Storia

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    MAS 141

    di Marino Miccoli (*)

    …ovvero uno degli intrepidi bolidi del mare.

    Questa bella quanto vecchia fotografia l’ho estratta dall’album di ricordi di mio padre Antonio Miccoli (**), all’epoca sottufficiale della Regia Marina; l’immagine raffigura un MAS del tipo VELOCISSIMO che reca ai lati della prora la scritta 141. A giudicare dai “baffi” d’acqua che solleva la sua prua si evince che il motoscafo è lanciato a notevole velocità. Non so affermare con precisione l’anno in cui la fotografia è stata scattata, perché riguardo alla data nulla è stato annotato da mio padre, né sul fronte né sul retro dell’immagine; tuttavia, dal contesto cronologico dell’album da cui l’ho estratta, molto probabilmente essa risale alla prima metà degli anni ’30 del secolo scorso.
    Il MAS (sigla per definire il Motoscafo Armato Silurante) era una piccola imbarcazione militare utilizzata come mezzo d’assalto veloce dalla Regia Marina durante le due guerre mondiali. Essa è un’invenzione tutta italiana, infatti erano stati progettati dall’ingegnere Attilio Bisio di Livorno. L’equipaggio era composto da un ufficiale, due motoristi, un sottonocchiere, un cannoniere, un mitragliere, un prodiere e tre marinai.
    Erano motoscafi da 20 – 30 tonnellate di dislocamento (a seconda della classe), armati generalmente con due siluri e alcune bombe di profondità antisommergibile, una mitragliatrice oppure un cannoncino. La loro caratteristica principale era costituita dalla elevata velocità operativa. Ogni Mas era anche dotato di un motorino elettrico alimentato da una batteria che consentiva brevi spostamenti a una velocità di 5-6 nodi, in completo silenzio; quest’ultima caratteristica era particolarmente utile quando il motoscafo giungeva in prossimità delle coste nemiche o quando penetrava in un porto avversario, oppure quando doveva dare la caccia a un sommergibile.


    Durante tutta la prima guerra mondiale gli Austriaci non riuscirono a catturare né a distruggere un Mas; per i brillanti risultati ottenuti alla Bandiera di combattimento della flottiglia Mas dell’Alto Adriatico venne conferita la medaglia d’oro al valor militare.
    Nel giugno del 1940, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, la Regia Marina disponeva di tre flottiglie MAS: la Iª (nel 1941 fu ribattezzata Xª), la IIª e la IIIª. Tuttavia in quel periodo bellico i MAS, unità veloci ma caratterizzati dall’avere una chiglia assai piatta e pertanto dotati di uno scafo che potremmo definire poco marino, erano destinati a un inesorabile declino. Essendo adeguati a mari ristretti e poco mossi, come era l’Adriatico, si rivelarono poco idonei al Mediterraneo per la loro limitata tenuta al mare mosso (e conseguentemente per la velocità effettivamente sostenibile), la loro scarsa autonomia che significava limitata operatività nonché per l’insufficiente armamento antiaereo (generalmente muniti di una sola mitragliera).

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    Giovanni Tesauro (Foglianise (BN), 22.4.1947 – Taranto, 19.6.1972)

    di Pellegrino Antonio Medici

    – S.O.S. RICHIESTA NOTIZIE E FOTO –

    (Foglianise (BN), 22.4.1947 – Taranto, 19.6.1972)

    Carissimo Ezio,
    …sono Medici Pellegrino Antonio Medici 66voRT.
    Hai una bellissima chat, ricordando i nostri fratelli salpati per l’ultima missione.
    Mi piacerebbe tanto rendere onore al Sergente Meccanico Giovanni Tesauro deceduto su un sommergibile a causa dello scoppio di una batteria.
    Riposa nel cimitero di Foglianisi (Benevento) e, purtroppo,  non so come poter recuperare una foto e altre notizie.
    Il decesso avvenne a Taranto (anno 69/70).

