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    Gaio Plinio Cecilio II

    Guglielmo Evangelista (*)

    Storia di un ammiraglio di un tempo lontano (23 – 79 d.C.)

    In queste note ripercorreremo la biografia – speriamo non nota a tutti – di Plinio il Vecchio, illustre ammiraglio e scrittore dell’antica Roma, forse il personaggio di maggior rilievo della storia navale italiana nell’arco degli oltre 1500 anni intercorsi fra Gaio Duilio e Andrea Doria.
    Gaio Plinio Cecilio Secondo nacque a Como nel 23 dopo Cristo. La sua famiglia apparteneva alla classe dei cavalieri che, nella rigida suddivisione sociale romana, era considerata aristocratica, ma inferiore a quella senatoria.
    Giovanissimo, fu portato a Roma dove si appassionò allo studio, acquisendo un’ampia cultura di base ed interessandosi a tutto in modo enciclopedico.

    Come era abitudine di tutti i giovani delle buona società, fu avviato alla carriera nell’ambito dello Stato e iniziò con una lunga serie di incarichi militari: fu comandante di cavalleria in Germania, partecipò alle operazioni contro la popolazione sassone dei Catti, e poi fu in Gallia e in Spagna.
    Trascorse una pausa dagli impegni militari a Roma tenendosi lontano da Nerone, dedicandosi alla composizione delle sue molte opere e scrivendo, fra l’altro, una “Storia delle guerre germaniche” ma soprattutto ponendo mano alla sua “Historia Naturalis”, il suo più importante lavoro che spazia dalla geografia alla botanica, alla mineralogia, all’economia. Questi libri sono arrivati fino ad oggi e sono una delle più preziose fonti di informazione sull’antichità anche se accanto a materie trattate rigorosamente l’autore presta attenzione a molte favole come quelle circa l’esistenza di animali fantastici. Era un uomo dei suoi tempi, sapeva molto ma non sapeva tutto.
    Dopo il 70 l’amicizia con l’imperatore Vespasiano lo convinse a tornare al servizio di Roma: venne nominato procuratore in Spagna e in Gallia ed infine fu nominato Praefectus classis misenensis, cioè comandante della flotta di stanza a Miseno, succedendo a Regolo Aniceto. A Plinio era sempre piaciuto viaggiare e non si accontentò di ammirare la sua flotta dalla villa che gli era stata assegnata, ma ne approfittò per navigare in lungo e in largo per il Mediterraneo, sempre attento ad annotare ogni cosa nuova o insolita. Tenne onorevolmente l’incarico fino alla morte nel 79, avvenuta nelle circostanze di cui parleremo più avanti.

    L’ammiraglio dell’antica Roma
    Per quasi tutta la lunga storia di Roma la marina militare ebbe un’importanza piuttosto modesta e non fu mai considerata un corpo a sé ma un’appendice dell’esercito. Dopo le grandi battaglie navali con i cartaginesi e la battaglia di Azio del 31 avanti Cristo, con il Mediterraneo che era diventato un lago romano e, nel Nord Europa, nessun nemico in grado di contrastare l’impero sul mare, le navi ebbero impieghi limitati al contrasto della pirateria, alla scorta e all’assistenza dei convogli mercantili e soprattutto al trasporto di truppe e materiali per conto dello stato.
    Di conseguenza il servizio in marina era visto con poca simpatia da tutti i militari: quindi tanto il centurio classiarius, comandante delle compagne “anfibie” quanto i navarchi e trierarchi, erano considerati molto meno degli ufficiali dell’esercito con analoghe funzioni e anche la carica di ammiraglio, per quanto ovviamente di grande rilievo, era sempre meno prestigiosa di quella dei generali, tant’è vero che come abbiamo visto anche per Plinio, era d’uso conferirla a cavalieri e non a senatori e si arrivò perfino a nominare dei liberti.
    Il trasferimento in marina era una delle punizioni per i legionari che avevano commesso qualche mancanza e non a caso Flavio Vegezio, dedica alla flotta solo l’ultimo e striminzito capitolo.della sua Epitome de Re Militari, un esteso compendio di tutte le conoscenze militari romane.
    Ad ogni modo chi contava nella Roma di allora non intraprendeva carriere ben definite: lo stesso Plinio fu dapprima ufficiale dell’esercito, poi diventò un funzionario politico-amministrativo e infine approdò in marina. Peraltro lo spiccato senso dello stato e le diverse esperienze rendevano possibile alla classe dirigente impieghi versatili che dovunque davano buoni risultati.
    D’altra parte, essendo nativo di Como, la scelta di Plinio cadde su un uomo che aveva una certa confidenza con la navigazione, benché soprattutto quella interna, tanto più che aveva navigato in tempo di guerra lungo il Reno e aveva diretto lo scavo di un canale in Germania.
    Gli ammiragli romani, in genere, avevano la completa responsabilità della flotta alla quale erano stati assegnati, della gestione della base e dell’addestramento degli uomini e la loro importanza variava in relazione alla numerosità della flotta stessa: sono molto rari i documenti che accennano a un subpraefectus, cioè un contrammiraglio, o a un praepositus reliquationis classis, sorta di Direttore di commissariato.
    Infine., tenendo conto di quanto abbiamo detto sulla poca distinzione fra cariche militari, politiche e amministrative, il praefectus classis aveva la giurisdizione anche sulla popolazione civile – familiari e commercianti – che viveva nelle località vicine alle basi navali, facendo le funzioni di sindaco e di giudice.

