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    24.5.1915, i treni armati

    di Virginio Trucco (*)
    Foto per gentile concessione dell’autore a www.lavocedelmarinaio.com 
    (Fonte Ufficio Storico della Marina Militare)

    Già nelle prime ore del 24 maggio 1915, nonostante le città della costa Adriatica, fossero state dichiarate città aperte, unità della flotta Austro-Ungarica bombardarono importanti centri costieri con l’obbiettivo di creare il panico nella popolazione e movimenti di opposizione alla guerra. Vista la lunghezza delle coste e l’impossibilità di mantenere in mare con continuità navi per la difesa costiera, e vista la scarsità di pezzi d’artiglieria del Regio Esercito, tutti impegnati sul fronte dell’Isonzo, visto lo sviluppo della linea ferroviaria Adriatica, per lunghi tratti allora come oggi corre parallelamente alla costa, l’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, l’allora capo di stato maggiore della Marina, pensò di utilizzare pezzi di origine navale, di cui la Marina aveva forti scorti, montati su carri ferroviari che opportunamente posizionati sulla linea potessero intervenire rapidamente contro gli attacchi nemici. Nel mese di luglio, la Regia Marina, prese accordi con il ministero dei lavori Pubblici per l’utilizzo della linea e l’invio di materiale rotabile presso l’Arsenale di La Spezia, al fine di approntare i convogli. L’arsenale, fino al settembre 2016, realizzò 10 convogli, che furono distribuiti sulla linea Adriatica. Con le prime consegne a settembre 1915. L’armamento dei treni era composto da cannoni da 120/40,152/40 ed per il tiro antiaereo di 76/40. Il materiale rotabile, comprendeva carri PO, POz, F, FI ed FF, più carrozze ABz e bagagliai DPz, i carri a pianale, furono rinforzati e dotati di appositi mensoloni con piede a vite per lo scarico delle sollecitazioni sulla rotaia e sulla massicciata, e per i cannoni di maggior calibro vennero costruite apposite sponde al fine di permettere l’utilizzo dei pezzi brandeggiati.
    A seconda dell’armamento variava la composizione del treno.

    Treno “ 1° Tipo” 6 convogli
    1 locomotiva gruppo 290 o 875 in testa
    1 carro Po modificato utilizzato come carro comando e D.T.(direzione del tiro)
    1 carro Poz con due pezzi da 76/40 contraerei
    1 carro F utilizzato come santabarbara
    4 carri Poz con un pezzo da 152/40
    1 carro F utilizzato come santabarbara
    1 locomotiva gruppo 290 0 875 in coda.

    Treno “ 2° tipo” 5 convogli
    1 locomotiva gruppo 290 0 875 in testa
    1 carro Po modificato utilizzato come carro comando e D.T.
    2 carri Poz con due pezzi da 120/40 per carro
    2 carri Poz con due pezzi da 76/40 antiaerei o due mitragliatrici antiaeree
    1 locomotiva gruppo 290 o 875 in coda.

    Treno” 3° tipo” un convoglio
    1 loc gruppo 290 0 875 in testa
    1 carro Po modificato utilizzato come carro comando e D.T.
    4 carri Poz con due pezzi 76/40 e 2 mitragliatrici antiaeree
    1 carro FF utilizzato come officina
    2 carri F utilizzati come santabarbara
    1 loc gruppo 290 o 875 in coda.

    Per ogni treno, vi era poi un treno logistico, per l’alloggio dei marinai e le riparazioni
    1 locomotiva gruppo 290 o 875 in testa
    1 carro serie FI utilizzato come cucina e cambusa
    2 carri FF utilizzati deposito materiali, officina e alloggio personale
    1 carrozza Abz 1910 utilizzato come alloggio ufficiali e sottufficiali
    1 bagagliaio DPz utilizzato come alloggio marinai
    2 carri F utilizzati come deposito munizioni.

