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    Il naufragio della regia nave Diana

    di Maria Caccavale (1) tratto dal diario di Francesco Caccavale (2)
    Prima edizione [settembre 2020]
    Diritti riservati – Vietata la duplicazione anche parziale se non autorizzata dall’autrice.

    A Francesco Caccavale, a mio padre e all’equipaggio della regia nave Diana

    Buongiorno,
    mi chiamo Maria Caccavale, sono figlia di Francesco Caccavale, nato a Taranto il 14 aprile 1915, 2° Capo Cannoniere Artificiere, imbarcato sulla Regia Nave Diana al momento dell’affondamento avvenuto nel 1942.
    Papà fu salvato dalla Nave Ospedaliera, dopo giorni di galleggiamento. In questo periodo mi sono dedicata alla trascrizione (per adesso manuale, perché è molto difficile l’interpretazione di alcuni termini) del diario di quella tragedia vissuta da papà e dai suoi compagni, diario scritto subito dopo le cure e durante la convalescenza.
    Del diario custodisco gelosamente una fotocopia e reca la data del 3 agosto 1942. Papà, purtroppo, ci ha lasciato troppo presto. È morto a Caserta il 17 marzo 1963, a soli 47 anni. Non è possibile descrivere l’emozione che ho provato nel leggere quelle pagine piene di sentimenti, disperazione, coraggio. In quelle pagine ho riscoperto mio padre, uomo meraviglioso, uomo eroico che, con la sua disciplina, mi ha insegnato ad andare avanti da sola.
    Il monito di papà, a noi quattro figli, era STUDIARE, STUDIARE. Io gli ho dedicato la mia laurea. La vicenda tragica di mio padre e dei suoi compagni dovrebbe far riflettere la società attuale.
    Mi piacerebbe tanto avere un riscontro da parte di parenti di quei marinai che hanno vissuto la tragedia di papà.
    Grazie

    Il triste ricordo!
    Mi trovavo imbarcato sulla Diana da più di due anni, e precisamente da pochi mesi prima che scoppiasse la guerra contro le democrazie; il 10 giugno 1940.
    La nave fu costruita nei cantieri del Quarnano a Fiume; la sua costruzione fu tutt’altro che per lo scopo di guerra. La nave veniva comandata dal capitano di fregata Mario Di Muro; faceva da comandante in 2° Wilmar Bassoli; primo direttore di tiro Giuseppe Garbanino T.V.; ufficiale di rotta S.T.V. Trapane; ufficiale al dettaglio Guardiamarina Pelissero; direttore di macchina Capitano G.N. Cella; ufficiale di macchina Tenente G. N. Roatto e Premoli; sottotenente medico Taormina.
    Molte ma molte missioni di guerra avevamo già fatte in pieno Mediterraneo; fra le tante va ricordata quella fatta a Malta la notte dal 25 al 26 luglio 1941.
    Mi trovavo imbarcato sulla R. Nave Diana in qualità di 2° capo cannoniere artificiere.
    Ci trovavamo alla Spezia da più mesi dell’anno 1942; si facevano i preparativi per una nuova missione, l’ordine di partenza poteva venire da un momento all’altro.
    Si vociferava a bordo di dover fare una missione alquanto pericolosa, ma tutti ne ignoravano qual era il compito da svolgere. Mai durante i primi due anni di guerra, avevo avuto presentimenti preoccupanti se non come la partenza che si approssimava. Come se una voce lontana mi diceva tante cose brutte; sentivo nell’animo mio l’avvicinarsi di una spaventosa e dolorosa missione di guerra, causa di tanto dolore, di tanto pianto.
    Era il giorno 22 giugno 1942 quando sapemmo con esattezza e certezza la missione che dovevamo fare. Non ebbi a spaventarmi né tremai a quella notizia; ma sì nel cuor mio vi calò un velo di tristezza, come quel velo che copre un corpo esamine.
    Brutti presentimenti mi tormentavano il cervello e la persona tutta; ero come sicuro di dover andare incontro alla dannata morte. Mai, dico mai fui così oppresso anche in missioni più pericolose; era quella, l’oppressione di un triste preannunzio.
    Il giorno 23 giugno ero di guardia dalle ore 8 alle ore 16; in queste ore fantasticavo e vedevo tutto incerto davanti al cammino che dovevamo fare; pensavo che poche erano le ore che mi tenevano vicino a mia moglie; più ancora pensavo se ad essa ritornavo.
    Durante il mio imbarco e in tutte le missioni fatte, mai avevo pensato al male, di come quel giorno ci pensavo.
    Come certo di andar a finire naufrago, pensai di salvare un po’ del vestiario che avevo a bordo; difatti mandai con dei marinai a casa di mia moglie: una divisa di panno, l’impermeabile, una tuta, ed altra roba che più credetti opportuno.
    Smontai di guardia alle ore 16, dietro mia richiesta mi fu accordato un breve permesso di andare a salutare mia moglie. Gli parlai della partenza; ma non del grande pericolo che andavamo incontro; il pericolo era come certo che poche speranze nutrivo per ritornare al suo fianco; dovetti abilmente fingere per evitargli dolore e dispiacere; mia moglie ignorava quel mare pericoloso, le tante e tante vittime da esso fatte. “Mediterraneo” era questo il mare dove ardeva la guerra dei sottomarini, dove nulla si perdonava.
    Stetti in compagnia di mia moglie fino alle ore 6 del mattino del giorno 24 giugno 1942. Il distacco fu per me più doloroso del suo; ella ignorava! Ci baciammo come per dirci addio ma avevo ancora delle speranze di ritornare, come tutti i naviganti che combattevano avevamo e vivevamo di speranze.
    Alle 6.30 mi trovavo a bordo, dove a prima vista viddi un affaccendarsi di marinai che preparavano la nave per la missione di guerra; eravamo pronti a muovere alle ore 11.30 del giorno 24. Alle ore otto imbarcarono un certo numero di salvagenti e più tardi ancora salirono a bordo 300 uomini composti da ufficiali, sottufficiali e marinai tutti da trasportarsi a Tobruk. Alle 11 la nave era pronta per lasciare gli ormeggi; alle 11.15 suonò posto di manovra; alle 11.30 la nave lenta lasciava la banchina chiamata “Molo Lagora” per mai più ritornarci.
    Poche ore dopo navigavamo nel Tirreno, in mare aperto. Navigammo per tutto il resto del giorno e tutta la notte, alle ore 9 del giorno 26 ci ormeggiavamo alla banchina della stazione marittima di Messina, da dove si doveva partire la stessa sera alle ore 20. Per un guasto alle caldaie fu rimandata la partenza di un giorno e una notte; la mattina del giorno 28 alle ore 4, lasciammo gli ormeggi per imboccare il Mediterraneo, il mare pericoloso, il cimitero delle navi, la tomba di tanti e tanti uomini. Alle prime luci del giorno 28 eravamo già lontani dal porto, e si navigava costeggiando le coste della Calabria; che man mano scomparivano. Verso le ore 11 eravamo fra mare e cielo, lontani dalla terra. Tutti invocavamo Dio e tutti i Santi che ci aiutassero in quel pericoloso cammino. Passò il giorno 28; eravamo ancora salvi, ma non ancora sicuri della notte e del giorno dopo.
    Calò la notte, ogn’uno andò a riposarsi ove meglio poté, ed io personalmente la passai, or sedendomi a terra, or passeggiando, di certo è passò insonne. Le ore erano eterne, si aspettava l’alba, per essere rincorati dalla luce del giorno. Venne l’alba un po’ nuvolosa, che poi subito scomparve tutto, il cielo fu azzurro, il sole illuminò l’universo, riscaldò i corpi nostri freddi della passata notte. Eravamo in pieno Mediterraneo e non si vedeva altro che mare, mare e mare.
    Erano le 5.30 del giorno 29 giugno 1942, quando la vedetta avvistò in lontananza un aereo che dopo un po’ si poté individuare per un ricognitore Inglese. Lesti ogn’uno fummo al proprio posto di combattimento; ma non si poté sparare perché si tenne fuori dal campo di tiro. Quell’aereo fu il preannunzio di un attacco nemico. Eravamo pronti a difendere la nostra nave e con essa noi stessi. Ormai si navigava con una certa preoccupazione e tutti avevano gli occhi rivolti in ogni punto dell’orizzonte. Tutti avevano indossato il salvagente; si navigava nel canale che da Candia porta a Tobruk, ad una velocità di 27 miglia marine orarie. Era questo il punto più pericoloso della nostra navigazione, mancavano ancora 5 ore per l’arrivo, ma esse per noi erano 5 lunghi anni. Erano le 8.30, quando furono avvistati in lontananza 12 apparecchi, tutti eravamo al proprio posto di combattimento ed ognuno invocava a Dio il proprio aiuto.
    Erano 12 bombardieri; la nostra fine era imminente; senonché col loro avvicinarsi potemmo individuarli per 12 apparecchi Stucas; essi ci conobbero e presto si allontanarono perdendosi nella foschia. Erano le 10 circa, una delle vedette avvistò un altro aereo, che poi fu conosciuto per lo stesso ricognitore Inglese, nemmeno questa volta potemmo aprire il fuoco causa la sua lontananza; ciò nonostante il comandante fece caricare le armi e si era pronti a far fuoco; tutti guardavamo l’aereo, tutti avevamo il pensiero rivolto a Dio e alle nostre famiglie quando accadde la terrificante realtà che nessuna penna e nessun uomo al mondo potrà descrivere.

