata guerra.
    Tu che sei il Principe della Pace fa’ che non si ripetano mai più,
    MAI PIU’ tragedie simili a quella che per mano umana si compì
    la notte del 28 MARZO 1941 a largo di CAPO MATAPAN.

    Capo Matapan, nel nome dei Padri, dei figli e della Misericordia Divina
    di Roberto Barucca e Marino Miccoli

    … riceviano, a ridosso della Settimana Santa, e con immenso orgoglio pubblichiamo.

    Virgilio Barucca, nato a Senigallia il 23 luglio 1920 era un Marinaio Cannoniere, imbarcato sul Regio Incrociatore FIUME. Su quella stessa nave, con la qualifica di Maresciallo Capocannoniere Stereotelemetrista, era imbarcato anche mio padre Antonio Miccoli, nato a Spongano (Lecce) il 28 marzo 1910. Poiché prestavano servizio nella medesima specialità, ovvero quella dei Cannonieri ed erano imbarcati sulla medesima unità, è assai probabile anzi ritengo sia sicuro il fatto che i due Marinai si conoscessero personalmente.


    Il Marinaio di Senigallia insieme a mio padre è stato uno dei pochi sopravvissuti all’affondamento dell’Incrociatore FIUME avvenuto nella tragica notte del 28 marzo 1941 e così come avvenne per mio padre, anch’egli fu fatto prigioniero dagli inglesi e internato nel campo di prigionia di Zonderwater (Sud-Africa).

    Ebbene, a seguito dei miei diversi articoli su Capo Matapan pubblicati qui, sono stato contattato e in seguito, precisamente il 3 agosto 2012, recandomi a Senigallia ho avuto il piacere di conoscere di persona il signor Roberto Barucca, figlio di Virgilio.


    E’ accaduto in tal modo che Roberto e Marino, due figli di Marinai i quali, grazie a te e a “LA VOCE DEL MARINAIO”, si sono ritrovati nel nome dei propri genitori e nel ricordo delle simili e tristi vicende vissute dagli stessi. Ebbene stimati amici de LA VOCE DEL MARINAIO, dovete sapere che per me abbracciare Roberto in quella sera di agosto è stato un po’ come se Antonio avesse riabbracciato Virgilio. Sì, ci siamo ritrovati nel nome dei padri.

    Per saperne di più sull’amore dei figli verso i padri, digita sul motore di ricerca del blog, Marino Miccoli, Antonio Miccoli e Virgilio Barucca.

    Ciao Marino Miccoli e Roberto Barucca,
    ho le lacrime agli occhi, grazie.
    In questa Settimana Santa il vostro gesto assume un valore spirituale Altissimo… chi vuole intendere intenda!
    La settimana scora qualcuno addirittura mi lapidava perché pubblico sempre notizie di Marinai deceduti… (leggete i commenti se avete tempo) e addirittura mi censuravano i post nelle loro bacheche e gruppi facebook.
    Colgo questa occasione per ribadire che i padri vanno al Figlio come il Figlio va al Padre, e ringrazio i collaboratori del blog e coloro che ci aiutano nelle ricerche per dare una risposta alle moglie e parenti e a quei figli che non hanno avuto il tempo di conoscere ed abbracciare i loro e nostri cari Marinai deceduti.
    Un abbraccio grande come il mare. Se vi dico che vi voglio bene, mi credete?
    IN QUESTO PAGINA DIAMO LA VOCE A TUTTI, ANCHE AI MARINAI MORTI DIMENTICATI DI STATO, E CI METTIAMO LA FACCIA (Pancrazio “Ezio” Vinciguerra).

    Una promessa Mantenuta
    di Marino Miccoli

    …ovvero ricordando il 83° anniversario di Capo Matapan.

    Buongiorno Ezio carissimo e stimatissimo,
    pensando al mio compianto padre (*) e ai suoi carissimi colleghi ed amici caduti e dispersi la notte del 28 marzo 1941, anche quest’anno ho voluto comporre un modesto articolo per ricordare l’anniversariodi Capo Matapan. L’ho intitolato UNA PROMESSA MANTENUTA, si tratta di un mio scritto inedito che narra un fatto realmente accaduto e che con piacere ti invio per il nostro giornale di bordo.
    Lo troverai in allegato, unitamente alle immagini con cui ho ritenuto opportuno di corredarlo.
    Se e quando vorrai, potrai pubblicarlo su LA VOCE DEL MARINAIO.
    Ti ringrazio non soltanto per l’attenzione e la grande sensibilità che da sempre dimostri per i nostri Marinai caduti e dispersi, ma anche per la tua opera di divulgazione e di raccolta in quella preziosa banca della memoria che la VOCE DEL MARINAIO costituisce per noi tutti.
    Con profonda stima, ti abbraccio
    Marino Miccoli

    E’ notte, una notte fredda e oscura di guerra, quella del 28 marzo 1941.
    I Marinai italiani, scampati all’improvvisa tempesta di fuoco scatenata alcune ore prima dalle navi da battaglia britanniche della “Mediterranean Fleet”, sono sparsi qua e là sulla superficie del mare, quello stesso mare che quella sera si è tinto di rosso del sangue dei tantissimi Caduti e Dispersi della Regia Marina.
    Tra i sopravvissuti di quella carneficina c’è chi si è aggrappato a dei relitti galleggianti, i più fortunati hanno trovato posto su pochi battelli o zattere di salvataggio disponibili… i galleggianti sono insufficienti per tutti i naufraghi cosicché si stabiliscono dei turni tra coloro i quali, per lunghe ore, devono alternarsi tra chi può stare all’interno dei galleggianti e chi invece deve stare in acqua, aggrappato fuoribordo.
    Tra questi vi è un sottufficiale ferito, un Capo, il quale ad un certo momento è esausto ed avvertendo che le forze stanno per venirgli meno, si rivolge al suo amico e collega, il Capo Antonio Miccoli (*), e lo chiama vicino a sé. Dopo aver proteso un braccio verso di lui, apre la mano per consegnargli qualcosa… si tratta di una catenina d’oro con infilata una fede nuziale. Antonio lo guarda con aria interrogativa “Promettimi che quando tornerai ai nostri paesi, portali a mia moglie! Mi raccomando…”.

    Mio padre ha appena il tempo di raccogliere nelle sue mani quegli oggetti e di guardare in viso il suo carissimo amico che questi molla la presa del galleggiante e si lascia andare, giù… scomparendo per sempre sotto la superficie del mare.
    Non conosco il nome di quel Sottufficiale e ricordo che mio padre, per comprensibili ragioni personali, non ha mai voluto narrare quel drammatico frangente che ha vissuto né ha voluto mai rivelarmi il nome del suo caro amico e stimato Collega perito la notte del 28 marzo 1941.
    Tuttavia mia zia, Amelia Miccoli (classe 1921, sorella minore di mio padre e tuttora vivente), l’ultima volta che ho avuto modo di rivederla, nella sua casa di Spongano (Lecce), ha voluto narrami questa tragica vicenda, confermando poi il fatto che mio padre, quando fu rimpatriato dalla prigionia, nell’estate del 1946, una delle prime cose che fece quando si recò in licenza, fu proprio quella di andare a casa del suo amico e consegnare nelle mani della vedova l’anello infilato nella catenina d’oro.
    Quella promessa, con uno stato d’animo che noi oggi forse possiamo soltanto lontanamente immaginare,era stata mantenuta da mio padre.


    Oggi, in occasione del 82° anniversario di Capo Matapan, nel rivolgere un deferente pensiero a tutti i Marinai italiani Caduti e Dispersi la notte del 28 marzo 1941, chiniamo il nostro capo in segno di profondo rispetto. Ricordando il loro sacrificio onoriamone la memoria e al contempo riflettiamo su quanto sia incommensurabile il valore della pace tra le nazioni.

    (*) digita sul motore di ricerca del blog Antonio Miccoli per conoscere la sua storia e Marino Miccoli per conoscere gli articoli.

    Salvatore Bruno (Castellammare di Stabia, 1.6.1912 – N.D.), sopravvissuto
    di Antonio Cimmino

    Salvatore Bruno era un marinaio di Castellammare di Stabia nato il 1° giugno 1912 e deceduto a febbraio del 1999. Fu sopravvissuto all’affondamento della regia nave Zara nella cosiddetta battaglia di Capo Matapan dove morirono 782 marinai su 1090 nomi dell’equipaggio. Furono affondati anche i regi incrociatori Pola e Fiume e i regi cacciatorpediniere Carducci e Alfieri per un totale di 2.331 scomparsi in mare.

    Salvatore Bruno ricevette la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Capoguardia in caldaia di incrociatore sorpreso nottetempo, nel corso di ardita missione di guerra, da soverchianti forze nemiche, ed in breve tempo ridotto a fumante relitto in preda alle fiamme e alle esplosioni, rimaneva impavido al proprio posto di combattimento, incurante del pericolo, si prodigava nell’estinzione degli incendi e abbandonava l’unità solo dopo aver ricevuto diretto ordine. Esempio di attaccamento al dovere e di elevate virtù militari” (Mediterraneo Centrale 28 marzo 1941).

    Operazione Gaudo e loscontro notturno di Capo Matapan di Francesco Mattesini
    a cura Pancrazio”Ezio” Vinciguerra

    Capo Matapan, la regia nave ospedale Gradisca recupera i naufraghi
    di Claudio Confessore

    In ricordo di coloro non più tornati dagli orrori della guerra combattuta sul mare contro la più forte Marina del mondo, per difendere le rotte dei nostri convogli nel Mediterraneo.

    L’Italia entrò in guerra con sette grandi unità ospedaliere, esse erano le Regie Navi Aquileia, Arno, California, Città di Trapani, Gradisca, Po, Principessa Giovanna, Rambo IV, Sicilia, Tevere, Toscana, Virgilio, attrezzate per il trasporto dei malati e dei feriti. Ad esse si devono aggiungere le navi soccorso adibite al recupero naufraghi di navi affondate o di aerei quali il Capri, l’Epomeo, il Laurana, il Meta, il Giuseppe Orlando, il San Giusto ed il Sorrento. Tranne l’Epomeo, il Gradisca ed il Sorrento tutte le altre subirono ben 39 attacchi da parte del nemico. Prima dell’8 settembre 1943 ben 8 furono affondate, 2 catturate e le altre danneggiate più o meno gravemente. Effettuarono complessivamente 467 missioni di trasporto feriti e 156 di soccorso, trasportando 65.567 feriti e naufraghi e 215.693 ammalati.

    Il Gradisca fu coinvolto nel recupero dei naufraghi della battaglia di Capo Matapan. Era un piroscafo passeggeri costruito tra il 1912 ed il 1913 con il nome di Gelria nei cantieri A. Stephens & Co. Di Glasgow per conto del Royal Holland Lloyd di Amsterdam. Sino al 1929 fu impiegata sulle rotte tra Amsterdam ed il Sud America. Fallito il tentativo di farla acquistare dal Governo Argentino, in seguito alla crisi economica del 1929, fu posta in disarmo nel 1931. Nel 1935 fu acquistata dal Lloyd Triestino che la ribattezzò con il nome di Gradisca. Fu noleggiata dalla Regia Marina per le guerre di Etiopia, Spagna ed Albania ed impiegata prima come trasporto truppe e poi come nave ospedale. Anche nella Seconda Guerra Mondiale venne noleggiata ed impiegata come nave ospedale. Nell’ultimo conflitto ha svolto 74 missioni di trasporto e 3 di soccorso trasportando 15.662 feriti e naufraghi e 43.676 ammalati. Come già accennato, la sua missione più nota fu quella del marzo 1941, di soccorso ai superstiti della Battaglia di Capo Matapan dove l’unità riuscì a recuperare 161 naufraghi mentre i britannici ne salvarono 1163. Scomparvero in mare 2303 uomini. In particolare, durante la missione dal Gradisca furono recuperati 8 cadaveri e 161 militari fra naufraghi e feriti così ripartiti:
    • 13 ufficiali
    • 28 sottufficiali
    • 119 sottocapi e comuni
    • 1 cuoco (civile) di nave Fiume
    Un naufrago di nave Fiume morì poco dopo il salvataggio portando da 8 a 9 i cadaveri trasportati. All’arrivo a Messina 55 naufraghi furono ricoverati in ospedale e gli altri 105 furono inviati al deposito CREM. Le 9 salme furono tumulate nel Sacrario di Cristo Re a Messina.

     

    Si riporta la sintesi degli eventi dell’attività di recupero effettuata dall’unità:

    Nave Gradisca arriva a Messina. 55 naufraghi furono ricoverati in ospedale e gli altri 105 furono inviati al deposito CREM. Le 9 salme furono tumulate nel Sacrario di Cristo Re a Messina.

    In seguito alla relazione di fine missione fatta dal Gradisca furono migliorate le dotazioni delle navi ospedale, fu imbarcato un maggior numero di proiettori di maggiore potenza ed incrementate le attrezzature ed i materiali per i soccorsi ai naufraghi.
    L’unità continuò le sue attività ma il 27 maggio 1941, nel porto del Pireo (Grecia) rimase danneggiata dall’urto contro un relitto sommerso. Mentre era ormeggiata in porto, il 30 maggio venne investita e danneggiata dalle onde d’urto di una serie di esplosioni a catena che coinvolsero inizialmente il piroscafo francese, requisito dai tedeschi, Marie Louise Le Borgne, il cui scoppio fece successivamente esplodere il piroscafo romeno Juli, il motoveliero italiano Albatros ed infine il piroscafo tedesco Alikante.
    Dopo due mesi, ad attività quasi ultimate, le riparazioni furono allungate di un’altra settimana a seguito dei danni causati da un incendio che scoppiò in un deposito di bordo contenente tabacco.
    Ritornata operativa il 17 luglio 1941, dopo aver imbarcato a Salamina 129 feriti della Wehrmacht, a causa di un errore del pilota tedesco, s’incagliò su un banco di sabbia nelle acque di Capo Kara (Egeo). Il 23 luglio, dopo lunghe operazioni per alleggerirla, con l’aiuto di rimorchiatori greci e tedeschi, la nave fu disincagliata e dopo aver fatto un breve scalo a Rodi per imbarcare altri infermi, giunse a Bari sbarcando 294 feriti. Subito trasferita a Trieste entrò ai lavori tornando in attività nell’ottobre 1941 e finite le riparazioni continuò la sua attività di trasporto feriti, recupero naufraghi di navi e di aerei ed anche scambio di prigionieri invalidi con i britannici.
    Alla data dell’armistizio l’unità fu catturata dai Tedeschi ma nel 1944 fu ripresa dagli Inglesi e l’anno seguente tornò alla Compagnia proprietaria. Il 23 gennaio 1946 si incagliò sull’isolotto di Gaudo. Recuperata nel 1947 fu trasportata a Venezia dove nel 1950 venne demolita.

    ====================================================================
    Nota 1
    Uno viene identificato per l’elettricista Lombardo Aldo (Nave Fiume) e del secondo che indossava una tuta di macchina viene rilevata solo la matricola 90435.
    Nota 2
    M El Fiorani Luigino (Nave Fiume), militare con matricola 39560, militare senza alcun identificativo, 2° Capo SDT Barbato Francesco (Nave Fiume), Sc Segnalatore Pepe Leonardo (Nave Zara), C° 3^ Cl. Furiere Infante Francesco (Nave Fiume).
    Nota 3
    Nave Alfieri: TV Bimbi Italo, STV Mascini Francesco, M. Bovolente Alfredo, M. Lisi Pasquale, tutti di nave Alfieri.
    Nota 4
    Nave Zara: Cannonieri Ordinari Bani Ernesto, Petrazzuolo Sabatino, Balanzoni Vittorio, Allievo Meccanico Mezzetti Vincenzo, Marinai Perdomini Onorato, Semoli Miroslao, Bobicchio Giuliano, Venosa Vincenzo.
    Nota 5 – Nave Fiume
    Mag Com Pugliesi Vincenzo, TV Busacchi Raffaele, Ten CREM Mazzorani Renato, Asp. GM Onori Vincenzo, Asp GM Oletti Luigi, Capo Cl 1^ Cannoniere Roccon Aurelio, Capo 2^ Cl Cannoniere Avanzolini Giuseppe, Capo 3^ Cl Cannoniere Murciano Michele, 2° Capo PS Giunti Costantino, 2° Capo A Perotto Leonello, 2° Capo PS Cimino Armando, Capo 3^ Cl SDT Pellati Luigi, Capo 3^ CL SDT Mantovani Bruno, Sgt SDT Lucchetti Giovanni, Capo 1^ Cl Meccanico Coppola Alfredo, Capo 3^ Cl Meccanico Barile Romeo, 2° Capo Meccanico Carparelli Donato, 2° Capo Meccanico Zaccarelli Fernando, 2° Capo Meccanico Bortoletto Giuseppe, 2° Capo RT Brandoli Mario, 2° Capo RT Tiella Luigi, 2° Capo RT Trio Giuseppe, 2° capo S Dragone Damiano, 2° Capo N Vaglini Angelo, 2° Capo Aiutante Di Donato Aquilino, Sc N Bianchi Rizzieri, Sc N Landi Ermes, Sc N Soddi Luigi, Sc SDT Aiazzi Nello, Sc Mec De Pianto Mario, Sc Pal Carrao Enzo, Sc Can PS Alessio Antonio, Sc S Feliù Giuseppe, Sc El Chiappini Luigi, Sc El Palla Iader, Sc Inf Tondini Giordano, M Scapoli Mario, M Pprosperi Giovanni, M Perrini Fernando, M. Veri Antonio, M Columbo Antonio, M Calcagno Luciano, M Giarrizzo Tindaro, M Cazzato Vito, M Pedich Antonio, M Pasquali Emilio, M Rubini Venceslao, M Pansini Ignazio, M Altamura Raffaele, M Marconi Rino, M Barbagelata Luigi, M Flegar Giuseppe, M Cappelli Giuseppe, M Vianello Vincenzo, M Cesarini Enzo, M Lo Noce Cosimo, M Esposito Vincenzo, M Stamaglia Francesco, M Mazzeo Pietro, M Di Dato Luigi, M Ruzza Quitilio, M Natale Andrea, M D’Addelfio Antonio, M Zurolò Nicola, M Pisani Domenico, S Grienti Francesco, Inf Cerreto Sebastiano, Inf Palandri Enzo, All. Fur S Russo Edoardo, Can Ord Costa Battista, Can Ord Deiana Aurelio, Can Ord Creciach Mario, Can Ord Decotto Mario, Can Ord De Santis Antonio, Can Ord Cuscito Giuseppe, Can Ord Maresciano Francesco, Can Ord Veneraso Beniamino, Can Ord Lombardi Giuseppe, Can Ord Teresi Francesco, Can Ord Travaglia Luigi, Can Ord D’Angelo Gennaro, Can Ord Mian Edoardo, Can Ord Micalizzi Tommaso, Can A Cosina Mario, Can A Sartori Pietro, Can A Cecchetti Pietro, Can A Moretti Angelo, Can PM Giaggini Mario, Can PM De Luca Armando, Can S D’Aquino Giovanni, Can S Funaro Antonio, Can S Simonini Giovanni, SDT Pinceti Rinaldo, SDT Bosco Mario, Fuochista A Finocchi Giuseppe, Fuochista A Budei Pietro, Fuochista A Aiello Nicola, Fuochista O Gilardi Francesco, Fuochista O Consigli Marino, All. Fuochista A Bufalini Giuseppe, All. Fuochista A Missaia Andrea, All. Fuochista O Annunziato Vincenzo, All. Fuochista O Neri Attilio, Civile (cuoco) Percario Alberigo.
    Nota 6 – Nave Alfieri
    Tv Zancardi Pietro, Sgt Can PS Corneri Dino, Sgt Can PS Rossetti Renzo, M Perrazzi Antonio, M Bucceri Francesco, Can O Fossenigo Antonio, Can PS Minoletti Giuseppe, Can PS Elemosinieri Renato.
    Nota 7 – Nave Carducci
    C.F. Ginocchio Alberto (Comandante), TV Ninni Vito, STV Cimaglia Michele, STV Fontana Michele, S.T. di Macchina Sponza Antonio, 2° Capo RT Massa Regileno, 2° SDT Mazzei Andrea, 2° Capo Solaro Giuseppe, Sgt Mec Turco Romano, Sc N Bonaielli Mario, Sc Torp De Maio Francesco, Sc Fur Di Terlizzi Mario, Sc PS Raffaghelli Vittorio, Sc SDT Raschioni Umberto, M Arcuri Alvaro, M Arena Giuseppe e Sil Baroni Aldo.

    Capo Matapan e la spilletta del marinaio Chirico Francesco da Futani
    di Carlo Di Nitto 

    Questa è una storia dimenticata, una storia che si è ripetuta tantissime volte durante il secondo conflitto mondiale, purtroppo. E’ la storia del regio incrociatore ZARA e della spilletta ritrovata.


