Curiosità

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    Marinaio e macchina per cucire

    di Carlo Di Nitto

    Una nave era ed è come una piccola città, con le sue attività e le sue necessità quotidiane risolte dai suoi “piccoli” marinai artigiani.

    In questa simpatica cartolina pubblicitaria, databile agli anni ’20 dell’appena trascorso secolo, vediamo rappresentati marinai della Regia Marina intenti a confezionare bandiere seduti dietro due macchine per cucire Singer. Lo avreste mai pensato? Oggi sarebbe inimmaginabile, ma erano altri tempi …

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    Arrigo Petacco (Castelnuovo Magra, 7.8.1929 – Porto Venere, 3.4.2018)

    di Pancrazio “Ezio”Vinciguerra

    (Castelnuovo Magra, 7.8.1929 – Porto Venere, 3.4.2018)

    PER GRAZIA RICEVUTA

    Arrigo Petacco, storico e autore di molti saggi, ha pubblicato “La croce e la mezzaluna: Lepanto 7 ottobre 1571” (Mondadori 2005). La narrazione dell’epica battaglia, minuziosamente narrata, trasferisce al lettore un documento di elevato impatto per comprendere come il valore della storia sia da tributare all’azione degli uomini. Il libro di Petacco, oltre che di grande attualità, rappresenta un contributo importante alla reciproca conoscenza forse non facile, ma necessaria, tra due diverse culture.
    Più di quattro secoli fa, la Lega Santa Europea sconfiggeva in mare a Lepanto i Turchi. Una svolta nella storia del vecchio continente. La battaglia durò solo cinque ore, cinque ore che cambiarono il nostro destino: l’Europa non diventò una provincia turca e il Mediterraneo non si trasformò in un lago musulmano.
    A Lepanto nel 1571, l’Europa vittoriosa conservò la sua indipendenza e la sua tradizione. I turchi che sembravano invincibili, furono costretti ad arrestare la loro espansione verso occidente. L’Impero Ottomano e la Lega di Stati Europei, a Lepanto si giocarono tutto, per questo lo scontro non fu lungo ma straordinariamente violento.
    Si dice che la flotta cristiana e quella turca in battaglia assunsero rispettivamente le formazioni della croce e della mezza luna. Il coraggio sovraumano con cui i Cavalieri di Malta difesero la loro croce, la più odiata dei musulmani, fanno da sfondo all’eroismo di molti e all’avidità di alcuni. Nella battaglia servì anche l’ingegno umano per l’espediente del grasso spalmato sui ponti delle navi cristiane in modo da far scivolare i turchi all’arrembaggio.

    C’era fra i combattenti cristiani un soldato d’eccezione si chiamava Miguel Cervantes. Nel Don Chisciotte della mancia, qualche anno più tardi racconterà in forma allegorica e onirica il tramonto degli ideai cavallereschi che proprio a Lepanto ebbero l’ultima straordinaria consacrazione.
    Nell’anniversario della vittoria navale di Lepanto riportata dalla flotta cristiana e attribuita all’intercessione di Maria, fu istituita da papa Pio V la preghiera del santo Rosario.
    In realtà l’origine storica della preghiera risale al Medioevo un tempo questo in cui i salmi costituivano il punto di riferimento principale per chi pregava, ma rappresentavano anche un ostacolo insuperabile per coloro che non sapevano leggere.


    Si pensò allora di aggiungere alla preghiera dell’Ave Maria i misteri della vita di Gesù Cristo, allineati, uno dopo l’altro come grani di una collana divenendo quindi una preghiera per tutti, semplice ma profonda. Più tardi, nel 2002- 2003, san Giovanni Paolo II nell’anno del Rosario aggiunse alla preghiera del Rosario i misteri della luce che ci fanno contemplare alcuni momenti significativi della vita pubblica di Gesù.


    Occorre non disperdere questa preziosa eredità ritornando a pregare in famiglia e a pregare per le famiglie. La famiglia che prega unita, resta unita.