    Due scie di siluri furono avvistate, delle quali una passò di prora e l’altra di poppa. Fu come un baleno nel passarci, la voce che il nemico ci aveva avvistato, ci aveva appostato ed infine ci aveva lanciato due siluri. Si tremava nell’attendere l’evento, tutti eravamo pronti al da farsi; tutti questi pensieri, tutti questi preparativi furono fatti in un baleno, che pochi secondi passarono quando si udì la prima detonazione di un siluro che colpì la nave; subito dopo una seconda detonazione si sentì; dalla prima alla seconda detonazione vi fu un intervallo di 40 secondi circa. In quel momento mi trovavo a riposare per l’insonnia della passata notte, nelle vicinanze del deposito munizioni di prora. Fui destato di soprassalto, e nello stesso tempo mi sentii un colpo alla fronte, ove subito portai la mano destra, indi potetti constatare che vi era sangue.
    Non preoccupandomi di tutto ciò, salii veloce una scaletta di ferro che portava in coperta a prora e di lì potetti rendermi conto di ciò che era accaduto.
    Per primo viddi la nave sbandare a sinistra avendo fuori acqua quasi 2 metri di carena; contemporaneamente girando lo sguardo intorno viddi nell’acqua ad una certa lontananza uomini che nuotavano fra tanti rottami, detriti della nave.
    Sedie, tavole, pezzi di legna, zaini ed altro galleggiavano.
    Uomini che si buttavano senza alcuna riflessione dai vari ponti della nave, gridi di dolore e di aiuto venivano da ogni parte, era quello uno spettacolo da far impazzire chi cervello aveva. Tutto ciò lo potetti constatare in pochi secondi, indi indossai il salvagente portante il mio numero di bordo (G. 430) mi feci tanto coraggio e mi buttai in mare.
    Nuotai alla svelta per un 200 metri circa, per evitare che i gorghi prodotti dall’affondamento della nave non mi avessero inghiottiti. Nell’allontanarmi da quello scafo che affondava forti detonazioni udivo, contemporaneamente esse producevano delle forti vibrazioni alla pancia e alla persona tutta.
    In un primo momento credetti che il sommergibile nemico che ci affondò non soddisfatto di quella sorte toccataci, ci sparasse con il suo cannoncino di bordo; ma quando fui ancora più lontano e fuori pericolo di essere inghiottito dai gorghi mi tenni a galla fermo, mi voltai indietro e così a stento fra tanto spavento potetti rendermi conto di ciò che era accaduto.
    Viddi la poppa della nave spezzata completamente che nemmeno una fiamma ossidrica l’avrebbe spezzata così precisa; potetti così rendermi conto che il primo e il secondo siluro avevano tutte e due colpiti lo stesso punto dello scafo, e precisamente uno nelle vicinanze del quadrato 2° capi e l’altro fra la cucina sottufficiali e quella equipaggio. Mi resi conto anche che le bombe e le detonazioni che sentii durante il mio nuoto, erano le stesse bombe da getto che noi portavamo per la difesa contro i sommergibili nemici. Viddi la nave sbandare a destra, indi si mise orizzontale e lenta se ne scendeva di poppa quasi perpendicolare, di come poi scomparve per sempre negli abissi del mare. Essa vi impiegò circa 11 minuti per finire la sua agonia, della nave Diana non ne rimase altro che un triste ricordo.
    Sull’acqua, nel punto ove avvenne il sinistro, non si vedette altro che nafta, e rottami e tanta gente che nuotava per raggiungere delle zattere di salvataggio che erano rimaste a galla dopo l’affondamento della nave.
    Mi trovai vicino ad alcuni amici di bordo e precisamente – il cann. Di Domenico (di Salerno) il cann. De Rosa (Salerno) cann. Tornici. Nuotavamo tutti uniti, passando in mezzo alla nafta ed ai rottami, udendo da ogni dove gridi angosciosi di dolore, gridi di aiuto, lamenti agonizzanti dei nostri compagni colpiti e feriti mortalmente; dei compagni che poco o niente sapevano nuotare.
    Erano quelle le ore che si invocava Iddio e i Santi con tutta la fede e la vocazione, si vedevano i nostri compagni morire a poca distanza da noi e non potevamo aiutarli perché anche noi feriti, stanchi, e tutti spaventati della sorte toccataci e di quella che ci attendeva.
    Io con il cann. Di Domenico raggiungemmo una piccola zattera di un metro quadrato circa e lì prendemmo posto avvicinandoci sempre di più al gruppo delle zattere che si trovava lontano da noi un 200 metri circa. Per quanto ci affaticammo non ci fu possibile raggiungerle; ed a stento raggiungemmo una zattera del tipo più grande della nostra.
    A quella zattera ci legammo con una corda, onde stare in compagnia di compagni della stessa sorte. Su quella zattera potetti conoscere il Sott. Tenente medico Taormina, il capo di II meccanico Bonfiglioli ed altra gente che tutti salivano ad un numero di circa 30 persone.
    Potetti constatare la dolorosa agonia del maresciallo Bonfiglioli; esso aveva dalle spalle fin giù al sedere, una sola piaga viva, profonda un centimetro circa, causatagli dalla rottura di un tubo contenente vapore surriscaldato.
    Con un fazzoletto già sporco di nafta, gli bagnavano quella scottatura con l’acqua marina a mo’ di refrigerio; ma esso era sì pallido da sembrar già morto. Fu forte nelle sue sofferenze, lamentandosi sommessamente, aveva del sangue che gli veniva fuori dalle orecchie, quell’uomo era un vero martire, e chissà quanto doveva soffrire.
    Nel momento del nostro affondamento il mare era calmo, e fu questo uno dei fattori principali a darci coraggio e portarci verso le zattere. Sull’acqua si vedevano già galleggiare i corpi dei nostri compagni morti, si sentivano tanti altri ancora che invocavano aiuto, chi piangeva dirottamente dibattendosi nell’acqua, chi aveva figli e voleva essi vedere, chi invocava la mamma, era straziante assistere a tanto dolore a quelle agonie. Si sentivano grida disperate da ogni dove e subito dopo il levarsi dell’acqua, indi galleggiare sull’acqua il corpo esamine sostenuto dal salvagente. Fu visto in un salvagente galleggiante, solo che un braccio spezzato la persona mancava; in un altro ancora fu visto un uomo che aveva la testa spaccata in due; viddi ancora su un’altra zattera un mio amico con un braccio spezzato completamente, e legatogli con un pezzo di straccio già gocciolante di sangue. Fra tanto dolore e spasimo eravamo giunti verso le ore 14, l’ora esatta nessuno poteva saperla, perché tutti noi che avevamo l’orologio, essi erano fermi sull’ora esatta di quando ci buttammo a mare. Erano le 14 circa del giorno 29 giugno erano già 3 ore che eravamo in acqua, privi di acqua, mangiare, e medicinali; vedemmo in lontananza un aereo, il quale si avvicinò a noi e ci sorvolò a bassissima quota. Fummo contentissimi e si piangeva di gioia pensando che l’aereo ci aveva visti e ne dava comunicazione ad una base navale, per poi venirci a salvare. Frattanto le ore passavano, l’aereo scomparve e rimanemmo di nuovo soli in mezzo a tanta acqua e a tanta gente che ancora moriva. Si avvicinava la sera e con essa aumentava in noi lo sgomento.
    Erano le 20 circa che incominciò a tirare un leggero vento era quello il preludio di un mare tempestoso.
    Ancora dei lamenti affievoliti si sentivano in lontananza, erano quelli che più avevano resistito a tenersi a galla. Erano le 22 più nulla si sentiva; soltanto l’infrangersi delle onde l’una contro l’altra, che delle zattere ne facevano strage.

    Ci trovammo in balia di quel mare mosso nell’oscurità della notte; da tante zattere che eravamo vicine ci trovammo lontane l’una dalla altre chissà quanti e quanti centinaia di metri. Noi eravamo soli con la nostra zattera ed eravamo 33 uomini, dei quali molti feriti gravi che chiedevano soccorso, acqua e da mangiare, ma nulla gli potevamo dare perché la zattera era priva di ogni conforto.
    Non avevamo né acqua, né da mangiare e nemmeno medicinali. Il continuo lamento di quei feriti, ci squarciava il cuore, ci tormentava più del mare che ormai era impietoso e non accennava a calmarsi.
    Vedevamo nell’oscurità della notte molto lontano delle luci che si accendevano e si spegnevamo ad intermedio; lì per lì ci rallegravamo, perché credevamo alle luci di qualche nave salvatrice; ma poi ci rassegnavamo a quel triste destino; perché quelle luci erano proiettate dalle altre zattere, come segnale di riconoscimento del loro punto di riferimento. Anche quelle luci erano per noi un conforto, una speranza. Il cielo era nuvoloso e la luna di tanto in tanto faceva capolino fra di esse; era già notte tardi; quando il maresciallo Bonfiglioli si lamentava come agonizzante; le sue piaghe lo avevano finito lento come il consumarsi di un cero. La sua agonia era triste per noi che nulla potevamo fare per darci la vita; altri ancora si lamentavano per le gambe che avevano spezzate, ed altri per la schiena che avevano anch’essi spezzata. Il buon Dio ci dette tanta forza di farci rassegnare a quel triste viaggio verso la dannata morte. L’agonia del maresciallo Bonfiglioli era sempre più alla sua fine; esso incominciava a delirare, le parole gli venivano fuori dalla bocca senza alcun significato.
    Esso non si reggeva nemmeno stando seduto sull’orlo della zattera, il suo corpo si appesantiva e se ne scendeva nell’acqua, fu deciso reggerlo per le ascelle, ormai esso non era più nel mondo dei vivi; la sua agonia andava man mano affievolendosi; dava l’addio al mondo terreno; verso la mezzanotte il suo cuore cessò di battere. Era morto! Non vi era nessuna speranza di poter portare la sua salma a terra; anche noi combattevamo tra la vita e la morte; e forse anche noi avremmo fatto la stessa fine se ancora giorni passavano. Fu così deciso di calarlo in mare.
    Un marinaio di cognome Pischianz, ebbe tanta forza di prenderlo fra le braccia e lasciarlo nell’acqua.
    Non ebbi tanta forza e coraggio di vedere con i miei occhi ciò che fu fatto a quel corpo esamine; mi portai le mani agli occhi; e fra me e me dissi: – Dio dà pace a quell’anima che ci ha lasciato! Dà gioia e pace alla sua moglie ed ai figli suoi. Pochi secondi passarono, il corpo lasciato in acqua scomparve, inghiottito dai marosi che venivano ad infrangersi contro la zattera che a mala pena ci teneva a galla. Eravamo così rimasti 32. Il freddo e l’umidità erano già penetrati fino alle nostre ossa; eravamo stanchi ed esausti di tanto sballottare; giù e sù; a destra e sinistra, nel nostro stomaco non vi era più una briciola di mangiare, le membra tremavano e con essa la persona tutta. Il buio presto della notte ci sconfortava ancor di più, ed il mare mosso ci tormentava tenendoci lontani gli uni dagli altri.
    Invocavamo a viva voce lo schiarirsi del nuovo giorno.
    Dopo tanto e tanto penare, ecco le prime luci dell’alba. Con la luce del nuovo giorno ci potemmo guardare sui propri visi; era ben leggibile il dolore che ci tormentava; pallidi, inzuppati da capo a piedi sembravamo i condannati alla sicura morte.