    Una spilletta in argento dell’incrociatore affondato nella Battaglia di Capo Matapan la notte tra il 28 ed il 29 marzo 1941. (1)
Nella tragedia di Matapan trovarono la morte 2303 Marinai Italiani: 782 dello Zara, 813 del Fiume, 328 del Pola, 211 del C.T. Alfieri e 169 del C.T. Carducci.
Riporta lo storico Gianni Rocca (2): “Nelle acque rimasero a lungo rottami di ogni genere, tra cui una bottiglia, ermeticamente tappata da uno strato di cera. Fluttuerà per anni nel Mediterraneo fino a quando, un mattino dell’agosto 1952, venne rinvenuta sulla spiaggia di Villasimius, presso Cagliari.


    Quando una mano curiosa la osservò, scoprì al suo interno un pezzo di tela, strappato da una copertura di mitragliera, con su scritto: «Regia Nave Fiume – Prego signori date mie notizie alla mia cara mamma mentre io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, via Eremiti 1, Salerno. Grazie signori – Italia !».

    apertura del fuoco durante la rivista H (5 maggio 1938)

    Il messaggio fu recapitato alla madre del povero marinaio in una frazione di Futani, paese poco distante da Capo Palinuro. Il padre, che mai aveva disperato del ritorno del figlio, era già morto nel 1948.
Alla memoria del Marò Chirico Francesco fu decretata una medaglia di bronzo al valor militare: «…prima di scomparire in mare con l’unità, confermava il suo alto spirito militare affidando ai flutti un messaggio di fede e di amor patrio che, dopo undici anni, veniva rinvenuto in costa italiana ».
Mai decorazione fu più meritata.

    (1) per saperne di più digita a sugli argomenti del blog “La disfatta di Capo Matapan”

    (2) autore del libro “Fucilate gli ammiragli” (Mondadori).

    Per ricordare la notte di Matapan : Nelle acque rimasero a lungo rottami di ogni genere, tra cui una bottiglia, ermeticamente tappata da uno strato di cera. Fluttuerà per anni nel Mediterraneo fino a quando, un mattino dell’agosto 1952, venne rinvenuta sulla spiaggia di Villasimius, presso Cagliari. Quando una mano curiosa la osservò, scoprì al suo interno un pezzo di tela, strappato da una copertura di mitragliera, con su scritto:
    «Regia Nave Fiume – Prego signori date mie notizie alla mia cara mamma mentre io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, via Eremiti 1, Salerno.Italia…. Post di Giampiero Galeotti.

    Capo Matapan, l’alloro di casa Bramante è sempre in fiore
    di Marino Miccoli

    Buongiorno allo stimato maresciallo Ezio Vinciguerra, anche quest’anno, grazie alla tua disponibilità e sensibilità riguardo ai fatti e agli Uomini che sono stati vittime e protagonisti, ho l’onore e sento il dovere di ricordare, insieme a te,  i Marinai Caduti nella notte del 28 marzo 1941 a largo di Capo Matapan. L’articolo che segue s’intitola: “L’alloro di casa Bramante”.
    Devi sapere che scrivere un articolo per questa nefasta e tragica ricorrenza è per me come se fosse divenuto doveroso; lo definirei un appuntamento fisso, importante al quale non mi sento di venire meno. Quest’anno ricordiamo i nostri Marinai recandoci a Siracusa, conscio che una fiera donna ottuagenaria siciliana di nome LUCIA BRAMANTE ha fatto e continua a fare (Iddio ci conservi a lungo questa donna straordinaria che in quel di Siracusa ha concretamente realizzato quanto nemmeno un ammiraglio avrebbe mai pensato!), affinché la memoria del loro sacrificio non si perda nell’oblio!
    Ezio, mille grazie per la tua attenzione e ricevi pure un abbraccio grande come il nostro mare.
    Buona lettura!
    Marino


    L’alloro di casa Bramante e sempre in fiore
    di Marino Miccoli

    …ovvero come tutti i Marinai Caduti della notte di Capo Matapan sono onorati degnamente ogni anno nella città di Siracusa.

    Da epoche assai lontane le fronde di alloro hanno rappresentato per l’uomo un simbolo di gloria e di valore; sappiamo infatti che dall’antichità classica, ovvero dai tempi degli antichi Greci, era in uso adornare il capo degli atleti vincitori delle Olimpiadi con corone formate da fronde di alloro intrecciate; non solo ma anche i poeti, i geni, i saggi e gli eroi ricevevano questo riconoscimento. Era ed è tuttora oggi il lauro nobilis (questo è il suo nome botanico) il simbolo dei campioni, che contraddistingueva coloro che avevano conseguito una vittoria onorevole dimostrando di possedere un grande valore. E’ così che definiamo laureato colui che al termine di un lungo e impegnativo ciclo di studi, ha conseguito una laurea; allorché il traguardo è raggiunto il suo capo è simbolicamente cinto da due serti di alloro intrecciati.
    Una corona d’alloro attualmente si usa deporre ai piedi di un monumento o sulla tomba dei Caduti per la Patria per onorane degnamente la memoria.
    Ciò accade anche a Siracusa, unica città in Italia e credo nel mondo, laddove recentemente (ottobre 2007) è stata finalmente intitolata una piazza dedicata ai Caduti di Capo Matapan.


    Ogni anno, per merito dell’instancabile promotrice signora professoressa Lucia Bramante (che mi ha contattato dopo aver letto alcuni miei scritti pubblicati sul meritevole sito La voce del Marinaio) nella città che diede i natali ad Archimede ha luogo una suggestiva cerimonia che ricorda il sacrificio dei 2303 Marinai italiani caduti nell’agguato che la flotta inglese tenne a largo di Capo Matapan la notte del 28 marzo 1941. Tra questi il Capocannoniere NAZARENO BRAMANTE, amatissimo e compianto padre della signora Lucia, che in quella tragica notte in cui il mare si tinse di rosso sangue, fu tra i dispersi.

    In questa sede voglio ricordare le drammatiche cifre della carneficina di Marinai Italiani che avvenne quella notte:
    – Regio Incrociatore FIUME813 Caduti su 1104 imbarcati;
    – Regio Incrociatore POLA328 Caduti su 1041 imbarcati;
    – Regio Incrociatore ZARA782 Caduti su 1098 imbarcati;
    – Regio Cacciatorpediniere ALFIERI211 Caduti su 257 imbarcati;
    – Regio Cacciatorpediniere CARDUCCI169 Caduti su 204 imbarcati.

    Della mesta e sentita cerimonia che annualmente si tiene in quel di Siracusa vi è un particolare degno di nota che voglio evidenziare: le fronde di alloro con cui viene confezionata la corona provengono da un arbusto di lauro piantumato nel giardino di casa Bramante. La corona viene poi portata al largo da una motovedetta della Capitaneria di porto di Siracusa (sempre sensibile e disponibile a dare il proprio fattivo contributo alla cerimonia di commemorazione) e gettata a mare.
    Personalmente trovo molto significativo questo fatto, frutto di un toccante gesto d’amore della figlia per il padre, un amore sincero e incondizionato rimasto immutato (proprio come sempreverdi sono le fronde dell’alloro) nonostante lo scorrere del tempo. Ciò deve farci riflettere sull’importanza di uno dei sentimenti umani più importanti, profondi ed autentici costituito dall’amore filiale. Questo sentimento, non disgiunto dalla consapevolezza dell’immenso valore costituito dalla pace tra le nazioni, ci aiuta ad evitare di ripetere quei tragici errori che l’Umanità ha commesso nel passato.
    In conclusione mi piace riportare un significativo brano del discorso che la professoressa Lucia Bramante ha pronunciato durante la manifestazione di commemorazione che si è tenuta a Siracusa nel 70º anniversario di Capo Matapan (29.3.2011)“…l’augurio che la memoria di quanto accaduto quella notte a circa tremila Marinai che ebbero come tomba il mare e a tutti quei fratelli che furono falciati dalla guerra, serva a noi posteri, a tenere vive le radici per trarre dal passato una bussola per il presente! Con imperituro ricordo!”
    Grazie di cuore, signora Lucia Bramante, per quanto lei concretamente ha fatto nel far intitolare ai Caduti di Capo Matapan una piazza della città di Siracusa e per quanto Lei continua a fare affinché il sacrificio dei nostri amati Marinai non sia mai dimenticato. Sappia, stimata professoressa Bramante, che suo Padre e tutti noi siamo ammirati e orgogliosi di Lei.

    Capo Matapan? Io non mangio sardine perché in quella battaglia si sono divorati mio figlio
    di Marino Miccoli

    …ovvero quando giunse la notizia a casa Miccoli.

    Nelle due vecchie fotografie in b/n che ho estratto, dall’album di mio padre Antonio (*), si può notare l’equipaggio del Regio Incrociatore Fiume riunito a poppa per la recita della Preghiera del Marinaio e le batterie che fanno fuoco. Quest’ultima immagine, inedita, rende solo in minima parte ciò che rappresentava la potenza di fuoco costituita dall’entrata in azione di quelle torri binate del calibro da 203 mm.; infatti, secondo quanto narrava il mio compianto genitore, quando queste batterie aprivano il fuoco, sprigionavano una potenza tale da far sussultare tutta la nave.

    All’epoca in cui è stata scattata la fotografia (fine degli anni ’30) mio padre era imbarcato proprio su questa superba unità navale con la qualifica di Capocannoniere stereotelemetrista ed aveva appena superato un corso di aggiornamento professionale sul funzionamento del nuovo telemetro, presso le Scuole del C.R.E.M. a Pola (Istria italiana). A tal proposito consiglio la seguente lettura qui: https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/06/le-scuole-c-r-e-m-di-pola-istria-italiana/

    Regi incrociatori Fiume, Pola, Zara e Gorizia
    Questi i nomi delle quattro moderne Unità che costituivano la superba quanto temibile classe “Zara”; erano quanto di meglio poteva schierare la flotta della regia Marina riguardo agli incrociatori pesanti.
    La I^ Divisione fu quasi totalmente annientata a largo di Capo Matapan (Mediterraneo centrale) la notte del 28 marzo 1941; scampò al sicuro affondamento il Gorizia che si trovava in cantiere a Messina per la riparazione di un’avaria ai motori.
    Quella maledetta notte, nelle acque del Mediterraneo centrale, colarono a picco tre dei quattro migliori incrociatori pesanti (tipo Washington) della nostra squadra navale e due regi cacciatorpediniere della classe “Poeti”: Alfieri e Carducci.
    Persero la vita oltre 2.300 uomini, tra questi amici e colleghi di mio padre come Nazareno Bramante di Siracusa (*).
    Oggi possiamo affermare che da quel momento ebbe inizio il tramonto della regia Marina Italiana; la flotta, considerata fino ad allora, la quinta al mondo per numero e potenza.
    L’implacabile, quanto terribilmente preciso tiro a segno notturno guidato dal radar che le corazzate britanniche della Mediterranean Fleet effettuarono sugli ignari regi incrociatori della I^ Divisione, provocò una vera e propria strage di Marinai italiani.
    Dalle ore 22,27 alle 22,31: quattro minuti di fuoco bastarono a causare la carneficina.
    Le corazzate britanniche azionarono i loro cannoni del calibro di 381 mm. da distanze ravvicinate, ovvero tra i 2.000 e i 3.000 metri, con alzo quasi a zero.
    Il regio incrociatore Fiume fu l’unico degli incrociatori pesanti ad affondare per causa direttamente da attribuirsi alle bordate delle navi da battaglia nemiche; infatti preso di mira da due corazzate (Warspite e Valiant) ,si appoppò fino a capovolgersi per poi affondare.
    Le altre due unità, Pola e Zara, furono finite dai siluri lanciati dai Cacciatorpediniere Britannici.

    La storia di nonna Santa
    Quanto sopra riportato fa parte della storia, ma cerchiamo di comprendere come fu accolta quella triste notizia nella famiglia di mio padre e precisamente da sua madre Santa.
    Mia nonna paterna non mangiava le sardine; ella non le appetiva non per motivi legati al suo gusto, alla sua dieta o a qualche particolare allergia alimentare. Nonna Santa decise di non cibarsi di sardine o di aringhe dalla fine di marzo 1941, ovvero dal triste giorno in cui Le fu comunicato che l’incrociatore Fiume, ovvero la nave sulla quale era imbarcato suo figlio Antonio, era stata affondata dagl’inglesi la notte del 28 marzo 1941.
    Per una strana coincidenza la strage di nostri Marinai, a seguito dell’agguato notturno teso dalla Mediterranean Fleet, avvenne proprio nel giorno in cui ricorreva il 31° compleanno del Capo Antonio Miccoli; egli fu tra i pochi sopravvissuti ma fu dato sin da subito tra i dispersi.
    Mia nonna, sconvolta da quella notizia, si recò nella Chiesa parrocchiale del paese, a Spongano (Lecce); disperata per la triste sorte toccata al figlio, si rivolse accoratamente alla Madonna e fece questo voto: “non si sarebbe più fatta tagliare i capelli fino a quando non avesse riabbracciato suo figlio”. E poiché sapeva che le sardine sono tra i primi pesci che, attirati dai cadaveri, accorrono per divorarne le carni, nonna Santa non volle più cibarsi di esse.
    A chi inconsapevolmente le chiedeva la ragione di questo suo comportamento, addolorata e scuotendo il capo, con gli occhi bagnati dalle lacrime rispondeva:
    – “percè s’hannu mangiatu lu fiju meu!” (perchè hanno mangiato mio figlio!).

    Quel tragico giorno anche per mio padre, sopravvissuto a quel macello, significò l’inizio di un’amarissima quanto dolorosa esperienza; cominciò per lui e per quei pochi fortunati, anzi “graziati”, che sopravvissero, un calvario di diverse ore in acqua, durante il quale vide e sentì le urla disumane dei suoi più fraterni amici e stimati colleghi, morire atrocemente tra le fiamme sulla coperta del Fiume; li vide poi morire assiderati, li vide morire annegati, li vide morire divorati dagli squali, li vide morire impazziti dalla disperazione.
    Mi raccontava, con gli occhi arrossati, che i corpi dei Marinai erano attaccati prima dalle sardine che ne rosicchiavano le estremità e poi venivano improvvisamente trascinati giù, in un gorgo, dagli squali. Sulle zattere non c’era posto per tutti, e si faceva a turno tra chi era in mare, reggendosi aggrappati fuoribordo. Lunghissime ore di disperazione, nella notte, faccia a faccia con la morte, fino a quando non fu fatto prigioniero da un cacciatorpediniere inglese che lo issò a bordo con i pochi superstiti.
    Ma quando in famiglia si ebbe qualche notizia sulla sorte di mio padre?
    Il giorno 10 maggio 1941 (ben 42 giorni dopo la tragedia di Capo Matapan!).
    Giunse a Spongano, nella casa dei nonni, una lettera della Croce Rossa Internazionale in cui si comunicava che il maresciallo della regia Marina Antonio Miccoli era tra i pochi sopravvissuti all’affondamento dell’incrociatore Fiume. Catturato in mare dagli inglesi, era stato temporaneamente imprigionato ad Alessandria d’Egitto e poi era stato internato con molti altri Militari italiani, catturati non solo in mare, in un grande campo di concentramento P.O.W. situato a Zonderwater, in Sud-Africa. Rimase prigioniero degli inglesi in Sud-Africa per 5 anni e 2 mesi; un lungo periodo in cui patì la fame, subì angherie e maltrattamenti perché quando fu sottoposto più volte a interrogatorio si rifiutava di rivelare come era fatto e quale fosse il funzionamento del telemetro italiano (che per la qualifica posseduta egli ben conosceva) ai britannici.
    Fu liberato nel maggio del 1946 e rimpatriato a Napoli.
    Riprese la sua carriera di sottufficiale nella neonata Marina Militare e, dopo essere stato più volte decorato e nominato Cavaliere al merito della Repubblica dal Presidente Giovanni Gronchi, si congedò nel 1962 con il grado di Sottotenente del C.E.M.M..
    Questo mio modesto scritto, oltre che ricordare e onorare la memoria degli oltre 2300 Marinai Caduti e i Dispersi di Capo Matapan, vuole anche rappresentare un’occasione per considerare e riconoscere i grandissimi meriti della Croce Rossa Internazionale che sin dalla sua fondazione svolge quell’importante missione di recare soccorso, assistenza e conforto ai prigionieri e ai familiari delle vittime delle guerre. Ritengo pertanto tributare a questa organizzazione umanitaria di avermi fatto il dono del più prezioso frutti che la civiltà e il progresso umano ha dato a tutte le nazioni: l’umana solidarietà.

    (*) per saperne di più digita i nomi sul motore di ricerca del blog.

    82° anniversario della battaglia di Capo Matapan
    di Marino Miccoli

    Buongiorno stimatissimo Ezio,
    oggi  28 marzo ricorre il 83° anniversario di Capo Matapan.
    Per commemorare i Caduti e i Dispersi di quella drammatica notte, così come ho fatto negli anni passati, anche quest’anno ho scritto un mio articolo per il tuo meritevole quanto seguitissimo sito ”La voce del Marinaio”. A corredo iconografico allego due vecchie quanto suggestive fotografie in bianco/nero che ho estratto appositamente dall’album di ricordi di mio padre. In tal modo, di buon grado, onoreremo i nostri Marinai ricordando l’eroico Capitano di Vascello Giorgio Giorgis, ultimo Comandante del Regio Incrociatore Fiume. Era quella la superba Unità su cui era imbarcato anche mio padre Antonio Miccoli, con il collega maresciallo capocannoniere Nazareno Bramante di Siracusa, Virgilio Barucca di Senigallia, Giuseppe Palazzolo di Torino di Sangro e tanti altri valorosi Marina italiani.
    Per l’occasione, non senza commozione, ho composto una dedica al Comandante Giorgis (che fu una mente brillante, un valente scrittore in materia navale e tra gli ideatori dei temuti barchini esplosivi utilizzati poi dalla XMAS); si tratta di un condensato di quanto narrava mio padre (che fu uno dei pochi sopravvissuti all’affondamento dell’incrociatore Fiume) a proposito della figura del Comandante di una nave.

    Nel ricordare il sacrificio del Capitano di Vascello Giorgio Giorgis e quello di numerosi Marinai italiani, voglio ribadire che non si trattò di una “battaglia” (come affermano ancora tante persone male informate) ma fu una vera e propria strage conseguente all’agguato notturno che fu teso dalla squadra navale inglese e al tiro a segno guidato dai radar che ne seguì sulle ignare Unità della nostra I Divisione Navale mentre stavano recandosi a soccorrere il Regio Incrociatore Pola in avaria.
    Riflettiamo non solo sui Caduti e Dispersi di quella tragica notte ma anche sul dolore e sulla disperazione che colpirono le loro famiglie; queste non videro più tornare a casa i loro Cari e ancora oggi ne piangono la perdita. Per tutti, mi sovviene ora il nome della carissima signora Lucia Bramante di Siracusa, figlia di Nazareno, che nella sua bellissima città è riuscita a far intitolare una piazza ai Caduti di Capo Matapan.
    In questo giorno rivolgiamo a tutti i nostri Marinai Caduti e Dispersi il nostro deferente pensiero.
    E a te mio stimatissimo maresciallo Vinciguerra con un forte abbraccio giunge pure la mia sincera riconoscenza per la sensibilità che dimostri di avere nei confronti di tutti i nostri Marinai che non hanno più fatto ritorno alle basi.
    Marino

    Capo Matapan nel ricordo del comandante Giorgio Giorgis
    di Marino Miccoli

    AL COMANDANTE GIORGIO GIORGIS

    In occasione del 82° anniversario di Capo Matapan ho scritto una mia dedica all’eroico e indimenticabile Capitano di Vascello Giorgio Giorgis ultimo Comandante del Regio Incrociatore Fiume. Questa breve raccolta di considerazioni sono estratte dalle narrazioni di mio padre Antonio Miccoli (all’epoca maresciallo capocannoniere stereotelemetrista). Egli fu uno dei pochi sopravvissuti all’affondamento dell’incrociatore pesante Fiume ed ebbe l’onore di conoscere personalmente la Medaglia d’Oro al Valor Militare Giorgio Giorgis.