    La base navale di Miseno
    Potremmo dire, con termini moderni, che vi aveva sede la squadra navale del Mediterraneo Occidentale e da essa dipendevano varie altre basi con flotte minori fra cui in Italia Centumcellae (Civitavecchia), Palermo e Cagliari. Il nome completo, che però le venne conferito molto tempo dopo i fatti che raccontiamo, era Classis Praetoria Misenensis Pia Vindex. Secondo Vegezio la sua competenza si stendeva alla Gallia, alla Spagna, alla Mauritania e all’Egitto.
    L’altra principale flotta, quella del Mediterraneo Orientale, aveva sede a Ravenna.
    La base venne fatta costruire da Augusto verso il 27 avanti Cristo, trasferendovi da Pozzuoli le navi militari poiché i fondali del vecchio Portus Iulius stavano diventando impraticabili per il bradisismo.
    Il porto era composto di due bacini in comunicazione fra loro, uno esterno ed uno interno, tuttora ben visibili, sulle cui rive sorgevano cantieri di riparazione, alloggi e magazzini e che erano uniti da un canale che si poteva valicare con un ponte mobile.
    Fra le opere sopravvissute merita di essere ricordata la cosiddetta Piscina mirabilis, un’enorme cisterna per l’acqua necessaria agli equipaggi, capace di ben 12000 tonnellate.
    Nella base prestavano servizio circa 10.000 uomini e d’ordinario si trovava in armamento un centinaio di navi, ma le banchine potevano accoglierne fino a 250.
    Un distaccamento di marinai di Miseno a turno faceva servizio a Roma dove era impiegato sia per le naumachie, battaglie navali simulate che erano uno spettacolo molto apprezzato, sia per stendere il velarium, una serie di complicati teloni usati per riparare gli spettatori del Colosseo dal sole o dalla pioggia che per il peso e le dimensioni erano difficilissimi da manovrare se non da esperti veterani.
    La loro caserma, i castra misenantium, si trovava vicino alle Terme di Traiano, più o meno a metà dell’attuale via dei Fori Imperiali.
    La base di Miseno funzionò fino al tardo impero e successivamente i Bizantini privilegiarono Napoli. Le rovine rimaste sono numerose anche se in gran parte non è stato ancora possibile individuare per ciascun edificio le funzioni originarie.

    L’eruzione di Pompei
    E’ una storia troppo nota per ripercorrerla: cercheremo invece di mettere in evidenza i particolari relativi a Plinio e agli aspetti navali dell’operazione da lui comandata.
    Conosciamo la vicenda nei particolari dato che è narrata in due lettere a Tacito scritte dall’omonimo nipote, Plinio il Giovane, che era stato adottato dalla zio e che, diciassettenne, si trovava a Miseno dove ha potuto seguire dal vivo la vicenda e presumibilmente ascoltare poi quei testimoni che avevano seguito in mare l’ammiraglio e, a differenza di lui, avevano avuto la fortuna di salvarsi.
    Come Plinio vide l’eruzione ne fu estremamente interessato e desiderò avvicinarsi al vulcano per osservarla meglio. Fece quindi allestire in un primo momento una liburna, ma dopo aver ricevuto delle segnalazioni di aiuto dalla zona costiera si rese conto della gravità della situazione e, lasciata perdere la curiosità scientifica, ritenne fosse suo dovere portare aiuto ai molti in difficoltà.
    La liburna che aveva scelto per sé, una nave sottile e veloce a un solo ordine di remi, era ovviamente insufficiente per il suo progetto e fece quindi preparare le molto più grandi quadriremi prendendo posto su una di esse.
    Al contrario della tradizione che pone l’eruzione nel mese di agosto del 79, è stato accertato che molto più probabilmente questa avvenne in autunno avanzato, forse a fine novembre.
    Era quindi già passato ottobre e, come abitudine, dopo quel mese la navigazione veniva sospesa fino all’aprile successivo e le navi venivano messe in secco e riparate, ma trattandosi di una base militare era ovvio che un nucleo di unità veniva sempre tenuto pronto a prendere il mare, qualsiasi fossero le condizioni meteorologiche, per ogni improvvisa necessità.
    Le navi salparono e fecero rotta su Ercolano seguendo poi la costa in direzione di Stabia, ma si constatò che era impossibile avvicinarsi sia per il fondale che si stava sollevando che per le pomici e la cenere che cadevano sempre più fitte impedendo le manovre.
    Si ricorse quindi alle scialuppe delle quadriremi per cercare di imbarcare e traghettare sulle triremi la folla che si assiepava lungo la spiaggia.
    Fu la prima operazione “umanitaria” della storia anche se il mare tempestoso, la scarsa visibilità e la poca capienza delle barche sicuramente permisero il salvataggio di non molte persone. Furono persi uomini e imbarcazioni, i cui resti sono stati puntualmente restituiti dagli scavi.
    La flotta arrivò sul tardi a Stabia, presso l’odierna Castellammare, dove l’ammiraglio sbarcò intenzionato a portare soccorso all’amico Pomponiano che aveva una villa nei paraggi.
    Qui Plinio poté riposarsi. Appariva tranquillissimo e di buon umore. Cenò e cercò anche di dormire fino all’alba successiva quando il degenerare della situazione consigliò di tornare alla spiaggia per imbarcarsi e allontanarsi, ma lungo la strada l’ammiraglio, che già soffriva di problemi respiratori, ebbe un collasso e, con i suoi accompagnatori, morì soffocato dai gas velenosi.
    Il racconto del nipote, precisissimo per quanto riguarda le osservazioni sull’eruzione e dei fenomeni connessi che poté seguire personalmente da lontano, lascia però molto a desiderare sull’attendibilità di parecchi altri punti a partire dal fatto che egli rifiutò di seguire Plinio giustificandosi con l’aver preferito restare e dedicarsi ai suoi studi mentre è molto più probabile che sia stato lo zio ad avergli proibito di accompagnarlo considerati i pericoli verso cui sapeva di andare incontro.
    In particolare dalle lettere emerge la volontà di esaltare soprattutto la sua impassibilità e il suo coraggio di fronte al pericolo: è un uomo che mangia, dorme e scherza fra terremoti e piogge di pietre. Mentre era sulla nave, di fronte ai timori del comandante, avrebbe ordinato perfino di proseguire pronunciando la fin troppo comune frase “la fortuna aiuta gli audaci”.
    In questo modo Plinio il Giovane tentava di delineare per lo zio un carattere molto apprezzato fra le persone romane di cultura, per le quali contava più di tutto esibire un filosofico distacco di fronte alla vita e non lasciarsi prendere la mano da qualsiasi evento.
    Gli antichi chiamavano questo atteggiamento atarassìa, cioè imperturbabilità.
    In realtà è presumibile che con parecchie navi in mare e gli equipaggi impegnati nelle operazioni di salvataggio l’ammiraglio abbia pensato in primo luogo a loro e, se ha trascorso qualche ora in casa dell’amico, l’avrà usata soprattutto come quartier generale.
    Le navi e gli uomini gli erano stati affidati dall’imperatore e di fronte a questo non c’era filosofia che potesse tenere.