    In tutto quel travagliato cammino in quel mare aperto e tempestoso, non di un attimo lasciammo il cane che avevamo cresciuto a bordo e che al momento dell’affondamento della nave esso si buttò in mare e raggiunse come noi la zattera. Il cane era per noi un’ottima compagnia; ma più che da compagnia, noi l’avevamo conservato e portato con noi con tanti riguardi perché esso ci serviva come pasto se i soccorsi non arrivavano per tempo. Avevamo deciso di ammazzarlo e mangiarlo quando la fame ci aveva decimati.
    Eravamo giunti al mattino del giorno 30 giugno, verso le ore 6.30 – 7, quando potemmo renderci conto del mare fortemente mosso. Si vedevano a grande distanza grandi cavalloni e col loro infrangersi l’uno contro l’altro producevano una forte schiuma. Sembravano in lontananza come dei piccoli monti, che poi scomparivano lasciando di essi grandi vallate.
    Appunto su questi grandi cavalloni di tanto in tanto vedevamo qualche zattera dei nostri compagni. Verso le 8 vedemmo all’orizzonte due aerei da ricognizione; a quella vista fu un solo grido di gioia come se una mano divina ci mandasse essi per farci vedere indi riferire e poi venirci a salvare. Si accostarono a noi a bassissima quota come per darci coraggio a noi poveri naufraghi in balia delle onde. Girarono intorno alle varie zattere per circa un’ora; poi uno di essi si allontanò verso l’orizzonte e si perdette nella foschia. L’altro girò ancora per un’ora circa, ora accostandosi ora allontanandosi in cerca di altra gente per poi individuarne il punto a chi doveva venire in soccorso. Anch’esso si allontanò, indi rimanemmo di nuovo soli fra tanto dolore e sgomento. Le speranza di un salvataggio andavano man mano perdendosi, la disperazione e l’esaurimento fisico aumentavano di ora in ora. Erano verso le 10 il mare aumentava sempre, e sempre più le zattere dei compagni si perdevano in quel mare tempestoso. I gridi ed i lamenti dei miei compagni feriti aumentavano sempre più, ed era quello un vero strazio per noi sani che non potevano darvi aiuto. Fra di essi vi erano alcuni con le gambe spezzate, altri avevano delle grandi ferite per la testa ed altre parti del corpo, uno di essi aveva la schiena quasi rotta; col muoversi della zattera e l’infuriare dei cavalloni essi più ne sentivano il dolore, ed in quello atroce dolore invocavano a Dio e a tutti i Santi, invocavano aiuto dalla loro madre; ma eravamo tanto lontani da chi poteva darci conforto ed aiutarci.
    Ormai le forze venivano meno a tutti e con la zattera andavamo ove le onde ci portavano. Eravamo privi di viveri, acqua e medicinali, ed appunto questo i feriti chiedevano! Acqua, acqua! Vogliamo bere! Era molto più doloroso per noi veder soffrire, quei disgraziati senza poterli aiutare. Ad uno ad uno si abbandonavano nella zattera la loro fine era imminente. Il freddo e l’umidità avevano padroneggiato nel nostro fisico, si tremava a denti battenti e con essi la persona tutta. Nonostante che ci trovavamo in quelle pietose condizioni, il nostro primo pensiero era quello di non lasciar annegare il cane che portavamo con noi sulla nave, e che si era salvato come noi. Esso per noi era tutto, e già avevamo pensato di mangiarlo crudo se l’appetito anzi la fame ci avrebbe sgomentati. Avevamo deciso di ammazzarlo il giorno dopo e precisamente il giorno 1 Luglio se non arrivava nessun soccorso. Ecco perché il cane non veniva mai abbandonato, le nostre speranze erano poste esclusivamente su di esso. Eravamo così in balia delle onde, buttando lo sguardo e a destra e a manca, in cerca di qualche nave che venisse in nostro aiuto, ma le nostre speranze cadevano nel nulla. Verso le 11 circa il caso volle che le onde ci portarono in vicinanza di un’altra zattera; ove prendevano posto un capitano di commissariato; un Tenente di Vascello osservatore chiamato Pepe; e fra loro conobbi ancora: il sott. mot. Pesotta; il2° capo R.T. Del Giudice; il capo mecc. di III Angelini, il borghese militarizzato, operaio della Ditta Calzoni di Bologna, Pattaccini, e con essi ve ne erano ancora degli altri che tutti uniti potevano essere 13 – 14.
    Ci dissero di avvicinarci ad essi per tenerci compagnia e noi in buona fede credemmo al loro detto.
    Nella nostra zattera eravamo 32, già un numero superiore di quanto poteva portare la stessa zattera, oltre poi il cane, ho già detto eravamo privi di ogni conforto, quando poi essi avevano tutto come mangiare, acqua e medicinali; in un primo tempo fummo contenti sia perché eravamo in compagnia, sia perché si poteva da essi avere qualcosa da mangiare e bere. Dunque ci avvicinammo; e con una corda ci legarono alla loro zattera.
    Poco passò e vedemmo venire tre dei loro marinai verso la nostra zattera; gli domandammo cosa volevano e loro risposero che non li volevano tenere nella zattera; protestammo in un primo tempo, ma essi erano ormai già sulla nostra zattera, e così noi da 32 uomini salimmo a 35; ed essi rimasero una diecina. I nostri feriti che si lamentavano continuamente, da circa 32 – 33 ore non avevano avuto nessun conforto; essi invocavano acqua, alla zattera che si aveva vicina, ma da essi gli fu rifiutata trovando la puerile trovata che era poca e se ne parlava il giorno dopo; ebbero un coraggio da disonesti ed inumani uomini, vedendo soffrire quella gente e non muoversi a compassione.
    Lo scopo di essi di avvicinarsi a noi fu quello di darci ancora tre uomini; difatti fu così che non appena creduto opportuno tagliarono la corda che ci teneva legati alla loro zattera e si allontanarono per nulla ascoltando i lamenti e gli aiuti disperati che i feriti a loro rivolgevano; dopo poco furono molto distanti da noi e più non li vedemmo. Le ore passavano sempre più tormentose e le forze venivano meno a tutti.
    Vi era il cann. Di Domenico che incominciava a dare segni di pazzia, ed era quello un altro caso che più ci tormentava. Esso in quelle ore tristi vedeva la sua mamma e con essa parlava; chiedeva di voler andare a passeggiare in città e lì mangiare tanto, ecc. ecc.. Dovetti molto lottare per tenerlo in zattera e compatire i suoi ragionamenti sconquassati.
    Eravamo giunti dopo il mezzogiorno, e niente veniva in nostro aiuto. Il mare non dava segno di calmarsi, ma bensì aumentava sempre più e con esso aumentava il vento, causa del mare in burrasca. Il patire ci aveva stremati a tutti, le forze ci mancavano, il freddo ed il tremolio era di continuo; si invocava l’aiuto Divino con vera e pura fede; si gridava in alta voce con il pianto alla gola l’aiuto della propria mamma; ma nessuno ci confortava.
    Tutti piangevamo per la triste sorte e per la morte che lenta si avvicinava, e di già la vedevamo tanto prossima, che tutte le speranze di una salvezza sparirono, facendo di noi degli eroi condannati alla dannata morte. Già alcuni erano privi di ragione e la loro agonia era imminente; senonché verso le ore 15.30 circa vedemmo lontano all’orizzonte un denso fumo nero; fu un solo grido che uscì dalla bocca di tutti: – Siamo Salvi! Fu un solo grido di gioia, fu un solo pianto di essere salvi e non si credeva all’ormai realtà.
    Lo sguardo di tutti si volse là dove il pennacchio del fumo indicava una sagoma di nave ancora irriconoscibile per la troppa lontananza; tutte le teste, anche quelle dei già agonizzanti a stento guardavano là ove la nave navigava; ma essa da noi era tanto, ma tanto distante. A tratti la nave la vedevamo, poi la zattera si sprofondava in un gran vuoto lasciato da un’onda; poi risalivamo portati su da una seconda onda e di nuovo vedevamo la nave, il mare ci allontanava sempre più da essa e noi come tanti pazzi credevamo di non esser visti indi lasciati alla sicura morte.
    Furono quelle le ore più tristi, le ore che a perdifiato si implorava Aiuto! Aiuto! Ma noi senza ragione non ci rendevamo conto che il nostro gridare si perdeva nell’infinito mare trasportato dal vento propizio.
    Furono quelle le ore cui i nostri cuori ribatterono con più veemenza, furono quelle le ore che le forze come per voler di Dio ritornarono a riavvolgerci, ed infine furono quelle le ore che tutti credemmo nella protezione di Dio e di tutti i Santi.
    Prendemmo un’asta tirata fuori dalla zattera e su di essa vi legammo un paio di mutande e l’alzammo in alto come per fare vedere che lì c’eravamo noi. In quello stesso momento riapparvero di nuovo gli stessi due aerei che la mattina ci avevano visti, essi ci sorvolarono più volte, come per dirci: – Siete salvi! Frattanto la nave in lontananza si fermò; fu quello un indizio che essa aveva incominciato il salvataggio dei nostri compagni.
    Eravamo verso le ore 17 – 18, quando uno degli aerei passando su di noi lasciò cadere una scia fumogena nera dall’alto, perpendicolare alla nostra zattera, fu quello il segnale che dava alla nave che ivi c’era un’altra zattera. Solo da allora fummo sicuri che la nave ci aveva visti e presto sarebbe venuta in nostro aiuto. In quella ansiosa e tormentosa attesa i momenti ci sembravano secoli, il tempo era eternità. Vogando con le mani, ci illudevamo di poter raggiungere la nave, ma i nostri sforzi erano tutti inutili, il mare ci allontanava sempre più. Vedemmo la nave muovere e venire verso di noi; fu solo allora che ci dicemmo siamo salvi; fu solo allora che conoscemmo la nave nostra salvatrice in quella della nave ospedaliera “Arno”.
    Erano le 19 – 20 circa quando eravamo sotto le murate della nave; il sole stava per tramontare. Presto fu iniziato il salvataggio; per primi furono issati a bordo i feriti gravi, poi i feriti più leggeri e per ultimo i sani.

    Appena fui a bordo non ebbi la forza di reggermi sulle proprie gambe, anche avendo la volontà di tenermi dritto. Due infermieri mi presero sotto braccio e mi portarono in una cabina ove vi erano quattro lettini. Con un candido lenzuolo mi asciugarono dopo avermi tolto di dosso gli indumenti ed il salvagente che ancora avevo alla vita col mio numero di bordo e precisamente G. 430.
    Mi asciugarono per bene e mi adagiarono su d’un lettino ove fui coperto con una coperta di pura lana.
    Avemmo ogni sorta di conforto, e solo il giorno dopo potetti rendermi conto di quanto era accaduto e dove mi trovavo. Navigammo nello stesso mare allo stesso posto del sinistro, per cercare ancora superstiti e precisamente la zattera che aveva a noi negato un po’ di acqua un po’ di conforto e che poi ci aveva tagliato la corda; essi non tornarono fra i vivi; fu giustizia di Dio!
    Girammo con la nave sul posto ove ci presero a noi per ben 48 ore, ma ogni ricerca fu vana, solo dopo 48 ore riprendemmo la rotta per l’Italia e precisamente per Napoli ove arrivammo la mattina del 4 luglio 1942 (papà ha scritto 4 giugno 1948) alle ore 8. Verso le 12 incominciò lo sbarco dei feriti, dopo la visita della Principessa di Napoli.
    Alle 14 circa con alcuni miei compagni con un’autoambulanza fummo portati all’ospedale del R.E, di Nocera inferiore, per rimettermi dalla ferita lacero contusa che avevo alla fronte. Dopo le cure lascia l’ospedale il giorno 9 luglio (papà ha scritto 9 giugno) per andare alla caserma – deposito R. M. Gesù e Maria di Napoli da dove il giorno 12 sera partii per la casa con una licenza di convalescenza di giorni 40.

    I nomi dei compagni più cari che morirono

    2° capo carp.            Manzotto Emilio
    2° capo mecc. Zago Duilio
    Serg. Mot.     Fattori Aldo
    Serg. Elet.     Marra Luigi
    Serg. Cann.    Nardi Silvio
    Serg. Segn.   Preseglio
    Serg. cann.     Militello
    Sott. cann.    Piccirillo Alessandro
    Sott. cann.    Santoro Gennaro
    Sott. cann.    Galao Michele
    Sott. cann.    Gambardella Silvio
    Sott. R.T.       Fadda Oreste
    Cann.             Pellegrini
    Marò              Molinaro
    Marò              Esposito

    A questi miei compagni e a tutti gli altri che per la grandezza della Patria offrirono in mare la loro vita. Iddio gli dia pace eterna.
    26
    mo. dei naufraghi
    2° capo cann. art. Caccavale Francesco
    Casagiove 3 agosto 1942  XX

    NOTE
    (1) https://www.facebook.com/maria.caccavale.14
    (2) https://www.lavocedelmarinaio.com/2021/03/francesco-caccavale-taranto-14-4-1915-caserta-17-3-1963/
    Dello stesso argomento sul blog
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2020/06/29-6-1942-affonda-regia-nave-diana/

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  S.O.S. richiesta notizie e foto

    Francesco De Rizzo, l’isola di Lero e la Banca della Memoria

    Marinai di Spirito Santo

    (Schio, 15.10.1921 – Mar Mediterraneo, 5.10.1943) 

    Abbiamo ricevuto la seguente richiesta

    “Buongiorno, ho ritrovato delle vecchie lettere di mio zio marinaio caduto in battaglia; era imbarcato sul cacciatorpediniere Euro e quando fu attaccato da aerei tedeschi il primo ottobre 1943 a Lero, mio zio fu tra le vittime del bombardamento. Mio zio si chiamava Francesco De Rizzo, classe 1921, di Schio (Vi). Da una lettera in particolare, leggo di un tale sergente furiere Giovanni Ralla (*) e capisco che c’era una sentita amicizia tra i due. Sarei semplicemente curioso di sapere se questo Sergente (sopravvissuto a Lero, deportato in Germania, successivamente rientrato in Patria), è ancora in vita per chiedere notizie e foto su mio zio; qualora non lo fosse, potrei rivolgermi a degli eventuali famigliari. Vi chiedo gentilmente se voi potete aiutarmi o casomai a chi potrei rivolgermi.”
    Alberto