    Battaglia di Lepanto
    Lo stendardo di Pio V e la Canzone dei Trofei di Gabriele D’Annunzio. 

    a cura Carlo Di Nitto
    Lo Stendardo di Pio V (o meglio, quello che ne resta) che sventolò a Lepanto sulla galea ammiraglia della squadra pontificia comandata da Marcantonio Colonna e da questi donato alla Cattedrale di Gaeta al suo ritorno da Lepanto.
    Così viene ricordato da Gabriele d’Annunzio nella sua:

    “Canzone dei Trofei”

    “O Gaeta, se in Sant’Erasmo sei
    a pregar pe’ tuoi morti, riconosci
    il Vessillo di Pio ne’ tuoi trofei,
    toglilo alla custodia perché scrosci
    come al vento di Lepanto tra i dardi
    d’Ali, mentre sul molo tristi e flosci
    sbarcano i prigionieri che tu guardi
    e che non puoi mettere al remo.”

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    Il siluro

    a cura Virginio Trucco

    Il siluro è un ordigno esplosivo dotato di propulsione autonoma, di dispositivo atto a farlo esplodere per contatto o in prossimità di un bersaglio. Una volta lanciato sopra o sotto la superficie dell’acqua opera immerso, la sua versatilità gli permette di essere lanciato da piattaforme di superficie, subacquee ed aeree.

    (foto www.lavoceditaranto.it)

    Breve storia
    Inizialmente denominato Torpedine, derivato dal latino Torpere (essere rigido o paralizzato) il termine fu utilizzato la prima volta da Robert Fulton, che così battezzo la carica di polvere nera rimorchiata dal suo sommergibile Nautilis nel 1800-1805, il termine passò poi ad indicare tutti gli ordigni esplosivi operanti sotto la superficie dell’acqua. Dirette antenate del siluro, furono le torpedini ad asta, congegni esplosivi posizionati su un asta lunga una decina di metri posti a prua di un battello più o meno inclinati, destinati ad esplodere contro l’opera viva di un battello, provocando una via d’acqua tale da provocarne l’affondamento o quanto meno l’inutilizzo per un dato periodo di tempo. Detto congegno fu utilizzato per la prima volta dai Confederati contro le unità dell’unione che mantenevano il blocco dei loro porti, furono montate sul sommergibile Hunley e sulle pirobarche del tipo David. Il problema di detti ordigni era che anche il veicolo attaccante veniva investito dall’esplosione subacquea riportandone gravi danni, pertanto questo doveva essere spendibile, cioè economico e facilmente rimpiazzabile.

    (foto Sandro Ferruglio)