    Dei 10 treni in servizio furono approntati 2 con cannoni da 152/45, 2 con cannoni da 152/40, 4 con cannoni da 120/40 e uno con cannoni da 76/30.

    L’assegnazione delle tratte ai vari tipi dei treni, tenne conto sia del tipo di minaccia che dovevano affrontare, sia la distanza della linea ferroviaria dalla costa.
    Ad ogni treno, fu assegnato un tratto di costa di lunghezza fra i 60 e gli 80 Km. In questa tratta, veniva individuata un stazione, dotata di opportuni binari di ricovero, dove i due treni stazionavano di notte. Poco prima dell’alba, tutto il traffico ferroviario, veniva interrotto, e il treno armato si portava in una stazione atta ad incroci/ precedenze, sita a circa metà della tratta assegnata, detta stazione di appostamento, questo perché l’alba era l’ora migliore per le incursioni, il sole basso sull’orizzonte, rendeva difficoltoso l’avvistamento e la direzione del tiro. In particolari località particolarmente esposte, furono approntati, dei terrapieni, al fine di fornire un qualche riparo al treno. In caso d’allarme, erano state date opportune disposizioni ai dirigenti movimento, tutto il traffico doveva essere interrotto, tutti i treni ricoverati (la maggior parte della linea era a binario unico), in modo da lasciare libero transito al treno armato, che vista la velocità di circa 60Km/h, in più o meno mezzora, potevano raggiungere gli estremi della tratta assegnata, grazie all’addestramento degli equipaggi, dal momento della fermata il treno era pronto a far fuoco in 25 o 40 secondi a seconda del tipo di treno. Ogni treno era comandato da un tenete di vascello, specializzato in artiglieria e tiro, con una forza di 60/90 uomini fra sottufficiali e comuni, alle dipendenze del servizio dei treni armati, con sede ad Ancona ed alle dirette dipendenze del comando del dipartimento di Venezia. Completava l’equipaggio del treno personale ferroviario militarizzato adibito alla conduzione del convoglio, macchinisti, aiuto macchinisti, capotreno e frenatori.

    (MEDAGLIA TRENI ARMATI REGIA MARINA)

    Medaglia in argento coniata nel 1918 per i Treni Armati della Regia Marina. Durante della 1a Guerra Mondiale, per la difesa delle coste da incursioni navali, la Regia Marina sviluppò artiglierie mobili su treni armati da utilizzare in combinazione con le batterie fisse costiere ed il naviglio sottile. La valida esperienza, portò alla realizzazione di treni armati anche durante il secondo conflitto mondiale.