    Egregio sig. Alberto,
    purtroppo il tempo non gioca a nostro favore. Non sappiamo se il Sergente che Lei ha citato sia ancora in vita o se è già salpato per l’ultima destinazione; in separata sede le daremo dei consigli per la ricerca e comunque, qualora qualche familiare o conoscente ci contatti glielo faremo sapere. Dal Suo racconto e da quanto a nostra conoscenza, possiamo dare in ogni caso delle indicazioni e dei consigli.
    Come già pubblicato nel presente Blog il tutto incominciò ………..“Alle 9.05 del 26 settembre 1943 iniziò il primo attacco aereo tedesco sull’isola di Lero. Furono distrutte caserme, affondato il cacciatorpediniere greco “Principessa Olga“, dove era in visita una scolaresca locale, affondato il MAS 534, colpito un cacciatorpediniere inglese. Purtroppo senza la stazione di avvistamento verso Ovest dell’isola di Sira le batterie italiane furono colte di sorpresa e purtroppo, per i forti riverberi nella baia di Portolago, anche i radar britannici non riuscirono ad avvistare gli aerei. Il primo attacco era pienamente riuscito, non tanto per i danni materiali inflitti, quanto per le vittime di innocenti sul cacciatorpediniere greco ed i danni al cacciatorpediniere britannico.
    Nel pomeriggio furono danneggiati, ed in seguito affondarono, anche il piroscafo Prode ed il Taranrog (requisito ai Tedeschi a Rodi). Il nostro cacciatorpediniere Euro ed altri mezzi minori si salvarono diradandosi.
    Dal mattino del 26 settembre, sino a tutto il 31 ottobre 1943, l’isola subì una accanita e continua offensiva aerea.”
    1) IL CACCIATORPEDINIERE EURO E L’ISOLA DI LERO
    La sorte dell’Euro era stata solo rimandata poiché successivamente la nave fu gravemente danneggiata il 1º ottobre 1943, da alcune bombe cadute vicino allo scafo durante un attacco aereo tedesco, mentre era alla fonda nella rada di Parteni di Lero. Nuovamente colpita fu affondata nel bombardamento del successivo giorno 3. Tale ricostruzione spiega perché su alcuni testi sono riportate entrambe le date.
    Il Comandante Meneghini ed i superstiti dell’equipaggio combatterono sull’isola e furono tra gli ultimi ad arrendersi il 17/11/1943. Il comandante Meneghini venne fucilato e alla sua Memoria gli fu conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Il resto dell’equipaggio fatto prigioniero fu rinchiuso inizialmente nel piccolo aeroporto di Zerocampo e successivamente con navi ad Atene e poi con carri ferroviari fu deportato in diversi lager tedeschi o in Polonia, come quelli di Schokken in Polonia o di Vilniansk in Ucraina.
    Sul Cacciatorpediniere Euro durante la guerra ci furono in totale 29 caduti. Se togliamo quelli deceduti prima del 26 settembre 1943 ne restano 21 dei quali 15 caddero a Lero, 1 a Rodi, 4 morino in prigionia e 1 morì al suo rientro in Italia.
    Le sia da conforto sapere che per coloro che sono deceduti a Lero la funzione religiosa fu celebrata da Padre Igino Lega, “l’uomo degli altri”, un cappellano militare gesuita che fu anche deportato in diversi lager tedeschi, perché voleva seguire la sorte dei ‘suoi’ Marinai. Ne tornò con l’ultimo dei convogli, provato nel fisico e duramente ferito nell’animo. Gli venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare per il suo operato spirituale. E’ in corso il processo di beatificazione.
    A Lero i marinai italiani dimostrarono al mondo intero che l’Italia non era morta ed essi, anzi, tenendo fede al giuramento, riaffermarono con forza la piena esistenza della propria Patria, gettando così le basi della sua rinascita.

    Padre Igino Lega celebra la messa sull’isola di Lero

    2) LA SEPOLTURA
    Per quanto riguarda Francesco De Rizzo nell’Albo d’Oro della Marina Militare ed in quello di ONORCADUTI è riportata come data di morte quella del 5 ottobre 1943.
    https://www.difesa.it/Il_Ministro/CadutiInGuerra/Pagine/default.aspx

    Sul sito dello stesso ONORCADUTI in cui sono riportate invece le sepolture la data di morte è quella del 1 ottobre 1943:
    https://www.difesa.it/MINISTRO/COMMISSARIATO_GENERALE_PER_LE_ONORANZE_AI_CADUTI_IN_GUERRA/Pagine/Ricerca_sepolture.aspx

    Mistero dell’informatica o mancato incrocio dei dati? In realtà una spiegazione può essere data, fermo restando il mancato incrocio dei dati, possiamo condividere che suo zio è morto l’1 ottobre e sepolto a Lero cosa che è stata registrata da ONORCADUTI solo dopo il rientro dei resti da Lero leggendo il verbale R.O. 738. In particolare, i caduti di Grecia ed Albania della 2 guerra mondiale sono stati tumulati nel Sacrario Militare d’Oltremare di Bari a meno di quelli i cui parenti hanno chiesto di seppellirli vicino alla propria famiglia. Per avere conferma basta richiedere ad ONORCADUTI se possono dare copia del già citato verbale R.O. oppure avere un estratto delle notizie relative a suo zio in esso contenute.
    Veniamo ora al Sacrario di Schio. Confermo che nell’elenco del Sacrario è riportato il nominativo “De Rizzo Francesco”. Il nominativo è riportato in colore blu e in fondo all’elenco è scritto che in blu sono indicati i civili e militari morti a Schio causa incursioni aeree (sepolti all’interno della Chiesetta). Questo chiaramente non torna. Cosa fare? Semplice, telefonare al sacrario e fare presente/correggere l’anomalia chiedendo, eventualmente, una diversa collocazione della salma. Può contattare il Sacrario al tel. 0424.463088 oppure inviare una e-mail al seguente link: asiago@onorcaduti.difesa.it. Qualora, invece, volesse andare di persona il Sacrario è aperto i giorni feriali, escluso il lunedì, dalle ore 09.00 alle ore 12.00 e dalle ore 14.00 alle ore 16.30, e nei giorni festivi dalle ore 09.00 alle ore 13.00.

    3) COME CERCARE ULTERIORI NOTIZIE
    Innanzitutto deve sapere che l’Associazione Marinai di Foligno è intitolata in ricordo della Medaglia d’Oro Vittorio Meneghini loro concittadino allora comandante del Cacciatorpediniere nave Euro. Non posso escludere che possano darle una mano nella ricerca (0742 344717). Infine può rivolgersi ai seguenti Enti:

    a) per richiedere una eventuale copia del Verbale R.O.738
    Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra
    Inviando una email al seguente indirizzo: onorcaduti@onorcaduti.difesa.it  
    oppure tramite posta ordinaria al seguente indirizzo:
    Ministero della Difesa
    Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra
    Direzione Storico Statistica
    Via XX Settembre, 123/a – 00187 ROMA
    Può anche rivolgersi ai seguenti numeri telefonici: +390647355135 +390647354990.

    b) per lo stato di servizio
    Ministero della Difesa
    Direzione Generale per il Personale Militare V Reparto
    viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma;

    c) per il foglio matricolare
    Centro Documentale (ex Distretti Militari) e/o all’Archivio di Stato competente per territorio, in base alla provincia di nascita del Caduto;

    d) per la documentazione anagrafica (atto di nascita, atto di morte, ecc..):
    al Comune di nascita del Caduto;

    e) per le notizie/documenti relative alla definizione dello “staus giuridico matricolare” di Caduto/Disperso in guerra e relativo inserimento nell’Albo d’Oro:
    Ministero della Difesa
    Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati – III Reparto – 10^ Divisione Albo d’Oro
    viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma;

    f) per le vicende storiche del reparto/unità di appartenenza del Caduto:
    agli Uffici Storici dell’Esercito, della Marina Militare, dell’Aeronautica Militare e dell’Arma dei Carabinieri, i cui recapiti potranno essere reperiti sui rispettivi siti internet (normalmente non fanno ricerche per conto terzi per cui occorre andare di persona. Deve prima contatttarli);

    g) per le onorificenze e le decorazioni relative al Caduto:
    Ministero della Difesa
    Direzione Generale per il Personale Militare
    V Reparto – 10^ Divisione Ricompense ed Onorificenze
    viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma.

    h) Sacrario di Schio
    Può contattare il Sacrario al tel. 0424.463088 oppure inviare una e-mail al seguente link: asiago@onorcaduti.difesa.it

    4) RIFERIMENTI
    Maggiori notizie sul Cacciatorpediniere Euro e sull’isola di Lero può trovarle ai seguenti link e sui seguenti documenti:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2017/10/il-valoroso-regio-cacciatorpediniere-euro-2/
    https://it.wikipedia.org/wiki/Euro_(cacciatorpediniere_1927)
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2018/03/23-3-1951-in-ricordo-di-padre-igino-lega/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2017/09/giacomo-corti-deceduto-nel-2003-e-lero-lisola-degli-eroi/
    http://www.leros.org/lerostouristhttp/wwiileros_video_books.htm
    https://www.youtube.com/watch?v=QZSDtGVjxXw
    https://www.limoney.it/projects/7-la-storia-di-leros-l-isola-dimenticata-andrea-villa

    • “Lero” di Virgilio Spigai – Editore: Società Editrice Tirrena Livorno Ed. 1949
    • “Una sigaretta sotto il temporale (storia di una fuga dall’isola di Leros)” di Angelo Martinelli – Editore: Marino Solfanelli Editore Chieti Ed. 1988
    • “Lero Eroica (dagli scritti di Padre Igino lega S.J.)” a cura del Centro Veritas et Amor – Editore: Editrice Italica Pescara Ed. 1974
    • “Avvenimenti in Egeo dopo l’Armistizio Vol. XVI” – Editore: Ufficio Storico della Marina Militare Ed. 1972
    • “La Marina Militare nella seconda Guerra Mondiale. Tomo II – Navi Mercantili” Ufficio Storico della Marina Militare ed. 1952
    • “The Aegean Mission” di Jeffrey Holland – Editore: Greewood Press Ed. 1988
    • “Diario dall’Egeo” di Giuseppe Corrado Teatini – Editore: Mursia Ed. 1990
    • “P. Jgino Lega” di A. Scurani S.J. – Editore: Selecta Ed. 1958
    • “De Vecchi, Bastico, Campioni (ultimi Governatori dell’Egeo)” di Ruggero Fanizza – Stabilimento Tipografico Valbonesi Forlì Ed. 1947
    • “Il Poema di Lero” di Umberto Galeota – Editore: ALA Napoli Ed. 1952.
    •  “Guerra in Egeo (1940-1945) – Un marinaio racconta…” di Domenico Pischedda della Casa editrice Antonio Lalli Editore.

    (*) Non abbiamo trovato notizie sul sergente furiere Giovanni Ralla.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    18.6.1941, impostazione della regia nave Ardimentoso

    di Carlo Di Nitto (1)

    … a mio Padre Vincenzo (2), Capitano Superiore di Lungo Corso, guida e maestro di vita, amico sincero, Marinaio insuperabile (8 gennaio 1921 – 19 novembre 1995).

     

    La storia
    L’Ardimentoso, torpediniera di scorta Classe “Ciclone” (n° 16 unità: Ciclone, Ardito, Tifone, Animoso, Fortunale, Groppo, Uragano, Ardente, Monsone, Ardimentoso, Aliseo, Impavido, Impetuoso, Ghibli, Indomito, Intrepido) venne costruita nei cantieri Ansaldo di Sestri.
    Impostata il 18.6.1941, venne varata il 27.6.1942 per essere consegnata alla Regia Marina il 17.12.1942.
    La costruzione di questa classe di torpediniere di scorta fu imposta dall’immediata necessità di potenziare la protezione del traffico con l’Africa settentrionale, compito che altre torpediniere potevano svolgere solo in modo condizionato e con crescente difficoltà.
    Le unità della Classe “Ciclone” rappresentarono un sensibile miglioramento ed ammodernamento di quelle della classe “Pegaso“, dalle quali derivavano. L’armamento previsto dal progetto, elaborato dal Comitato Progetto Navi, potenziò notevolmente il numero ed il calibro delle mitragliere ed ammodernò quello antisommergibile con l’adozione di più efficienti lanciabombe. Alcune unità (tra le quali l’Ardimentoso) ebbero elevato il loro armamento contraereo a ben 12 canne da 20 mm, diventando così dei veri nidi di mitragliere che permettevano una difesa antiaerea ravvicinata decisamente efficiente. L’installazione di moderne apparecchiature di localizzazione subacquea conferirono a queste torpediniere ottime qualità per la caccia ai sommergibili. L’Ardimentoso, con alcune altre unità, fu dotata inoltre di radar che aumentò sensibilmente la sua complessiva efficienza bellica.