    Buona giornata Pellegrino,
    grazie per questa bella testimonianza di amore fraterna e di solidarietà marinara. Cercherò, nelle mie possibilità, di farne un necrologio articolo nella speranza che magari qualcuno lo legga ed esaudisca la tua cristiana preghiera di supplica.
    Un abbraccio grande come il mare della Misericordia Divina e grande anche come il tuo cuore fraterno e solidale di marinaio per sempre.

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    Chi siamo

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Bisogna iniziare ad investire sul serio su quei semi che veramente possono portare frutto.
    I semi più importanti sono nella nostra natura umana, cioè nelle energie e nelle potenzialità uniche di ciascuna persona. Nessuna crisi può intaccare questi semi capaci di portare una vera rinascita.
    Non parlo di etica, ma molto di più: energia personale inconscia.
    Dentro di noi abbiamo risorse straordinarie, il più delle volte rimangono lì perché non abbiamo l’urgenza di tirarle fuori. Spesso non ne abbiamo neanche la cognizione perché questa cultura in cui viviamo non aiuta a farle emergere. Anzi, spesso le impedisce perché le ignora.
    Occorre avere una cultura che sappia vedere le persone per quello che sono veramente, e che ne sostenga lo sviluppo completo, senza più impedirlo e ridurlo.
    Questa cultura, oggi, esiste ed è capace di sviscerare e inchiodare al muro tutti gli impedimenti che asfissiano il nostro germoglio interiore. Sofferenza, senso di vuoto, solitudine, rabbia, delusione, timore sono tutti segnali che questo sviluppo ostacola.
    Felicità, forza, creatività sono connaturate alla nostra essenza profonda e una nuova visione dell’inconscio ne scova i blocchi e sa risolverli.

    Non parlerei di questo, se non avessi sperimentato in me e in tante altre persone la portata sconvolgente di queste verità. Non è indolore partorire, non è indolore tirare fuori il meglio di noi. Occorre un superamento di sé, l’uscita da condizionamenti inconsci e presunzioni varie che riducono infinitamente la nostra vita. Ma vale più di qualunque tesoro, perché è il nostro potenziale.
    Parleremo molto, cercando di essere all’altezza di tanto onore perché siamo un popolo di santi, poeti e navigatori (reali e virtuali) che mettiamo la faccia in tutte le cose che facciamo. E Voi?

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    Piroscafi di una volta e ‘mbracàta di omini e di fimmìni

    di Orazio Ferrara (*)

    Per tutto il Novecento fino agli anni Cinquanta le navi, che arrivavano a Pantelleria, dovevano necessariamente gettare l’ancora in rada e aspettare l’arrivo di una barca (poi motolancia, famosa quella dell’Agenzia Rizzo-Busetta) su cui trasbordare merci e passeggeri. Quest’ultimi scendevano sulla barca o motolancia tramite una scaletta volante, predisposta al momento lateralmente al fianco della nave. Si capisce che bastava un mare leggermente mosso per rendere il tutto difficoltoso e laborioso, oltreché estremamente pauroso per i malcapitati che non sapessero nuotare (problema che non si poneva affatto per i Panteschi).

    Invece nell’Ottocento i piroscafi, che si fermavano in rada a Pantelleria, erano del tutto sprovvisti di qualsivoglia scaletta volante, che, seppure malagevole, rappresentava pur sempre una comodità, soprattutto per i passeggeri di sesso femminile. Si ricorreva allora alla famigerata imbragata (in dialetto ‘mbracàta) per sbarcare o imbarcare i passeggeri. Operazione che dir pittoresca è dir poco.
    Nel linguaggio marinaresco e portuale l’imbragata era l’insieme di colli merci o persone o anche singolo animale, che si manovravano da bordo di una nave con un mezzo di sollevamento (il bigo di carico, una specie di gru) per sbarcarli o imbarcarli.
    Questa operazione richiedeva particolare esperienza e abilità per chi era addetto alle relative manovre volanti, in quanto un errore poteva far andare a sbattere l’imbragata di merci o peggio di passeggeri contro la fiancata della nave, con conseguenze disastrose che è facile immaginare.