    Attività belliche dei treni armati
    Il primo treno armato entra in servizio nell’ottobre 1915. Il giorno 11 gennaio 1916 il T.A. che operava nella tratta Cervia-Pesaro, apre il fuoco con i suoi pezzi antiaerei contro 4 idrovolanti austro-ungarici che stavano bombardando Rimini, uno dei veicoli e colpito e costretto ad ammarare, il 15 febbraio interviene di nuovo contro idrovolanti che bombardavano Rimini. Il 17 gennaio 1916 il treno che operava nella tratta Pesaro – Palombina respinge un attacco aereo su Ancona un veicolo nemico, viene abbattuto, il 28 novembre 1916, interviene contro unita austriache che stavano bombardando la costa marchigiana concentrandosi contro un treno merci appena partito da Fano, vengono sparati 17colpi da 152 e 18 da 76mm, il fuoco costringe le unità nemiche a ritirarsi. Il 5 novembre 1916 il T.A. che operava nella tratta Giulianova – Torino di Sangro, interviene per contrastare l’azione di bombardamento del paese di Sant’Elipo a Mare effettuato da 3 torpediniere, l’efficace fuoco costringe le unità nemiche ad interrompere il bombardamento, in dieci minuti vengono sparati 25 colpi da 120mm. Il 3 febbraio 1916 il treno che operava nella tratta Torino di Sangro – Ripalla , contrasta l’azione di bombardamento portata da un incrociatore corazzato, tre cacciatorpediniere e due torpediniere, verso le stazioni di Ortona e San Vito Lanciano, il fuoco antinave, costringe le unità a interrompere l’azione. Il 2 novembre 1917, il T.A. che operava nella tratta Bellaria – Cattolica, apre il fuoco contro un idrovolante impegnato in azione di lancio di volantini, il 28 novembre si porta su allarme a Rimini per contrastare l’attacco portato da unità nemiche a Porto Corsini, apre il fuoco contro le unità austriache costringendole ad allontanarsi.. il 27 luglio 1916 il T.A. che operava sulla tratta Barletta – Monopoli in cooperazione con altro T.A. produce un intenso fuoco antiaereo che fa interrompere l’azione di bombardamento portata da idrovolanti austriaci su Bari e Molfetta. Il 3 aprile 1916 il T.A. dislocato ad Ancona come batteria fissa antiaerea, durante un pesante bombardamento aereo sulla città abbatte 3 dei 5 aeri attaccanti nonostante sia fatto lui stesso segno di bombardamento che provoca 5 feriti fra l’equipaggio. Il 27 luglio 1916. il T.A. che operava nella tratta Barletta – Bari , in concorso con altro T.A. contribuisce a far interrompere l’attacco aereo contro Bari e Molfetta, il 28 novembre 1917, entra in azione contro due idrovolanti nemici che attaccano Barletta, un velivolo viene abbattuto.
    A partire dal 1917, con la costruzione di batterie costiere fisse, il numero dei treni armati inizio a diminuire, anche se alcuni di quelli armati con cannoni da 152 vennero utilizzati sul fronte terrestre.

    Bibliografia:
    Bollettino d’Archivio dell’ufficio storico Marina Militare numero Dicembre 2008 – Treni armati.
    Supplemento alla Rivista Marittima novembre 2002.

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    Gioacchino Cataldo (Isola di Favignana 24.5.1941 – 21.7.2018)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    (Isola di Favignana 24.5.1941 – 21.7.2018)

    Gioacchino Cataldo il rais

    Avevo già sentito parlare di lui. I marinai lo chiamano il “rais della tonnara” (il capo dei tonnaroti, l’uomo che comanda la mattanza, il custode dell’antica arte della tonnara) ed effettivamente il mare e la tonnara su di lui hanno un richiamo irresistibile. La cosa che mi saltò agli occhi al nostro primo incontro tantissimi anni fa, a Genova, fu la sua enorme stazza. Quando me lo sono visto davanti sembrava un dio greco sceso in terra: imponente nella stazza, pelle abbronzata impregnata di sale, una barbona folta ancora bruna nonostante l’età. Sotto la camicia sbottonata, porta sempre al collo in bella mostra il suo gioiello preferito, un dente di pescecane impreziosito da una montatura in oro. E’ talmente imponente da svettare di un buon mezzo metro su di me ed ha l’aspetto da vecchio lupo di mare …non a caso lo chiamiamo “Poseidon”. I nostri sguardi si sono subito incrociati e cercati. Dopo le presentazioni di rito ci siamo messi a parlare ovviamente di cose di mare. Gli chiesi della mattanza dei tonni. Lui mi descrisse le tecniche di pesca; dimensioni, estensioni e posizionamento delle reti; movimento e afflusso dei tonni e il ritmo del lavoro di squadra dei tonnaroti.
    Mi raccontò che nella fase culminante della mattanza, i tonni, sapientemente condotti attraverso un sistema di camere collegate consecutivamente, restano prigionieri nella camera della morte e qui vengono arpionati, uno ad uno, e sollevati sulle barche. Mi disse che questo è il momento più intenso e concitato e il lavoro diventa faticosissimo perché ci si può trovare di fronte a tonni del peso di alcune centinaia di chilogrammi. Gioacchino è depositario di particolari conoscenze e abilità, trasmesse di generazione in generazione. Per questo motivo è iscritto nel Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia (Libro dei Tesori Umani Viventi), nel senso attribuito dall’Unesco (Intangible Cultural Heritage) nella convenzione approvata nel 2003. Una vita passata a cacciare tonni, ad affinare con l’esperienza la propria arte di pescatore, fino a diventare il capo della tonnara. Si racconta che la tonnara di Favignana (l’isola in cui Gioacchino dimora d’estate) ha catturato una miriade di tonni (sebbene il pescato delle ultime stagioni si sia attestato attorno ai milletrecento) e i tonnaroti rappresentano i detentori di un’arte che è prima di tutto un motore per il turismo e l’attività da cui dipende la sopravvivenza stessa della comunità residente sull’isola.