    “Il Comandante e la sua nave sono un tutt’uno; possiamo dire che Egli si identifica con l’Unità che comanda; per questo il “padrone” di una lancia che riconduce a bordo di una nave il suo Comandante, all’intimazione rivoltagli dalla scolta (sentinella) di turno in coperta “CHI VA LA’?” risponde con il nome stesso della nave: “NAVE FIUME!” e non con il grado dell’Ufficiale, come avviene invece negli altri casi. Tutti i componenti dell’Equipaggio ubbidiscono consapevolmente al loro Comandante e lo rispettano innanzitutto come Uomo e poi come primo degli Ufficiali di bordo. Infatti i Marinai sanno che in caso di estremo pericolo Egli si adopererà per la salvezza di tutti i suoi Uomini, dal serpante al suo comandante in seconda. Egli sarà l’ultimo a lasciare la sua nave e non di rado accade che scelga di rimanere a bordo per seguirne onorevolmente il destino”. (Antonio Miccoli)

    E’ la notte del 28 marzo 1941, il destino del Regio Incrociatore Fiume e della gran parte del suo Equipaggio decise di seguire con grande onore il suo valoroso Comandante, il Capitano di Vascello Giorgio Giorgis. Infatti, poco prima dell’affondamento, nonostante fosse ferito alla testa e sanguinante, volle scendere tra i suoi Marinai per rincuorarli; li riunì e ordinò il saluto al Re. Poi diede l’ordine di abbandonare la nave. I Marinai sulle zattere e quelli già in mare, aggrappati a relitti e a galleggianti di fortuna (tra questi vi era anche mio padre) videro tra i bagliori delle fiamme dei numerosi incendi che divampavano a bordo, il loro fiero Comandante che, dopo essere salito a prora, scomparì tra le onde insieme a gran parte del suo valoroso Equipaggio e alla nave che aveva tanto amato.
    Oggi, attraverso la meritevole “banca della memoria” creata e sostenuta da Ezio Vinciguerra, io che sono il figlio di uno dei pochi sopravvissuti, ho voluto rievocare a tutti gli stimati visitatori di questo lodevole sito web il sacrificio dei tanti Marinai Italiani Caduti e Dispersi la tragica notte di 77 anni fa a largo di Capo Matapan attraverso il ricordo del valoroso comandante del Regio Incrociatore Fiume M.O.V.M. GIORGIO GIORGIS.
    Dinanzi al loro sacrificio chiniamo il nostro capo, rivolgiamo Loro il nostro riverente pensiero e in rispettoso silenzio onoriamone la memoria.

    PER SAPERNE DI PIU’ DIGITA SUL MOTORE DI RICERCA DEL BLOG “CAPO MATAPAN” OPPURE “NOMI” E “NAVI CITATE” NEL COMMOVENTE RICORDO.

    Capo Matapan, quelli che non fecero rientro alla base ma vivono e si chiamano Mario Del Monaco, Demetrio Del Monaco, Tino Cavazzutti
    di 
    Alberto Cernuta

    Gentile Ezio,
    la ringrazio per l’amicizia che mi ha concordato e testimoniato inserendomi nel gruppo amici del marinaio, cosa molto gradita. L’avevo contattata alcuni giorni or sono in quanto avendo letto un suo scritto, appunto sulla voce del marinaio, che mi aveva in particolar modo colpito, “quelle urla mai dimenticate”, mi pare si intitolasse così quel racconto, dove narrava la dolorosa esperienza vissuta da suo padre, la notte del 28 marzo ‘41a bordo del regio incrociatore “Pola”nella tragica Battaglia di Capo Matapan.
    Non mi dilungo con commenti e giudizi in merito perché mi sono reso conto che lei è informatissimo e sa come si svolsero (sic) i fatti!
    Volevo solo portarlo a conoscenza di un fatto del quale forse lei è già al corrente; in quella battaglia, ed esattamente sul “Pola”era imbarcato anche un fratello di mia mamma nativo de La Maddalena e militare di leva, Demetrio Del Monaco. Suo padre mi sembra di avere capito, si salvò, fu fatto prigioniero, deportato in Africa, alla fine liberato. Analoga sorte toccò un commilitone ed amico fraterno di Demetrio, certo Tino Cavazzuti, tranviere milanese, il quale una volta liberato, e tornato a Milano, si precipitò a casa della sorella di (Demetrio aveva 4 fratelli a Milano) ansioso di sapere la sorte che era toccata a Demetrio.
    Pianse quando venne a sapere che con un laconico comunicato della Marina, il giovane (aveva 21anni ) fu dato disperso, ma la cosa che più mi ha colpito che tra il racconto fatto da suo padre e quello dell’amico di Demetrio, in merito a quella notte di delirio, non cambia una virgola. Ci tenevo lo sapesse Ezio, inoltre mia mamma perse un secondo fratello Mario, sempre in guerra e nella Marina, Lui riposa nel Sacrario dei Caduti a Palermo, città dove morì vittima di un’incursione aerea, la nave in porto, lui in città, corse in rifugio dove venne colpito da una scheggia al cuore, mori all’istante, e a Palermo rimase.
    Ricordo mia mamma piangeva sempre quando nominava questi due poveri sfortunati ragazzi t’antè che chiamò il mio fratello maggiore, suo primo figlio, Mario Demetrio.
    Sarei tanto desideroso di sapere se La Maddalena ha dedicato anche a loro un ricordo per questi suoi sfortunati figli che, assieme a tanti altri, hanno sacrificato la propria vita.
    Mi perdoni per questo chilometrico messaggio ma desideravo lo sapesse come altra testimonianza.
    Attendo, un suo riscontro con i migliori saluti, e ringraziamenti!
    Alberto Cernuta.

    Buonasera signor Alberto Cernuta e grazie per la bellissima e accorata mail che ha scritto sul mio profilo.
    Le chiedo se desidera ricevere notizie dettagliate sui suoi parenti che non hanno fatto rientro alla base.
    Quello che mi occorre sapere è il nome e cognome luogo e data di nascita e, se si ricorda le navi dove furono imbarcati, per attivarmi in una ricerca.
    Per quanto attiene La Maddalena, Sassari e più in generale la parte settentrionale della Sardegna, dall’inizio del 2° conflitto e fino a quel tragico 8 settembre ’43, ne sono successe tante … troppe.
    La prego anche in questo caso di essere il più preciso nella descrizione/quesito in modo da attivare i canali istituzionali ma anche degli storici che tanto hanno scritto su questa guerra iniziata male e finita peggio.
    Un abbraccio a Lei grande come il mare ed il cuore dei Marinai di una volta.
    Ezio.
    P.s il 28.3.1941 ricordiamo la battaglia di Capo Matapan e tutti i Marinai che non fecero rientro alla base.


    Gentile Ezio, la ringrazio per la sollecita risposta, purtroppo non posso essere di grande aiuto a riguardo dei dati che occorrono le posso solo dire quanto so’ a memoria, oramai i parenti più prossimi quelli che sapevano di più sono defunti, ed io le posso solo dire che i marinai erano due fratelli, entrambi nati a La Maddalena, la data precisa potrebbe confermarla l’anagrafe.
    Il primo, Del Monaco Demetrio, militare di leva, imbarcato sull’incrociatore “POLA” dopo la battaglia di Capo Matapan, risultò disperso; il secondo Del Monaco Mario, imbarcato non so su quale nave (SIC), si trovava a Palermo, e li morì perchè sceso dalla nave, in libera uscita, dovette correre in rifugio antiareo, e li fu colpito, al cuore da una scheggia. Luiè tumulato nel Sacrario dei Caduti di Guerra a Palermo, questo l’abbiamo accertato.
    Quello che le avevo chiesto nel precedente messaggio e’ se a La Maddalena, dove sono nati questi ragazzi, c’è una lapide, un monumento che li ricordi.
    Mi perdoni, sembrerebbe una domanda ovvia, tuttavia questa è solo una mia curiosità, io sono stato a La Maddalena e ci ritornerò ancora, ma questo particolare, mi era sfuggito, la ringrazio per le informazioni che mi potrà dare, e la ringrazio restituendole un caloroso abbraccio.!
    Alberto Cernuta

    Buonasera Alberto Cernuta, ho appena ricevuto notizie da un sottufficiale in pensione e nativo di La Maddalena delle seguenti notizie:
    – i Marinai caduti in guerra vengono commemorati in Piazza Garibaldi facciata atrio Palazzo Comunale dove ai due lati vi sono due grandi targhe in marmo con scritti i nomi dei Marinai caduti in guerra.
    – Al Sacrario Militare al civico cimitero vi sono atri caduti e targhe e vengono commemorati con cerimonia solenne, al centro del cimitero vi e’ una colonna alta una decina di metri in ricordo dei caduti ed al Milite Ignoto.
    – Non esistono altri luoghi dove vi sono targhe e cippi per i Caduti.
    – Vie e Piazze non portano alcun nome di Caduti. Di Demetrio nessuna targa in loro ricordo.
    Qualora decidesse di andare a La Maddalena la prego di tenerci informati.
    Un abbraccio a Lei grande come il mare e il suo cuore.


    I quattro regi incrociatori classe “Zara”
    di Marino Miccoli

    Buongiorno carissimo Ezio,
    come ho fatto anche negli anni scorsi, anche quest’anno ho voluto scrivere per il nostro Giornale di bordo un articolo in occasione del 81° anniversario di “CAPO MATAPAN”.
    Le due fotografie del regio Incrociatore FIUME le ho estratte appositamente dall’album di mio padre Antonio.
    Ti ringrazio perché tramite il tuo sito potremo ricordare i nostri Marinai Caduti e Dispersi di quella tragica notte.
    Ti abbraccio, con sincero affetto e profonda stima.
    Marino

    REGI INCROCIATORI CLASSE ZARA 
    di Marino Miccoli

    …dai ricordi tramandati da Antonio Miccoli, mio padre, uno dei pochi Marinai sopravvissuti.

    I regi incrociatori della classe “Zara” possono essere considerati tra le migliori unità della Regia Marina, frutto delle più valide maestranze della cantieristica italiana, varate tra la fine degli anni ’20 e gli inizi degli anni ’30.
    I quattro incrociatori vennero denominati: Fiume, Pola, Zara e Gorizia. Alla classe erano stati dati i nomi di quattro provincie del Nord-Est dell’Italia (Istria, Dalmazia e Venezia Giulia). Il primo dei quattro nuovi incrociatori pesanti ad essere costruito fu il Fiume (cantieri di Trieste), seguito dallo Zara (La Spezia) e poi dal Gorizia e dal Pola (Livorno). Tutti e quattro gli incrociatori entrarono in servizio tra il 1931 ed il 1932. Ad una robusta corazzatura, sia riguardo alla sua estensione che allo spessore, gli “Zara” abbinavano una elevata velocità. Per le loro caratteristiche costruttive erano considerati migliori degli incrociatori classe “Trento” poiché, gli errori commessi con la costruzione di questi ultimi, erano stati corretti ed il risultato furono quattro superbi quanto temibili incrociatori pesanti. Effettuando una comparazione con le unità coeve della stessa classe (tipo “Washington”) possiamo affermare che possedevano delle qualità mai eguagliate da nessuna delle marine belligeranti. In verità, sebbene fossero stati dichiarati ufficialmente come unità di 10.000 tonnellate, il loro effettivo dislocamento standard sfiorava le 12.000 tonnellate di stazza. 
L’armamento degli “Zara” era di tutto rispetto: otto pezzi da 203 mm Ansaldo su torri binate; sedici pezzi da 100/47 antiaerei e antinave, da quattro a sei impianti singoli da 40/39 e quattro complessi binati di mitragliere da 13,2 mm.

    Il mio compianto padre Antonio Miccoli, Capocannoniere Stereotelemetrista della Regia Marina, nelle sue narrazioni riguardanti l’armamento degli Zara ricordava alcuni particolari che riporto di seguito:
    1) la potenza dei pezzi principali da 203 mm. che erano in grado di tirare proiettili pesanti ben 120 kg. contenenti 50 kg. di carica per una gittata massima di 30 km.
    Nel 1938, quando mio padre ricevette l’ordine d’imbarco sul regio incrociatore Fiume, i due impianti da 100/47 situati a poppa erano stati da poco tempo sostituiti con mitragliere Breda 37/54, evidentemente ritenute più utili.
    2) Ricordava inoltre con un certo orgoglio che le batterie degli “Zara” erano più rapide nell’eseguire il tiro rispetto ai “Trento”. I pezzi di calibro maggiore erano diretti da efficienti centrali di tiro, assai protette, probabilmente le migliori tra quelle esistenti in quell’epoca, con il personale addetto al tiro ben addestrato.
    3) Infine un particolare riguardante l’estetica: a distanza era facile confondere il Fiumecon lo Zar perché si assomigliavano, ossia avevano sagome simili, tali da renderli non facilmente distinguibili.
    Per quanto concerne i commenti di mio padre sui fatti della tragica notte di Capo Matapan, ricordo che egli preferiva tacere perché dover ricordare quella immane strage notturna rappresentava sempre per Lui un motivo di gran dolore e profonda amarezza. In gergo pugilistico egli affermava che la I Divisione Incrociatori era stata attaccata mentre si trovava << con la guardia bassa >>, ovvero era stata presa completamente di sorpresa, in quanto i pezzi, come prevedeva il regolamento vigente allora, erano <<brandeggiati per chiglia>>, ovvero i cannoni erano disposti longitudinalmente ed in asse, pertanto non erano pronti a reagire al fuoco del nemico.

    La bella, quanto inedita, fotografia che ho estratto dall’album di mio padre e che con piacere pongo a corredo del presente articolo raffigura proprio il regio incrociatore Zara durante le manovre navali del 1932, probabilmente tenutesi nel golfo di La Spezia. La fascia sui fumaioli era stata appositamente dipinta per la distinzione delle unità durante lo svolgimento delle suddette manovre.

    I quattro incrociatori pesanti furono accomunati anche dalla tragica fine che essi subirono, infatti la perdita delle superbe unità della classe “Zara” avvenne purtroppo con la morte di migliaia di Marinai italiani. I componenti la I DIVISIONE REGI INCROCIATORI ovvero Fiume, Pola e Zara furono affondati a seguito del tiro a segno notturno guidato dai radar di cui disponevano le corazzate inglesi nella drammatica notte del 28 marzo 1941, a largo di Capo Matapan.
    A tutti i Marinai Caduti dei Regi Incrociatori della classe “Zara” rivolgiamo oggi, nel 77° anniversario di Capo Matapan, il nostro deferente pensiero e nel ricordare le numerose vittime dell’immane strage che avvenne quella drammatica notte, chiniamo rispettosamente il nostro capo e onoriamo la loro memoria. Rivolgo un reverente omaggio al capo cannonniere siracusano Nazareno Bramante che, come tanti altri Marinai italiani, non fece più ritorno alla base e un pensiero riconoscente alla di Lui figlia professoressa Lucia Bramante che, prima in Italia e nel mondo, è riuscita a far intitolare una piazza di Siracusa ai Caduti e Dispersi della notte del 28 marzo 1941.

    Quell’Iddio grande ed eterno, così come è invocato nella Preghiera del Marinaio, con la sua infinita grazia preservi sempre la pace tra le Nazioni e nella sua misericordia impedisca che simili atrocità possano nuovamente verificarsi.
    Onore ai Marinai Caduti di Capo Matapan.

    Alfonso Ghezzi
    di Giorgio Gianoncelli (*)

    (Prata Camportaccio (SO),  27.9.1910 – Capo Matapan 28.3.1941)

    Alfonso Ghezzi nasce a Prata Camportaccio (SO) il 27.9.1910 da famiglia di agricoltori della montagna in un borgo ameno sulla riva sinistra del fiume Mera (Maira), nella bassa Val Bregaglia.
    In quelle aree vallive i ragazzi, allo studio superiore devono privilegiare e prestare le braccia, il cuore e la mente alle necessità della vita quotidiana della famiglia.
    Alfonso cresce con il tuono del cannone della Prima Guerra Mondiale e la sua maturazione si conforma ai venti ruotanti del regime. Appassionato di meccanica, dopo la regolare scuola elementare, diventa garzone di officina, attrezzista meccanico. Attirato come tanti di noi montanari dal manifesto della Regia Marina, a domanda, il 29 luglio 1927, entra alle scuole CREM per il corso meccanici e inizia a vivere da Marinaio.
    Dopo molti imbarchi e su nave “Siracusa” per la Guerra d’Africa, arriva l’imbarco sul regio cacciatorpediniere “V. Alfieri” ai grandi lavori in arsenale.
    Il 10 giugno 1940 “l’Alfieri” è in linea con gli altri Poeti per la … danza sulle onde.

    Nell’inferno di fuoco di Capo Matapan, “l’Alfieri” è l’unica unità che riesce a dirigere alcuni colpi su un caccia avversario, poi, la violenta aggressione costringe il Comandante Salvatore Toscano a ordinare l’abbandono nave. Tra i superstiti, pochi, manca all’appello Alfonso Ghezzi, nato montanaro, rimasto Marinaio.

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

    28.3.1941, Aniello Bosco
    di Carlo Gianotti (foto e ricerche)

    Nasce a Stintino.
    Aniello era imbarcato sul regio incrociatore Zara, come marinaio telemetria di 3^classe.
    Al tramonto del 28 marzo 1941, nei pressi di Capo Matapan, un siluro inglese colpì il regio incrociatore Pola, mentre gli incrociatori Zara e Fiume e 4 cacciatorpediniere andarono a prestar loro soccorso. Nella notte le navi britanniche aprirono il fuoco affondando gli incrociatori Fiume e Zara e i due cacciatorpediniere Alfieri e Carducci. Successivamente affondò anche il Pola. Nello scontro morirono 834 uomini.

    28.3.1941, Salvatore Martone
    di Carlo Di Nitto

    (Formia, 25.5.1919 – Mare, 28.3.1941)

    Il marinaio S.M. Salvatore Martone, di Gennaro e di Supino Francesca, fu fra i dispersi nell’affondamento del regio incrociatore “Zara” il 28 marzo 1941.

    Durante la battaglia di Capo Matapan, l’unità venne centrata da numerose salve della soverchiante forza nemica che provocarono grosse falle, vasti incendi e avarie all’apparato di propulsione. L’equipaggio lottò per oltre tre ore per cercare di salvare la nave che, purtroppo, alle ore 02.30 affondò trascinando con se 799 Marinai.
    Era nato il 25 maggio 1919 a Formia.

    (La foto di Salvatore Martone appartiene alla collezione Carlo Di Nitto).

    28.3.1941 – 28.4.2022, Capo Matapan per mai dimenticare
    di Marino Miccoli

    Ezio carissimo e stimatissimo,
    c
    ome ti avevo preannunciato, quest’anno grazie alla tua sensibilità, ricorderemo la strage di Capo Matapan del 28 marzo 1941 in maniera originale.  Ti confesso che per me non è stato semplice scriverla perché durante la sua stesura avevo sempre presenti gli occhi bagnati dalle lacrime di mio padre, tra i pochi sopravvissuti di Capo Matapan e che non riusciva a terminare la narrazione dei tragici fatti, ovvero la morte di tutti i suoi amici Marinai, a cui aveva assistito in prima persona.
    Preciso inoltre che entrambe le fotografie allegate sono mie:
    1) la Preghiera del Marinaio a poppa sul Regio Incrociatore Fiume estratta dall’album di famiglia;
    2) la bella quanto significativa targa viaria che ho fotografato l’estate scorsa nel comune di Marittima (Lecce).
    Sperando che siano apprezzati dai visitatori de LA VOCE DEL MARINAIO, ti saluto cordialmente e ti abbraccio forte. Con stima.
    Marino

    28 marzo 1941 (Marino Miccoli)
    Non un raggio di sole
    non una croce
    non un fiore
    adornano il fondale sabbioso del mare
    che è il tuo giaciglio, Marinaio Italiano.
    Le alghe ondeggianti
    per il tuo capo
    fungono da guanciale
    e mentre dormi il tuo lungo sonno
    sei cullato dolcemente dalle correnti…

    I Marinai addormentati giacciono
    ora sparsi su di un letto di sabbia
    ora ancora prigionieri tra le lamiere incrostate e contorte
    delle paratie dei compartimenti stagni;
    il loro acqueo sepolcro è fatto di lastre metalliche deformate
    arroventate
    squarciate
    sventrate
    insanguinate…

    questi compartimenti in pochi attimi
    sono divenuti casse di risonanza di urla disperate
    raccapricciante orrendo scenario
    frutto dell’umana assurda follia chiamata guerra!

    Ecco cosa è rimasto di queste Regie Navi,
    queste Unità da diecimila tonnellate di dislocamento
    possenti
    temibili
    veloci…

    questi ignari giganti d’acciaio
    su cui all’improvviso nella notte buia
    si sono abbattuti i colpi da 381mm
    tirati a bruciapelo dalle corazzate britanniche
    sono implosi
    esplosi
    incendiati
    spezzati
    capovolti

    e colati a picco nel cuore della notte in pochi minuti…

    I superbi Regi Incrociatori della I Divisione
    sono ridotti ad ammassi informi di lamiere
    sono adagiati per sempre sul fondo del Mediterraneo…
    sugli scafi possiamo ancora leggere i loro NOMI:
    “FIUME”, “POLA”, “ZARA”
    e gli stemmi di ciascuna di queste stupende città marinare,
    dell’Istria Italiana; costituiscono ancora oggi
    lo splendido acrostòlio
    che adorna la sommità delle prore.

