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L’Irene di Boston abbandonata alla Balata di Pozzallo

di Adele Drago
segnalata da Rimorchiatore d’altura Nave Titano

Sono passati circa tre decenni prima che qualcuno si accorgesse della “Bella addormentata della Balata”. Adesso la storica imbarcazione del 1914, l’Irene of Boston, ha l’occasione di risvegliarsi e ritornare allo splendore di un tempo. L’antico cutter inglese giace sugli scogli dell’antico scalo Pozzallese, dove un tempo le maestranze realizzavano scafi e barche, provenienti dalla scuola del maestro d’ascia Emilio Amenta. L’Irene of Boston conserva tra le sue macerie una storia lunga un secolo che è stata riportata alla luce da Sara Sigona in un suo testo pubblicato su “Opera Incerta” – n. 29 del 14 dicembre 2007.
“Irene of Boston”, è un’imbarcazione di Ventuno metri di lunghezza, 4,50 metri di larghezza, 2,50 di pescaggio, 35 tonnellate di dislocamento, senza motore. Nasce così in un vecchio cantiere alla periferia di Boston, nel sud-est dell’Inghilterra, in una domenica di giugno del 1914. La madrina era la figlia minore del maestro d’ascia che aveva costruito Irene. E Irene, così si chiamava la figlia, che insieme al padre l’aveva vista nascere e crescere, anziché infrangere la tradizionale bottiglia di champagne contro il mascone, si avvicinò alla prua dandole un lungo e affettuoso bacio. Subito dopo, Irene of Boston, scivolò dolcemente sull’acqua tra gli applausi delle maestranze del cantiere. Pochi giorni dopo, il suo peregrinare per mare ed oceani, dapprima come “pilotship” sfidando ogni giorno quel temibile mare o per portare i piloti sotto bordo ai bastimenti o, durante la Grande Guerra, per farli imbarcare sulle navi alleate.

Il giorno del suo quarantesimo compleanno, fatto ritorno nel porto di Londra, Irene venne acquistata da un ex capitano di lungo corso, originario della Cornovaglia, che decise di compiere un giro del mondo che durò sei anni insieme alla sua famiglia”. Partita dall’Inghilterra nel 1954, fu diretta prima verso l’isola di Madeira, entrando poi nel Mediterraneo dove girovagò per due anni; quindi attraversò il Mar Rosso, raggiunse Aden, Karachi, Bombay, Colombo, Singapore, poi proseguì per il Borneo settentrionale, attraversò l’Oceano Pacifico fino alle Isole Marchesi, per poi fermarsi nel 1959 a San Francisco per alcuni mesi. Motivo: innovare le vele maestre. Una volta ripreso il largo, attraversò il Canale di Panama fino all’isola di Haiti. Girovagò nel mare delle Antille per poi far vela verso New York, da cui il 20 settembre 1960, salpò alla volta di Falmouth per giungervi oramai cinquantenne, dopo un mese di navigazione. Concluso il giro del mondo, della fantastica Irene non si hanno notizie fino al 1969. Si sa che in quell’anno era a Malta sotto bandiera americana e che nel 1971 fece il suo ingresso nei mari italiani, accompagnando un ufficiale della Nato e la sua famiglia per dei week-end a Capri ed a Ischia. Dopo cinque anni Irene divenne non solo la dimora di un navigatore genovese ma anche un “charter” estivo per navigazioni lungo le coste della Calabria e della Sicilia. Rivenduta a un gruppo di ragazzi, affascinati dalla sua bellezza, dopo un lungo rimessaggio fu impiegata nel campo della pubblicità e ancora della navigazione come “charter-yacht.

Oggi, eremita del mare, i suoi ottoni non più splendenti, lo scafo di quercia inglese non più aitante, le sue classiche linee d’acqua irriconoscibili, la velatura inesistente attestano l’ineluttabile logorio di un tempo che non è riuscito a cancellare la sua straordinaria bellezza. Nonostante la veneranda età, lei, Irene, guarda ancora l’orizzonte, fragile nel respiro ma potente nel sogno di una nuova esistenza.