    La mattanza, da attività economica fondamentale, si è trasformata in spettacolo a beneficio dei turisti. A questo proposito “Poseidon” mi dice: “a Favignana i turisti sono molto più numerosi dei tonni”. Quello di Favignana è il pregiato tonno rosso che Gioacchino porta in giro per l’Italia, perché d’inverno il “Rais” diventa il conteso cuoco delle belle serate di società dove lo ingaggiano per preparare succulenti polpette di tonno e inimitabili crudi ai quali lui solo riesce a dare un tocco di unicità, per impartire lezioni ai giovani allievi nelle scuole alberghiere e per parlare della sua grande passione: la mattanza.
    Di lui ho il ricordo di due dediche scritte in un biglietto che conservo gelosamente:
    – Carissimo Ezio, stupendi ti saranno i bei ricordi, se tu essi con la mente li rivivi;
    – Ezio, alcune volte un sincero grazie, detto con il cuore e con la luce degli occhi, basta per rendere felice un uomo.

    Dopo essersi difeso eroicamente per giorni senza darsi per vinto (nessuno nelle sue condizioni sarebbe riuscito a resistere così a lungo), all’una e trenta della scorsa notte il gigante buono, il figlio del mare si è arreso.
    Gioacchino ci lascia e va via con la solarità che lo ha sempre contraddistinto: regalando un ultimo sorriso a tutte le persone che in questi giorni sono passate a salutarlo o che lo hanno cercato al telefono; la mente lucida, il corpo martoriato dalla malattia.
    Gioacchino Cataldo, il Rais, saluta la sua Favignana e se va portando con sé un pezzo di storia di questa bellissima isola che lui ha amato con tutto il suo cuore.
    Ci lascia una persona perbene, un Uomo onesto e generoso, una persona d’altri tempi e dalle buone maniere; va via un personaggio controverso, sicuramente non perfetto ma che in tutte le vicende della sua vita ci ha sempre messo la faccia e il cuore; ci lascia un Uomo che ha vissuto la sua vita intensamente, che l’ha amata e avrebbe voluto viverla appieno ancora; e poiché questo non era più possibile, ha preferito lasciare.
    Muore da eroe: con la salute compromessa e il corpo notevolmente indebolito, ha avuto il coraggio di affrontare insieme a noi figli un lungo viaggio pur di ritornare nella sua casa e vivere i suoi ultimi giorni circondato dall’affetto dei suoi cari.
    Favignana perde il suo Rais, noi perdiamo un papà unico e speciale; nostra madre che non ha mai smesso di stargli accanto nonostante le difficoltà del cammino insieme, perde il compagno di una vita e il vuoto che lascia dentro di noi sarà incolmabile.