    Marinai d’Italia,
    i delfini amici dell’uomo sin dalla notte dei tempi
    vi sono vicini
    e vi recano il loro saluto!
    Oh mite delfino,
    ti prego, accogli questa mia accorata supplica:
    porta ad ogni Marinaio caduto
    lo sguardo fiero e ammirato del padre,
    la carezza affettuosa della mai rassegnata madre,
    dell’amata sposa il dolce bacio
    e del pargolo il lieto abbraccio filiale.

    Porta un fiore che rechi il soave profumo
    dall’amata Terra Italiana
    a tutti i Marinai caduti e dispersi
    nella fredda notte del 28 marzo 1941!

    Di ciascun componente di questi valorosi Equipaggi
    non conosco il  nome
    ma ti chiedo, fidato delfino,
    riferisci loro questo breve messaggio:
    più di settant’anni sono trascorsi
    da quella tragica notte in cui della morte
    diveniste facile e repentina preda
    ma custodiamo ancora
    gelosamente
    imperituro ricordo
    del vostro sacrificio
    nei nostri cuori.
    Onore a voi, prodi Marinai d’Italia!

    28.3.1941, Michele Ambrosio
    di Antonio Cimmino

    (Meta, 22.10.1907 – Mare, 28.3.1941)

    Il Maggiore del Genio Navale Michele Ambrosio nasce a Meta il 22 ottobre 1907.
    Morì a seguito dell’affondamento del regio incrociatore Fiume assieme ad altri 812 uomini dell’equipaggio su 1.104.

    A Capo Matapan (a sud del Peloponneso) la flotta inglese affondò anche i regi incrociatori Pola e Zara e i cacciatorpediniere Alfieri e Carducci.
    Complessivamente trovarono la morte 2.318 marinai.
    Eterno riposo a Loro.

    28.3.1941, regia nave Vittorio Alfieri
    a cura Antonio Cimmino


    A Pietro Di Capua disperso unitamente ad altri Marinai del regio cacciatorpediniere Alfieri il 28.3.1941 nella battaglia di Capo Matapan.
    La nave fu affondata da un siluro lanciato dal HMS Stuart.

    Elenco personale deceduto o disperso di nave Alfieri

    Ludovico Abate, sottocapo segnalatore (disperso) – Antonio Addis, capo cannoniere (disperso) – Giulio Alberti, marinaio (disperso) – Aldo Antonucci, cannoniere (disperso) – Andrea Arone (o Araneo), tenente medico (disperso) (decorato) – Giuseppe Artico, cannoniere (deceduto) –  Raffaele Aruta, silurista (disperso)  – Mario Ascione, fuochista (disperso) – Angelo Balderi, motorista navale (disperso) –  Elio Balò, cannoniere (disperso) – Renzo Bartaini, meccanico (disperso) –  Bianco Bartolucci, fuochista, da Numama (disperso) – Giordano Battelini, cannoniere (disperso) – Erminio Battistini, fuochista (deceduto) – Carlo Bellante, fuochista (disperso) – Flaviano Bernardi, cannoniere (disperso) – Quinto Bertozzini, fuochista (disperso) – Vincenzo Bilotti, marinaio (disperso) – Nunzio Bonaiuto, sottocapo cannoniere (disperso) – Andrea Bonavita, silurista (disperso) –  Aldo Borezzi, cannoniere (disperso) – Angelo Borsato, fuochista (disperso) –  Attilio Bracciale, sottocapo cannoniere (disperso) –  Niccolò Bradizza, marinaio (disperso) –  Zoel Brandinelli, capo meccanico (disperso) –  Pasquale Brando, fuochista (disperso) – Giovanni Bricca, radiotelegrafista (disperso) – Nello Bronzi, marinaio (disperso) – Luigi Bruna, fuochista (disperso) – Ettore Bruni, fuochista (disperso) – Pietro Gaetano Busolli, capitano di corvetta (disperso) – Agostino Cacace, fuochista (disperso) – Lino Cadia, segnalatore (disperso) – Salvatore Caldacci, fuochista (disperso) – Rodolfo Campana, elettricista (disperso) – Renato Campi, cannoniere (disperso) – Giuseppe Carbone, sottocapo meccanico (disperso) – Carlo Carillo, fuochista (disperso) – Giacomo Caristi, cannoniere (disperso) – Marcello Carlesso, sergente meccanico (disperso) – Gustavo Carlomagno, sergente radiotelegrafista (disperso) – Cornelio Carpeneti, specialista direzione tiro (disperso) –  Oreste Caruso, marinaio (disperso) – Augusto Castardi, fuochista (disperso) – Alighiero Ciacci, cannoniere (disperso) – Cataldo Cigliola, cannoniere (disperso) – Pasquale Cioffi, marinaio (disperso) – Gaetano Cippolletta, marinaio (deceduto) – Raffaele Colella, cannoniere (disperso) – Vittorio Conte, cannoniere (disperso) – Angelo Corbaccio, torpediniere (disperso) – Giuseppe Cordoni, fuochista (disperso) – Calogero Corsini, fuochista, 22 anni, da Porto Empedocle (disperso) – Giovanni Costamagna, capo radiotelegrafista (disperso) (decorato) – Giuseppino Crespi, torpediniere (disperso) – Giovanni Daniele, fuochista (disperso) – Pietro D’Augenti, marinaio (disperso) – Giuseppe Davi, fuochista (disperso) –  Marino De Giorgi, marinaio (disperso) – Salvatore De Sio, fuochista (disperso) – Alfiero De Stefani, sergente meccanico (disperso) – Mario De Zorzi, meccanico (disperso) – Pietro Dell’Isola, cannoniere (disperso) – Calogero Destro, marinaio (disperso) –  Pietro Di Capua, specialista direzione del tiro (disperso) – Vincenzo Di Franco, marinaio (disperso) – Leonardo Di Pierro, marinaio (disperso) – Antonio Di Pinto, marinaio (disperso) –  Michele Di Sante, marinaio (disperso) – Enzo Doddi, sottocapo cannoniere (disperso) –  Arturo D’Onofrio, capo meccanico (disperso) – Pietro Dotto, sottocapo specialista direzione del tiro (disperso) – Giuseppe D’Urso, fuochista (disperso) – Antonio Elia, cannoniere (disperso) – Roberto Erramonti, elettricista (disperso) – Luigi Evangelista, capo elettricista (disperso) – Pacifico Fala, fuochista (disperso) – Darlo Falcone, fuochista (disperso) – Aldo Fani, cannoniere (disperso) – Ettore Fasolin, sottocapo cannoniere (disperso) – Carlo Femminili, furiere (disperso) – Furano Ferrarese, marinaio (disperso) – Rodolfo Ferraro, sottocapo specialista direzione del tiro (disperso) – Agostino Ferrazzi, sergente silurista (disperso) – Ferruccio Ferreri, sergente radiotelegrafista (disperso) – Luigi Fumagalli, sergente radiotelegrafista (disperso) – Ermanno Fuser, elettricista (disperso) –  Alessandro Gambini, fuochista (disperso) – Aldo Gams, marinaio (disperso) – Gaetano Gangarossa, fuochista, 21 anni, da Porto Empedocle (disperso) – Osvaldo Garbati, fuochista (disperso) – Fortunato Genangeli, sergente meccanico (disperso) – Alfonso Ghezzi, capo meccanico, 31 anni, da Prata Camportaccio (disperso) – Claudio Giannini, sergente cannoniere (deceduto) – Italo Giannini, sottocapo cannoniere (disperso) – Giuseppe Giordano, sottocapo elettricista (disperso) – Alfeo Giorgetti, fuochista (disperso) – Bruno Giubilei, nocchiere (disperso) – Pietro Giugliano, fuochista (disperso) – Enrico Giuntini, cannoniere (disperso) – Angelo Grassi, sottocapo cannoniere (disperso) –  Ciro Grossi, secondo capo furiere (disperso) – Giovanni Ierala, sottocapo infermiere (disperso) – Antonio Improta, specialista direzione del tiro (disperso) – Accursio Indelicato, marinaio (disperso) – Francesco Isgrò, marinaio (disperso) – Salvatore La Rosa, fuochista (disperso) –  Vincenzo Lamia, nocchiere (disperso) – Castone Lanza, secondo capo meccanico (disperso) – Michele Lavafila, cannoniere (disperso) – Vittorio Levi, fuochista (disperso) – Salvatore Licata, marinaio, 23 anni, da Licata (disperso) – Antonio Limpido, fuochista (disperso) – Pietro Livigni, silurista (disperso) – Felice Lorenzut, marinaio (disperso) – Giulio Lotterò, fuochista (disperso) – Antonio Maddaluno, sottocapo cannoniere (disperso) – Luigi Maio, cannoniere (disperso) – Mauro Malone, cannoniere (disperso) – Oberto Manfredi, sottotenente di vascello (disperso) – Giuseppe Mangione, sottocapo specialista direzione del tiro (disperso) – Raffaele Mantone, sottocapo segnalatore (disperso) – Marcello Marangoni, sottocapo elettricista (disperso) – Mario Marini, sergente silurista (disperso) – Emanuele Marini, marinaio (disperso) – Arturo Martinotti, sottocapo silurista (disperso) (decorato) – Bruno Marzolla, fuochista (disperso) – Giuseppe Masiello, sottocapo radiotelegrafista (disperso) – Carlo Masotti, capo meccanico (disperso) – Giuseppe Mattei, secondo capo meccanico (disperso) – Giuseppe Mazzilli, capo meccanico (disperso) – Giovanni Millo, elettricista (disperso) – Luigi Minetto, specialista direzione del tiro (disperso) – Luigi Miniussi, fuochista (disperso) – Pietro Misuraca, sottocapo silurista (disperso) – Mario Mittino, elettricista (disperso) – Giorgio Modugno, capitano del Genio Navale (direttore di macchina) (deceduto) (MOVM) – Giuseppe Monaldini, fuochista (disperso) – Giovanni Mondera, nocchiere (disperso) – Michele Montalto, marinaio (disperso) – Umberto Morelli, segnalatore (disperso) – Giovanni Moretta, secondo capo cannoniere (disperso) – Vittorio Mucci, cannoniere (disperso) – Francesco Musicò, cannoniere (disperso) – Italo Naitana, nocchiere (disperso) – Sicialfredo Navilli, cannoniere (disperso) – Giovanni Negrich, marinaio (disperso) – Renzo Nesti, sottocapo cannoniere (disperso) – Vittorio Nicoli, cannoniere (disperso) – Onofrio Nocerino, marinaio (disperso) – Aldo Novelli, cannoniere (disperso) – Ivan Occhiali, cannoniere (deceduto) – Alessandro Ottolino, marinaio (disperso) – Tommaso Ottonello, marinaio (disperso) – Giuseppe Panarinfo, maestrino ufficiali (deceduto) – Egidio Panigo, capo cannoniere (disperso) – Nicola Paparella, cannoniere (disperso) – Bartolomeo Parodi, capo (disperso) – Giuseppe Parrella, secondo capo radiotelegrafista (deceduto) – Arturo Penitenti, cannoniere (disperso) (decorato) – Salvatore Peraino, specialista direzione del tiro (disperso) – Giacinto Perfetti, fuochista (disperso) – Pietro Piacquadio, sottocapo cannoniere (disperso) – Duilio Picchianti, marinaio (disperso) – Gastone Picciolut, fuochista (disperso) – Andrea Polatri, fuochista (disperso) – Francesco Ponticiello, capo segnalatore (disperso) – Paolo Proietto, marinaio (disperso) – Antonio Protopapa, fuochista (disperso) – Giovanni Raffaelli, elettricista (disperso) – Gaetano Reitano, marinaio (disperso) – Alessandro Rezzi, meccanico (disperso) – Rosario Ritunno, marinaio (disperso) – Rocco Rizzi, specialista direzione del tiro (disperso) (MBVM) – Domenico Robusto, marinaio (disperso) –  Giovanni Romano, cuoco ufficiali (disperso) – Siro Rossi, capo meccanico (deceduto) – Beniamino Ruggero, secondo capo radiotelegrafista (deceduto) – Romeo Salvi, elettricista (disperso) – Francesco Sanfilippo, fuochista (disperso) – Luigi Sarnataro, fuochista (disperso) –  Giovanni Savini, marinaio (disperso) – Giuseppe Scaglia, silurista (disperso) – Mario Scavo, radiotelegrafista (disperso) – Gilberto Schillani, fuochista (disperso) – Alfredo Schiocchetti, capo meccanico (disperso) –  Vincenzo Scialone, fuochista (disperso) – Antonio Sciutto, sergente cannoniere (disperso) – Vincenzo Scoglio, marinaio (disperso) – Vittor Ugo Scortichini, sottocapo radiotelegrafista, 21 anni, da Fabriano (disperso) – Vincenzo Scuderi, cannoniere (disperso) – Nicola Sernicola, sottocapo meccanico, 29 anni, da Cava de’ Tirreni (disperso) – Augusto Simonelli, nocchiere di seconda classe (disperso) (decorato) – Giuseppe Soave, secondo capo (disperso) – Gino Squizzato, elettricista (disperso) – Paolo Stabile, cannoniere (disperso) – Giuseppe Tassoni, sottocapo cannoniere (disperso) – Antonio Testi, secondo capo cannoniere (disperso) – Giuseppe Tiralongo, sottocapo radiotelegrafista (disperso) – Marino Torregiani, cannoniere (disperso) – Salvatore Toscano, capitano di vascello (comandante; caposquadriglia della IX Squadriglia Cacciatorpediniere) (deceduto) (MOVM) – Mario Trifoglio, cannoniere (disperso) – Giovanni Urbani, marinaio (disperso) – Giuseppe Valerio, fuochista (disperso) – Walter Valleri, nocchiere (disperso) – Adriano Vecchiotti, tenente commissario (disperso) – Antonio Villa, segnalatore (disperso) – Baldassarre Vinci, marinaio (disperso) – Giovanni Vitelli, sottotenente del Genio Navale Direzione Macchine (disperso)  – Giuseppe Wararan, secondo capo specialista direzione del tiro (disperso) – Luigi Zanone, cannoniere (disperso).

    28.3.1941, affonda la regia nave Carducci
    a cura Antonio Cimmino

    …regio cacciatorpediniere Carducci affondato in combattimento a Capo Matapan il 28 marzo 1941.

    28.3.1941 Regia nave Carducci - www.lavocedelmarinaio.com

    28.3.1910, un compleanno drammaticamente memorabile
    di Marino Miccoli (*)

    Il 28 marzo 1941 era il giorno del 31° compleanno di mio padre Antonio Miccoli. Era nato il 28 marzo 1910 a Spongano, un piccolo centro del Salento, in provincia di Lecce e credo che Egli tutto potesse immaginare tranne il fatto che proprio in quella notte avrebbe ricevuto il dono più prezioso che un essere umano può ricevere: salvare la propria vita.
    Dal 1938 era imbarcato, con la qualifica di Capocannoniere stereotelemetrista, sul regio incrociatore pesante Fiume e fu uno dei pochi marinai sopravvissuti all’agguato che la squadra navale inglese tese quella notte agli incrociatori della 1^ Divisione e ai CC.TT. della IX Squadriglia di scorta mentre si portavano in soccorso dell’incrociatore Pola. Quest’ultimo era immobilizzato in mezzo al mare a causa delle avarie riportate dall’apparato motore ed elettrico per il precedente siluramento avvenuto durante un attacco di idrovolanti britannici.

    Ricordo che nella sua descrizione dei fatti accaduti nella tragica notte di Capo Matapan, mio padre arrivava ad un certo punto e non riusciva più ad andare avanti nella narrazione. Egli ad un tratto, quando ricordava gli attimi successivi all’apertura del fuoco da parte delle corazzate inglesi, si interrompeva e con gli occhi arrossati e bagnati dalle lacrime scuoteva il capo, quindi si allontanava.
    Oggi, in occasione del 82° anniversario di Capo Matapan, desidero ricordare ed onorare tutti quei Marinai italiani che dopo quella tragica notte non fecero più ritorno alla base e rivolgo un rispettoso pensiero ai loro congiunti, alle madri, ai padri, alle mogli e ai figli dei Caduti e dei Dispersi.
    Onore ai Marinai caduti di Capo Matapan.

    Piazzaforte di POLA, 1938. Corso di aggiornamento riservato ai Capocannonieri Stereotelemetristi; Antonio Miccoli è il primo da sinistra.

    28.3.1941, Iside la moglie di un marinaio del Zara
    di Antonello Goi (*)

    Qualche anno fa, per una rivista di ex dipendenti Telecom, scrissi una breve biografia di una collega “centenaria” dopo averla intervistata. Riporto qui un breve passo, in ricordo di lei, scomparsa qualche anno dopo, e del marito, che partecipò alla battaglia di Capo Matapan.
    Un pensiero a tutti e due e un bacetto alla mia cara collega.
    “Iside era fedele al “suo” fidanzato, Vladimiro, che avrebbe sposato alla fine della guerra. Vladimiro, è bello ricordare anche lui, era un marinaio, sergente del Servizio Direzione di Tiro, imbarcato sull’incrociatore Zara che, all’inizio del conflitto, era inquadrato nella Iª Divisione Incrociatori della Iª Squadra di base a Taranto, quale ammiraglia di Divisione.

    Lo Zara partecipò alle principali missioni belliche della Regia Marina nella seconda guerra mondiale, come la battaglia di Capo Matapan (29 marzo 1941); in tale occasione lo Zara fu affondato. Morirono 782 dei 1148 uomini. I sopravvissuti furono internati dagli inglesi in un campo di concentramento a Johannesburg, soprannominato Zonderwater (che significa “senz’acqua). Da questo campo, dal quale ritornò nel 1947, Vladimiro scriveva tenere lettere d’amore alla sua Iside che già chiamava “moglie mia”e che sono ancora amorevolmente conservate.”

    Dello stesso argomento sul blog
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2017/02/22-2-1943-fulmini-su-zonderwater/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2017/01/18-1-1945-zonderwater-dichiarazione-di-fedelta/

    (*) Antonello Goi è deceduto nel 2020.

    28.3.1941, affonda regia nave Pola
    di Carlo Di Nitto

    Bella foto – cartolina aziendale realizzata il 5 dicembre 1931 in occasione del varo del regio incrociatore pesante “Pola” e viaggiata il 9 dicembre successivo, quattro giorni dopo la cerimonia.
    L’unità completerà l’allestimento ed entrerà in servizio il 21/12/1932.
    Costruito nei Cantieri Navali O.T.O. di Livorno, il “Pola”, classe “Zara”, dislocava 14360 tonnellate.
    Il 14 dicembre 1940 venne gravemente danneggiato durante un bombardamento aereo su Napoli che causò la perdita di 22 marinai.
    La regia nave “Pola” fu affondata durante lo scontro di Capo Matapan il 28 marzo 1941.
    Nell’affondamento persero la vita altri 336 uomini del suo equipaggio.
    ONORE AI CADUTI !

    L’EROICO REGIO INCROCIATORE PESANTE “POLA”


    BENEDICI NOI CHE VEGLIAMO IN ARMI SUL MARE
    di Marino Miccoli

    E’ la fine degli anni ’30 del secolo scorso quando ci troviamo a bordo di una veloce quanto temibile unità della Regia Marina in qualche parte del mar Mediterraneo. Tutto il personale “franco” dal servizio è stato chiamato a poppa per partecipare un particolare momento della giornata del Marinaio: l’ammainabandiera.
    Stiamo per vivere un breve frangente della vita di bordo in cui prevale la spiritualità, durante il quale il pensiero è rivolto a quanto di più caro i Marinai italiani hanno nel loro cuore. I reparti si schierano rivolgendosi verso l’estrema poppa laddove sventola la Bandiera… Marinai, Sottufficiali e Ufficiali, tutti insieme eseguono gli ordini scanditi seccamente: “EQUIPAGGIO ATTENTI… SCOPRIRSI!” Nel silenzio più assoluto tutti i presenti si tolgono il berretto; trascorrono pochi attimi ed ecco che il Guardiamarina più giovane comincia a recitare ad alta voce… “A TE, OH GRANDE ETERNO IDDIO, SIGNORE DEL CIELO E DELL’ABISSO…”
    A corredo iconografico di quanto sopra inserisco la vecchia ma bellissima quanto significativa fotografia che ho estratto dall’album del mio compianto padre Antonio Miccoli (Capocannoniere Stereo-telemetrista). Questa immagine è stata scattata alla fine degli anni ’30 del secolo scorso, proprio alla vigilia dello scoppio della II Guerra Mondiale, a poppa del Regio Incrociatore FIUME mentre l’Equipaggio recita la Preghiera del Marinaio.
    Purtroppo il FIUME, con il POLA e lo ZARA (tutti e tre superbi quanto moderni incrociatori pesanti “classe ZARA” della I Divisione) e le Cacciatorpediniere di scorta la notte del 28 marzo 1941 saranno affondati in pochi minuti nell’agguato notturno teso a largo di Capo Matapan dalla squadra navale britannica. Fu micidiale l’effetto del tiro ravvicinato guidato dal radar delle artiglierie delle corazzate inglesi sulle totalmente ignare Unità della Regia Marina. Il FIUME affondò in pochi minuti e mio padre fu tra i pochi sopravvissuti dell’Equipaggio. Quella drammatica vicenda lo segnerà profondamente per tutta la vita.