13 commenti

  • Barrera Raimondo

    Ciao Ezio, mi ha fatto molto piacere vedere pubblicata sul tuo blog la storia dell’Irene Boston. Nella mia bacheca c’è la seconda parte della storia. Ci sono anche (nella 1° parte) dei commenti (3)…che puoi mettere …come sai fare tu..Ciao un abbraccio Ray

  • Franco La Rosa

    Splendida la storia che ha accompagnato la vita di questa barca. Ho scritto “vita” perché vedendola così, abbandonata tra quell’erbetta che la circonda, nessuno crederebbe che ha vissuto storie come quelle che sono descritte nel reportage, e che abbia visto mari senza confini, città di tutto il mondo che molti di noi non vedranno mai. Mi piacerebbe che per magia potesse avere il dono di raccontare con la voce di una sirena, tutte le storie vissute, situazioni che ha vissuto e fatto vivere. Mi viene in mente, per una strana associazione letteraria Emilio Salgari, il quale senza essersi mai mosso dalla sua terra, raccontò a molti di noi che eravamo ragazzi, luoghi, avventure e personaggi, che vide solo nella sua fervida mente, facendoci sognare; l’Irene al contrario, ha , mi ripeto, ha visto e vissuto moltissimo e ci racconta tutto ciò, pur dando l’idea sbagliata di non essersi mai mossa o al massimo aver navigato costa costa lì intorno. Grazie amico Raimondo per averci dato la possibilità di conoscere questa incantevole storia e la sua interprete principale : Irene di Boston. Ciao.

  • Barrera Raimondo

    Ciao Franco la Rosa le foto a colori le ho scattate io quando ancora non conoscevo la storia…e ti dirò avevo come un presentimento,come se quel fantasma di barca volesse parlarmi ,volesse dirmi qualcosa…Sicuramente l’Irene Boston possiede un’anima che assomiglia molto alla nostra,anima di marinai,marinai per sempre.

  • Franco La Rosa

    Sai, riesco a capire perfettamente cosa intendi dire ; è come se ti volesse parlare, o meglio trasmettere ad un marinaio come te le sensazioni vissute da lei. In effetti tra l’anima di un marinaio e l’anima di una barca spesso si stabilisce una “armonia” che non si dimentica più, come un grande amore unico. Ciao e grazie ancora, e vento in poppa….

  • Michele Giardina

    Dopo lunga e fantastica corsa attraverso mari e oceani, l’antica barca a vela inglese si è fermata a Pozzallo. Stanca e sfinita. In un sito che trasuda storia di mare e bastimenti. A due passi dall’ex cantiere di don Emilio Amenta, maestro d’ascia. Come a voler chiedere aiuto. Ora, esanime, è crollata al suolo, tradita dal tempo e dall’uomo. Alla Balata. Bello e fantastico pezzo di scogliera mediterranea. Terra di Sicilia. Calda, passion
    ale, generosa e accogliente. Giocoforza anche bugiarda. Perché tradita dalla politica delle “cattedrali nel deserto”, che fa da contraltare alla incapacità cronica di valorizzare il fantastico patrimonio culturale di cui disponiamo. “Don Miliu” storico maestro d’ascia, sarà dispiaciuto.
    La Balata è ancora impregnata dell’odore del legno sapientemente lavorato dalle sue mani. La sua baracca è stata per decenni un laboratorio d’arte. Don Miliu cessò l’attività quando le sue mani ferite, mutilate e distrutte dalla fatica, si arresero. Fosse stato in vita sarebbe stato certamente pronto a salvare la storica imbarcazione. Perché era maestro artigiano per amore. Nata in un vecchio cantiere alla periferia di Boston nel giugno del 1914, l’imbarcazione fu battezzata con il nome di Irene, in onore della figlia minore del maestro d’ascia che l’aveva costruita. Navigò inizialmente come “pilotship”, assolvendo al compito di portare i piloti sotto bordo ai bastimenti. Quarant’anni dopo l’acquistò un ex capitano di lungo corso originario della Cornovaglia, per girare il mondo assieme alla sua famiglia. Nel 1959 si fermò a San Francisco per alcuni mesi per rinnovare le vele maestre. Il 20 settembre 1960 salpò alla volta di Falmouth. Si persero poi sue notizie per alcuni anni. Nel 1969 era a Malta sotto bandiera americana. Fece il suo ingresso nei mari italiani nel 1971. Nel 1976 divenne “charter” estivo per navigazioni lungo le coste della Calabria e della Sicilia. Finita a Pozzallo, dopo trent’anni di abbandono, ci si era illusi di risvegliarla dal coma profondo dell’incuria umana. Un’illusione!……………….michele giardina