    Un ritrovamento inaspettato
    Il nipote afferma che Plinio fu ritrovato dopo tre giorni ma non aggiunge altro. E’ abbastanza inverosimile che il corpo non sia rimasto seppellito sotto la pioggia di cenere ma, anche ammettendo il contrario, è molto dubbio che abbia ricevuto qualche attenzione in mezzo alle migliaia di morti, ammiraglio o no. Al massimo sarà stato seppellito sul posto… i romani preferivano stare lontano dai cadaveri.
    Agli inizi del ‘900 l’ingegner Gennaro Matrone, eseguendo degli scavi a Stabia in una sua proprietà, rinvenne sotto lo strato di ceneri e fango solidificati – non lava perché quella avrebbe bruciato tutto – ben 74 scheletri vicinissimi gli uni agli altri. Si trattava in massima parte di gente comune con il solito corredo dei morti di Pompei: qualche moneta e piccoli gioielli, quel poco che avevano e che erano riusciti a portare con sé. Discosto da questi c’era però un altro scheletro, abbigliato un modo completamente diverso, con una grossa collana d’oro, anelli da cavaliere, bracciali di pregio e un gladio da parata, la corta spada romana, con l’elsa e il fodero lavorati in modo insolito perché tempestati di conchiglie d’oro sbalzate e altre immagini marine.
    Per il luogo del ritrovamento e l’abbigliamento si affermò che si trattava del corpo di Plinio.
    Come sempre accade, ci fu chi contestò il ritrovamento affermando, con il sarcasmo devastante tipico del mondo accademico, che un ammiraglio non poteva andare vestito come “una ballerina d’avanspettacolo”. Ma basta ragionarci su per vedere che l’ipotesi è sbagliata: oltre a dimostrare l’assoluta ignoranza di come si adornavano i ricchi romani non si tiene conto che, pur in un’epoca in cui non si parlava di uniformi militari, appare logico che Plinio abbia indossato apposta una specie di “gran divisa”: in mezzo a una folla terrorizzata e con i suoi uomini che nonostante la disciplina dovevano essere piuttosto scossi, era più che opportuno indossare tutte le insegne della carica per essere ben riconoscibile durante le operazioni e far pesare la propria autorità.
    Corrisponde anche l’età del corpo, fra i 50 e i 60 anni e il gladio non poteva che appartenere a un ufficiale di marina. E poi chi fugge, se pensa a raccogliere i suoi tesori, li avvolge in fretta in uno straccio e non perde tempo ad indossarli. Quindi Plinio non stava tentando egoisticamente di raggiungere la salvezza dopo qualche ora trascorsa in stoica imperturbabilità, ma ebbe la stessa sorte della folla in mezzo a cui si trovava mentre la dirigeva verso le sue navi, mosso da un senso del dovere ben raro nel mondo antico.
    Gli altri corpi ritrovati potevano essere dei suoi marinai, degli schiavi di Pomponiano o di una folla anonima, ma fra i corpi più vicini all’ammiraglio fu ritrovato anche un medico che aveva con sé medicinali e strumenti professionali e un individuo alto ben oltre due metri. Quando la statura media era di un metro e mezzo o poco di più, era veramente un gigante.
    Il primo poteva essere un principalis cioè un medico di marina, la cui presenza appare logica in un’operazione di soccorso oppure aveva scortato l’ammiraglio che sappiamo che non godeva di buona salute, mentre il secondo poteva essere la sua guardia del corpo. Nel marasma generale è poco verosimile che Plinio si sia mosso da solo, senza farsi accompagnare, oltre che da ufficiali, anche da un individuo la cui sola presenza era più che sufficiente a proteggerlo.
    Fin qui i fatti e le ipotesi.
    Fatto sta che i corpi furono riseppelliti lì vicino e tutto il corredo, essendo stato trovato in una proprietà privata, restò al Matrone che lo vendette: soltanto il cranio fu conservato e tuttora è visibile nel Museo dell’Arte Sanitaria di Roma, unica reliquia giunta fino a noi di un personaggio importante dell’antica Roma.
    Infine, per chi volesse sapere qualcosa di più di queste brevi note, consiglio, fra la sterminata bibliografia di ogni epoca, questi libri che ho trovato particolarmente interessanti:
    – “Rotta su Pompei” di Flavio Russo, ricerca ampia ed approfondita;
    – “Pompei” di Richard Harris. E’ un romanzo, ma ben documentato.