    Il primo siluro moderno, si deve ad un ufficiale della K.u.K Kriegsmarine ( Imperial Regia Marina) il Fiumano Giovanni Luppis, che nel 1860 nel porto di Fiume presento all’Imperatore un ordigno galleggiante manovrato tramite funi da utilizzare nella difesa costiera. Solo nel 1864, quando Luppis si associò con l’ingegnere Inglese Robert Whitehead, i due riuscirono a perfezionare l’arma, Whitehead introdusse molti cambiamenti rendendo l’arma subacquea, con tutti i miglioramenti, il prototipo fu presentato alla Commissione Navale Imperiale nel 1866, ricevendo un contratto per il suo sviluppo. Whitehead, impianto un silurificio a Fiume ( silurificio che continuo la propria produzione sino al termine del secondo conflitto mondiale) riuscendo nel 1870 ad arrivare ad una gittata di circa 1000m e la velocità di 6 nodi, nel 1881 il silurificio esportava in dieci paesi. Continuando a lavorare sull’apparato motore azionato da aria compressa, Whitehead continuò a migliorare le gittata dell’arma e la velocità passo progressivamente dai 6 nodi iniziali a 30, nel 1890 inserì all’interno del siluro un giroscopio, che assieme all’adozione di due eliche controrotanti stabilizzava la corsa dell’arma. Nel 1877dietro il pagamento di 15.000 sterline da parte dell’Ammiragliato Inglese, per assicurarsi i futuri sviluppi dell’arma, Whitehead apri un secondo stabilimento in Inghilterra.
    Nello stesso periodo al fine di affrancarsi dal monopolio di Whitehead, iniziavano a nascere silurifici nazionali, dove si sperimentavano miglioramenti al siluro, iniziavano cosi a differenziarsi le prestazioni e nascevano vari tipi di siluri, pur conservando le linee di base dell’arma.
    Nonostante le modifiche, il siluro di tipo Whitehead, rimase pressoché invariato sino alla Seconda Guerra Mondiale, quando i tedeschi misero in servizio i primi siluri elettrici. L’arma era costituita da un cilindro, di lunghezza e diametro variabili a seconda del uso e delle richieste del committente, con ad un estremità un ogiva contenente l’esplosivo ed i congegni d’innesco, inizialmente riempita di fulmicotone, poi via via esplosivi sempre più potenti (tritolo, tritonital, ecc.), all’estremità opposta anch’essa affusolata, si trovavano gli organi di propulsione, inizialmente fu installata una sola elica poi sostituita da due controrotanti al fine di compensare la forza deviante data dal senso di rotazione dell’elica, e di governo anche in questo caso prima fissi e poi con l’introduzione di appositi dispositivi divenuti mobili. All’interno del cilindro si trovava un serbatoio di aria compressa, inizialmente a 25 atmosfere e successivamente si arrivò anche a 250 atmosfere, che attraverso in riduttore di pressione andava ad alimentare un motore a due o tre cilindri, che metteva in movimento le eliche, dato che il salto di pressione generava problemi di congelamento, si pensò di introdurre un sistema di riscaldamento del motore, all’inizio si trattò di un semplice circolo di acqua di mare intorno al motore, dato che questo riscaldamento provocando un espansione dell’aria migliorava le prestazione, si passo ad un riscaldatore dell’aria alimentato ad alcool e successivamente ad introdurre un combustibile nell’aria al fine di provocarne l’accensione e un ulteriore espansione. Il problema di questo apparato motore era la generazione di scie, che rilevata dal bersaglio gli permetteva di mettere in atto manovre evasiva al fine di evitare i siluri, in genere si portava la prua parallela alle scie, al fine di far scorrere i siluri lungo le fiancate e comunque offrire una minore superficie d’impatto, inoltre nel caso di lancio da un sommergibile permetteva di rilevarne la posizione. L’introduzione dei giroscopi associati a piatti idrostatici, permise al siluro di autogovernarsi, permettendogli di mantenere la rotta e profondità impostate al momento del lancio.

    (foto internet)

    I progressi del siluro, portarono alla nascita di due nove categorie di naviglio, prima le torpediniere, piccole navi che all’inizio dislocavano 35/40 tonnellate, per passare poi alle 400/500 tonnellate, si trattava di piccole navi molto veloci armate inizialmente solo di siluri, impiagate per l’attacco a formazioni navali, per contrastare queste unità nacque il cacciatorpediniere, nave veloce, con un dislocamento inizialmente attorno alle 400/600 tonnellate per arrivare in alcuni casi a superare le 1000 tonnellate, armato di cannoni di piccolo calibro a trio rapido e siluri, atto a contrastare le torpediniere ed in alcuni casi a sostituirle. Anche il sommergibile che iniziava ad apparire nelle varie marine fece del siluro la sua arma principale. Durante la Prima Guerra Mondiale, il siluro ricevette ulteriori miglioramenti, soprattutto nelle dimensione delle teste in guerra che furono aumentate al fine di operare contro le nuove unità da guerra più pesantemente corazzate e nei dispositivi di accensione. Dato lo sviluppo dell’arme aerea, si iniziò a sperimentare il lancio dei siluri anche dagli aerei.