    “Caro papà, ti chiediamo scusa se non ti abbiamo tirato fuori prima da un calvario di più di 3 mesi di ospedale; in cuor nostro speravamo che con le cure le tue condizioni di salute sarebbero migliorare (ringraziamo i tanti bravi medici e infermieri che hanno cercato amorevolmente di curarti).
    Purtroppo la malattia si è accanita contro di te e in una battaglia impari dove sei stato attaccato su più fronti, alla fine hai dovuto accettare sportivamente la sconfitta.
    Ti voglio bene papà, più di quanto tu possa immaginare e ti ringrazio per avermi insegnato ad amare la vita, ad avere rispetto delle persone ma anche a pretendere rispetto, a mantenere a debita distanza le persone negative dando invece tutto il mio cuore a chi mi offre un piccolo pezzetto del suo; ti ringrazio per avere trasmesso a noi figli il tuo forte senso del dovere e della responsabilità e l’idea che ogni successo si ottiene solo attraverso grandi sacrifici.
    Fatti accarezzare ancora una volta sul viso, una carezza delicata come quelle che amavi farmi tu e sta sereno: non ti tormenterò più con i continui “come stai” perché adesso so che stai bene.
    Ti vedo papà… sei sulla tua barca al porticciolo di punta lunga, circondato dai gabbiani che ti stanno dando l’ultimo saluto, stretto dal fortissimo abbraccio dei tanti amici che ti vogliono bene e che sentiranno la tua mancanza.
    Fa’ buon viaggio papà.
    Anche se non ci è dato di sapere dove sei diretto, siamo sicuri che stai andando in un posto bellissimo dove potrai finalmente lasciarti cullare dalle onde del mare e riposare: riposare in quel mare che hai tanto amato e che è stato per te lavoro, sacrifici, passione, vita”.
    Ciao papà.
    Antonella, Pino, mamma
    #gioacchinocataldo

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    Alfonso Di Nitto (Gaeta, 24.5.1916 – Mare, 18.12.1941)

    
di Carlo Di Nitto

    banca-della-memoria-www-lavocedelmarinaio-com(Gaeta, 24.5.1916 – Mare, 18.12.1941)

    Disperso nei cieli di Malta con il suo aereo ricognitore.
    Mare Mediterraneo (Canale di Sicilia), 18 dicembre 1941.
    (foto p.g.c. della Famiglia)

    carlo-di-nitto-per-www-lavocedelmarinaio-comAlfonso Di Nitto nacque a Gaeta il 24 maggio 1916 da Andrea e da Ersilia Di Senno.
    Nel 1938 conseguì il diploma di Capitano di Lungo Corso presso la sezione “Capitani” dell’Istituto Nautico di Gaeta.
    Lo stesso anno venne ammesso alla frequenza del 34° Corso Allievi Ufficiali di Complemento presso l’Accademia Navale di Livorno. Nel giugno 1939 fu nominato Aspirante Guardiamarina nel Corpo dello Stato Maggiore. Il 1° luglio successivo imbarcò sul Cacciatorpediniere “Ostro” ove, nel mese di dicembre, venne promosso Guardiamarina. Dal 3 gennaio al 18 luglio 1940 imbarcò sulla Torpediniera “Calliope” partecipando alle azioni belliche compiute da questa Unità dall’inizio delle ostilità fino alla data dello sbarco.

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    Partecipò quindi al 18° Corso Osservatori presso la Scuola di Osservazione Aerea di Taranto e dal mese di agosto 1940 al mese di febbraio 1941 fu destinato alla 188a. Squadriglia Idrovolanti presso gli idroscali sardi di Elmas e di Olbia. Successivamente venne trasferito alla 186a. Squadriglia Ricognizione Marittima di base ad Augusta, in Sicilia. 
Aggregato più volte anche alla 144a. Squadriglia R.M., di base a Stagnone (Trapani), svolse numerosissime rischiose missioni, per le quali fu decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:

    Nelle numerose esplorazioni a grande raggio, di fronte ad ogni rischio, dimostrava doti esemplari di combattente ed elevata capacità professionale. – Cielo del Mediterraneo, luglio 1940 – agosto 1941“.

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Il 18 dicembre 1941 non rientrò alla base da una missione conseguente allo scontro navale denominato “Prima Battaglia della Sirte” e venne dato per disperso nei cieli di Malta.