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    Un detective a bordo

    di Giuseppe Procopio (*)

    Vestire i panni di un detective per molti versi è molto interessante, una buona sensazione di un ricordo che ci si porta appresso dal tempo della fanciullezza un po’ cresciuta, quando si ha modo di leggere alcuni libri di questo genere letterario, molto noto e diffuso anche nei films.
    Per certi versi, torna utile per scoprire delle verità. In realtà quando m’improvvisai detective non era come pensassi; non c’era un assassino da smascherare o un movente da provare, solo una semplice indagine conoscitiva.
    Ero solo un Sottocapo Motorista addetto alla sicurezza che voleva svelare il mistero delle “Chiavi per manichette scomparse” dalle loro stazioni antincendio di bordo dei locali di vita o dei corridoi della nave.
    Non sembrava un caso difficile, ma richiese un po’ di indagini serie e qualche appostamento per cogliere il responsabile sul fatto.

    Non avevo molte nozioni sulla sicurezza della nave, le recuperavo per gradi. La ragione della mia perplessità era dovuta anche al fatto che il colpevole non si preoccupasse di riportarle al loro posto. Comportamenti irresponsabili che pur esistevano e non deponevano bene per la sicurezza della nostra nave.
    “Come avremmo avvitato è stretto le manichette in caso di emergenza?”.
    Quotidianamente effettuavo verifiche, un po’ per dovere, un po’ per caparbietà..
    Un giorno, mentre gironzolavo nell’alloggio equipaggio, notai  che su uno degli armadietti  dei marinai, qualcosa attirò la mia attenzione: ”Si sono loro; eccole dove stavano”. Quel rosso mi era famigliare cosi come la forma di quell’oggetto.

    Non accusai nessuno, ma proseguii nel mio piccolo impegno di sempre: tenere le stazioni antincendio con gli accessori al loro posto. In verità non ci volle molto a comprendere la ragione di questo approprio non autorizzato. Gli utensili erano usati per forzare i lucchetti personali di chiusura degli armadietti, quando qualcuno di noi se ne dimenticava la chiave all’interno.
    Si inseriva una chiave antincedio nell’arco del lucchetto e si faceva leva per spaccarlo. Fin qui nessun problema, ma perché quei tipi non le rimettevano al loro posto?

    Quella specifica attenzione, verso quella specifica anomala situazione, era ovviamente motivata dalla mia mansione a bordo.  Quando Capo Pellegrino e Capo Mongelli erano fuori bordo toccava a me fare le ispezioni e segnalare tutto quello che era fuori posto. Quel che facevo era un comportamento normalissimo, un atto di responsabilità che ogni buon marinaio apprende vivendo a bordo. Sono state lezioni importanti che ancora segnano la mia vita.
    Si concludeva la mia indagine sulla sparizione delle chiavi e la frase:”La sicurezza prima di tutto in porto e in mare” ancora riecheggia dentro di me, come il ricordo di un Frà di bordo che mi dice: “Stiamo affondando in porto”.
    Possibile? In porto? Mica ci hanno bombardato..
    Mi rispose che a causa di un lavoro sulle valvole a clarinetto che stavano svolgendo alcuni operai dell’arsenale si stava imbarcando acqua.
    Io assonato gli risposi: “Ma tu guarda …non si può nemmeno affondare in porto”.

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    E quando il male divorerà se stesso…

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Quando avranno inquinato il mare, le acque dell’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche.
    Terrorizzati dall’incubo di perdere tutto ciò che hanno rubato, senza amore, padri di famiglie avide e perverse, circondati di baciapile e ruffiani.
    Uomini di potere? Ricchi di cosa?
    I ricchi siamo noi che ci sediamo davanti al mare e possiamo ancora udire il suo canto, sentire il suo profumo, perché la nostra coscienza è pura.

    Il mare ora puzza di benzina!
    Penso e non ho difficoltà di affermare che il Tribunale penale internazionale, oltre che occuparsi dei reati commessi per esempio nella ex Jugoslavia e in Ruanda, debba processare pure gli autori di simili misfatti ambientali, che pure sono crimini contro l’umanità, come le speculazioni finanziarie come i mutui sub prime, che hanno messo in pericolo l’economia mondiale.

    Purtroppo sono sempre più convinto, e non sono il solo a pensarlo, che a nominare i tribunali sono gli stessi che commettono i crimini contro l’umanità.
    Le multinazionali hanno gestito ogni affare: guerre, armi, uranio, petrolio, diritto, inquinamento, spazzatura, ecc., ma non hanno considerato il principio che ciò che si fa alla terra lo si fa a se stessi.
    I loro figli subiranno lo stesso destino di ogni altro essere umano.
    “Il male divora se stesso (Giovanni Paolo II)”.

    Quando il male divorerà se stesso alla fine si diventa stronzi per legittima difesa.
    …questo articolo è dedicato alle donne e agli uomini di buona volontà e anche a coloro che mi invitano a schierarmi dalla parte del male, io vi perdono!

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    Perso nella Guerra (Angelo Castagna)

    di Angelo Castagna

    … riceviamo e con immensa gioia e orgoglio pubblichiamo.