    (foto www.betasom.it)

    Durante la seconda guerra mondiale, i tedeschi introdussero per primi i siluri elettrici, che nonostante i costi di produzione e la maggiore manutenzione, avevano il grande pregio di non produrre scia. Agli inizi degli anni 60 apparvero i primi siluri filoguidati, dove tramite un filo guida ed una apposita consolle un operatore poteva guidare il siluro direttamente sul bersaglio, seguirono i siluri autoguidati, che tramite sistemi di rilevamento del motore e sonar attivi, che li guidavano sul bersaglio, furono sviluppati siluri più piccole che presero la denominazione di leggeri, per esser lanciati da mezzi aerei o essere portati in zone di ricerca da missili (sistemi: ASROC Americano; MALAFON Francese, IKARA Australiano e il SS-N-14 Silex Russo) oppure venivano usati come mine, sistema CAPTOR, dove il passaggio di un unità navale attivava il rilascio del siluro. Con i continui miglioramenti delle prestazioni dei sommergibili, vennero aumentate le velocità dei siluri, ad oggi alcuni siluri pesanti raggiungono velocità superiori ai 50 nodi, al siluro Russo SHKVAL, grazie all’uso della supercavitazione viene accreditata la velocità di 200 nodi.

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    I marinai del Colosseo

    di Antonio Cimmino

    Le naumachie
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Le naumachie erano simulazioni di battaglie navali svolti, in appositi bacini naturali o allagati per la circostanza, a scopo di divertimento, dove si rievocavano famose battaglie storiche.
    naumacharii erano in genere prigionieri di guerra o condannati a morte che dovevano guerreggiare indossando le tipiche armature del paese rappresentato, incitati alla lotta dai pretoriani. I combattimenti così diventavano irruenti e davano agli spettatori quell’acre piacere del sangue, come nei ludi gladiatori.
    Il termine naumachiae deriva dal greco e indica sia il sito che lo spettacolo, mentre i romani chiamavano queste rappresentazioni “navalia proelia”.
    La prima naumachia di cui si ha memoria si tenne a Roma nel 46 a.C. in un lago artificiale creato nel Campo Marzio ad opera di Cesare per celebrare il suo trionfo. In quell’occasione venne simulata la battaglia tra la flotta fenicia e quella egiziana. Parteciparono circa 6.000 figuranti ed una folla enorme giunta dalle vicine colonie accampata nelle strade e nelle piazze, così numerosa come racconta Svetonio, da provocare nella ressa la morte di diverse persone.
    Il pubblico si esaltava alla vista delle navi e delle varie fasi della battaglia proprio perché erano così rare e facevano sfoggio della più raffinata evoluzione tecnica molto più di quella utilizzata negli altri ludi romani.
    Lo scopo dei ludi romani e del loro vasto consenso popolare era quello di tenere il popolo ben nutrito (attraverso la distribuzione gratuita di derrate alimentari a volte integrate con somme di denaro) e ben occupato con sempre maggiori divertimenti e spettacoli per evitare ribellioni e rivolte.
    In origine i giochi erano gestiti dai sacerdoti per questioni di culto e duravano, come le famose corse dei cavalli, solo un giorno. Dai 77 giorni di ludi proclamati ufficiali tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero si arrivò nel quarto secolo a ben 177 giorni all’anno dedicati agli spettacoli.
    Pane et circenses” (pane e divertimento come oppio di massa per gettare interi popoli nell’impotenza politica) era la formula coniata dal poeta satirico Giovenale che se ne servì per stigmatizzare la politica degli imperatori romani nei confronti dei loro sudditi.
    La naumachia di Cesare in effetti aveva stravolto il senso delle proporzioni dello spettacolo per la sua maestosità, per il contenuto storico e soprattutto per l’onerosità dei costi ma ai romani piacque così tanto lo spettacolo che nel corso degli anni si tennero altre di queste rappresentazioni.
    Lo stesso Augusto, attento conoscitore delle vicende politiche e del suo popolo, organizzò altre naumachie facendo costruire un grande complesso monumentale circondato da portici ed arricchito da opere d’arte, per lo più bottini di guerra, per celebrare la potenza della flotta romana di suo genero Agrippa (ammiraglio della flotta e costruttore del Pantheon).