  • EZIO VINCIGUERRA

    Ciao Barrera Raimondo complimenti per aver riportato alla luce la storia di questa Signora…non ci è piaciuto l’epilogo ma sono certo che qualcuno ascolterà il nostro messaggio. Speriamo.

  • Angelo

    salve Ezio, non ho il piacere di conoscerti, sono una persona di una certa età che ha avuto il privilegio di lavorare come apprendista (a quei tempi, nel 1957 i picciriddi si mandavano da u “mastru”) a fianco anzi a bottega di Don Miliu, che mi ha insegnato molte cose, li per li non valorizzate ma ho dovuto ricredermi quando la vita mi presentava il conto. Ho letto con una certa emozione la storia di questo legno “l’Irene of Boston” e il pensiero è subito corso ad un veliero-brigantino 2 alberi da me navigato nel 1959, il Michelina Salonia della famiglia Salonia di Pozzallo e trasferita a Catania e mai più avuto notizie. Il veliero credo sia stato costruito nei cantieri Spampinato di Catania o dintorni nel 1946. Ti sarei grato se potessi avere qualche notizia con qualche foto del suddetto veliero da tramandare ai miei nipoti. Certo della tua fattiva collaborazione porgo distinti saluti, Angelo Bongiorno

  • alessandro

    Io pultroppo non ho conosciuto il mio nonnino Don Miliu, ma ogni volta che passo “ra’ balata” e incredibile, ma sento il rumore delle pialle, la serra a nastro, il ribattitore dei denti delle lame delle serre. L’ odore del legno..
    Ricordi legati alla mia infanzia, pultroppo senza mio nonno. Ma ai miei tempi i miei splendidi zii. Giovanni e Enzo Amenta, pultroppo anche loro scomparsi. Ma credo che tutti e tre sono l’hi a sorvegliare il loro posto. Ogni volta che passo di l’hi sento le loro voci. Direte sei matto, ma chi a vissuto in quei posti puó capire… A distanza di anni( i pezzi grossi che credono di governare su pozzallo) hanno illuso la mia famiglia dicendo che dovevano fare la statua a Don Miliu…ma non importa le persone lo conoscono e e sempre nei loro ricordi……se un giorno vincessi tanti soldi credo che l’hi faro’ qualcosa dedicato a loro..perche con i soldi fai tutto…..cmq. Un saluto a tutti…

  • Angelo Bongiorno

    ciao Alessandro, partecipo con immensa gioia al ricordo che hai del tuo nonnino “don Miliu” e dei tuoi zii Giovanni ed Enzo, e nel contempo ho anch’io una fitta al cuore vedendo la scomparsa di queste meravigliose persone e lo scempio che è stato fatto. Ho avuto il piacere di lavorare sotto la maestria di tuo nonno(avevo 15 anni) e assieme a tuo zio Giovanni. Ho imparato molte cose, ma soprattutto molta umanità e cordialità. Adesso che sono avanti con gli, guardo con immenso piacere la fortuna che ha avuto Pozzallo ad avere nel suo grembo persone così meravigliose. Mi fermo perché mi assale un nodo alla gola. Un caloroso e affettuoso abbraccio Alessandro. (chissa se un giorno avrò il piacere di salutarti personalmente). Angelo Bongiorno, Genova.

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