    In occasione dell’83° anniversario della carneficina che avvenne quella notte, che impropriamente talune persone male informate ancora oggi definiscono “battaglia di Capo Matapan”, con questo mio scritto desidero rispettosamente RICORDARE ed ONORARE tutti quei MARINAI ITALIANI che, a seguito di quel tragico evento, non fecero più ritorno alla base. E un altro pensiero doverosamente rivolgo alle famiglie dei Caduti e dei Dispersi in mare, le quali non hanno avuto neppure il conforto di recarsi in un luogo dove andare a deporre un fiore e versare le proprie lacrime.
    Mi e vi domando: giungeremo mai un giorno a vedere RIUNITI IN UN UNICO LUOGO TUTTI I LORO NOMI?


    I nomi di quei 2300 nostri valorosi MARINAI CADUTI E DISPERSI a largo di CAPO MATAPAN il 28 MARZO 1941, INCISI UNO PER UNO E IMMORTALATI NEL MARMO di un memoriale, di un sacrario edificato appositamente per loro in un luogo costiero della nostra bella Italia?
    In tal modo la memoria del loro sacrificio riceverà finalmente il dovuto riconoscimento e sarà concretamente tramandata ai posteri. Un luogo che possa costituire per tutti un imperituro e severo monito ad agire sempre in difesa e per il mantenimento di quel bene inestimabile costituito dalla PACE TRA LE NAZIONI.

    Domenico Bastianini (Tuscania (VT), 24.8.1900 – Mare, 28.3.1941)
    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    (Tuscania (VT), 24.8.1900 – Mare, 28.3.1941)


    Nacque a Tuscania (Viterbo) il 24 agosto 1900. Dopo aver conseguito la laurea in Ingegneria Navale presso la Scuola Superiore Politecnica di Napoli nell’agosto del 1922, nel settembre dello stesso anno, dopo aver brillantemente superato gli esami di concorso, venne nominato Tenente del Genio Navale in servizio permanente effettivo a nomina diretta ed ammesso all’Accademia Navale di Livorno.
    Al termine dei Corsi in Accademia prestò servizio, in tempi successivi: presso la Direzione delle Costruzioni Navali di La Spezia, a Navalgenio Trieste ed ebbe importanti imbarchi su varie unità di superficie. Dal dicembre 1931 al dicembre 1934, nel grado di Capitano, fu Assistente Tecnico dell’Addetto Navale a Londra e partecipo poi alle operazioni militari in Spagna ed alla Campagna d’Albania, nel grado di Maggiore G.N. ed in seguito fu imbarcato su un incrociatore.
    Promosso Tenente Colonnello imbarcò prima sull’incrociatore Trento con il quale partecipò alla battaglia navale di Punta Stilo, e dal dicembre 1940 sull’incrociatore Zara con l’incarico di Capo Servizio G.N. aggiunto della Squadra Navale. Nell’azione navale del 28 marzo 1941 lo Zara, che alzava l’insegna del Comando della 1a Divisione Incrociatori diresse, con l’incrociatore Fiume e 4 cacciatorpediniere, per portare assistenza all’incrociatore Pola, silurato ed immobilizzato la sera dello stesso 28 marzo, ma sorpreso con le altre Unità dalle navi da battaglia britanniche Valiant, Barham, a Warspite, delle quali non era nota la loro presenza nella zona, fu improvvisamente colpito dal tiro nemico che provocò gravi avarie, vasti incendi e l’immobilizzazione dell’Unità, per cui ne venne deciso l’autoaffondamento. Con fredda determinazione e con l’aiuto di pochi animosi Domenico Bastianini si portava nei locali inferiori con l’intento di aprire le valvole, onde accelerare l’affondamento della nave, e scompariva con essa.

    Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione:
    Ufficiale superiore del Genio Navale, dotato di grande intelligenza, vasta capacità professionale ed elevatissime qualità morali e di carattere, aveva sempre sollecitato destinazioni dove più intensa fosse l’attività e più vivo il rischio.Con lo stesso spirito entusiasta con cui aveva preso parte alla guerra antibolscevica di Spagna ed era volontariamente sbarcato fra i primi nelle operazioni per l’occupazione dell’Albania, allo scoppio del nuovo conflitto insistentemente aveva chiesto il privilegio e l’onore di trovarsi a bordo per prendere parte più attivamente alla lotta.
    Capo servizio del Genio Navale aggiunto della Squadra Navale, già segnalatosi durante un bombardamento aereo nemico per il pronto ricupero e la rapida disattivazione di una bomba inesplosa, partecipava con immutato, entusiastico ardimento su di un incrociatore ad una delicata missione offensiva nel Mediterraneo Orientale.
    Durante breve combattimento contro forze corazzate nemiche, presente ove maggiore era il pericolo, si dedicava con tutte le sue energie agli ordini del Comandante, ad arginare le gravi conseguenze, causate dai colpi nemici e dai violenti incendi.
    Smantellate le torri ed immobilizzate le macchine dal tiro dei grossi calibri, nonostante fosse dato l’ordine di abbandonare la nave, rimaneva a bordo per dare ancora la sua opera generosa alla distruzione dell’unità piuttosto che vederla catturata dal nemico. Con fredda decisione, con sereno spirito di sacrificio, egli con pochi animosi scendeva nei locali inferiori senza aria e senza luce e provvedeva all’apertura delle valvole di allagamento e delle portellerie ed allo sfondamento degli scarichi dei condensatori. Nell’ardua fatica lo illuminava l’amore alla sua nave, lo sosteneva il palpito del suo cuore generoso.
    Con l’unità che qualche istante dopo si inabissava nel vortice dell’esplosione, eroicamente scompariva: nobile esempio di attaccamento al dovere e di indefettibile amor di Patria” – Mediterraneo Orientale, 28 marzo 1941.

    Alla Medaglia d’Oro al Valore Militare Domenico Bastianini è stata dedicataLa Scuola Sottufficiali della Marina La Maddalena. Inaugurata nel 1949 con il nome “Gruppo Scuole C.E.M.M.”, è istituito alla Maddalena il Comando Scuole Corpi Equipaggi Militari Marittimi”.

    L’inizio ufficiale delle attività è il 10 marzo 1949 con i Corsi Ordinari per le categorie Nocchieri, Segnalatori, Furieri, Cuochi e Infermieri si sarebbero tenuti nella nuova Scuola C.E.M.M.
    Il 1 ottobre 1952 entrano nella sede più scuole di diverse categorie. Il Gruppo Scuola C.E.M.M. di La Maddalena fu ridefinito Scuola Meccanici e Scuola Motoristi Navali.

    Nuovi corsi
    Nel 1960 completò i corsi per le categorie Nocchieri, Nocchieri di Porto e Palombari trasferitesi a La Maddalena. La Maddalena ha formato anche gli Infermieri. Poi le Scuole Furieri e dei Servizi Logistico-Amministrativi, dal 1975 si trasferiscono definitivamente a Taranto.
    Dal 1° Maggio 1978 il nome di Gruppo Scuole C.E.M.M. mutò in quella di “Scuola Allievi Sottufficiali M.M.”. Dal 1980 con la chiusura della “Caserma Faravelli” si stabilì definitivamente, nell’attuale sito, iniziando un programma di riorganizzazione interna.
    Nel 1982 prende il nome di “Scuola Sottufficiali Marina Militare”, articolata sugli elementi formativi “Direzione Corsi Sottufficiali”, “Direzione Corsi Allievi” e “Direzione Studi”. 1999 la Direzione Corsi Allievi cambia nome in Direzione Scuola Operatori e la Direzione Corsi Sottufficiali ha assunto la denominazione di “Direzione Corsi  Marescialli”.

    Riorganizzazioni
    Negli ultimi anni la Scuola ha subito infine varie riorganizzazioni interne, legate alle mutate esigenze di formazione del personale della Forza Armata ed alle concomitanti riorganizzazioni dei Comandi presenti a La Maddalena. Attualmente è articolata su una “Direzione Studi” e due “Direzioni Corsi” (Corsi Operatori e Corsi Speciali), affiancate dai diversi Servizi che si occupano del necessario supporto tecnico, logistico ed Amministrativo  esteso a tutti i Comandi presenti.
    La Scuola Sottufficiali della Marina La Maddalena provvede alla formazione etica, militare e tecnico-professionale del personale della Marina Militare Italiana:

    1. nocchieri,
    2. nostromi,
    3. tecnici di macchina,
    4. nocchieri di porto/ Guardia costiera

    Provvede inoltre alla formazione ed all’abilitazione del personale di altre Forze Armate per il:

    1. comando e condotta mezzi navali;
    2. condotta impianti di propulsione.

    La Scuola Sottufficiali della Marina La Maddalena assolve infine al supporto logistico, tecnico ed amministrativo per gli Enti ed i Comandi nell’area operativa del Nord Sardegna.
    L’attività formativa viene disimpegnata con una grossa componente addestrativa (circa 34 %) ed un programma di insegnamento (circa il 66 %) con una media del 30 % di attività teorica e del  36 % di attività pratica.
    Per poter adempiere con la massima efficienza ai compiti assegnati la Scuola impiega stabilmente oltre 420 uomini e donne tra militari (74 Ufficiali, 158 Sottufficiali, 95 truppa) e personale civile  (94 unità tra insegnanti civili e personale di supporto).
    Gli edifici destinati all’insegnamento e le vaste strutture addestrative, ricettive, ricreative e sportive della Scuola si sviluppano in un’area di oltre 150.000 metri quadrati.
    (fonte Marina Militare)

    BATTERIE PER CHIGLIA
    di Marino Miccoli

    ovvero un ricordo dei fatti di Capo Matapan in occasione dell’83° anniversario.
    “La morte ci colse di sorpresa quella maledetta notte,
    erano le ore 22,30 quando
    all’improvviso
    le tenebre furono rotte da fasci di luce bianca,
    una luce abbagliante, tanta luce
    illuminò le nostre navi
    che pareva essere giorno…
    e dopo alcuni istanti, poco lontano dalle sorgenti di quelle luci
    avvistammo altre luci, ben più temibili e crudeli delle prime,
    erano le vampate dei grossi calibri da 381 mm delle corazzate inglesi
    che ci tiravano addosso da distanza ravvicinata…
    il radar guidava nell’oscurità il loro micidiale tiro…
    24 pezzi di artiglieria pesante riversarono un diluvio di proiettili
    sui due nostri incrociatori della I Divisione e sui Caccia di scorta,
    fortissimi terrificanti boati,
    un grande fragore come di tuono
    e su di noi si abbattè una valanga di proiettili ed esplosivo
    e furono sùbito esplosioni, fuoco, devastazione e morte…
    morte e distruzione dovunque sopra e sotto coperta…
    sulle nostre ignare Unità.

    Giuseppe Palazzolo (Torino di Sangro, 1.11.1919 – Mare 28.3.1941)
    di Ferdinando Talamonti

    (Torino di Sangro, 1.11.1919 – Mare 28.3.1941)

    … riceviamo e con immenso orgoglio pubblichiamo.

    Giuseppe Palazzolo, disperso in guerra. Era mio zio, cannoniere, sul regio incrociatore Fiume.

    A proposito della regia nave Fiume
    di Marino Miccoli – Luigi Atzori

    …riceviamo e orgogliosamente pubblichiamo per mai dimenticare il 27 – 28 marzo 1941.

    Pregiatissimo
    signor Luigi Atzori,
    per nulla, proprio di nulla Lei si deve scusare con me; sono io che La ringrazio per lo scritto commemorativo della strage di Marinai italiani che avvenne la notte del 28 marzo 1941 a largo di Capo Matapan (Grecia) che è apparso i primi di novembre u.s. sul sito SERRAMANNA.
    E mi ha fatto particolarmente piacere che Lei, stimato signor Atzori, abbia riportato i versi della mia poesia che ho scritto per ricordare quei drammatici momenti. Sono onorato del fatto che le mie modestissime parole siano servite a commemorare i due valorosi Caduti figli di Serramanna. Quella tragica notte i due Marinai, suoi conterranei nonché miei connazionali, il cannoniere Efisio Cabras e l’elettricista Antonio Secci, erano vicini a mio padre il maresciallo capo-cannoniere Antonio Miccoli; erano infatti imbarcati sulla medesima unità della Regia Marina: il superbo quanto temibile Regio Incrociatore Fiume. Era una nave stupenda che aveva un equipaggio straordinario per la sua preparazione e professionalità; il meglio che potessero offrire le scuole CREMM in quell’epoca. Purtroppo furono pochi coloro che scamparono a quell’improvvisa tempesta di fuoco che in pochi minuti distrusse quasi per intero la I^ Divisione di Incrociatori Pesanti e i Cacciatorpedinieri di scorta. Mio padre fu tra quei pochi fortunati (…o meglio sarebbe dire: graziati) e per lui, fatto prigioniero dagl’inglesi, ebbe inizio un lungo periodo di prigionia in Sud-Africa. Di questo lungo, duro e drammatico periodo di  prigionia sto redigendo un articolo e Lei, stimato signor Luigi Atzori, unitamente al maresciallo Ezio Vinciguerra del sito “lavocedelmarinaio.com” che pubblica i miei modesti scritti, sarà tra i primi ad averne copia.
    Riguardo alla sua richiesta di mie fotografie raffiguranti l’equipaggio del Regio Incrociatore Fiume, devo purtroppo risponderLe che non ne ho.
    Nell’oceano rappresentato dal web ho rinvenuto un’immagine di gruppo che comunque allego a questa mia lettera. Copia di questa e-mail la invio allo stimato maresciallo Ezio Vinciguerra che ha fatto da gentile tramite nella corrispondenza tra Lei e me e che ringrazio di vero cuore.
    Sperando di fare cosa gradita, allego pure una rara quanto bella fotografia del Regio Incrociatore Fiume, tratta dall’album di mio padre, mentre sfila davanti a piazza San Marco a Venezia. La autorizzo all’eventuale sua pubblicazione sul sito ASERRAMANNA, e sarebbe significativo che questa bella immagine fosse accompagnata da un suo pregevole quanto gradito scritto di commento, gentile signor Atzori.
    Contento di aver fatto la sua conoscenza, spero di avere presto sue notizie e Le auguro un sereno anno 2012 che veda il realizzarsi delle sue migliori aspirazioni e buone aspettative.
    Una calorosa stretta di mano accompagna il sincero e marinaresco saluto che ho il piacere di porgerLe, caro signor Luigi Atzori, al termine di questa mia lettera.
    Con stima.
    Marino Miccoli

    Per approfondire digita sul motore di ricerca del blog “La disfatta di Capo Matapan” e consulta anche i sotto elencanti Link
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/06/le-scuole-c-r-e-m-di-pola-istria-italiana/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/04/a-te-o-grande-eterno-iddio/
    http://www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=335
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/11/1-dicembre-1941-%e2%80%93-r-e-alvise-da-mosto/
    http://www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=320

  • Curiosità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    15.1.1931, una memorabile impresa

    di Marino Miccoli 

    Il 15 gennaio 2021 ricorre il 93° anniversario della “prima trasvolata atlantica in formazione”. Per la prima volta nella storia dell’aeronautica mondiale uno stormo di aerei dell’Aeronautica Italiana comandato dal generale Italo Balbo effettuava, proprio  80 anni fa,  una trasvolata congiungendo Orbetello (Grosseto) a Rio de Janeiro. La partenza fu effettuata nella mattinata del 17 dicembre 1930 e l’arrivo il 15 gennaio 1931 con l’ammaraggio degli idrovolanti italiani “Savoia-Marchetti 55” nella superba baia brasiliana. Fu un’impresa ardua, brillantemente superata al costo di grandi sacrifici da parte di tutti coloro che vi parteciparono, un traguardo nella storia dell’Aviazione e della Marina Italiana che suscitò l’ammirazione internazionale. Infatti fu proprio la Regia Marina a dare supporto tecnico e appoggio logistico organizzando una “crociera atlantica” e dislocando lungo la rotta seguita dagli idrovolanti di Italo Balbo una Divisione di Regi Esploratori costituita da 8 nuovissime unità. Proprio di queste meravigliose navi e dei loro validissimi equipaggi voglio parlare in questo mio modesto scritto, anche perché a quell’impresa vi partecipò il mio compianto padre, Antonio Miccoli (1), che all’epoca era poco più che ventenne ed era imbarcato con la qualifica di cannoniere telemetrista sul Regio Esploratore “Leon Pancaldo”. Le rare fotografie, veri e propri documenti iconografici che accompagnano questo breve articolo, sono tratte dal suo album personale che mi ha lasciato in eredità. Ma torniamo ai protagonisti che sul mare resero possibile l’eroica impresa; la Divisione Navale  era composta dalle seguenti unità: Da Noli,  Da ReccoMalocelloPancaldoPessagnoTarigoUsodimareVivaldi. Tutte queste navi sono state raggruppate nella “classe Navigatori”e durante la II Guerra Mondiale i loro equipaggi diedero prova del loro grande valore, affrontando un’attività bellica intensa, durissima ed estenuante. Queste navi che  ricoprirono il compito di unità capo-scorta, furono protagoniste di quella che in seguito sarà definita la “battaglia dei convogli(2).

    La crociera atlantica degli otto Regi Esploratori della Regia Marina (sul Da Recco era stabilito il Comando della Divisione) ebbe una durata di quasi quattro mesi. Il 3 gennaio 1931 le navi della Divisione Regi Esploratori erano partite per raggiungere le posizioni loro assegnate sulla rotta dei Trasvolatori.

    Esse furono divise in tre gruppi: I Gruppo costituito dagli Esploratori Da ReccoTarigo e Vivaldi, con base alle isole Canarie, fu destinato all’Atlantico centrale;

    II Gruppo costituito dagli Esploratori Da NoliMaloncello e Pancaldo, con base a Pernambuco (Brasile) fu destinato all’Atlantico meridionale.

    III Gruppo costituito dagli Esploratori Pessagno e Usodimare che fu destinato alle coste africane.

    La missione consisteva nel fungere da faro di riferimento durante la notte e da rilevamento radiogoniometrico durante il giorno; inoltre le navi dovevano essere utilizzate nella ricerca e nel salvataggio degli idrovolanti costretti da eventuali avarie all’ammaraggio di emergenza sull’oceano. Ma, prima di trattare di quell’impresa, è opportuno comprendere quale erano le caratteristiche di queste unità che, all’epoca, erano nuovissime:
    peso: 2.600 tonnellate a pieno carico;
    lunghezza: 107 m. ; larghezza 10 m. ;
    potenza: 55.000 hp (4 caldaie);
    velocità: 38 nodi;
    autonomia: 3.800 miglia a 18 nodi;
    armamento: 3 torrette binate da 120/50; 2 mitragliere da 40/39; 4 mitragliere da 13,2; 6 tubi lanciasiluri (2 impianti trinati) da 533 mm.
    equipaggio: 9 Ufficiali, 164 Sottufficiali e Marinai.

    Mio padre Antonio, classe 1910, si era diplomato cannoniere telemetrista nel 1929 alle scuole C.R.E.M. di Pola (Istria italiana) ed era al suo primo imbarco proprio sul Regio Esploratore Leon Pancaldo. Questa unità, varata il 30 novembre 1929 nei cantieri del Tirreno di Riva Trigoso, deve il suo nome a un famoso navigatore nato a Savona nel 1490, il quale, arruolatosi con il grande Magellano, partecipò alla sua spedizione di circumnavigazione dell’America meridionale.