    Buongiorno sig. Vinciguerra,
    mi chiamo Angelo Castagna e sono il nipote del capo segnalatore Pietro Castaldi, classe 1913.
    Dopo 10 anni di lavoro, sono riuscito a ricostruire la sua storia militare e l’ho racchiusa in un libro di memorie assieme a tanti aneddoti.
    Nasce così “Perso nella Guerra”, edito da youcanprint nel Marzo del 2022. Tutti i fatti e le circostanze raccontate, sono state verificate facendo ricorso a numerosi archivi storici, ad innumerevoli testi scritti da autorevoli conoscitori della materia (Giorgio Giorgerini, Aldo Fraccaroli, Erminio Bagnasco ecc.) e ai riscontri oggettivi offerti da alcuni commilitoni, non per ultimo Sergio Denti nella sua biografia raccolta da Enrico Nistri (l’ultimo assaltatore).
    Il testo, rivela la personalità e le gesta di un uomo semplice ed umile, orfano di guerra che non si sottrasse mai al suo dovere e non voltò mai le spalle al nemico. Protagonista di episodi singolari e particolari, si trovò spesso al centro di fatti di indubbia rilevanza storica. Fu tra l’altro l’ultimo responsabile del vecchio faro di Fiumara Grande prima che i tedeschi lo distruggessero durante la loro ritirata. Il suo contributo fu riconosciuto con 2 encomi solenni, due croci di guerra e una promozione sul campo. E’ un racconto della guerra secondo il punto di vista di uno dei tanti attori dell’epoca.
    Sento il bisogno di condividere questa esperienza perché è forte in me il desiderio di non dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Un futuro senza memoria storica  risulta spaventosamente vuoto e pericolosamente alla deriva come purtroppo i fatti del momento ci stanno evidenziando. Gli esempi di quanto siano state belle e allo stesso tempo dure le pagine scritte dagli uomini della nostra marineria, costituiscono un patrimonio sempre vivo da custodire e ampliare affinché i figli non dimentichino mai i sacrifici compiuti dai loro padri.
    Se può interessare, le allego una sintesi della sua biografia e la copertina del libro.
    Cordialmente
    Angelo Castagna

    Editore: Youcanprint
    Codice: EAN 9791220389907
    Anno: 2022 – Febbraio
    Pagine: 116

    Pietro Castaldi

    (Lacco Ameno (Ischia), 21.12.1913 – Casamicciola Terme (Ischia), 13.8.2005)

    Scrivendo del passato, si ricordano navi e uomini, oggi vorrei dedicarvi la storia di uno qualunque…

    Capo segnalatore Pietro Castaldi nato a Lacco Ameno (Ischia) il 21 dicembre 1913. Orfano di guerra non conobbe mai il padre
    Nel 1929, a 16 anni, partecipò ad un concorso della regia Marina e frequentò la scuola CREM prima a Varignano, poi a Pola e ancora a Varignano dove ottenne la qualifica di segnalatore.
    A 18 anni entrò in ferma quadriennale e fu trasferito nella categoria segnalatori. Fu assegnato ai fari di punta Imperatore, (Forio d’Ischia), poi all’isola di Ponza (dove conobbe vari esiliati politici tra cui: Giorgio Amendola, Pietro Secchia, Giuseppe Romita, Pietro Nenni).
    Destinato dopo pochi mesi alla scuola avieri di Lacco Ameno (Ischia) insegnava fari e fanali.
    Nel 1932 fu promosso sottocapo e prese posto al distretto MARIZONA di Napoli come segretario del capo dipartimento.
    Nel 1934 fu confermato nella ferma biennale e imbarcato sul cacciatorpediniere Saetta.
    Nel 1937 al comando del capitano di corvetta Giulio Cerrina Feroni, partecipò al blocco navale del Canale di Sicilia, allorquando affondarono la nave cisterna El Campeador (primo atto ostile della Regia Marina contro una nazione non belligerante). Nello stesso anno fu confermato nella ferma sessennale e promosso 2° capo.
    Nel Maggio 1938 partecipò sulla stessa nave alla rivista in onore di Hitler.
    Dal Novembre 38 ritornò alle sue mansioni stavolta presso il distretto MARIPERS di Napoli fino al 1941.
    Nel 1941 fu imbarcato sulla motonave requisita Beatrice che nel giugno dello stesso anno faceva parte del convoglio “Aquitania” in rotta verso l’Africa, quando fu affondata a seguito di un attacco aerosilurante nemico (gravemente danneggiata fu finita il giorno dopo dal Camicie Nere) sulle secche di Kerkennah. Si salvò restando sei ore in acqua prima di essere recuperato dall’equipaggio del regio cacciatorpediniere Camicie Nere, riportando la perforazione permanente del timpano destro. Nella stessa azione, fu affondato anche il piroscafo Montello che non ebbe sopravvissuti.
    Nel novembre del 41, su sua richiesta fu imbarcato sulla torpediniera Orsa una delle 4 unità provviste di ecogoniometro in quel periodo, dove rimase fino a dicembre del 42. Operò sotto il comando dei pluridecorati tenente di vascello E.Henke (di cui divenne amico personale) e poi del capitano di corvetta Enrico Bucci e fu commilitone tra gli altri, del marò torpediniere anch’esso pluridecorato Sergio Denti (poi assaltatore della X M.A.S. che danneggiò gravemente con un barchino esplosivo, l’ultima nave nemica della 2° guerra mondiale, il cacciatorpediniere francese Trombe).