    Caratteristiche
    Lunghezza: 87,75 mt.;
    Larghezza: 87,75 mt.;
    Immersione: 9,90 mt;
    Immersione: 3,77 mt (media);
    Dislocamento: 925 tonn. (scarica) e 1652 tonn. (a carico normale);
    Apparato generatore:
    – 2 caldaie Tipo Yarrow con surriscaldatori ed una scorta di combustibile (a carico normale) di 442 tonn. di nafta;
    Apparato Motore:
    – 2 Turbine Tosi – Parsons per complessivi 16.000 HP di potenza e n° 2 eliche
    Velocità: 26 nodi;
    Autonomia:
    – 2800 miglia a 14 nodi; 2140 miglia a 20 nodi; 1400 miglia a 25 nodi;
    Armamento (di progetto):
    – n° 3 cannoni da 100/47 aa. Singoli;
    – n° 6 mitragliere da 20/70 aa. Binate;
    – n° 2 mitragliere da 20/70 aa. Singole;
    – n° 4 Lancia siluri da 450 in complessi binati;
    – n° 4 lanciabombe a.s. di costruzione tedesca;
    Armamento (definitivo):
    – n° 2 cannoni da 100/47 aa. Singoli;
    – n° 1 impianto quadrinato “Bofors” di mitragliere da 20/70 aa.;
    – n° 3 impianti binati di mitragliere da 20/65 aa.;
    – n° 2 impianti singoli di mitragliere da 20/65 aa;.
    – n° 4 Lancia siluri da 450 in complessi binati;
    – n° 4 lanciabombe a.s. di costruzione tedesca;
    – n° 2 tramogge scarica bombe di profondità
    – Radar di scoperta di tipo Tedesco “Dete”;
    Equipaggio: 177 uomini (dei quali n° 7 ufficiali).

    Attività
    All’entrata in servizio, venne assegnata alla 3a. squadriglia torpediniere di scorta e fu inviata a La Spezia per compiere l’addestramento ed ultimare l’installazione di parte delle apparecchiature di tiro e lancio.
    Nell’aprile 1943 iniziò la propria attività bellica con servizi di scorta e rifornimenti di combustibile per la Tunisia e, dopo la caduta di essa in mano anglo – americana, fu adibita alla protezione del traffico nel Medio e Basso Tirreno. Alla proclamazione dell’armistizio l’Ardimentoso aveva compiuto 43 missioni di guerra in zone fortemente contrastate specialmente dall’aviazione avversaria; durante tali missioni abbatté, in due riprese, tre aerei britannici (23 aprile e 12 luglio) e il 24 aprile condusse una decisa azione antisommergibile che sortì certamente il danneggiamento, per quanto non precisato, di una unità subacquea avversaria.
    Alla data dell’armistizio l’Ardimentoso, al comando del Capitano di Corvetta Domenico Ravera, si trovava a La Spezia per iniziare importanti lavori di manutenzione. Per quanto menomata nell’efficienza riuscì ad allontanarsi ed a raggiungere Malta. Durante la co-belligeranza con gli Alleati, effettuò otto missioni speciali lungo le coste albanesi e greche. Durante una di queste missioni (notte del 29 gennaio 1944) recuperò al completo l’equipaggio del sommergibile Axum incagliatosi e poi autodistruttosi nel golfo di Arcadia.
    Il 12 giugno 1944, alle ore 14.20, lasciò Brindisi con la motozattera Mz. 784 a rimorchio. Il punto designato per la missione speciale era a poche miglia da porto Palermo; le due unità vi giunsero poco dopo la mezzanotte e la motozattera alle ore 01.40 era di ritorno sotto il bordo della torpediniera che l’attendeva. Aveva sbarcato soltanto un quarto del materiale non avendo ritenuto prudente trattenersi a lungo per l’avvistamento da terra, avvenuto al tramonto, di quattro motosiluranti tedesche, presumibilmente in crociera di vigilanza; aveva però ricuperato 56 italiani, 63 inglesi di cui 6 ufficiali, 2 americani del Servizio Informazioni ed un albanese. L’Ardimentoso rientrò a Taranto con la motozattera alle 17.35 del 13 giugno.
    Sempre durante la co-belligeranza, disimpegnò inoltre servizio di scorta fra porti nazionali, portando a termine 47 missioni di scorta alle quali debbono aggiungersi due collegamenti speciali con il Grande Lago Amaro per necessità relative alle nostre corazzate colà dislocate.
    Anche dopo la cessazione delle ostilità la torpediniera fu molto attiva per servizi di trasporto materiali e personale fra il Sud ed il Nord; fu inoltre impiegata in missioni di repressione del contrabbando e per esercitazioni addestrative fino alla fine del 1946.
    L’Ardimentoso rimase quindi inattiva a Venezia; nel 1948 fu rimorchiata a Napoli per essere messa in condizioni di venire ceduta all’URSS in conto riparazioni.
    Con la sigla Z 19, la consegna alla Marina sovietica avvenne il 28 febbraio 1949 nel porto di Odessa.

    Motto: Audendun est (bisogna osare)

    Note
    (1) Presidente del gruppo di Gaeta dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia
    http://digilander.libero.it/carandin/index.htm

    Dallo stesso autore sul sito
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/01/alfonso-di-nitto/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/01/conchiglia-carlo-di-nitto/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/02/arturo-martini-e-la-beffa-di-buccari/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2011/02/stella-maris-2/

    Contatti
    http://www.anmigaeta.com
    carandin@iol.it
    carlo.dinitto@libero.it

    (2) Il Guardiamarina Vincenzo Di Nitto fu decorato di Croce di Guerra al Valor Militare “sul campo” con la seguente motivazione:
    Imbarcato su  torpediniera partecipava a numerose, ardite missioni notturne presso costa nemica dando prova di coraggio, abnegazione ed elevato sentimento del dovere
    (Coste Greco Albanese Iugoslave, 21.1.44 – 21.6.44)

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    Remigio Ferrarotti (Aulla, 1.10.1908 – Mare, 9.1.1943)

    a cura Marina Ferrarotti

    (Aulla, 1.10.1908 – Mare, 9.1.1943)


    Regia nave Corsaro
    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Breve storia (desunte da conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com)
    Il regio cacciatorpediniere Corsaro (seconda serie della classe Soldati 1850 tonnellate di dislocamento standard, 2153 in carico normale, 2475 a pieno carico), fu impiegato principalmente in compiti di scorta a convogli da e per l’Africa Settentrionale.
    Fu impostato il 23 gennaio 1941 nei cantieri Odero Terni Orlando di Livorno, varato il 16 novembre dello stesso anno ed entrò in servizio il 16 maggio 1942.
    Il 9 gennaio 1943 l’unità, al comando del capitano di fregata Ferruccio Ferrini, salpò da Napoli unitamente al cacciatorpediniere Maestrale (capitano di vascello Nicola Bedeschi, capocorda), la moderna motonave da carico Ines Corrado, carica di rifornimenti per approdare a Biserta.

    Fu affondata da mine posate dalla nave inglese Abdiel a nord del Golfo di Tunisi ed a nordest di Biserta.
    I sopravvissuti del regio cacciatorpediniere Corsaro furono in tutto 48. Persero la vita 187 uomini che risultarono morti o dispersi in mare.