    Gli ottimi ed affiatati equipaggi degli idrovolanti S.55, dopo un anno di preparativi, di studi, di navigazione, di astronomia, di duro addestramento al volo cieco al simulatore e dopo aver effettuato voli notturni, decolli e ammaraggi a pieno carico, erano finalmente pronti a partire per la prima trasvolata atlantica in formazione. Agli ormeggi, nella calma laguna di Orbetello, essi erano divisi in quattro squadriglie di tre velivoli ciascuna: la squadriglia nera, la rossa, la verde e la bianca. Una larga striscia della rispettiva colorazione attraversava le ali, contraddistinguendo visivamente in tal modo,  gli apparecchi. Vi erano inoltre due idrovolanti di riserva per un totale di 14 velivoli. Nella prima mattina del giorno 17 dicembre 1930, dopo alcuni rinvii causati dalle cattive condizioni meteorologiche, i 14 equipaggi (56 uomini) si imbarcarono sui loro velivoli e, dopo aver mollato gli ormeggi,  la prima squadriglia “nera” comandata da Italo Balbo decollava in direzione del Mediterraneo Occidentale, seguita dalla squadriglia bianca, dalla rossa e dalla verde. Durante la trasvolata, il 6 gennaio 1931, l’idrovolante I-DONA del capitano Renato Donadelli, a causa di problemi all’impianto di raffreddamento del motore fu, costretto ad ammarare pericolosamente in pieno Oceano Atlantico. L’idrovolante fu soccorso dall’equipaggio del Regio Esploratore Leon Pancaldo, che lo prese a rimorchio e lo condusse fino all’isola di Fernando de Noronha che distava circa 800 km; vi giunse all’alba dell’8 gennaio 1931. Effettuato il rifornimento di carburante e riparate le avarie, anche con l’ausilio del personale tecnico del Pancaldo, questo idrovolante riuscì a partire e a raggiungere Port Natal dove erano giunti gli altri dieci velivoli. Le rare immagini che corredano quest’articolo testimoniano proprio il momento in cui il Regio Esploratore Leon Pancaldo soccorre e rimorchia l’ I-DONA in avaria. La scritta sul retro di una delle foto è autografa di mio padre che ha assistito e partecipato di persona a quella memorabile impresa. Anche l’idrovolante I-BAIS del capitano Umberto Baistrocchi fu costretto ad ammarare in emergenza e fu soccorso dall’equipaggio del Regio Esploratore Pessagno che lo prese a rimorchio ma, dopo ripetuti tentativi, dovette però essere abbandonato a causa della forza del moto ondoso. Purtroppo nell’impresa morirono alcuni uomini. Nell’incendio dell’S.55 I-BOER (che si verificò pochi minuti dopo il decollo) perì l’intero equipaggio: il capitano Luigi Boer, il tenente Danilo Barbicinti, il sergente maggiore Ercole Imbastari e il sergente Felice Nensi. L’idrovolante I-RECA, poco dopo essere decollato, perse velocità ed impattò pesantemente con il mare; si sfasciò lo scafo destro e l’evento fu la causa della morte del motorista, il sergente Luigi Fois. Per quanto sopra, non possiamo e non dobbiamo dimenticare il sacrificio di questi Uomini coraggiosi che hanno dimostrato il loro grande valore nel cielo come sul mare. A essi va il nostro riverente pensiero.

    La prima Trasvolata Atlantica in formazione giunse al suo traguardo il 15 gennaio 1931; le squadriglie di idrovolanti ammararono nella baia di Guanabara, a Rio de Janeiro, nel momento in cui anche le otto navi che componevano la Divisione Regi Esploratori sfilavano davanti alla baia. Allo sbarco dei piloti atlantici sulla terraferma si udirono le salve di cannone che le navi italiane e brasiliane spararono in loro onore.
    Il grande pilota  statunitense Charles August Lindbergh (primo uomo al mondo ad aver effettuato la Trasvolata atlantica, New York – Parigi in solitaria, nel 1927) intervistato dall’United Press ebbe a pronunciare parole di ammirazione nei confronti dei protagonisti dell’impresa, dichiarando, tra l’altro: “ […] L’orgoglio del Popolo italiano per la bella impresa è più che legittimo. L’ardua prova è stata brillantemente superata…
    La stampa di tutto il mondo esaltò l’impresa; il New York Times scrisse: “ Trionfo dell’Italia nell’aria. Una cosa veramente grande è stata compiuta negli annali dell’aviazione…”.

    Ma devo anche ricordare il disappunto del mio compianto padre che, nel ricordare l’evento, lamentava lo scarso rilievo dato all’epoca dalla stampa e dalla radio al contributo prezioso e fondamentale che le navi e gli equipaggi della Regia Marina diedero alla riuscita della lunga trasvolata.
    Questo mio breve articolo scritto in occasione dell’anniversario vuole pertanto anche rappresentare un modesto omaggio all’ammirevole memoria di “tutti” gli uomini che, nei cieli come sull’Oceano, parteciparono a quella memorabile impresa. Onore a loro.
    Marino Miccoli.

    Stimato Ezio,
    in allegato trovi una foto a cui tengo particolarmente; si tratta della fotografia di mio padre quando, nel 1929, si diplomò cannoniere telemetrista presso le scuole CREM di Pola. Ti confesso che ogni volta che mi soffermo a guardare il viso da ragazzino di papà in questa fotografia, mi commuovo.Ti abbraccio forte e ti ricambio la buona vita.
    Marino.


    ANTONIO  MICCOLI

    ———————————————–

    ESTRATTO DEL FOGLIO MATRICOLARE

    Arruolato il 14/4/1929 Maridepo TARANTO.

    Dal 18/4/1929 al 30/6/1930 Mariscuole POLA (C.R.E.M.M.).

    Dal 1/7/1930 al 31/8/1933 imbarcato su Regio Espl. LEON PANCALDO.

    Dal 1/9/1933 al 15/7/1934 imbarcato su Regio Espl. ALVISE DA MOSTO.

    Il 16/7/1934  Marispedal LA MADDALENA.

    Dal 17/7/1934 al 15/3/1938 imbarcato su R. Espl. ALVISE DA MOSTO.

    Dal 16/3/1938 al 18/5/1938 imbarcato su Regio Incrociatore FIUME.

    Dal 19/5/1938 all’11/12/1938 Mariscuole POLA (corso II Capo).

    Dal 12/12/1938 al 28/3/1941 imbarcato su Regio Incrociatore FIUME.

    Dal 29/3/1941 al 19/5/1946 Prigioniero Alleati (Zonderwater Sud-Africa).

    Dal 20/5/1946 al 21/5/1946 Maridepo NAPOLI.

    Dal 22/5/1946 al 1/11/1946 Maridepo TARANTO.

    Dal 2/11/1946 al 7/5/1947 Maridist Buffoluto (TA).

    Dal 8/5/1947 al 15/5/1949 Maridifedist BRINDISI.

    Dal 16/5/1949 al 12/12/1951 imbarcato su Corvetta SIBILLA.

    Dal 13/12/1951 al 30/6/1956 Batteria costiera B.636 BRINDISI.

    Dal 1/7/1956 al 19/10/1957 Batteria costiera S.062 LA SPEZIA.

    Dal 20/10/1957 al 15/4/1959 Armadat LA SPEZIA.

    Dal 16/4/1959 al 28/3/1962  Batteria costiera B.2 Armadat BRINDISI.

    Dal 29/3/1962 in congedo.

    ——————————-

    PROMOZIONI, CAMPAGNE DI GUERRA ed ENCOMI

    Dal 14/4/1929 Arruolato nel C.R.E.M.M. Allievo Cannoniere Puntatore.

    Dal 1/12/1929 Comune di 1 cl.

    Dal 1/12/1931 Sottocapo.

    Dal 1/9/1937 2° Capo.

    Dal 1/1/1941 Maresciallo di 3^ cl.

    Dal 1/5/1944 Maresciallo di 2^ cl.

    Dal 1/12/1954 Maresciallo di 1^ cl.

    Dal 29/3/1962 (congedo) Guardiamarina del C.E.M.M.

    Campagna di guerra per l’anno 1937 – G.M.S.

    Campagna di guerra per gli anni 1940/41 – F.O.M. 11/6/1957-

    Nastrino guerra 1940/43 con 2 stellette.

    Medaglia comm. per operazioni in Africa Orientale italiana –Brev.2223-

    Medaglia commemorativa per le O.M.S. –Brev.15001-

    Cavaliere dell’Ordine “ Al merito della Repubblica Italiana” F.O.M. 15/9/1959.

    All’argomento si consigliano  all’argomento i seguenti  volumi:

    Navi mercantili perdute
    (R. Notarangelo, G.P. Pagano)

    Ufficio Storico della Marina Militare  – 3^ Ed. riv. 1997;
    587 pag., 118 ill.;
    prezzo intero 19.00 Euro;
    prezzo ridotto 13.00 euro;

    Il sacrificio silenzioso di tanta parte della Marina mercantile italiana; l’epopea delle navi della “battaglia dei convogli”. L’edizione, interamente revisionata e ampliata, include anche il naviglio gravemente danneggiato, quello catturato, quello del quale non si ebbe più notizia; un’apposita appendice riporta la cronologia di tutti gli avvenimenti narrati nel testo.

    La battaglia dei convogli 1940- 1943
    (Autori Vari)

    Ufficio Storico della Marina Militare – ed. 1994  – 233 p. – 155 ill.
    La lunga lotta che la nostra marineria, militare e mercantile ingaggiò coraggiosamente per sostenere un esercito combattente di 230.000 uomini. I trentacinque mesi di continui, sanguinosi scontri sul mare contro un potente e sempre più agguerrito avversario.
    Di difficile reperimento perché non più stampato.

    Dallo stesso autore sul sito
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/04/28-marzo-1941-matapan/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/04/mare/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/04/eco-netto-eco-netto/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/04/a-te-o-grande-eterno-iddio/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/05/1932-la-regia-marina-sfila-per-le-vie-di-atene/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/05/eco-netto-eco-netto-l%E2%80%99epilogo/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/06/i-valorosi-della-nave-calatafimi/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/06/il-mal-di-terra/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/06/le-scuole-c-r-e-m-di-pola-istria-italiana/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/06/marino-miccoli/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/01/15-gennaio-1931-unimpresa-memorabile/

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Guglielmo Roccabella (19.12.1916 – 22.11.1977)

    di Alesandro Roccabella
    roccabella_ale@yahoo.it

    …mio padre, profugo Giuliano, prigioniero a Zonderwater, e la fame di amore che ci ha accompagnato tutta la vita (19.12.1916 – 22.11.1977).

    Dosson di Casier (Treviso) 23 luglio 2017.
    Buon giorno a tutti quelli che hanno scritto parole commoventi sui tragici fatti di Capo Matapan.
    Siamo nel 2017 e qualcuno, come me, si interessa ancora a quella tragica notte.
    Questa è una cosa straordinaria e meravigliosa poiché il ricordo di chi ha dato la vita, la sua giovane vita in guerra, non deve mai finire.
    Ogni tanto vado a visitare l’ossario di Nervesa della Battaglia (TV). Li dentro c’é un freddo ed un silenzio che ti avvolge come una coperta gelata. Si leggono i nomi di centinaia di soldatini della prima guerra mondiale. La maggior parte erano ragazzi di 20 – 21 anni. Quei poveri ragazzi morirono per noi, per noi che siamo liberi, oggi nel 2017, dopo una seconda guerra mondiale che coinvolse, nel nostro caso, i nostri cari padri o nonni, nella notte di Capo Matapan.
    Sono Roccabella Alessandro e sono il figlio di Roccabella Guglielmo, cannoniere sul regio incrociatore Zara. Mio padre si salvò e anche lui finì a Zonderwater. La famiglia di mio padre visse una tragedia nella tragedia. Si trattava di gente che abitava a Zara e che dovette abbandonare la loro casa per vivere il resto della loro vita nella condizione di profughi. Mio padre lavorò come barman, dal 1964 fino al 1977, su due navi da crociera che operavano nel Mar dei Caraibi. Venne a mancare poco dopo quello che doveva essere il suo “penultimo sbarco”.
    Io sono nato nel 1952 a Senigallia, in provincia di Ancona, ma poco prima del Natale del ’56 la famiglia si trasferì a Marghera (VE) dove gli americani avevano fatto costruire dei villaggi per i profughi Giuliani-Dalmati.
    Ho una bella foto di mio padre prigioniero a Zonderwater con altri commilitoni anch’essi prigionieri.
    Qualcuno mi dica a quale indirizzo mail la potrò inviare.
    E’ una foto molto chiara e forse qualcuno potrà riconoscere un proprio caro (ci sono anche i nomi degli altri prigionieri).
    Ho altre cose da dire ma per adesso mi fermo qui.
    Mi ha commosso davvero tanto la frase che ho letto più sopra che dice: “che in qualche modo siamo tutti parenti” in questa vicenda terribile.
    Un abbraccio a tutte le persone coinvolte in qualche modo alla “notte di Capo Matapan”.
    Grazie per ogni cosa da voi scritta. Trascriverò ogni passaggio, ogni notizia e conserverò tutto gelosamente
    Alessandro Roccabella
    (Mail ricevuta in data 23.7.2017 in risposta all’articolo seguente di Marino Miccoli
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/03/quelle-urla-mai-dimenticate/

    Carissimo signor Alessandro Roccabella,
    grazie per questa bellissima e preziosissima testimonianza che mi ha commosso e che, allo stesso tempo, ci rende orgogliosi perché siamo consapevoli di essere sulla rotta giusta, la rotta della solidarietà che noi chiamiamo anche “banca della memoria per non dimenticare mai”.
    Marino Miccoli che ha redatto l’articolo (e che legge per conoscenza) è stato anche lui testimone, come Lei, come me, come tanti lettori, di quell’amore che ci tramandiamo da padre in figlio.
    Nell’attesa di un suo gradito riscontro e dell’invio della/e foto di suo padre che intende pubblicare e, se desidera anche di una sua personale testimonianza, invii pure il materiale a questa mail.
    La prego di specificare la data e il luogo della dipartita (e se desidera la data e il luogo di nascita) del suo caro estinto che annualmente ricorderemo nel nostro piccolo diario di bordo, certi di far contenti tanti figli e tanti lettori che si sono ritrovati in questa commovente sua testimonianza.
    Riceva un abbraccio grande come il mare e grande come il suo cuore pio e misericordioso di figlio da questo petulante Marinaio e non si faccia scrupoli a mettere in indirizzo anche Marino Miccoli che è stato il primo a raccontare e testimoniare la “migliore gioventù” dei prigionieri italiani di Zonderwater.
    Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Carissimo e simpaticissimo marinaio Sig. Pancrazio ”Ezio” Vinciguerra
    cc. Gent.mo Sig. Marino Miccoli,
    La tempestiva risposta appena ricevuta, rende l’idea a noi, e a tutti, della fame di notizie che tutti ancora abbiamo circa la vicenda di Capo Matapan, fame che ci ha accompagnato per tutta la vita.
    Mio padre, quand’ero piccolino,  mi raccontava di aver fatto pugilato e di aver giocato a pallone li a Zonderwater, al campo di concentramento. Ed io ricordo con quale fierezza ascoltavo e mi riempivo il petto per avere un papà con un passato così glorioso (marinaio, calciatore, pugile).
    Per tanto tempo ho avuto tra le mani il ritaglio del volto di mio padre, ritaglio che faceva parte di una fotografia ritraente una squadra di calcio, ovviamente scattata a Zonderwater block.  
    Ora, dopo tanto, ho trovato la foto della squadra di calcio ma non trovo più il tassello più importante, ovvero il ritaglio a quadratino che ritrae il volto di mio padre. Specifico che mio  padre, chiamandosi Guglielmo, veniva chiamato da tutti, Villy  (all’italiana)  ovvero Willy (da William ) all’inglese.
    Ora mi viene in mente che in qualche cassetto, ben conservato e al sicuro, detengo un cimelio di quelli da far tremare le gambe. Un cimelio di Zonderwater, un oggetto che per anni trovavo spesso in cantina a Marghera senza sapere di che cosa si trattasse. Poi un giorno….
    Ma aspetto di trovarlo, di fotografarlo e poi ve lo invierò con tanta soddisfazione per il contributo che potrò dare a tutti. Tutto quello che scrivo e le foto che manderò potranno tranquillamente essere rese pubbliche nell’ambito di questa nostra ricerca straordinaria.
    Per questa sera voglio chiudere inviandoVi la foto di cinque prigionieri di Zonderwater Block.
    Il primo a sinistra mio padre ROCCABELLA GUGLIELMO (nato il 19 dicembre 1916 a Spalato MATRICOLA 190583 – ci ha lasciato il 22 novembre 1977) che strano per me avere 4 anni più del mio carissimo eroe:
    – secondo da sinistra: MARINI DANILO  MATRICOLA 178831 …  DA ZARA
    – terzo da sinistra:  RAPANA’ AMLETO   la matricola non c’e’ …  da Lecce
    – quarto da sinistra : MARIOT ANTONIO  no matricola … da Treviso
    – ultimo a destra  MATTEI VENTURA  (ripeto: MATTEI ) … da Roma.

    Grazie di cuore per questo incontro che è come il riaccendersi di mille pensieri, di voglia di saperne di più, una voglia, una storia che ci ha accompagnato per tutta la vita e che ancora ci accompagnerà
    BUONA NOTTE.
    A presto Alessandro

    Digita sul motore di ricerca del blog “Capo Matapan” e “Zonderwar”

    Dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2013/06/calorosi-saluti-da-massaua/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2012/06/virgilio-barucca-e-il-senso-della-vita-marino-miccoli/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2012/03/il-marinaio-giuseppe-palazzolo/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/04/28-marzo-1941-matapan/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2016/02/20-2-1943-i-fulmini-di-zonderwater/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2016/01/zonderwater-18-gennaio-1945-dichiarazione-di-fedelta/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2015/03/capo-matapan-non-mangio-piu-sardine-perche-si-sono-mangiati-il-figlio-mio/

  • Attualità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Recensioni,  Storia

    La memoria e i vinti

    di Fulvio Zanella (*)

    Testimonianza e memoria collettiva sono i temi al centro di questo libro, nel quale l’autore racconta quanto vissuto dal padre e dallo zio durante la Seconda Guerra Mondiale. Attraverso le testimonianze dei due protagonisti, ravennati da sempre, vengono rivisitati episodi bellici quali l’Operazione Compass in Cirenaica e la battaglia navale di capo Matapan nelle acque a sud del Peloponneso. Vi fanno seguito la prigionia dei militari italiani nel campo di concentramento di Zonderwater in Sud Africa, il rimpatrio e il reinserimento dei reduci nei primi anni del secondo dopoguerra.
    Pagina dopo pagina, il racconto si allarga gradualmente alle voci di altri militari, in una dimensione corale che permette all’autore di approfondire la riflessione sul destino di quegli uomini, sulle loro speranze e sulle loro delusioni.

    Le storie dei nostri militari, le ferite emotive patte, l’oblio che li ha attesi al rientro sono riletti dall’autore in una fusione complessa e coinvolgente di biografia, storia, psicologia e divulgazione. Al centro della ricerca si collocano soprattutto sia il tema della guerra come trauma collettivo sia il bisogno di molti reduci di trasmettere alle nuove generazioni, in ogni modo possibile – un libro, un diario, il racconto orale, l’incontro con i ragazzi della scuola -, la dura lezione appresa nella loro drammatica esperienza, nella speranza di contribuire in tal modo a impedire che si ripetano gli stessi errori.

    (*) Fulvio Zanella è nato a Ravenna nel 1952. Per oltre trent’anni ha insegnato nella scuola media, contesto entri il quale si è occupato anche di intercultura, handicap e disagio giovanile. Da più di vent’anni esercita la professione di psicoterapeuta sia in ambito clinico che sociale (sportello di ascolto a scuola, interventi nelle carceri su tematiche relazionali, conduzioni di corsi sulla prevenzione della violenza di genere).

    Titolo: La memoria e i vinti
    Sottotitolo: Soldati, prigionieri, reduci: il trauma della guerra in una storia di famiglia
    Editore: Società editrice “Il Ponte Vecchio” – Marzio e Luca Casalini – Cesena
    www.ilpontevecchio.com – e-mail: ilpontevecchio@libero.it
    Anno: 2022
    Pagine: 235
    Prezzo: € 16,90
    ISBN: 979-12-5978-153-6
    FOTO DI COPERTINA: Alfredo Zanella (zio) e Cesare Zanella (padre)

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    2.12.1920, Arcangelo Chirico

    di Antonio Cimmino
    foto per gentile concessione Arcangelo Chirico

    Caporale Carrista in Africa Settentrionale, P.O.W. in Sud Africa  ed Inghilterra

    Mi chiamo Arcangelo Chirico e sono nato a Scafati il 2 dicembre 1920. Mio padre si chiamava Salvatore e mia madre Angelina Carotenuto. Ho anche un fratello, Francesco, di 83 anni che si trova in Argentina e due sorelle.