    L’imbragata consisteva in un grosso sacco cilindrico di tela o di iuta molto resistente, a volte con un fondo di assi di legno, nel predetto sacco trovavano posto di norma quattro o cinque persone, poi tramite le funi del bigo di carico esso, allo sbarco, veniva calato lentamente sulla piccola imbarcazione affiancata alla nave. Logicamente si effettuava l’operazione inversa nel caso d’imbarco.
    Il rigido moralismo dei costumi di quel tempo non permetteva assolutamente che potessero essere presenti nel sacco dell’imbragata allo stesso momento uomini e donne frammischiati, in quanto durante le manovre il sacco tendeva a stringersi e i corpi venivano schiacciati l’uno contro l’altro. La cosa era stata risolta facendo carichi dello stesso sesso ovvero una ‘mbracàta di omini o una ‘mbracàta di fimmìni.
    Dell’arrivo di un piroscafo nella rada di Pantelleria sul finire dell’Ottocento (agosto 1896) abbiamo un resoconto di un inviato de L’Illustrazione Italiana. Il piroscafo è il “Principe Oddone”, proveniente da Marsala e prima ancora da Palermo. Purtroppo dell’imbragata non vi è cenno alcuno, sebbene sia stata sicuramente effettuata in quanto si parla di imbarco di emigranti e asinelli locali (assai richiesti per la loro resistenza in Tunisia). Comunque riportiamo il brano per la particolare atmosfera di un’epoca ormai andata.

    “Alle due e mezza (pomeridiane, ndr) vediamo appressarsi un’isola; il Principe Oddone getta finalmente l’ancora ed eccoci davanti alla Pantelleria, da dove ci giungono a bordo asinelli e pecore numerose, e dove la nostra ora di fermata in alto mare passa fugace nel modo più lieto, al parapetto del vapore, a vedere il tirar su e giù con una corda, dai viaggiatori e dalle eleganti viaggiatrici italiane e straniere che venivano in Tunisia, i canestri d’uva carnosa, splendida, dagli acini grossi come prune, uva di cui tutti noi – viaggiatori di prima e di seconda – si fece una vera scorpacciata!
    Alle tre e mezza il vapore toglie l’ancora – dopo aver caricato ivi altri emigranti ed asinelli famosi di Pantelleria – e dopo aver viaggiato, con un mare il più tranquillo, ancora altre dodici ore, alle due di notte il piroscafo s’arresta. Molti escono dalle cabine, salgono in coperta sotto un cielo splendidamente stellato. Ed in mezzo al silenzio della notte, lontano scorgiamo una miriade di fiammelle rifrangentisi nel mare calmo. Siamo davanti alla Goletta…”.

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    21.4.1917, impostazione della regia nave Solferino

    di Carlo Di Nitto

    Il regio cacciatorpediniere Solferino, classe “Palestro”, (sigla SL) dislocava 1180 tonnellate a pieno carico. Costruito nei Cantieri Orlando di Livorno, era stato impostato il 21 aprile 1917, varato il 28 aprile 1920 ed era entrato in servizio il 31 ottobre 1921.
    Dopo pochi giorni fu inviato in missione a Monaco dove ricevette la Bandiera di Combattimento, in memoria dei Caduti francesi nella battaglia risorgimentale di Solferino. Esplicò quindi, fino ad aprile 1922, normale attività addestrativa in Alto Tirreno. Successivamente venne inviato a Costantinopoli dove rimase per circa un anno svolgendo attività di protezione dei nostri connazionali in quelle acque e in quelle del Dodecaneso.
    Negli anni successivi svolse prevalentemente attività e crociere addestrative, anche in acque greche, libiche e nel Mediterraneo Orientale. Dall’agosto 1932 alla fine del 1935 fece parte della 5^ Squadriglia Dipartimentale con base a Messina; poi fu destinato in Cirenaica dove rimase fino alla metà del 1937 per servizio coloniale.
    Il 1° ottobre 1938 fu declassato a torpediniera e destinato a Venezia dove esplicò attività dipartimentale in Alto Adriatico fino all’entrata in guerra dell’Italia.