    Sebastiano Abela, sottocapo radiotelegrafista, disperso
    Manlio Aime, capo radiotelegrafista di prima classe, disperso
    Aristodemo Ala, marinaio cannoniere, disperso
    Innocenzo Amoroso Alborè, marinaio S. D. T., disperso
    Angelo Allatta, sottocapo cannoniere, disperso
    Ernesto Antonioli, marinaio fuochista, disperso
    Virgilio Atzori, marinaio fuochista, disperso
    Francesco Aversa, marinaio fuochista, disperso
    Renato Baffigi, capo S. D. T. di terza classe, disperso
    Ottavio Badi, marinaio fuochista, disperso
    Enrico Ballinari, marinaio fuochista, deceduto
    Francesco Barbi, marinaio, deceduto
    Paolo Basile, marinaio cannoniere, disperso
    Andrea Basti, sottocapo nocchiere, disperso
    Angelo Battaini, marinaio fuochista, deceduto
    Davide Becco, secondo capo cannoniere, disperso
    Valdo Bazzicchi, sottocapo S. D. T., disperso
    Giovanni Bellussi (Belusic), marinaio, disperso
    Gualtiero Benocci, marinaio motorista, disperso
    Pietro Berruti, guardiamarina, disperso
    Udino Bertoncello, marinaio silurista, disperso
    Gastone Bigazzi, sottocapo silurista, disperso
    Giovanni Boffito, sottotenente di vascello, disperso
    Francesco Bonomi, marinaio cannoniere, disperso
    Egidio Borelli, sottocapo cannoniere, disperso
    Nedo Brandi, sottocapo cannoniere, deceduto
    Giuseppe Brunetti, marinaio, disperso
    Marino Brusati, marinaio cannoniere, deceduto
    Ermanno Brunone, marinaio cannoniere, disperso
    Gaetano Bucceri, sottocapo cannoniere, disperso
    Luigi Bullo, marinaio, disperso
    Luigi Buondonno, marinaio, deceduto
    Giuseppe Calise, marinaio, disperso
    Attilio Campagnola, secondo capo furiere, disperso
    Romolo Campana, marinaio fuochista, deceduto
    Vincenzo Campanale, secondo capo meccanico, deceduto
    Vincenzo Cane, marinaio cannoniere, disperso
    Leopoldo Cantamessa, sottocapo cannoniere, disperso
    Pasquale Caon, sergente segnalatore, deceduto
    Pietro Capelli, sergente silurista, disperso
    Sveno Caretti, marinaio cannoniere, disperso
    Giorgio Casartelli, sottotenente di vascello, disperso
    Antonio Castellano, capo meccanico di prima classe, disperso
    Pio Cerini, marinaio silurista, disperso
    Emilio Cesani, marinaio cannoniere, deceduto
    Giuseppe Chessa, marinaio meccanico, disperso
    Alfonso Chiappella, secondo capo cannoniere, disperso
    Winter Chielli, sottocapo cannoniere, disperso
    Domenico Chieracchia, marinaio, disperso
    Gaetano Ciampa, marinaio meccanico, disperso
    Armando Ciminari, marinaio, disperso
    Raoul Cinti, marinaio fuochista, disperso
    Antonio Ciriaci, marinaio fuochista, disperso
    Giovanni Ciricugno, sottocapo cannoniere, disperso
    Marcello Collini, marinaio, disperso
    Andrea Cominelli, marinaio fuochista, disperso
    Agostino Conte, marinaio cannoniere, disperso
    Luigi Covelli, marinaio, disperso
    Antonio Creti, marinaio silurista, disperso
    Emiliano Cuman, marinaio, disperso
    Giuseppe Curreri, marinaio, disperso
    Luigi D’Amato, sergente cannoniere, disperso
    Rosvaldo D’Orazio, sottocapo meccanico, disperso
    Angliolino Dagnino, marinaio fuochista, disperso
    Leo Damiani, capo segnalatore di terza classe, disperso
    Francesco De Benedectis, sergente cannoniere, disperso
    Luigi De Novelli, sottocapo cannoniere, deceduto
    Giovanni Degani, marinaio cannoniere, disperso
    Pasquale Degno, marinaio, disperso
    Nicola Dentamaro, marinaio cannoniere, disperso
    Raffaele Di Brindisi, marinaio fuochista, disperso
    Vincenzo Di Carluccio, sergente cannoniere, disperso
    Gino Diotallevi, sottocapo nocchiere, disperso
    Carmine Donisi, sottocapo cannoniere, disperso
    Nicola Duca, marinaio, disperso
    Fiorenza Duccini, marinaio torpediniere, disperso
    Michele Fama, marinaio fuochista, disperso
    Giulio Felici, marinaio cannoniere, disperso
    Salvatore Ferrante, marinaio cannoniere, disperso
    Angelo Ferraro, marinaio silurista, disperso
    Remigio Ferrarotti, capo silurista di seconda classe, deceduto
    Carmine Ferro, marinaio elettricista, disperso
    Vincenzo Fioretto, sottocapo cannoniere, disperso
    Armando Fogli, marinaio, disperso
    Angelo Fontana, sottocapo cannoniere, disperso
    Luciano Foti, marinaio fuochista, disperso
    Attilio Galiardi, marinaio motorista, disperso
    Desiderio Gallina, marinaio fuochista, disperso
    Giuseppe Gandolfo, sottotenente medico, disperso
    Giuseppe Gatti, marinaio, disperso
    Giorgio Giogli, marinaio cannoniere, disperso
    Salvatore Giorcelli, sottocapo cannoniere, deceduto
    Alfredo Gortan, marinaio, disperso
    Rosario Graci, marinaio, disperso
    Stefano Greco, sottotenente CREM, disperso
    Giovanbattista Grieco, marinaio, disperso
    Eugenio Grisoni, marinaio, disperso
    Riccardo Guglielmi, sottocapo meccanico, disperso
    Vico Guidotti, sottocapo elettricista, disperso
    Antonino Gullotto, marinaio cannoniere, disperso
    Antonio Landi, sottocapo cannoniere, disperso
    Paolo Giovanni Langella, sottocapo furiere, deceduto
    Mariano Lardara, marinaio fuochista, disperso
    Pietro Laterza, marinaio fuochista, disperso
    Giuseppe Lenares, secondo capo meccanico, disperso
    Andrea Lettieri, marinaio cannoniere, disperso
    Giuseppe Lisi, capo meccanico di seconda classe, disperso
    Aleardo Lo Iacono, sottocapo S. D. T., disperso
    Vincenzo Luongo, marinaio fuochista, disperso
    Giuseppe Lupi, marinaio nocchiere, disperso
    Donato Lussone, marinaio, disperso
    Ennio Maestrelli, marinaio elettricista, disperso
    Antonio Maietta, secondo capo meccanico, disperso
    Giuseppe Manuguerra, marinaio, disperso
    Cesare Mari, marinaio elettricista, disperso
    Alferino Marigliani, marinaio, deceduto
    Battista Mariotti, capo elettricista di terza classe, disperso
    Dagoberto Marrai, marinaio cannoniere, disperso
    Filippo Marrano, marinaio, disperso
    Salvatore Martinelli, sottocapo cannoniere, disperso
    Umberto Martini, marinaio fuochista, disperso
    Dino Matteini, marinaio fuochista, disperso
    Angelo Mauriello, marinaio meccanico, disperso
    Nicola Mele, marinaio S. D. T., disperso
    Francesco Merani, secondo capo meccanico, deceduto
    Oreste Miano, marinaio fuochista, disperso
    Vittorio Micale, marinaio fuochista, disperso
    Luigi Modesto, secondo capo cannoniere, disperso
    Remo Mogliani, marinaio fuochista, disperso
    Antonio Montervino, marinaio cannoniere, disperso
    Giovanni Munzone, marinaio, disperso
    Santo Nania, marinaio, disperso
    Mario Nardi, maggiore del Genio Navale, disperso
    Salvatore Neri, marinaio torpediniere, disperso
    Adriano Olivieri, marinaio cannoniere, disperso
    Guerrino Olivieri, marinaio fuochista, disperso
    Serse Pacifici, marinaio fuochista, deceduto
    Cesare Pallais, sottocapo radiotelegrafista, disperso
    Sebastiano Palmieri, sottocapo radiotelegrafista, disperso
    Lorenzo Pane, marinaio, disperso
    Fausto Pantanali, marinaio, disperso
    Mario Papa, sottocapo silurista, disperso
    Silvio Perusco, marinaio cannoniere, disperso
    Ernesto Petti, capo nocchiere di seconda classe, disperso
    Antonio Pettinau, meccanico, disperso
    Francesco Pisano, sottocapo radiotelegrafista, disperso
    Odoardo Plevani, capo meccanico di terza classe, disperso
    Luigi Pontillo, marinaio cannoniere, disperso
    Alpino Pozzati, marinaio cannoniere, disperso
    Alberino Prata, marinaio S. D. T., disperso
    Marino Ribera, sottocapo elettricista, disperso
    Filippo Ricci, secondo capo cannoniere, disperso
    Michelangelo Ricciardella, marinaio cannoniere, deceduto
    Salvatore Riggi, sottocapo cannoniere, disperso
    Michele Riontino, sergente cannoniere, disperso

    Rinaldo Rossetti, marinaio fuochista, disperso
    Pietro Rossi, marinaio fuochista, disperso
    Filippo Ruggeri, capo meccanico di terza classe, disperso
    Mario Ruggiero, marinaio cannoniere, deceduto
    Salvatore Russo, marinaio cannoniere, disperso
    Giuseppe Santisi, sottocapo cannoniere, disperso
    Armando Scarpa, marinaio, disperso
    Luigi Scarpato, marinaio fuochista, disperso
    Fernando Scatena, marinaio silurista, disperso
    Pasquale Scognamiglio, sottocapo cannoniere, deceduto
    Antonio Rosato Scotto, marinaio, disperso
    Nicola Sorace, marinaio fuochista, disperso
    Vincenzo Spinalbese, marinaio cannoniere, disperso

    Giuseppe Steiner, marinaio fuochista, disperso
    Paolo Summonti, secondo capo furiere, disperso
    Salvatore Taranto, marinaio cannoniere, disperso
    Salvatore Testa, aspirante (Genio Navale), disperso
    Giuseppe Tomaselli, marinaio, disperso
    Nicolò Tornesi, marinaio, disperso
    Giovanni Tronconi, marinaio fuochista, disperso
    Pietro Usai, sottocapo radiotelegrafista, disperso
    Luigi Valentini, marinaio, disperso

    Egidio Antonio Vecere, sottocapo infermiere, disperso
    Vincenzo Vio, marinaio fuochista, disperso

    Bruno Vivian, sottocapo S. D. T., disperso
    Orlando Zagni, marinaio fuochista, disperso
    Pasquale Zumbo, sergente, disperso

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    16.6.1943, affondamento del piroscafo Terni

    di Claudio Confessore

    A CATTANEO ELMI, SECONDO CAPO RADIOTELEGRAFISTA

    Il piroscafo francese “Azrou” della compagnia di navigazione “Paquet”, utilizzato come nave mista passeggeri e merci sulla rotta Marsiglia – Libia – Marocco, nel secondo conflitto mondiale fu sequestrato dai tedeschi, il 14 dicembre 1942, e successivamente consegnato all’Italia.
    Le principali caratteristiche tecniche dell’unità erano le seguenti:
    – Tipo = Piroscafo da carico
    – Cantiere = Atel & Ch. De Bretagne – Nantes (Francia)
    – Anno di costruzione = 1930
    – Stazza = 2998 tsl.
    – Lunghezza = 104,2 metri
    – Larghezza = 13,13 metri
    – Apparato motore = 2 steam turbine DR (HelsingörsJernsk & M.)
    – Carico = Derrate alimentari/materiali e 94 passeggeri
    Con il nuovo nome “Terni” la Regia Marina, lo impiegò sulla rotta Napoli – porti della Sicilia orientale per il trasporto di viveri e materiali che poi dovevano essere inviati sul fronte africano.

    Il 16 giugno 1943 il Terni, scortato dalla Torpediniera Orione, partì da Napoli con destinazione Siracusa per portare rifornimenti in Sicilia. Alle 05.18 si aggregarono alla scorta la Corvetta Persefone e la gemella Driade. Le unità furono posizionate dall’Orione (caposcorta) ai due lati del Terni.
    Alle 06.36 sopraggiunsero i velivoli della scorta aerea. Alle 13.45 il convoglio imboccò lo stretto di Messina. Alle 19.04 l’Orione comunicò alla Persefone di aver rilevato due eco sospette, nel punto 37°19’30” N – 015°14’39” E e nel punto 34°20’ N – 015°15’10” E.
    Quella sera davanti alle acque di Acireale pattugliava il sommergibile britannico “HMS Unison”, comandato dal Lt. A.R. Daniell. Il battello alle 18.22, in posizione 37° 26’N – 015 ° 15’E, avvistò il fumaiolo e il fumo del gruppo di navi sul rilevamento 349°. Inizialmente il sommergibile si immerse rapidamente senza poter calcolare la rotta della formazione navale ma alle 1840 il battello tornò a quota periscopica ed osservò una nave mercantile scortata da “un cacciatorpediniere e due torpediniere una per lato”. Chiarita la situazione tattica, a prescindere dalla errata valutazione del tipo delle unità di scorta, il comandante Daniell decise di attaccare.

    Alle 19.05, in posizione 37° 29’N – 015° 13’E, il sommergibile lanciò 4 siluri ad una distanza di circa 915 metri. Il primo andò a segno seguito da una forte esplosione e probabilmente andò a segno poco dopo anche un secondo siluro. Alle 19.09 sul Terni, colpito sul lato sinistro, avvenne una fortissima esplosione in PSN 37°21’20” N – 015°13’ E (a circa sette miglia per 170° da Capo Molino – Catania). Il Comandante della nave cercò di salvare il piroscafo accostando verso la vicina costa con l’intenzione di farlo arenare. Nel frattempo il Comandante della scorta dispose che Driade e Persefone dessero la caccia al sommergibile e che recuperassero eventuali naufraghi. Furono lanciate in mare ben 30 cariche di profondità senza alcun esito. Furono recuperati solo 10 naufraghi (uno morì successivamente). A bordo oltre all’equipaggio del piroscafo c’era anche una aliquota di personale della Regia Marina.