     

    Mio padre gestiva una piccola azienda familiare formata da alcuni carri e cavalli. Oltre ai trasporti funebri, eseguiti anche per i Comuni viciniori, alcune carrozze erano destinate al servizio pubblico di emergenza, ad esempio per trasportare qualcuno in ospedale, oppure per i cortei di nozze. L’attività della mia famiglia era abbastanza florida per l’epoca e mi ciò mi permise di condurre una vita alquanto agiata.
    Dopo aver conseguito la licenza della V elementare, mi preparai privatamente a sostenere gli esami di ammissione alle scuole medie ( allora era previsto questo ulteriore passaggio) però, a 12 anni persi mia madre e non ebbi la possibilità di continuare gli studi, anche perché a Scafati non c’erano altre scuole e dovevo andare a Torre Annunziata. Come tutti i bambini della mia età, divenni “figlio della lupa” e poi “balilla” ed il sabato dovevo partecipare alle esercitazioni premilitari. Imparai il mestiere di meccanico industriale e conseguii anche la patente di guida; dovetti, per questo, andare fino  a Napoli.
    Mio padre possedeva un’automobile ed io, già a 15 anni, di nascosto, la guidavo con i miei amici.
    Il 16 marzo del 1939 mi recai a Salerno per la visita di leva e fui  rimandato a casa in congedo illimitato provvisorio.
    Il 1° febbraio del 1940 fui chiamato alle armi e destinato a Roma nel 51° Battaglione Carristi “L” inquadrato nel XXI Corpo d’Armata. Siccome ero in possesso di patente di guida, divenni conduttore di carri leggeri.
    Il carro che mi era stato dato in dotazione, dopo un breve periodo di addestramento, era il modello L35. Si trattava di un carro armato veloce, molto piccolo e leggero, scarsamente protetto. Da tutti i carristi fu denominato “scatola di sardine”. Pesava, infatti, 3 tonnellate e mezzo ed aveva un motore a benzina di 43 cavalli.
    La sua velocità massima era di 42 chilometri/ora su strada ( con autonomia di 150 Km)  e 15 fuori strada (con autonomia di 6 ore). Oltre a me che ero il guidatore, c’era un altro soldato che fungeva da mitragliere; questi era responsabile di 2 mitragliatrici Fiat 35 calibro 8 abbinate. Il brandeggio delle mitraglie era di 20° a destra e 20° a sinistra; della stessa angolazione era il tiro in elevazione e in depressione rispetto al carro.
    Come dicevo, la corazzatura era insufficiente per affrontare i carri armati degli Alleati; era spessa solo15 mm sul frontale, 9 mm ai lati e sulla parte posteriore e 6 mm sul cielo e sul fondo.
    L’interno dello scafo era diviso da due paratie trasversali che formavano tre vani: camera di combattimento, del motore e degli organi di raffreddamento ( il radiatore). Nella prima  erano sistemati il capo carro (mitragliere)  ed il pilota, l’armamento, gli organi di trasmissione e di comando ed il serbatoio del carburante. Lo spazio, quindi era molto angusto. Nel secondo vano vi era un motore a 4 cilindri verticali ed a 4 tempi che trasmetteva una potenza di 43 cavali a due ruote motrici dentate collegate ai cingoli; la messa in moto avveniva girando una manovella e si poteva operare anche dall’interno.
    Chiaramente era stato costruito per affrontare un nemico che non possedeva carri armati degni di questo nome.
    Del tipo “L” c’era anche una versione “lanciafiamme” (L40L.F.) che portava anche un carrello per il combustibile infiammabile ed aveva una sola mitragliatrice.

    Il 18 maggio dello stesso anno fummo imbarcati a Napoli su una nave trasporto truppe ed inviato in Africa Settentrionale. Sbarcammo a Bengasi il 20 maggio. L’11 giugno la zona era già stata dichiarata in stato di guerra ed iniziammo la nostra attività bellica subito dopo il 10 giugno 1940, data della dichiarazione di guerra. Intanto ero stato promosso Caporale.
    In Africa Settentrionale avevamo circa 300 carri “scatole di sardine” contro la forza corazzata inglese che possedeva  mezzi con armamento e corazzatura superiori alle nostre. Il carro leggero inglese corrispondente al nostro, era  l’ Mk VI/B che pesava  5,2 tonnellate, possedeva 2 mitragliatrici ed aveva una protezione frontale di 14 mm. Ma non erano i soli, ce ne erano altri più grandi e possenti e con una esperienza di guerra nel deserto superiore alla nostra.
    La vita all’interno dell’L3 era terribile. Un caldo infernale rendeva le lamiere incandescenti. Io che ero alla guida, potevo vedere la strada attraverso due feritoie prive di schermatura per cui quando soffiava il ghibli, il vento del deserto, la sabbia entrava nell’alloggio e si infilava dappertutto. Quando uscivo dal carro, il mio viso era tutto coperto di sabbia salvo gli occhi protetti dagli appositi occhiali. Come dicevo, all’interno si stava stretti e dietro le mie spalle, premeva la parte motrice del carro. La scarsità dell’acqua, che non bastava neanche a bere, non permetteva una igiene personale e della divisa. Eravamo letteralmente infestati da grossi pidocchi che si passeggiavano per il nostro corpo arrivando perfino alla bocca. Quando ci fermavamo, per tentare di distruggerli, immergevamo la biancheria nella benzina e, così puzzolente, la indossavamo di nuovo. Almeno c’era una tregua che, però, durava poco. I pidocchi erano più forti del carburante.
    Io fui inquadrato nel LXII Battaglione carristi “L”  della Divisione Marmarica. I carri del nostro battaglione ammontavano a 46 unità, nel mese di luglio, quindi, la X Armata possedeva circa 140 carri armati tra leggeri e del tipo CV
    Per tentare di contrastare i pesanti carri inglesi, nel mese di luglio sbarcarono, con il 32° Reggimento di fanteria, anche circa 70 carri armati medi del tipo M11/39. Ma anche questi non erano adatti al confronto con quelli nemici. Il cannone da 37 mm era posto in casamatta e quindi non poteva brandeggiare oltre i 45°, mentre i cannoni dei carri inglesi, posti in torretta, potevano sparare a 360°.
    Per un certo periodo anch’io fui destinato su un carro tipo M40. Questi era una unità migliorata dell’M39, seppur difettoso per corazzatura in quanto fummo costretti a sistemare, come protezione, sacchetti di sabbia. Ma il cannone da 47 mm era molto preciso e possedeva, oltre ad una maggiorata corazzatura ( la frontale era di 42 mm ed i lati di 35) anche 4 mitragliatrici Breda. Naturalmente l’equipaggio era composto da 4 uomini.
    Destinato a Tobruch e poi a Bardia, dal 13 al 16 settembre partecipammo ad una veloce offensiva che ci portò dalla Libia  fino a Sidi el Barrani in Egitto.
    L’avanzata trovò scarsa resistenza da parte inglese ma difficoltà di movimento per gli automezzi. Spesso dovevamo trainare gli autocarri che affondavano con le ruote nella sabbia, Martellati dal ghibli, le nostre “scatole di sardine” si rilevano insufficienti ed inadatte; dei circa 50 carri che c’erano alla partenza, ne rimasero solo 17 in grado di funzionare perfettamente.
    Gli sbalzi termici tra giorno e notte erano notevoli che, unitamente alla fame ed alla mancanza di rifornimenti, rendevano la nostra avanzata più una sconfitta che una vittoria. I soldati di fanteria, ad esempio, erano costretti a riposare a terra in mezzo ai topi e gli scorpioni e, per bere, scavano, di notte,  nella sabbia delle fosse  per raccogliere l’acqua formatasi per il raffreddamento  dell’aria surriscaldata durante il giorno.
    Prima di arrivare a Sidi el Barrani, seguendo una direttrice parallela al mare, fummo martellati dal fuoco di artiglieria nei pressi di Sollum ed, ancora più forte, a Bug Bug. Ma finalmente il 18 settembre giungemmo alla nostra meta mentre gli inglesi si davano ad una precipitosa fuga. Eravamo penetrati per circa 100 chilometri in territorio egiziano e, nonostante le sollecitazioni del duce di continuare ad avanzare fino a Marsa Matruh, il generale Graziani decise di attestarsi a Sidi el Barrani costruendo dei campi trincerati che, seppur rinforzati dall’artiglieria, erano privi dei necessari mezzi corazzati. Avevamo solo un centinaio di carri “L” e un Battaglione di carri M11. Mentre la conquista di Alessandria, sperata da Mussolini, sfumava, gli inglesi preparavano il contrattacco. E che contrattacco!
    Il contrattacco, che  fu chiamato “Compass”,   vide schierati una grande quantità di carri armati tra cui i massicci “Matilde”. Questi carri avevano una corazza frontale di 72 mm di spessore che si faceva beffa dei proiettili sparati dai nostri carri. I proiettili, infatti, non erano sufficientemente perforanti e schizzavano via dalle corazze; solo se colpivano con una certa inclinazione, potevano provocare qualche danno.
    Il 7 dicembre, preceduto da un violento bombardamento, fummo accerchiati e subimmo numerose sconfitte (1). Fu una carneficina inaspettata.  Il generale inglese  O’Connor aveva piazzato i suoi carri armati “Mark I (Matilde) ” attorno al campo italiano e, per non far sentire il rumore dell’accerchiamento, aveva ordinato agli aerei della R.A.F. di volare continuamente bassi.

    Il giorno 9 dicembre, tutto era finito. Furono distrutti 35 carri medi italiani e presi migliaia di prigionieri. Seguiranno altre battaglie, altre distruzioni ed altre migliaia di soldati italiani sconfitti ed umiliati. Il 10 dicembre Sidi el Barrani subì l’attacco definitivo dei Mark I e della fanteria indiana. Il 12 dicembre, il presidio capitolò. Dappertutto carcasse di mezzi sventrati, di autocarri e cannoni; sulla sabbia casse di viveri, di munizioni, di soldati abbattuti, con la bocca aperta e gli occhi semiaperti rivolti al cielo.
    Prima di abbandonare il mio carro armato, gettai una bomba a mano all’interno per renderlo inservibile; le mitraglie non avevano nessun colpo. Neppure in canna. Approfittando della confusione, eludendo l’accerchiamento scappai con alcuni compagni e costeggiando il mare, arrivammo a piedi fino a Tobruch. Solo l’oasi di Giarabub, vicino all’Egitto ed a 200 chilometri dalla costa, resisteva eroicamente. Bardia, bombardata anche dal mare dalle navi WarspiteBarham e Terror,  cadde il 6  gennaio 1941. I prigionieri italiani furono altre decine di migliaia. A Tobruch che con il San Giorgio era chiamata la “leonessa del deserto”, speravo di essere in salvo, ma così non fu. (2)
    Il 21 gennaio del 1941, dopo bombardamenti da mare e da terra, la 6° Divisione australiana con i suoi carri Matilde, supportata dalla 7° Divisione inglese, ebbe ragione della resistenza italiana con i suoi pochi carri M11. Tutto fu distrutto, l’incrociatore San Giorgio, trasformato in batteria galleggiante, si autoaffondò. Perdemmo altri 25.000 uomini e fui preso di nuovo prigioniero, e questa volta definitivamente.
    Il valore dei soldati italiani con le loro armi antiquate, si scontrò contro la superiorità tecnica e tecnologica degli Alleati opponendo solo il coraggio, come è da tutti riconosciuto. Si parlava della “pulce” italiana che si era scontrata con “l’elefante” britannico e, le pulci, vengono sempre schiacciate. (3)
    Prigioniero, trascorsi un mese ricoverato nell’ospedale da campo di Soluk vicino ad Agedabia, spacciandomi per un addetto ai servizi sanitari. Avevo imparato l’arte di arrangiarmi per portare la pelle a casa.  Poi fummo portati al porto di Tobruch, stipato in una tradotta ed avviati ad Alessandria; fummo condotti,  ad Ismailia in un campo di smistamento pieno di enormi tendoni  bianchi che rappresentarono la nostra casa e la nostra prigione. Qui ci fecero spogliare nudi, ci rasero  tutti i peli e ci avviarono verso la disinfestazione. Dopo la doccia ci diedero una specie di divisa di panno color cenere formata da una giacca con una toppa di stoffa nera cucita dietro le spalle e dei pantaloni lunghi con banda nero. Le nostre lacere divise furono bruciate in un forno assieme ai pidocchi che le infestavano. Finalmente questi insetti trovarono la fine che meritavano!
    Più che un campo era una gabbia enorme circondata da filo spinato e guardato a vista da guardie di colore ben armate. Ci sistemarono 16 per ogni tenda; un pezzo di pane nelle 24 ore doveva bastare; per pasto delle lenticchie piene di animaletti ed 1 litro di acqua per tutti.  Rimasi in questo campo per circa tre mesi. La sofferenza era molta e persi quasi la vista, specialmente di notte non vedevo i riflettori.
    Umiliazioni di ogni genere dovemmo subire, spesso ci si azzuffava per raccogliere avanzi di cibo dei nostri carcerieri particolarmente crudeli.
    Dopo questo periodo, fummo condotti in treno a Suez per imbarcarmi per il Sud Africa
    Mi ricordo che a Suez, prima dell’imbarco per il Sud Africa, gli egiziani, forse fomentati dagli inglesi, ci insultavano perché volevamo, nell’intenzione del fascismo, conquistare l’Egitto avendo a disposizione “8 milioni di baionette”. Per mesi mi ero abituato a vedere solo le tende, la sabbia del deserto e il sole abbagliante; non distinguevo più i colori e gli occhi mi si erano divenuti opachi.
    La nave era una carretta del mare e, quando giungemmo con le zattere alla fiancata per salire a bordi con scale di corda, eravamo sollecitati con la punta delle baionette dei nostri carcerieri.
    Fummo sistemati  sul ponte e nelle stive, ammassati come bestie e con poco vitto ed acqua, ma era sempre meglio di quanto mangiavamo nel campo di Ismailia. La colazione consisteva in un bicchiere di the, un panino ed una frutta, mentre il pranzo era un miscuglio di acqua calda, con bucce di patate, qualche fagiolo e pezzetti di pasta. L’aria, presa sotto scorta armata, durava circa mezz’ora sul ponte. Ma l’aria di mare mi fece bene agli occhi, guarii da quella semicecità che avevo contratto nel campo di smistamento egiziano.
    Ho assistito a due sepolture in mare di soldati periti di stenti. Gli inglesi avvolsero le salme in un lenzuolo e le gettarono in mare sparando una salva di moschetti per rendere  gli onori militari ai poveri soldati che ora  riposano, senza una croce, in fondo al mare. In questo, debbo dire, rispettavano un codice etico militare.
    Guariti gli occhi, fui afflitto dalle  emorroidi. La navigazione durò circa un mese; attraversammo il Mar Rosso, costeggiammo le nostre ex colonie dell’Africa Orientale, entrammo nell’Oceano Indiano e finalmente arrivammo nel porto di Durban in Sud Africa.
    Restammo piacevolmente stupiti dall’accoglienza più umana, a cominciare dal cibo, alquanto sufficiente e variegato. Dopo tanta sabbia, finalmente vedemmo il verde dei prati. Fui portato in ospedale e, dopo le prime cure, con la complicità di alcune crocerossine di buon cuore, rimasi ancora un mese ricoverato cosicché mi ristabilii completamente in salute.  Sbarcati altri prigionieri, alcuni dei quali presi in Africa Orientale, fui aggregato a loro. Ci portarono alla stazione ferroviaria e, dopo un viaggio di circa dodici ore, scendemmo alla stazione di Cullinan e, inquadrati, arrivammo nell’immenso campo di concentramento di Zonderwater a 600 chilometri da Durban ed a circa 1000 metri sul livello del mare. Qui migliaia di prigionieri era alloggiati in moltissime tende e poche baracche. Dopo tante gallette e scatolette, mangiammo una minestra con verdura, legumi e pezzetti di carne.

    La vita a Zonderwater era decente per un campo di internamento; eravamo P.O.W., cioè prigionieri di guerra ma trattati con un minimo di umanità. Ho saputo da altri prigionieri che incontrai successivamente in Inghilterra, che la situazione a Zonderwater nel 1943 migliorò di molto quando fu assegnato, come comandante del campo, il colonnello Hendrck Prinsloo, un ufficiale sudafricano particolarmente umano e ligio alle raccomandazioni della Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra.  Durante la mia permanenza, però, quando scoppiava un temporale, correvamo un grave pericolo rappresentato dai fulmini. Le tende circolari in cui eravamo alloggiati, avevano un’apertura alla sommità per l’aereazione che  terminava con un cerchio di ferro. Il materiale metallico attirava i fulmini e spesso i poveri prigionieri morivano bruciati. Allo scoppio dei temporali, noi correvamo a ripararci nelle poche baracche di legno.
    Verso la metà del mese del 1941 e precisamente a giugno, lasciai il Sud Africa per essere condotto prigioniero in Inghilterra.
    Imbarcato su un mercantile assieme a centinaia di altri P.O.W. (Prisoner Of War) impiegammo oltre un mese pe arrivare a Liverpool. Attraversai, quindi, due volte l’equatore, nell’Oceano Indiano per arrivare a Durban ed ora nell’Oceano Atlantico. Il viaggio fu burrascoso, oltre al mare agitato ed al pericolo di sommergibili “amici” italiani e tedeschi, fummo maltrattati dai guardiani. (3) Tutti stipati, spesso sul ponte, eravamo alla mercé dei soldati ubriachi. Una volta hanno sparato sui prigionieri e ne hanno uccisi due, poi sepolti in mare con il rito marinaresco.
    Sbarcati, fummo portati nel campo di smistamento n. 18 ove subimmo la pratica della disinfestazione. Ci diedero biancheria pulita, scarpe e occorrente per la rasatura. I pantaloni e la giacca, di colore marrone, erano contrassegnati, davanti e di dietro, da grandi dischi di colore rosso o giallo per indicare, anche da lontano, che eravamo P.O.W. Naturalmente i dischi non erano sovrapposti, ma cuciti in corrispondenza dei  buchi praticati appositamente sulla stoffa.
    Fui inviato al campo n. 50 di Garwood Park che si trovava nella cittadina di Ashton-in-Makerfield a 26 chilometri  da  Liverpool ( ad est) e da Manchester ( ad ovest); la produzione principale della zona era l’estrazione carbonifera ma c’erano anche grandi distese di campi e fattorie. Fummo alloggiati in casette circolare con il tetto di eternit; dopo anni potemmo utilizzare wc, acqua calda e sapone in quantità.

    Per un mese fui impiegato assieme ad altri prigionieri italiani, nella pulizia dei canali di scolo. Una pattuglia armata ci prelevava dal campo e ci accompagnava al termine della giornata lavorativa.  Un giorno arrivò al campo un proprietario di una grande fattoria e chiese due prigionieri per il lavoro dei campi e per la raccolta delle patate. Io mi offri e così vissi nella fattoria senza dover rientrare nel campo. Mi ricordo che per  mantenere le patate per l’inverno, le ammucchiavamo in forma tronco-conica e le coprivamo con zolle di terra e paglia. Mio collega nella fattoria era un altro prigioniero del Nord Italia di cui non ricordo il nome. Essendo di colorito chiaro e biondiccio, tutti mi scambiavamo per un prigioniero tedesco perché nelle vicinanze c’era un campo per soldati nazisti.
    Il lavoro nei campi era duro, per 12 ore ogni giorni raccoglievamo patate e mungevamo le mucche. Il vitto però era buono e a sufficienza. Il padrone si faceva chiamare “boss” ed era molto esigente. Grazie alla mia patente di guida ed al fatto che era stato carrista, mi assegnarono un trattore con il quale aravamo i campi. Quando era cattivo tempo, per evitare che il trattore affondasse nel fango, usavamo l’aratro tirato dai cavalli.
    Con noi lavoravano alcuni manovali irlandesi con i quali i rapporti erano abbastanza buoni. Ci era vietato, però, parlare con le donne altrimenti si correva il rischio di ricevere delle scudisciate, ma non era certamente il pericolo della frusta che ci impediva di parlare e qualche volta flirtare con ragazze compiacenti. Lateralmente ai campi c’era un aeroporto frequentato da aviatori americani i quali, passandoci davanti, lasciavano sul muretto di cinta, dei pacchetti di sigarette. Quelle sì che erano sigarette di fronte alle Milit che fumavamo in guerra.
    Piano  piano conquistai la fiducia del boss ed arrivai ad ottenere una certa autonomia. Feci una cosa importante, imparai presto la lingua anche con l’aiuto di una piccola guida che comprai allo spaccio. Dopo l’8 settembre del ’43 ci fu chiesto se eravamo disposti a collaborare, e noi, accettammo. Non eravamo più P.O.W. – fecero togliere le toppe romboidali dagli abiti –  ma non mutammo il nostro status di “braccianti agricoli” a buon mercato. L’Italia si era dimenticata di noi e all’Inghilterra faceva comodo avere dei lavoratori a costi bassissimi per il lavoro nei campi. Gli inglesi affermano che l’Italia non possedeva navi per far rimpatriare gli ex prigionieri appellandosi anche all’art.71 del Trattato di Pace di Parigi che affermava:” I prigionieri di guerra italiani verranno rimpatriati non appena possibile, in conformità agli accordi conclusi fra ciascuna delle Potenze che detengono tali prigionieri e l’Italia“.
    Finalmente il 22 luglio del 1946 molti di noi furono imbarcati a Liverpool fino a Le Havre e poi in treno attraversando la Francia e l’Italia. Dopo quasi una settimana, arrivammo a Napoli  nella più totale indifferenza delle autorità e della popolazione.