    Missioni più importanti
    Nel Gennaio 42, trasportarono in solitaria, 20.000 litri di carburante stivati sulla coperta. Operazione talmente rischiosa che fu emanato un ordine con deferimento alla corte marziale e conseguente pena di morte per chiunque avesse acceso anche solo un fiammifero o avesse proceduto a preparare pasti durante la traversata.
    Il 5 Aprile 1942 (comandante Henke) durante una caccia antisommergibile nel canale di Cerigo, individuate le scie di due siluri lanciati da unità ostile, in condizioni meteo proibitive riuscirono ad ingaggiare il nemico che dopo una severa lotta fu affondato (sommergibile inglese Triumph). L’azione venne riconosciuta con l’attribuzione della prima croce di guerra e promozione sul campo.
    Al 22 di Maggio durante una missione antisommergibile al largo di Lecce, fu ingaggiato un bersaglio subacqueo. Dopo il lancio di una serie di bombe di profondità, Henke ritenne di aver affondato un sommergibile nemico, per l’azione Capo Castaldi ricevette un encomio solenne. Più tardi si scoprì che il bersaglio era il relitto dell’incrociatore ausiliario Deffenu affondato precedentemente e di cui l’equipaggio non aveva avuto comunicazione.
    Al 24 Luglio 1942, di scorta alla motonave Vettor Pisani assieme alla regia torpediniera Calliope, subirono un attacco multiplo ad opera di aerei nemici. Riuscirono ad abbattere tre aerei ma la motonave colpita e danneggiata fu rimorchiata a traino dall’Orsa fino al porto di Luxuri (GRECIA) dove fu salvato una parte del carico e l’equipaggio. Capo Castaldi ricevette un encomio solenne.
    Sottufficiale segnalatore ricopriva alternandosi con i suoi parigrado diverse mansioni tra cui addetto alle coordinate di tiro e infermiere di bordo, fu tra i primi a soccorrere il comandante Bucci ferito alla testa dopo una epica battaglia tra le isole del Dodecaneso 8/11 settembre 1942 al termine della quale entrarono nel mar piccolo di Taranto issando 4 bandierine per aver affondato due sommergibili e due aerei nemici, azione per la quale ricevette la sua seconda croce di guerra ( citata nei bollettini di guerra 835 e 838).
    Partecipò a bordo della regia torpediniera Orsa a circa 42 missioni nel corso di 13 mesi (scorta convogli, caccia antisommergibile, trasporto carburante).
    Nel gennaio del 1943 fu reimbarcato sul r.c.t. Saetta che poi affondò urtando una mina al largo della Tunisia il mese seguente, quando era al comando il capitano di corvetta Enea Picchio. L’episodio non fu riportato sull’estratto matricolare in quanto il suo imbarco (urgente per sostituzione) non fu registrato. Infatti in quel periodo era stato destinato a Sapri in qualità di capoposto del presidio ma non ci arrivò mai. Rimase in acqua per due giorni assieme a 38 superstiti prima dell’arrivo dei soccorsi.
    Nel marzo del 1943, destinato al faro di Fiumara Grande come capo vedetta, fu sorpreso dai tedeschi alla sera del 13 settembre subito dopo la proclamazione dell’armistizio. Catturato assieme a due commilitoni riuscì a sfuggire miracolosamente al suo destino aggredendo e disarmando una guardia quando era già sul camion che li stava traducendo ai campi di concentramento del nord Italia. Passò oltre tre mesi a girovagare nelle campagne laziali e campane nascondendosi dal nemico che operava numerosi rastrellamenti, patendo fame, freddo e procurandosi numerose ferite, fino al primo gennaio del 44 quando riuscì, adempiendo agli ordini, a ritornare presso il distretto di appartenenza. Arrestato e accusato di diserzione e collaborazione con gli occupanti, nonostante le precarissime condizioni di salute, fu trattenuto in prigione per diversi giorni assieme ai suoi due compagni di fuga e subì molti interrogatori. Posto in convalescenza per tre mesi, fu successivamente sottoposto a processo e poi definitivamente riabilitato nel grado e nelle mansioni fino al termine del servizio.
    Nel 1948 lasciò il servizio attivo e posto in riserva fino al 1956 quando con successiva promozione andò in pensione.
    Dal 1962 fu comandante dei vigili urbani del comune di Casamicciola Terme e prestò opera di volontariato fino al 1976 presso il Pio Monte della Misericordia nello stesso comune.
    Nel 1990 dopo che Giulio Andreotti rivelò l’esistenza di GLADIO poi confermata anche da Francesco Cossiga, Pietro Castaldi sciolto il vincolo di segretezza, rivelò alla famiglia di esser stato reclutato negli anni 50 e di aver avuto ruolo attivo fino al 1965. Mia nonna ricordava che si recava in Sardegna per esercitazioni una volta l’anno…ma era già pensionato!
    Deceduto a Casamicciola Terme (Ischia) il 13 agosto del 2005 all’età di 92 anni.

    Della sua storia si interessò un famoso giornalista storico verso l’inizio degli anni 80 al quale si rifiutò di rilasciare alcuna intervista.
    Era mio nonno uno dei tanti di cui non si è mai parlato e le sue memorie le ho raccolte nel libro “Perso nella guerra” perché gli eroi non erano solo i comandanti ma spesso anche i sottoposti…

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    Alessandro Cocco (Torino, 9.5.1970 – 6.2.2022)

    di Andrea Martinelli

    (Torino, 9.5.1970 – 6.2.2022)

    …riceviamo e con profondo dolore, misto a commozione, pubblichiamo.

    Il 1° Mrs. Lgt. Alessandro Cocco, nato a Torino il 9 maggio 1970, ma Toscano D.O.C., è stato un esperto uomo di mare, un sottufficiale di eccellenti qualità morali, che ha sempre dimostrato di saper guidare con elevata competenza le quotidiane ed  impegnative attività marinaresche.

    Nel suo costante impegno di vita, a contatto con i colleghi, si è distinto non solo per le sue doti di abnegazione al servizio, ma è emerso il suo altruismo, non comune, unico e schietto, di amico sincero, di padre felice, di marito generoso, di figlio ineguagliabile.

    Da quando Alessandro ci ha lasciato, il giorno 6 febbraio 2022, il dolore è stato molto forte, una perdita inaspettata, difficile da scacciare, impossibile da elaborare; tramite queste due righe molto sentite, vorrei fare giungere al profondo del cuore, di chi lo ha conosciuto e ha potuto apprezzare: la luce dei suoi occhi, il ricordo del suo sorriso, la grande gioia che aveva di vivere in modo semplice e sincero.

    Adesso riposa in pace fra i flutti dell’Altissimo, nell’immenso mare della Misericordia Divina, cullato dagli Angeli.

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Francesco Montesano (Valsinni (MT), 21.5.1922 – 26.9.2015)

    di Pasquale Montesano (1)

    (Valsinni (MT), 21.5.1922 – 26.9.2015)

    … riceviamo e con immenso infinito orgoglio pubblichiamo.