    Durante il conflitto fu intensamente impiegato per la difesa del traffico nel Basso Adriatico e nelle acque greche. Svolse anche attività per la ricerca e l’affondamento di mine alla deriva.
    Alla data dell’8 settembre 1943, quando fu proclamato l’armistizio, aveva compiuto 248 missioni di scorta, 10 di caccia antisommergibile, 4 di trasporto militari, 4 di bombardamento contro costa e 17 missioni di vario genere, percorrendo 67.000 miglia.
    Il 9 settembre 1943 si trovava in rada a a Suda. Qui, durante la notte, venne catturato a sorpresa dai tedeschi che, dopo averlo rinominato T.A. 18, lo utilizzarono in acque greche. Risulta che sia affondato il 19 ottobre 1944 nelle acque del porto di Volo, in Tessaglia, durante uno scontro contro unità britanniche.
    Il suo motto fu “Osare”.

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    Salvatore Pollio (Massa Lubrense, 1.1.1919 – Mare, 21.4.1941)

    a cura Antonio Cimmino

    (Massa Lubrense, 1.1.1919 – Mare, 21.4.1941)

    Nasce a Massa Lubrense 1.1.1919, arruolato nella Regia Marina in qualita di Cannoniere O. di Massa Lubrense, perse la vita a bordo della regia nave Partenone.
    Fu decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare “alla memoria sul campo” con la seguente motivazione:
    Cannoniere di unità ormeggiata in porto dell’A.S. sottoposta a bombardamento aeronavale… sebbene colpito mortalmente, rimaneva al suo posto di combattimento persistendo nell’azione fino a quando si abbatteva esanime sul pezzo. Bell’esempio di coraggio, attaccamento al dovere e sprezzo del pericolo” (Baia del Ghubbet Grande Dahiak, 21 aprile 1941).

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    Salvatore Marra (Nardò (LE), 21.4.1917 – Mare, 15.12.1940)

    di Carlo Leone

    (Nardò (LE), 21.4.1917 – Mare, 15.12.1940)

    Salvatore Marra nasce a Nardò (LE) il 21.4.1917, figlio di Cosimo Damiano e Elvira Cordisco.
    Arruolato volontario nella Regia Marina il 5.10.1935 in qualità di allievo Elettricista.
    Il 1° marzo 1939 è promosso Sottocapo.
    Il 16.2.940 è destinato sul regio sommergibile Tarantini.
    E’ deceduto (disperso) il 15.12.1940 in Oceano Atlantico.
    Unitamente a Vincenzo Spagnu
    olo e Vito My, l’Associazione Marinai d’Italia Gruppo di Nardò gli ha intitolato la sede sociale.

    Regio sommergibile Tarantini
    Caratteristiche tecniche
    Dislocamento: in superficie: 1166 t. – sommerso: 1484 t.
    Lunghezza: 76,1 m.
    Larghezza: 6,98 m.
    Motori: principali 2D3500 HP – secondari 2E1500 HP
    Velocità: in superficie: 18 nodi – sommerso: 8 nodi
    Equipaggio. 7 Ufficiali – 50 Sottufficiali e comuni.