    Nonostante il tentativo del Comandante di far arenare il piroscafo, il Terni affondò ed ancora oggi il relitto giace capovolto a circa 2 miglia al traverso della Timpa di Acireale, con la chiglia ed i timoni in alto, ad una profondità variabile tra i 25 ed i 38 metri.
    Recentemente l’Istituto tecnico Nautico “Duca degli Abruzzi” di Catania, anche se con qualche piccola imprecisione, ha ricostruito la tragedia del 16 giugno 1943 inserendo un video su YouTube nel quale viene ricostruito il tentativo del Comandante del piroscafo di salvare nave TERNI dall’affondamento.
    https://www.youtube.com/watch?v=ZDEFUNnURBI&spfreload=10
    Il relitto è anche meta, da anni, di molte escursioni subacquee. I video e le fotografie possono essere visti ai seguenti link:
    https://www.youtube.com/watch?v=a7qOHPrVMF0&spfreload=10
    https://www.youtube.com/watch?v=1RXNtxd5JZQ&spfreload=10
    https://www.pucciosan.it/video/il-terni/mappa-del-sito-terni/
    http://www.underwater4u.com/cms/nave-terni-ex-azrou

    Nell’Albo d’Oro della Marina Mercantile sono riportati i sottonotati nominativi dei componenti dell’equipaggio deceduti il 16 giugno del 1943:
    Amato Corrado, Tenente G N (D M) Arena Pietro di Torre Faro (fraz. Messina), Marinaio Beltrami Carlo, Marinaio Benevento Carmine, Panettiere Boniello Giuseppe di Livorno, Borriello Ciro, Marinaio Cavanno Vincenzo, Marinaio Celio Salvatore, Marinaio Chinapri Tommaso, Marinaio Colantuno Antonio, Marinaio Colantino Antonio, Marinaio Coppola Francesco, Marinaio Costa Salvatore, Cambusiere D’Amato Giuseppe, Marinaio D’Urso Salvatore, Marinaio Flugi Federico, Marinaio Fontana Giuseppe, Carbonaio Fragalà Giorgio, Marinaio Gai Domenico, Marinaio Gemito Raffaele, Marinaio Iaccarino Raffaele, Marinaio Iacono Silverio, Fuochista Iovino Aniello, Marinaio Liguori Giuseppe, Marinaio Maisto Gennaro, Operaio Mangini Eugenio di Genova, Carbonaio Marmorato Rocco, Marinaio Morelli Luca, Fuochista Pierini Fortunato, Macchinista Rossi Potito, Giovanotto Russo Antonio, Marinaio Russo Giuseppe, Mozzo Salvatori Michele, Marinaio Scalia Francesco, Marinaio Siringo Salvatore, Carbonaio Strazzullo Carlo, Ingrassatore Suarti Antonino, Giovanotto Tagliamonte Raffaele.
    In data 27 luglio 1943 decedeva anche il Marinaio Terlizzi Vito, uno dei superstiti.
    A bordo era presente anche personale della Regia Marina. Elencare il personale deceduto che era imbarcato non è immediato con la sola consultazione dell’Albo d’Oro della Marina Militare poiché il reparto di appartenenza viene indicato con la generica frase “non specificato 012” (stessa cosa, ma con numerazione diversa, avviene per indicare i mezzi minori quali motozattere, dragamine, le navi ospedali, gli incrociatori ausiliari, il Reggimento San Marco ed altri …..). Poiché il 16 giugno 1943 l’unico mercantile affondato appare essere solo il Terni, l’elenco del personale risulta essere il seguente (da confermare dopo la consultazione della cartella dell’unità presso l’Ufficio Storico della Marina):
    2 Capo Radiotelegrafista Cattaneo Elmi Mario di Borgosesia (Genova), Marinaio Canepa Giobatta di Genova, Marinaio Segnalatore Colaianni Vitantonio di Bari, Marinaio Fuochista Esposito Vincenzo di Napoli, Sergente Segnalatore Martinelli Giovanni di Ferrara, Marinaio Fuochista Palmeri Attanasio di Palermo, Marinaio Fuochista Sannino Vincenzo di Portici (Napoli), Marinaio Fuochista Santoro Carmelo di Messina e Marinaio Fuochista Schisano Roberto Napoli.
    Ricordarli è un dovere ed un onore.

    A CATTANEO ELMI, SECONDO CAPO RADIOTELEGRAFISTA

    Buongiorno sig. Vinciguerra.
    Un mio zio, come da lettera in mio possesso firmata dal Comandante Superiore del Corpo Reali Equipaggi Marittimi Ettore Sportiello, è stato dichiarato disperso in seguito ad azione di guerra compiuta il 16 giugno 1943.
    La lettera porta la data del 10 luglio 1943.
    Ho provato a fare una ricerca sul sito del ministero della difesa ma, incredibilmente il mio congiunto non risulta tra i caduti.
    Si chiamava, Cattaneo Elmi, Secondo Capo Radiotelegrafista.
    Altro purtroppo non so.
    Le sarei molto grato se potesse farmi avere qualsiasi notizia.
    Silvio Cattaneo <cattaneobonini@gmail.com> 18 lug 2017

    Buonasera signor Silvio Cattaneo, la ringrazio anticipatamente per la fiducia.
    Le chiedo se è a conoscenza del comando/unità di appartenenza o quantomeno dell’invio del documento in modo da risalire a più fonti (cercando di incrociare varie notizie con gli altri blogger e, non per ultimo con il ministero della difesa) … ci potrebbe essere errore di trascrizione o di date ed allora procederemo per le azioni, come afferma Lei, del 16 giugno 1943.
    In attesa di suo riscontro
    riceva un abbraccio grande come il mare.
    Cordialità Ezio
    Ezio Vinciguerra <eziovinciguerra@gmail.com> 18 lug 2017 

    Grazie di tutto sig. Vinciguerra.
    Con mail a parte le ho trasmesso gli unici documenti in mio possesso.
    Ho trovato su internet che l’unica nave affondata il 16 giugno 1943 è il piroscafo Terni…..
    Chissà, il mio congiunto poteva essere temporaneamente imbarcato su quella nave. Ho visto che alcuni militanti avevamo avuto un passaggio.

    Silvio Cattaneo <cattaneobonini@gmail.com> 19 lug 2017

    Buonasera Signor Silvio, 
    abbiamo appena pubblicato la storia del Piroscafo Terni cercando di fare del nostro meglio e nelle nostra possibilità.
    Speriamo che la nostra ricerca sia di suo gradimento ed esaustiva, comunque siamo sempre a disposizione e aperti al dialogo.
    Riceva gradito da questo petulante marinaio, emigrante di poppa, un abbraccio grande come il mare e, soprattutto, grande come il suo cuore pio e misericordioso di nipote. Zio Cattaneo adesso riposa in pace fra i flutti dell’Altissimo ed è a conoscenza del suo e nostro amore …”per il dialogo” (Primo e Secondo Comandamento che Lui ci ha donato).
    Cordialità Ezio
    P.s. Colgo l’occasione per ringraziare Claudio Confessore, mia ancora di salvezza …riuscirò un giorno a sdebitarmi? Che Dio ti protegga e ti benedica!

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    Luigi De Rosa ( Torre Annunziata (NA), 6.6.1919 – Mare, 13.12.1941)

    di Vincenzo Marasco – Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”

    (Torre Annunziata (NA), 6.6.1919 – Mare, 13.12.1941)

    Alla cara e lieta memoria del Marinaio De Rosa Luigi, figlio di Torre Annunziata. 

    Ormai non riesco più a fermarmi. Lo stimolo che mi spinge a scrivere le storie delle migliaia di ragazzi della Circoscrizione di Torre Annunziata, che da qualche mese sto pian piano recuperando da uno degli archivi più belli che io abbia mai consultato, è irrefrenabile.
    Quella che segue è la pagina di storia che vogliamo dedicare al MARO’ Servizi Vari De Rosa Luigi, nato a Torre Annunziata il 6 giugno 1919, e vissuto in quegli stessi dedali dove ho trascorso la mia infanzia e dove è cresciuta la mia famiglia.
    Luigi prima di partire militare per La Spezia, chiamato dalla Patria per asservire al suo dovere, abitava al civico 28 di Vico Asilo Infantile insieme ai genitori Eduardo e Rosa. 

    Venne imbarcato come Marò addetto ai vari servizi di bordo, agli inizi del ’41, sulla Regia Nave “Alberico de Barbiano”: un incrociatore veloce con 784 uomini di equipaggio, che già era stato impegnato nella Battaglia di Punta Stilo (9 luglio 1940).
    La sera dell’11 dicembre del 1941, quando tutti già assaporavano la licenza natalizia che da lì a poco sarebbe stata concessa e il tanto atteso rientro a casa per riabbracciare finalmente i propri cari e gli amici, arrivò l’ordine dal Ministero della Marina con cui si comandava l’Unità, insieme alla sua gemella, l’incrociatore Alberto di Giussano, di dirigere urgentemente verso Palermo e poi a Tripoli, per scortare un convoglio carico di carburanti necessari per lo sforzo bellico delle truppe di terra.
    La sera del 12 dicembre ha inizio l’insidiosa traversata dello Stretto di Sicilia, lì dove le unità navali inglesi erano sempre in agguato per intercettare e affondare i convogli italiani diretti in Africa Settentrionale. 

    Alle 3.25 circa del 13 dicembre, al largo delle coste della Tunisia il convoglio italiano venne agganciato dalle siluranti inglesi. L’attacco fu cruento e veloce. Il de Barbiano venne centrato da tre siluri e da varie cannonate che lo devastarono. Le fiamme lo avvolsero in una velocità impressionante, senza dare alcuno scampo ai marinai che si trovavano sottocoperta. La nave oramai compromessa, scossa dalle esplosioni, andò alla deriva fino a capovolgersi, per poi affondare al largo di Capo Bon.
    Dei 784 uomini dell’equipaggio 385 non ce la fecero. Tra i caduti e i dispersi, oltre all’Ammiraglio Antonino Toscano, comandante della IV Divisione navale che seguiva le operazioni, e il comandante dell’Unità, capitano di vascello Giorgio Rodocanacchi, vi era anche il giovane marinaio torrese De Rosa Luigi. 

    Di quel ragazzo cresciuto nei vicoli della Pruvulera, levato alla Patria come tanti altri in quei tristi anni, non si seppe più nulla. Oggi a ricordarlo vi è una sua foto affissa al cippo marmoreo che sorge accanto al Monumento ai Caduti del Cimitero di Torre Annunziata su cui da anni, insieme all’amico Antonio Papa, si concentrano le nostre ricerche.

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    Sergio Denti (Prato, 3.6.1924 – Pontassieve, 8.2.2018)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    (Prato, 3.6.1924 – Pontassieve, 8.2.2018)


    Claudio Costa e la Ronin Film Production, nella loro vasta produzione, propongono anche eccezionali documenti storici, con interviste e filmati, frammenti di un passato recente della nostra italica storia.
    Proprio agli amanti della nostra storia non può certamente passare inosservato il racconto degli “MTM 548 e di Sergio Denti”.
    Sergio Denti falsificando i documenti di identità si arruola nella Regia Marina appena l’Italia entra in guerra. Ha sedici anni. Per due anni viaggia sulla Torpediniera Orsa, ed è protagonista di imprese eroiche meritando tre Croci al valor Militare.
    Dopo l’8 settembre, si arruola nella Decima Flottiglia Mas , agli ordini di Borghese. Sarà decorato con una medaglia di bronzo al V.M. La notte del 17 Aprile 1945, Sergio Denti a bordo del suo barchino MTM 548 carico di tritolo, scorge nel buio il cacciatorpediniere Trombe. Inizia il suo attacco… Danneggia irrimediabilmente la nave ma viene catturato dai francesi. Fugge e torna in Italia.
    Per il suo passato nella “Decima” viene imprigionato a Taranto, ma presto rilasciato e affidato a James Angleton, dei servizi segreti americani, che sta reclutando ex combattenti per una possibile guerra contro i comunisti che vogliono insorgere e prendere il potere in Italia. Sergio grazie ad Angleton riceve denaro e cibo, ed aiuta ex combattenti come lui a rimettersi in sesto. Tra questi “Raimondo Vianello” e i fratelli, che in quei giorni sono alla fame come molti reduci di Salò. La guerra con i comunisti non ci sarà, nel ‘46 la monarchia perde al referendum e Sergio torna alla vita civile, visto che la Marina Militare lo allontana, perché ha militato nella repubblica di Salò.
    Sergio diventa mercante d’arte.
    Viene riavvicinato dalla Marina in modo indiretto tramite l’Ammiraglio Gino Birindelli, che lo vuole con lui nella P2 di Licio Gelli, per il suo passato eroico. Ma Sergio dei giorni eroici ricorda soprattutto gli insegnamenti del suo Comandante Junio Valerio Borghese…

    MTM 548 durata 50 min. Colore 1:85
    EXTRA: l’MTM visto da vicino (Riprese realizzate presso
    il Museo della scienza e tecnologia LEONARDO DA VINCI di Milano).
    Una produzione Ronin Film Production
    Contatti diretti per richiesta DVD:
    roninfilmproduction@libero.it