    Gent. mo Vinciguerra,
    come già in precedenza comunicato, ho ritrovato la foto da marinaio di mio padre Francesco, insieme a un documento, una dichiarazione integrativa per la concessione dei benefici previsti in favore dei combattenti della 2° Guerra Mondiale.  Non so se si riferisce anche alla concessione della Croce di Guerra o di altro. Nel documento, tra l’altro, sono indicati anche il numero di matricola e la qualifica a suo tempo rivestita. Francesco Montesano – nato Valsinni (MT) il 21/05/1922 – ivi deceduto il 26/09/2015.
    Coniugato con Antonietta  Lista, nata  il 06/07/1922  e deceduta  il 2/03/2013.
    Dalla loro unione, durata 67 anni, sono nati cinque figli: Pasquale, Franco, Giuseppe, Salvatore e Maria Teresa.

    Non so se queste poche righe possano considerarsi un articolo. Della vita di mio padre e credo di tutti i padri, si potrebbe scrivere un romanzo, ma non è il caso in questo contesto. Il mio vuole essere solamente un ricordo per il Suo, Vostro, (ed ora anche mio) giornale, per tutti i marinai, per quanti hanno conosciuto, stimato e apprezzato Francesco Montesano, prima marinaio, capo cantoniere dopo. Tutto il resto appartiene a noi familiari, al nostro privato, ai nostri sentimenti. Noi figli abbiamo avuto la fortuna di avere una madre adorabile ed un padre attento e affettuoso, forse scarno di parole e di atteggiamenti emotivi, ma sempre prodigo di consigli e di quegli ammaestramenti che hanno lasciato il segno nelle nostre vite: l’onestà, la rettitudine, il senso del dovere, l’amore per la famiglia, il reciproco aiuto nei momenti del bisogno, il rispetto per il prossimo e per le istituzioni.
    Quando ci ha lasciati, un mio collega della redazione materana della Gazzetta del Mezzogiorno lo ha anche ricordato come l’ultimo reduce residente della seconda grande guerra nel nostro e suo paese natale, Valsinni.  Ma la Terra natia o chi istituzionalmente la rappresenta, in anni in cui purtroppo prevale l’apparire e l’apparenza, sovente dimentica proprio i suoi figli, quegli uomini che hanno combattuto o si sono immolati in nome di un mondo migliore e più libero rispetto ai tempi in cui hanno vissuto la loro giovinezza.
    In occasione della pubblicazione del saggio sull’Ammiraglio Egidio Alberti (2), è stato spontaneo e doveroso ricordarlo perché essere stato marinaio per lui era sempre un vanto, un frangente importante della sua vita, pur nelle difficoltà del suo servizio militare, degli spostamenti di sedi e nelle operazioni di guerra. Quante volte ha ricordato a me e ai miei fratelli il tragico affondamento nel luglio del 1943 del Dragamine Durazzo, sul quale era a bordo, ad opera del sommergibile inglese Safari nell’insenatura di Pinarello (sulla costa orientale della Corsica). Aveva gli occhi lucidi allorché ricordava la morte di alcuni suoi compagni, le problematicità e il miracolo, come amava definirlo, del suo salvataggio, del toccare terra.  Per noi piccoli era il racconto di un’avventura avvincente e a lieto fine, ma per mio padre restava una ferita sempre aperta: la drammaticità di quella guerra, i lutti, i dolori, le conseguenze in tante famiglie, gli orfani.

    A bordo delle navi militari e sulla terra ferma aveva imparato a fare anche l’elettricista e nell’adoperare fili, spine, pinze, cacciaviti e tester è stato sempre molto bravo. Alcuni anni dopo la guerra fu assunto, a seguito di concorso, come cantoniere dell’Anas (lo era stato anche suo padre Pasquale, reduce e Croce al merito della prima grande guerra), e successivamente Capo dei tronchi stradali a lui assegnati dal Compartimento di Potenza. Subito dopo la pensione è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica Italiana. La Marina però gli era rimasta nel cuore. Fino a quando la vista e gli acciacchi glielo hanno consentito è stato abbonato ad una rivista della Marina Militare Italiana ed iscritto all’Associazione di Matera.
    E per mio padre, ritengo quanto mai appropriata la citazione di Luciano De Crescenzo che ho riportato nel saggio su Egidio Alberti, un ammiraglio di grande spessore professionale e umano, notoriamente molto amato dai suoi marinai e da quanti negli Arsenali e in altri contesti hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzarlo:  ‹‹I marinai fanno parte del popolo e il popolo è nobile. Essere nobili vuol dire essere fieri di quello che si é››.

    A Lei, carissimo Ezio, ai Suoi validissimi collaboratori, a “La Voce del marinaio”, autentica, preziosa testimonianza di vicende storiche e umane, va il mio più sincero apprezzamento, unito ad un sentito, caloroso ringraziamento per la vostra  attività e per gli insegnamenti che quotidianamente elargite.

    (1) Pasquale Montesano è nato a Valsinni, vive e lavora a Matera. Già Direttore tributario dell’Agenzia delle Entrate, svolge ora attività di giornalista pubblicista. Studioso di storia patria e di tradizioni popolari, ha pubblicato Il giorno per tutti (Rocco Fontana editore, 1984), Il Glorioso San Fabiano Patrono di Valsinni (Editrice BMG, 1998); Isabella di Morra – Storia di un paese e di una poetessa (Altrimedia Edizioni, 1999); “Magia e riti nella Valle del Sinni”, in Le Terre del Silenzio. Ricerche, studi e documenti per la storia del Basso Sinni (Associazione Culturale INLOCO, 2002); la raccolta di poesie dialettali La Calma e il Vento (Antezza Editori, 2003); la monografia Giuseppe Melidoro – un galantuomo illuminato (Profecta, 2014); Isabella Morra alla Corte dei Sanseverino (Altrimedia Edizioni, 2017). A cura della Deputazione di Storia Patria per la Lucania: “Riflessioni a margine del caso Isabella Morra”, in Bollettino Storico della Basilicata n. 22 (Osanna, 2006); Il Fascismo in un paese del Sud – Valsinni 1920-1945 (Antezza Editori, 2007); Rivolta legittimista e brigantaggio a Favale (EditricErmes, 2014).