    Breve storia
    Il regio sommergibile Capitano Tarantini fu impostato il 5.4.1939 presso il Cantiere Tosi -Taranto
    Fu varato il 7.1.1940 e consegnato alla Regia Marina il 16.3.1940.
    Il 16.6.1940, al Comando del Capitano di corvetta Alberto Iaschi,  era in missione nelle acque di Gaudo  per effettuare opera di sbarramento presso i Dardanelli.
    Il 27.6.1940 fu impiegato per pattugliamento nelle acque antistanti Haifa, ma il giorno successivo in Mar Jonio, mentre si trovava  in navigazione di superficie fu attaccato, senza subire danni, da un aereo nemico.
    Il 31.8.1940, dopo aver effettuato missioni in Mediterraneo,  il sommergibile salpò da Trapani per trasferimento a  Bordeaux.
    L’11.11.1940, salpo dalla base di BETASOM per operare nelle acque antistanti la Scozia ma venne travolto da una forte burrasca rendendolo non operativo.
    Tra il 2 e il 4 dicembre venne avvistato da forze nemiche  che gli provocarono avarie gravi.
    Il giorno successivo, a causa di violentissima tempesta, perse in mare il 2° C° N Sergio Ciotti.
    Il 9 dicembre intraprese nuovamente la navigazione, scortato da unità tedesche.
    Il 15.12.1940  fu colpito da un siluro del sommergibile Thunderbolt, che lo affondò.
    Il relitto del regio sommergibile Capitano Tarantini giace ancora sul fondale sabbioso nel punto 43°30’102 N e 001°22’839 O a circa 15 miglia dalla costa, ad una profondità compresa tra i 35 ed i 40 metri.
    Sopravvissero solo 5 membri dell’equipaggio.
    Fu radiato il 18.10.1946.

    Non fecero rientro alla base

    Carmine Abate, sottocapo
    Giovanni Arpe, comune
    Corrado Baldini, comune
    Francesco Basile, sottotenente di vascello
    Valentino Borghetti, comune
    Ugo Bucciol, secondo capo
    Pasquale Bufalo, comune
    Giorgio Caira (o Caita), comune
    Salvatore Campisi, comune
    Fulvio Campolongo, secondo capo
    Alfonso Caradonna, sottocapo
    Francesco Cassisa, comune
    Angelo Catania, sottocapo
    Agostino Cavallo, secondo capo
    Giusto Centini, comune
    Raffaele Ciccarelli, comune
    Gino Cocozza, sottocapo
    Domenico Colombo, comune
    Giorgio Corazzi, guardiamarina
    Leonardo Covelli, secondo capo
    Amleto D’Alicis, secondo capo
    Leo Ferdinando Del Ben (o Del Bene), comune
    Francesco Ferrando, comune
    Carlo Genovese, secondo capo
    Romualdo Gerentini, sergente
    Alfredo Grassano, sottocapo
    Alfredo Iaschi, capitano di corvetta (comandante)
    Antonio Ivaghes, sottocapo
    Angelo La Greca, sottocapo
    Dino Lamponi, comune
    Calderoro Longo, comune
    Salvatore Marra, sottocapo
    Giovanni Maviglio, comune
    Italo Mazzella, comune
    Agostino Miotto, sottocapo
    Onofrio Mommo, comune
    Giuseppe Mongelli, comune
    Carmelo Moschella, secondo capo
    Giacomantonio Muccilli, comune
    Giuseppe Papini, comune
    Gioacchino Pastanella, capo di terza classe
    Francesco Petracca, comune
    Giuseppe Raimondi, secondo capo
    Augusto Raiteri, capitano del Genio Navale (direttore di macchina)
    Antonio Romano, comune
    Enrico Rossini, capo di seconda classe
    Angelo Rusconi, comune
    Guido Sgattoni, comune
    Francesco Taricco, tenente del Genio Navale
    Biagio Tramontana, comune
    Manlio Valchera, sottotenente di vascello
    Ernesto Versa, tenente del Genio Navale
    Giobatta Vigezzi, comune
    Nello Zambelli, comune
    Aldo Zunarelli, comune
    Antonio Zuppelli, sottocapo
    (fonte conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com)