    Tornato a casa trovai una situazione disastrosa. La mia famiglia era caduta nella più nera miseria. La guerra aveva distrutto la piccola impresa di mio padre.
    Il 22 luglio del 1946 mi dovetti presentare al Centro Alleati di Pescantina in provincia di Verona. Qui esisteva un grande campo di smistamento per raccogliere gli ex internati militari provenienti dai campi di concentramento nazisti, cioè quelli che non vollero collaborare con i tedeschi dopo l’armistizio (5).
    Il campo era diviso in tre parti a seconda della provenienza degli internati, io andai a presentarmi al campo sud per quelli che arrivavano dall’Italia meridionale. Registrato, tornai a casa e fui posto in congedo illimitato il 22 settembre del 1946.
    Rientrato a Scafati mi diedi subito da fare. Fortunatamente conoscevo la lingua inglese e la parlavo correttamente ed ero anche un provetto meccanico industriale,  per cui fui assunto dagli inglesi che a Scafati, in una fabbrica di pomodori, la Delsa, avevano dei grossi frigoriferi in cui era depositata molta carne congelata. I cibi congelati, sbarcati a Napoli, venivano stoccati a Scafati e poi smistati in tutta Italia ove erano ancora truppe inglesi.
    Con i soldi guadagnati con il mio nuovo lavoro, comprai una carrozza a mio padre che divenne vetturino di piazza ed era in grado, ora, di dar da mangiare ai figli.
    Scafati mi stava stretta ed emigrai in Argentina nel 1949. Trovai un paese ospitale e, con le poche lire che portai, vissi una settimana in albergo a Lanus una città a sud di Buenos Aires. Finiti i soldi, lavorai come  muratore per continuare a pagare l’albergo. Con l’esperienza di vita che avevo acquisito, assieme ad un mio compaesano, creai una piccola ditta edile e lavorammo in proprio. Ma questa attività imprenditoriale non ebbe fortuna e fui costretto ad andare a lavorare come meccanico specializzato stampista (matricero) alla Siam-Di Tella, allora la più grande azienda metalmeccanica dell’America Latina.       

    . La Società Siam Di Tella (Siam è un acronimo che sta per Industrial Secciòn Mecànicas Amasadoras), fu fondata nel 1911 da Torquato Di Tella un immigrato italiano. L’azienda nacque come produttrice di macchine impastatrici per il pane. Nel 1920 entrò nella costruzione e sistemazione di impianti per l’erogazione di carburante. Dopo un colpo di Stato nel 1930 la fabbrica subì un’altra conversione producendo macchinari industriali ed elettrodomestici. Nel 1948 stipulò un contratto con la società italiana per la fabbricazione delle Lambrette che fu chiamata Siamlambretta. (6)

    Parlavo bene anche lo spagnolo e questo mi facilitò ulteriormente così come  avvenne con la lingua inglese quando stavo in Inghilterra.  Con i soldi che guadagnavo comprai un pezzo di terra e progettai di costruirmi una casa, Il governo di Peron era molto favorevole ai lavoratori e così ottenni un prestito governativo, una specie di mutuo. (7). Era ora che mettessi la testa a partito.
    Feci venire in Argentina mio fratello  ( che tuttora ivi vive) e una mia sorella che si sposò con un italiano originario di Varese; anch’io mi sposai per procura con la mia fidanzata scafatese Flora Evangelista. Dopo il disbrigo delle pratiche per ottenere il passaporto, feci venira in Argentina mia moglie. A distanza di tre anni nacquero i miei figli Salvador e Antonio.
    La crisi economica, la corruzione e i conflitti con la Chiesa, fece scattare il 19 settembre 1955 un colpo di Stato militare. Peron scappò in Paraguay e successivamente in Spagna. Avvennero episodi di terrorismo da parte dei Monteneros seguaci di Peron e così decisi di mandare a Scafati mia moglie ed i miei figli. Io rimasi ancora in Argentina con la speranza che le cose si aggiustassero ma così non fu, cambi di governo e scontri di piazza mi fecero decidere di abbandonare per sempre l’Argentina.
    Non appena è stata ricostituita, ad opera di Francesco Bossetti,  la sezione scafatese dell’A.N.C.R. mi sono iscritto con molto piacere e, compatibilmente con l’età e le mie condizioni di salute, cerco di partecipare alle manifestazioni.

    Sono stato molto contento quando Antonio Cimmino mi ha proposto di raccontare la mia storia per contribuire ad arricchire la Banca della Memoria di Scafati e quanto sopra rappresenta, in linea di massima, la mia vita.

    Note
    (1)L’Operazione Compass (bussola)  era l’offensiva che la Western Desert Force scagliò nel dicembre 1940 contro le truppe italiane che si erano spinte fino in Egitto a Sidi El Barrani. A causa della inefficiente e disordinata difesa delle forze italiane, gli inglesi sconfissero la X Armata del Generale Graziani in due mesi e durante quattro battaglie ( Sidi El Barrani, Bardia, Tobruk, Beda Fomm Nella Western Desert Force vi  era la 7ª Divisione Corazzata Britannica, i cui uomini erano conosciuti come “Desert Rats” (Topi del Deserto). I mezzi a loro disposizione, tutti con adeguata corazzatura,  erano:

               circa 300 e cioè:

    • Autoblinde Rolls-Royce M24 del peso di 4 tonnellate e con una mitraglia
    • Carri armati leggeri MkVI/B del peso di 5,2 tonnellate e 2 mitragliatrici
    • Carri armati medi Mk Cruiser A9 del peso di 12,7 tonnellate con 1 cannone e tre mitragliatrici
    • Carri armati medi MkII Cruiser A10 del peso di 14 tonnellate con 1 cannone e 3 mitragliatrici
    • Autoblinde Bren-Carries del peso di 4 tonnellate e 1 mitragliatrice

    (2) Il San Giorgio era un incrociatore corazzato varato nel cantiere navale di Castellammare di Stabia nel 1908. Partecipò alla guerra italo-turca e  alla Prima Guerra Mondiale. Fu radicalmente rimodernato nel 1937 – 1938 ed assegnato, dal 10 giugno 1940, alla base navale di Tobruk con compiti di difesa aeronavale. Fu oggetto di 10 pesanti attacchi con bombe e siluri, reagendo violentemente con tutte le artiglierie di bordo e rimanendo invulnerato fino al gennaio 1941, quando malgrado fosse pronto a muovere, gli fu ordinato di contrastare l’8a Armata Britannica sino all’ultimo. L’unità si autoaffondò il 21 gennaio 1941;  per l’opera qui svolta fu decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare.:

    Veterano di tre Guerre, fu nell’attuale, per sei mesi baluardo della difesa di Tobruk, sempre pronto ad intervenire per ricacciare con l’infallibile tiro dei suoi cannoni le incursioni degli aerei nemici, sempre incrollabile nel sostenere l’offesa che si abbatteva su di lui. Investita la piazzaforte da soverchianti forze nemiche, profuse tutte le sue energie nella difesa e, piuttosto che cercare scampo sulle vie del mare, si offerse come ultima trincea di resistenza. Quando le colonne avversarie soverchiarono gli ultimi ripari, la indomita nave venne fatta saltare e sprofondare nelle acque, mentre la bandiera che aveva animato ed alimentata la fiera resistenza, raccolta e riportata in Patria, restava fulgida testimonianza dello spirito di combattività, di resistenza, di dedizione dei marinai d’Italia.”

    (3) “Va ricordato che gli inglesi possedevano carri armati potentissimamente corazzati e armati di cannoni e che tutte le truppe erano motorizzate. Gli italiani potevano contare su carri con corazza sottilissima e armati solo con mitragliatrici e la penuria di veicoli si faceva sentire molto crudelmente. Malgrado gli sforzi disperati i difensori italiani non poterono impedire agli australiani di raggiungere ed isolare i centri ed i nodi della resistenza. I soldati italiani che si erano battuti coraggiosamente si resero conto di aver ricevuto un equipaggiamento deplorevole e di essere stati destinati ad un massacro inevitabile». (da «La guerra nel deserto», di E. Krieg. Edizioni De Cremille, Ginevra 1969). Nella battaglia diEl Alamein del 1942 non solo la Folgore ma tutti soldati combatterono con valore. Le testimonianze che seguono riportano  gli apprezzamenti del nemico di allora per i nostri paracadutisti che sulle sabbie del deserto si coprirono di gloria, combattendo con mezi inferiori contro un nemico dieci volte superiore:
    “…gli italiani si sono battuti molto bene. La divisione paracadutisti Folgore ha resistito al di là di ogni possibile speranza”. (Radio Cairo, 8 Novembre 1942)
    “…la resistenza opposta dai resti della divisione Folgore è stata ammirevole”. (Reuter Londra, 11 Novembre 1942)
    “…gli ultimi superstiti della Folgore sono stati raccolti esanimi nel deserto. La Folgore è caduta con le armi in pugno”. (BBC Londra, 3 Dicembre 1942

    “…dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore”. (BBC Londra, discorso del Primo Ministro Churchill, alla Camera dei Comuni

    (4) Tra gli avvenimenti che videro prigionieri italiani annegati per siluramento delle navi che li trasportavano ai campi di concentramento, emblematica è la tragica vicenda del Laconia, trasporto truppe inglese adibito al trasferimento verso le isole britanniche dei soldati italiani catturati in Nord Africa dopo la leggendaria battaglia di El Alamein.  La nave fu silurata dal sommergibile tedesco U-boot 156 al comando del capitano Werner Hartenstein. Morirono 1400 prigionieri italiani. Nonostante che il Laconia possedesse sufficienti scialuppe di salvataggio per tutte le 2700 persone imbarcate, prigionieri compresi, le guardie polacche ricevettero l’ordine dagli ufficiali di sbarrare i cancelli delle stive, quindi, mentre militari ed ospiti si imbarcavano, la guardia si schierò con i fucili puntati davanti alle cancellate chiuse. Appena ebbero compreso che erano stati condannati all’annegamento, i prigionieri si lanciarono contro i cancelli, mentre le guardie li respingevano a colpi di baionette o sparando a bruciapelo. A coloro che riuscirono ad arrivare alle scialuppe e ad aggrapparvisi venivano tagliate le mani. Anche la nave trasporto truppe Nova Scotia, fu affondata nel novembre dello stesso 1942 da un sottomarino tedesco nel Canale del Mozambico. Morirono 652 italiani, militari e civili, che la nave aveva caricato a Massaua per trasportarli a Durban.

    (5) Gli Internati Militari Italiani (Italienische Militar-Internierten) erano i soldati italiani catturai eportati  nei campi di concentramento in Germania nei giorni dopo l’armistizio. Essi rappresentarono la stragrande maggioranza ( 90%) dei militari che rifiutarono di continuare a combattere agli ordine del Terzo Reich. Questo status di I.M.I. servì a non considerarli “prigionieri di guerra” e, quindi,  privati delle garanzie della Convenzione di Ginevra per tale tipo di prigionieri

    6) La Società Siam Di Tella ( Siam è un acronimo che sta per Industrial Secciòn Mecànicas Amasadoras), fu fondata nel 1911 daTorquato Di Tella un immigrato italiano. L’azienda ncque come prodrittrice di macchine impastatrici per il pane. Nel 1920 entrò nella costruzione e sistemazione di impianti per l’erogazione di carburante. Dopo un colpo di stato nel 1930 la fabbrica subì un’altra conversione producendo macchinari industriali ed elettrodomestici. Nel 1948 stipulò un contratto con la società italiana per la fabbricazione delle Lambrette che fu chiamata Siamlambretta

    (7) Il  generale Juan Domingo Perón presidente dell’Argentina dal 1946 fino al colpo di stato del 1955 e di nuovo, dopo un lunghissimo periodo di esilio, dal 1973 sino alla sua morte (1974). Fondò un movimento politico che da lui prese il nome: il peronismo. La sua dottrina, genericamente indicata anche col nome di “giustizialismo”,  pur ispirandosi ai  modelli di governo fascisti in Europa,  metteva però l’accento sul ruolo dell’indipendenza economica, sul primato della sovranità nazionale e sulla ricerca di una più diffusa giustizia sociale (il regime in forma di dittatura si presenta, infatti, come tentativo di “terza posizione” in alternativa tanto al capitalismo quanto al comunismo). Caratterizzato da un vasto impegno di fronte ai problemi economico-sociali, il peronismo ha cercato inizialmente di ottenere un aumento dei salari operai, una stabilizzazione dei prezzi delle derrate alimentari, la concessione di un salario minimo agli operai agricoli, anche assicurandosi il pieno appoggio delle centrali sindacali e del sottoproletariato. Il peronismo ha goduto di vastissima popolarità in Argentina e in molti Paesi dell’America Latina.

    Allegati
    La consistenza dei carri armati durante i primi mesi di guerra (note):

    Fronte del Nord Africa: all’apertura delle ostilità erano presenti in Africa 318 carri tipo L3 nelle diverse versioni. Inadatti ad affrontare i tank inglesi, ed anche le armi anticarro il loro numero si ridusse rapidamente a zero durante la ritirata seguita alla controffensiva inglese dell’inverno 1940/1941. Nel febbraio 1941 giunsero, al seguito della divisione “Ariete” 117 carri L3 (24  nella versione lanciafiamme) che presero parte alla controffensiva delle truppe dell’Asse. Comunque all’inizio del 1942 rimaneva pochi esemplari per lo più non efficienti.

    Al 7 luglio, così, la 10a Armata poteva contare sui seguenti battaglioni:
    – IX     Btg Carri L con 46 carri (17, però già perduti in combattimento): ora 29, più:
    – XXI     «    «      con 46 carri
    – LXII    «    «      con 46 carri – Divisione Marmarica
    – LXIII   «    «      con 46 carri – Divisione Cirene
    fa per un totale di 138.
    Di rinforzo vi erano:
    a) avuti dalla 5a Armata:
    – XX Btg. Carri L (50) alla 1a Libica
    – LXI  «     «    L (46) alla 2a Libica, + 14, + 14;

    b) in arrivo dall’Italia
    – 4° Rgt. Ftr. Carrista (70  carri M) .
    Al 1° dicembre le disponibilità complessive si saranno di poco accresciute:
    – I e II Battaglione carri M 11 (efficienza: 22 su 72)
    – III Battaglione carri M 13 (37)
    – 7 battaglioni carri L (309 tra L 33 ed L 35).

    Le offensive in Africa Settentrionale

    (A)

    13 settembre 1940 – 16 settembre 1940:

    offensiva di Graziani fino a Sidi el Barrani

    (B)

    8 dicembre 1940 – 9 febbraio 1941:

    offensiva di Wavell e conquista di tutta la Cirenaica (op. Compass)

    (C)

    22 marzo 1941 – 29 aprile 1941:

    offensiva di Rommel fino al confine egiziano

    (D)

    18 novembre 1941 – 12 gennaio 1942:

    offensiva di Auchinleck e riconquista di tutta la Cirenaica (op. Crusader)

    (E)

    21 gennaio 1942 – 10 febbraio 1942:

    offensiva di Rommel fino a Tobruch

    (F)

    26 maggio 1942 – 1 luglio 1942:

    offensiva di Rommel fino a el Alamein

    (G)

    23 ottobre – 4 novembre 1942:

    terza battaglia di el Alamein e sfondamento definitivo di Montgomery (op. Lightfoot).

    Alcune Onorificenze concesse al Reggimento nel quale era inquadrato Arcangelo Chirico – Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa al 4° Reggimento Carri con la seguente motivazione:

    Per ben sette mesi contrastò con successo ed onore, riportando gravissime perdite, l’attività offensiva di potenti grandi unità corazzate nemiche. Ridotto dai molteplici combattimenti a dall’inesausto manovrare in ambiente desertico a pochi superstiti carri armati, in un momento tragico per le nostre armi, dislocato in postazione fissa a presidio di un caposaldo della piazzaforte di Tobruk, resisteva lungamente agli sforzi del nemico, sbarrandogli la strada verso il mare. Dopo aver costretto l’avversario a conquistare con lotta accanitissima e con gravissime perdite la postazione, carro per carro, centro di fuoco per centro di fuoco, i superstiti del reggimento per gran parte feriti, distrutte tutte le armi ed i materiali, davano alle fiamme la gloriosa Bandiera con gli onori militari sotto una tempesta di fuoco, accomunandola alle anime degli Eroi che si erano immolati per la gloria.
    Barrani – Tobruk (A.S.), 8 luglio 1940 – 21 gennaio 1941”

    Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa, alla memoria, al Sottotenente Carrista Jero Fulvio appartenente al LXII Battaglione carri leggeri “Marmarica” con la seguetnte motivazione:
    Ufficiale carrista di singolare valore, avuti i carri del suo plotone inutilizzati dal fuoco nemico e visto occupato un caposaldo che comprometteva la resistenza del battaglione di fanteria al quale era assegnato di rinforzo, chiedeva l’onore con pochi carristi rimastigli di guidarli al contrassalto per la rioccupazione del caposaldo. Ferito appena allo scoperto, continuava nel suo slancio generoso, incuorando i fanti. Ferito una seconda volta, si gettava sul nemico, ingaggiando una lotta corpo a corpo. Falciato a bruciapelo da una raffica di mitra, cadeva sul posto riconquistato, consacrando col suo sacrificio la fratellanza delle tradizioni eroiche del Fante e del Carrista d’Italia.
    Bardia (A.S.), 3 gennaio 1941”.

    Medaglia d’Oro al Valor Militare concessa la Tenente Giuseppe Locatelli del 60° Battaglione carri L, con la segunte motivazione:
    D al primo giorno di guerra, il comando di una compagnia carri armati, dedicava ogni sua migliore energia alla preparazione tecnica e spirituale del reparto, che poi guidava abilmente in un seguito di vittoriose azioni. Uscito dalle linee con il battaglione di cui faceva parte, per appoggiare una nostra colonna celere, non esitava a fronteggiare col suo reparto schiaccianti forze corazzate nemiche che avevano attaccato la colonna. Più volte ferito, conscio che un cedimento della sua unità avrebbe determinato il crollo del nostro dispositivo, sosteneva per oltre tre ore, con 13 carri soltanto, l’urto di almeno 50 mezzi corazzati appoggiati da artiglierie. Correndo a piedi da un carro all’altro per impartire con maggiore rapidità e precisione gli ordini e per tener vivi, con l’esempio del suo eroismo lo spirito aggressivo e lo sprezzo del pericolo nei suoi dipendenti, riusciva a paralizzare la baldanza nemica, permettendo alla nostra colonna celere di disimpegnarsi. Disposto l’ordinato ripiegamento del reparto, restava col solo suo carro a fronteggiare gli avversari per dar modo agli altri mezzi, più volte colpiti, di disimpegnarsi dalla lotta. Una cannonata lo colpiva in pieno, mentre col braccio teso fuori dallo sportello del carro, in atteggiamento di comando, additava ai suoi carristi la direzione da seguire. Alam Abu Hileiuat (A.S.), 19 novembre 1940

    Medaglia d’Oro al valor Militare concessa al Tenente Colonnello Luigi Pascucci del 13° Battaglione carri M
    Al comando di compagnia carristi, negli aspri combattimenti dell’ultima battaglia di El Alamein trasfondeva nel suo reparto eccelse doti di animo e di cuore col costante esempio di cosciente sprezzo del pericolo. Sosteneva con indomita fermezza il compito di proteggere il fianco sinistro dello schieramento reggimentale pressoché accerchiato dalla dilagante massa di mezzi corazzati avversari, consentendo così agli altri reparti l’esecuzione dell’ordine di ripiegamento. Conscio della necessità di arginare, anche per poco tempo, l’avanzata dell’avversario, nonostante l’infernale bombardamento, e incurante della schiacciante superiorità dei nemico, alla testa degli undici carri superstiti si avventava in mezzo alla formazione avversaria costringendola ad arretrare in disordine e con gravi perdite, seguito, nel supremo consapevole sacrificio, dall’emulazione dei suoi eroici soldati. Il campo della cruentissima lotta non restituì le loro spoglie, ma rimasero i dilaniati relitti dei loro carri a testimoniare la sublime, disperata impresa e ad additarli ad esempio dello spirito di sacrificio, di abnegazione e di cameratismo spinto alle più alte vette dell’eroismo. Bir el Abd-Fuka (A.S.), 4-5 novembre 1942.”