    (2) Egidio Alberti, l’ammiraglio in tuta da lavoro che citava Sant’Agostino
    di Pasquale Montesano 

    Il 20 ottobre 1950 Egidio Alberti entra come Allievo Ufficiale di Stato Maggiore nella 1^ classe dell’Accademia Navale di Livorno, e in quella prestigiosa scuola ebbe inizio la sua carriera, tra studi nelle aule specialistiche e nei laboratori e la formazione sui mari, nelle crociere estive di addestramento sulla mitica “Vespucci” in giro per il mondo, nei famosi e indimenticabili “corsi oceanici”, nei quali gli allievi andarono anche negli Stati Uniti d’America, attraversando così l’Oceano Atlantico. Ufficiale nel 1954, nei successivi 38 anni di Marina, trascorsi in oltre 20 destinazioni di servizio, è stato imbarcato per circa 24 anni a bordo di quasi tutti i tipi di unità, sia quale ufficiale preposto alla Direzione del tiro delle artiglierie, sia come Comandante per alcune di esse.
    In particolare ha comandato i dragamine “Lerici”, “Faggio”, “Castagno”, “Noce” (1963-1964), le corvette “Alcione”, “Cormorano” (1964-1965), la fregata “Bergamini” (1973-1974), l’incrociatore portaelicotteri “Caio Duilio” (1979-1980) e, per quasi tre anni, la 3^ divisione navale che alza l’insegna sulla nave anfibia “San Giorgio” (1986-1989). Comandante di Marisardegna a La Maddalena (1989-1991).
    Egidio Alberti, personalità illustre, che con la vita, la carriera, l’umiltà, l’esempio di uomo integerrimo e di ufficiale della Marina Militare Italiana con il grado di Ammiraglio di Squadra, ha onorato la terra d’origine, la famiglia, le Forze Armate. Non è stato difficile elencare le tappe del suo percorso di ufficiale e di scoprire le qualità e i pregi non comuni di un Uomo ammirato e amato da quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Il saggio su Egidio Alberti di Pasquale Montesano è impreziosito dalle testimonianze degli ufficiali e dei marinai che ne evidenziano gli insegnamenti e il lascito morale, la scuola di vita che ha consegnato loro.

    DETTAGLI PUBBLICAZIONE

    • Titolo : Egidio Alberti
    • Sottotitolo : L’Ammiraglio in tuta da lavoro che citava Sant’Agostino
    • Autore : Pasquale Montesano
    • Genere : Biografia
    • Anno : 2020
    • Pagine : 156
    • Formato : 15×21
    • Allestimento : Brossura con bandelle
    • ISBN : 9788869601002
    • Prezzo : 17 €

    IL LIBRO SI PUO’ PRENOTARE SU:

    https://www.altrimediaedizioni.com/shop-altrimedia/egidio-alberti/ 

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    18.5.1943, affonda regia nave Enrico Gismondi

    … riceviamo e con orgoglio pubblichiamo e dedichiamo al Marinaio Giuseppe Sancarlo nato a Palermo il 2 settembre 1918 e deceduto il 18.5.1943 nel Mar Mediterraneo Centrale.

    Buongiorno Ezio,
    sto facendo una ricerca sulla nave ausiliaria Gismondi (in sigla F80), affondata da aerei alleati il 18 maggio 1943 a Pantelleria. Nell’affondamento si verificò un bellissimo atto di eroismo da parte del timoniere, marinaio Sancarlo Giuseppe, che meritò la medaglia d’argento alla memoria (di cui ho la motivazione). Vorrei ricordare ai giovani quell’episodio, ma in Internet niente di niente, nemmeno una foto della nave (ho trovato soltanto una cartolina postale con il timbro della nave).
    Confido nella folta e agguerrita schiera dei nostri amici de La voce del marinaio (marinai sempre in servizio!) per avere qualche notizia in più al riguardo.
    Un abbraccio affettuoso grande quanto il mare.
    Orazio Ferrara


    Buonasera Orazio,
    questo è quanto siamo riusciti a trovare sulla Nave Ausiliaria “Enrico Gismondi”:
    ENRICO GISMONDI: piroscafo – pesca – 698 tonnellate stazza lorda
    Costruito nel 1921 in Francia con il nome di “Sagittaire” nei Chantiers de Bretagne di Prairie-le-Duc come peschereccio d’altura, fu consegnato nel gennaio 1922 alla Società Armatrice Nouvelle des Pecheries à Vapeur di Arcachon. Successivamente, nel 1929, nel 1933 e nel 1934 passò ad altre società armatrici.
    Nel 1938 fu acquistato dalla Soc. An. Pesca e Navigazione Merluzzo Italiano di Genova ed iscritto in quel Compartimento Marittimo con il numero di matricola 2192, assumendo il nome di “Enrico Gismondi”.
    Fu requisito dalla Regia Marina a Livorno il 2 luglio 1940 e, in pari data, iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato  con la sigla F. 80.
    Utilizzato come nave scorta di pilotaggio foraneo, il 18 maggio 1943, mentre effettuava una navigazione costiera da Pantelleria a Punta Limarsi venne colpito e incendiato durante un attacco aereo nemico. Fu quindi portato ad incagliarsi in località Ballata dei Turchi nell’isola stessa.
    Con tale data fu derequisito e radiato dal ruolo del naviglio ausiliario.
    Venne considerato definitivamente perduto con la data dell’11 giugno 1943 a seguito dell’occupazione di Pantelleria da parte del nemico.