    Sergio Denti
    da un artico di Libero https://digilander.libero.it/rsi_analisi/denti.htm

    Nasce a Prato, allora provincia di Firenze, il 3 giugno 1924. Dopo la scuola elementare, giovanissimo, entra come allievo nello studio del noto pittore Ottone Rosai. Il suo destino sembra poter essere la pittura, ma il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra. Sergio Denti ha sedici anni compiuti da sette giorni. La pittura è bella, ma i tempi richiedono un altro tipo di impegno. Il giovane ama fervidamente la sua Patria e ritiene di dover, anche lui, dare un contributo per la vittoria delle armi italiane.
    Il mare ha sempre avuto, per il giovane Sergio, un fascino irresistibile. E inevitabile, perciò, che il suo contributo di combattente scelga di darlo arruolandosi in marina. Ma per la sua giovane età servirebbe il consenso del padre che è restio a concederlo. Non sarà questo a fermarlo. Falsifica la firma del padre, si presenta a La Spezia dove viene arruolato e inviato presso la scuola C.R.E.M. di San Bartolomeo quale allievo torpediniere. La Domenica del Corriere gli dedicherà una foto quale più giovane marinaio d’Italia. In meno di un anno conclude brillantemente il periodo di addestramento e, il 30 aprile 1941, viene destinato al Comando Marina di Trapani e imbarcato sulla regia torpediniera “Orsa”. Finalmente è in grado di dare il suo contributo di combattente. Non ha ancora diciassette anni. Il primo ottobre è nominato Comune di 1^ Classe e in data 16 dicembre 1941 riceverà il suo primo encomio solenne con la seguente motivazione:
    Destinato su una bettolina allo scarico di materiale bellico, in una zona attaccata da aerei nemici, rimaneva al suo posto contribuendo efficacemente ad allontanare e mettere al sicuro il materiale esplodente.
    Nei due anni successivi Sergio Denti, sempre sulla regia torpediniera “Orsa” parteciperà ad oltre quaranta missioni. Le nostre truppe in Africa Settentrionale hanno continuo bisogno di rifornimenti e i convogli necessitano di essere scortati per proteggerli dagli attacchi nemici. Anche la torpediniera “Orsa” sarà continuamente impiegata in queste missioni e, nel corso di queste varie missioni, riuscirà ad affondare quattro sommergibili nemici. Il contributo del torpediniere Denti sarà sempre determinante ed egli riceverà un secondo encomio solenne con la seguente motivazione:
    Imbarcato su torpediniera, durante un’azione di caccia contro un sommergibile nemico, cooperava con serenità e tenacia a determinarne l’affondamento. Mediterraneo Centrale 22 maggio 1942.
    Infine, con determinazione del 12 giugno 1942, gli verrà conferita la Croce al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Destinato alle armi a.s. su Torpediniera, durante una prolungata caccia contro un sommergibile nemico, assolveva il suo compito con serenità e coraggio, contribuendo con la sua opera all’affondamento dell’unità subacquea avversaria. Mare Jonio 5 aprile 1942.

    Nel maggio 1943, affascinato dalle leggendarie imprese della X^ Flottiglia Mas, sentendosi pronto per più ardimentose imprese, fece domanda per entrare a far parte di questo reparto.
    Ma il 24 agosto 1943, giorno dell’assassinio di Ettore Muti, Denti rimane ferito nel corso di un’azione di guerra. Naturalmente viene sbarcato e ricoverato all’ospedale di Tolone. Sarà, poi, durante la convalescenza a Firenze, che lo coglierà la notizia della capitolazione dell’8 settembre. Sono i giorni dello sfacelo delle forze armate. Quasi tutti, abbandonate le armi, cercano di tornare a casa. Ma Sergio Denti, appena diciannovenne ma ormai veterano, rifiuta il prolungamento della licenza di convalescenza e cerca di ritrovare la sua “Orsa”. Così giunge a La Spezia, dove trova, sotto il tricolore che sventola al Muggiano, Junio Valerio Borghese con la sua Decima che non ha deposto le armi.
    Sergio Denti non ha esitazioni: si presenta presso la Caserma San Bartolomeo e, finalmente, riesce ad arruolarsi nella mitica X^ Flottiglia Mas. Viene presentato al comandante Borghese e, su sua domanda, viene assegnato a quei reparti di élite che sono i Mezzi d’Assalto. La Scuola dei mezzi d’assalto di superficie “Gruppo Todaro”, comandata dal Tenente di Vascello Domenico Mataluno, da La Spezia si trasferisce a Sesto Calende sul Lago Maggiore e qui, nel dicembre 1943 inizia l’attività addestrativa teorico-pratica sui M.T.M. (Motoscafo Turismo Modificato), M.T.S.M. (Motoscafo Turismo Silurante Modificato), M.T.S.M.A. (Motoscafo Turismo Silurante Modificato Allargato).
    E il 1° Gennaio 1944 (XXII°) il Sottocapo Sergio Denti riceve il “Brevetto di pilota dei mezzi d’assalto di superficie” firmato dal Comandante Borghese e dal Sottosegretario di Stato Contrammiraglio Sparzani.
    Il 22 gennaio 1944, come è noto, avvenne lo sbarco degli “alleati” ad Anzio/Nettuno per cui divenne urgente attivare al massimo le nostre forze offensive in quella zona del Mar Tirreno. Così le forze d’assalto della marina repubblicana trasferiscono subito, con una autocolonna, uomini e materiali da Sesto Calende a Fiumicino, dove viene allestita la base “X”. E già il 20 febbraio viene effettuata la prima missione che attacca e fa colare a picco una nave pattuglia alleata. E comincia l’impari lotta fra la potente flotta alleata e i minuscoli barchini d’assalto della Decima. Le missioni sono rese difficili dalla potenza di reazione del nemico, dalle non rare avarie dei mezzi e anche dalle cattive condizioni del mare, ma l’attività continua ottenendo anche lusinghieri successi. Intanto a Fiumicino la base “X”, ora comandata dal Ten.Vasc. Gustavo Fracassini, si arricchisce di uomini e mezzi giunti con una seconda autocolonna. Per i nostri assaltatori il livello di pericolo è alto. Spesso i barchini vengono intercettati e attaccati duramente. Nel mese di marzo anche l’M.T.S.M di Capo Boccato e Sergio Denti venne mitragliato da aerei nemici, per fortuna senza danni ai due combattenti. Ma si arrivò a Giugno e alla caduta di Roma. Inevitabilmente la base “X” dové essere spostata in Toscana, nella tenuta di San Rossore. Le missioni continuarono. Il 14 giugno 1944 tre mezzi del tipo S.M.A. uscirono in missione. Su uno dei tre c’era anche Sergio Denti. Purtroppo una formazione aerea inglese li attaccò e affondò tutti e tre i mezzi. Dei sei piloti due furono colpiti e scomparvero fra i flutti. Denti, che si era gettato in mare, vide il suo copilota Luigi Taccia riverso sul barchino in fiamme e tornò indietro malgrado il mitragliamento fosse ancora in corso e risalì sul barchino cercando di portargli soccorso, ma lo trovò ormai spirato. Allora si rituffò e nuotò per tutta la notte e per tutto il giorno successivo per molte miglia. Solo verso sera, ormai vicino alla spiaggia, fu raccolto da soldati tedeschi. La sua condotta in combattimento gli valse l’abbraccio commosso del Comandante Borghese e la medaglia di bronzo con la seguente motivazione:
    Secondo pilota di un mezzo d’assalto, durante un trasferimento in cui l’intera squadriglia veniva distrutta da una formazione aerea nemica, dava prova di grande serenità e sprezzo del pericolo. Essendo stato colpito il suo mezzo da una diecina di colpi di mitraglia che avevano provocato un incendio nel deposito di benzina, si gettava in acqua. Perdurando ancora l’attacco aereo ed il mitragliamento, non scorgendo più il suo primo pilota, risaliva sul mezzo in fiamme per portargli soccorso. Esempio luminoso di sprezzo del pericolo, cameratismo e senso del dovere. Acque del Tirreno 14 giugno 1944 – XXII”.


    E così, di mese in mese, i barchini della Decima, con missioni quasi quotidiane, costituirono una seria minaccia e grande apprensione per il nemico, che subì apprezzabili perdite. Purtroppo anche i nostri fragili mezzi che così coraggiosamente si esponevano, subirono dolorose perdite in uomini e mezzi. Ma non si fermarono. E dimostrarono al mondo intero che la Repubblica Sociale Italiana era al suo posto di combattimento e riscattava, così, l’onore dei combattenti italiani. Avvicinandosi il pericolo di uno sbarco in Provenza, verso la fine di agosto un reparto dotato di una ventina di mezzi si dislocò prima a Villafranca, porticciolo a est di Nizza e, poi, a San Remo. E le azioni continuarono indefessamente. Fino alla fine. E’ la notte fra il 16 e il 17 aprile 1945. Siamo ormai agli ultimi giorni di guerra. La linea gotica sta cedendo. Il 10 è caduta Massa, l’11 Carrara e i Nisei tentano di scendere in Lunigiana per tagliare la ritirata alle truppe che iniziano a ritirarsi dalla Garfagnana, ma i barchini della Decima sono ancora in missione: l’ultima. Occorre qui lasciare la parola al comandante Nesi che mirabilmente descrive l’azione:
    “La torpediniera francese Trombe era in pattuglia la notte fra il 16 e il 17 aprile a 14 miglia a sud di Oneglia, quando Zironi e Malatesti la avvistarono. Quella notte erano usciti unitamente all’M.T.M. del S.C. Sergio Denti. Mentre lo S.M.A. 312 aggirava la torpediniera da sud per cercare di attrarre la sua attenzione, Denti lanciò il suo M.T.M carico di esplosivo da 500 metri di distanza in piena velocità. A 100 metri si lanciò in mare e balzò sul salvagente. L’M.T.M. si schiantò contro la fiancata destra verso prua. L’esplosione capovolse il salvagente di Denti che venne sbalzato in mare. Non vedendo più il battellino di salvataggio, Denti si mise a nuotare, osservando la nave colpita. Fu ritrovato al mattino da una unità francese e catturato. Trasportato a Nizza, riuscì a fuggire ed a rientrare in Italia poco prima della fine del conflitto”. E il protagonista di questo audacissimo attacco non aveva ancora ventun’anni. Il Trombe, gravemente danneggiato, non essendo più in grado di muoversi verrà rimorchiato a Tolone. Il Comandante della Base Ovest Ten.Vasc. Gustavo Fracassini propose di conferire al Pilota Sergio Denti la Medaglia d’Oro al Valor Militare sul campo. Purtroppo Fracassini moriva nove giorni dopo per una vile imboscata dei partigiani. Ed eravamo agli ultimi giorni di guerra.

    La guerra è ormai finita e Sergio Denti è prigioniero a Taranto. Ma la sua competenza, la sua determinazione e bravura di combattente non sono passate inosservate anche in campo nemico. Così James Angleton, dei servizi segreti americani, che sta reclutando ex combattenti per una possibile guerra contro i comunisti che vogliono insorgere e prendere il potere in Italia, lo fa liberare e lo arruola. Denti ne ricaverà anche una retribuzione con la quale aiuterà reduci della R.S.I. in gravi situazioni di indigenza. Fra questi il noto Raimondo Vianello. Poi il pericolo comunista svanirà e Denti tornerà alla vita civile perché la Marina lo caccerà “per aver prestato servizio continuativo a carattere operativo nella Marina della RSI (X^ MAS)”. Ritornato, quindi, definitivamente alla vita civile, Denti ritornerà alla passione giovanile per l’arte e diventerà un importante gallerista e mercante d’arte. Senza mai dimenticare i camerati e l’epopea della X^ Flottiglia Mas.
    Saergio Denti è deceduto il 8 febbraio 2018  a Pontassieve.