    Per la prima volta dai tempi di Gaio Duilio, vincitore contro Cartagine, un ammiraglio veniva celebrato più di un generale di terra e per questo motivo l’orgoglio dei romani per la loro flotta veniva raffigurato nella naumachia di Augusto.
    Per avere un senso dello proporzioni Augusto e Domiziano fecero scavare un bacino artificiale vicino alla riva del Tevere (nella zona di Trastevere nei pressi della Chiesa di San Cosimato a Roma) lungo circa 550 metri e largo 360; un acquedotto costruito per portare l’acqua dal lago di Martignano (vicino al lago di Bracciano) lungo 33 Km capace di scaricare 180 litri di acqua al secondo per un ammontare di circa 200.000 metri cubi utili per riempire in 15 giorni la naumachia; un canale di collegamento tra il Tevere e la naumachia per permettere l’accesso delle navi impegnate nella battaglia; 30 navi rostrate biremi e trireme; 3.000 raffiguranti più i rematori ed un imponente servizio di guardia in ogni laddove per evitare che i ladri approfittassero dell’assenza dei romani per compiere saccheggi.
    Tutto questo nel 2 a.C. per celebrare la festa per l’inaugurazione del Tempio di Marte Ultore e simulare la battaglia di Salamina tra persiani ed ateniesi.
    Lo spettacolo aveva stravolto il senso delle proporzioni ma il popolo non piangeva le vittime ne tanto meno criticava l’incredibile costo della naumachia. I romani erano entusiasti di Augusto nonostante avesse sperperato più denaro del suo padre adottivo: Cesare.
    Oltre alle naumachie citate si ricordano nel Campo Marzio la naumachia di Caligola e Domiziano e nelle vicinanze del mausoleo di Adriano la naumachia vaticana e quella fatta tenere da Filippo l’Arabo per le feste commemorative del millenario di Roma (questa sembra sia stata l’ultima naumachia eseguita). Nerone fece riempire con acqua di mare un anfiteatro in legno immettendo anche pesci e animali marini. Dopo la rappresentazione della naumachia  venne fatta defluire l’acqua e nell’arena ormai asciutta si fronteggiarono gruppi di gladiatori.
    Anche Tito volle ulteriormente perfezionare l’arte della naumachia in occasione dell’inaugurazione del Colosseo e ne fece allestire due: la prima dentro il Colosseo stesso con cavalli, tori e altri animali equipaggiati sia per il movimento nell’acqua che sulla terra per ricordare la battaglia tra Corfù e Corinto; nella seconda, sul lago artificiale di Augusto, per ricordare la vittoria degli ateniesi sui siracusani venne allestita una piccola isola dove i naumacharii vi sbarcarono e successivamente la espugnarono. Particolarmente famosa è rimasta la naumachia fatta organizzare da Claudio nel 53 d.C. sul lago Fucino per celebrare il termine dei lavori della costruzione dell’emissario del Liri fatto costruire per la grande bonifica del luogo. Sebbene lontano oltre 100 Km da Roma l’evento richiamò un foltissimo pubblico dalle città vicine e da tutta la capitale. Sul lago Fucino era stata organizzata la più maestosa delle battaglie navali mai organizzata tra la flotta rodiese e la flotta siciliana. Si affrontavano su 100 navi 19.000 guerrieri, probabilmente criminali, che come racconta Tacito “combatterono con un coraggio degno di soldati valorosi non risparmiando né se stessi né gli avversari”, mentre sulle rive erano appostati i pretoriani pronti ad intervenire contro quei combattenti che si mostravano incerti o riottosi. Un tritone d’argento appariva in mezzo al lago al momento opportuno per dare con la tromba il segnale della battaglia.
    Queste battaglie dovevano costare ingenti somme sia per l’organizzazione della battaglia stessa, sia per l’allestimento dello specchio d’acqua in cui si dovevano svolgere questi combattimenti. Per le enormi spese, per difficoltà tecniche e per motivi igienici a causa dei miasmi provocati dalle acque stagnanti, le naumachie non venivano rappresentate frequentemente come le altre forme di spettacolo ma soltanto per celebrazioni eccezionali. In seguito le naumachie non vennero quasi più organizzate forse perché era diventato impossibile competere con la maestosità di quelle precedenti ma, molto più probabilmente, a causa delle voragini aperte da queste stravaganti rappresentazioni nelle casse statali e nelle casse private di ricchi e imperatori.