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    Al Suo nome è intitolato il Gruppo ANMI (Associazione Nazionale Marinai d’Italia) di Gaeta.



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    Eugenio Avalos (15.9.1921 – 23.5.2010)

    di Antonio Cimmino

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    (15.9.1921 – 23.5.2010)

    16 novembre 1943 in ricordo di Eugenio Avalos e gli Eroi dimenticati dell’isola di Lero.

    antonio-cimmino-per-www-lavocedelmarinaio-com_1Sottocapo radiotelegrafista imbarcato sul regio cacciatorpediniere Procione, fu destinato, dopo l’armistizio, quando l’isola era ancora occupata da forze tedesche, nell’isola di Lero quale responsabile di stazione.

    regia-nave-procione-www-lavocedelmarinaio-com

    In servizio ricevette un Encomio Solenne con la seguente motivazione:
    “Imbarcato su torpediniera di scorta a convoglio, colpita da aereo che provocava incendi ed avarie, rimaneva al suo posto, partecipando alle operazioni per salvare la nave, rimanendo al suo posto finché il comandante non ne ordinava l’abbandono pochi istanti prima dell’affondamento” (Mediterraneo Orientale notte 4 settembre 1942).
    Per le sue qualità militari ricevette la Croce di Guerra con la seguente motivazione:
    mappa-dellisola-di-lero-www-lavocedelmarinaio-comQuale responsabile di stazione R.T. a Lero, conservava un apparecchio da campo con il quale riusciva a trasmettere, clandestinamente, importanti notizie, dimostrando serenità ed elevato sentimento del dovere” (Lero, 16.11.1943).
    Encomio Solenne con la seguente motivazione:
    “Operatore di Stazione della Marina dislocata in isola oltremare caduta sotto controllo nemico, riusciva a mezzo di apparato ausiliario occultato, a mantenere per circa un mese il contatto radiotelegrafico col Comitato operativo del settore, recando valido ausilio informativo alle operazioni” (9 settembre – 16 novembre 1943).

    AVVISO AI NAVIGANTI
    Cerchiamo ulteriori notizie e foto di Eugenio Avalos per inserirlo nella banca della memoria di internet.

    Era mio Padre… tornò in Patria e con la Sua adorata moglie Raffaella ha generato quattro figli…
    Quel Giovane, mio padre, è nato il 15 settembre1921. Anche se la storia la si impara sui libri, la Memoria tramandata rimane per me il modo migliore per mantenere vivo il nostro senso di consapevolezza.
    A Lei ancora il mio grazie
    Bruno Avalos


    Conservo il Suo Diario e la Croce al Valor Militare.
    Ha goduto dell’amore dei Suoi cari, compresi sei nipoti, fino al giorno il cui ha lasciato questa vita, il 23 maggio del 2010. A Voi il nostro ringraziamento sentito.

    Bruno Avalos

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    22.5.1929, varo regia nave Da Noli


    a cura Giuseppe Orlando
, di Claudio Confessore e Carlo Di Nitto

    OMAGGIO A LEONARDO LONGO, MARINAIO PER SEMPRE

    Ciao Ezio,
    il mio amico e concittadino Leonardo Longo mi ricorda che fra qualche giorno ricorre l’anniversario dell’affondamento del Cacciatorpediniere Antonio Da Noli il cui motto era: “PRENDIMI TECO A L’ULTIMA FORTUNA”. 
E’ stato affondato da aeri tedeschi dopo l’8 settembre al largo delle Bocche di Bonifacio – dopo un giorno la stessa sorte è toccata alla regia corazzata Roma.
    In quell’evento persero la vita 228 Marinai oltre il Comandante Capitano di Fregata Pio Valdambroni e il Direttore di Macchina Maggiore Paolo Rabboni quest’ultimo, Medaglia d’Oro al Valor Militare, era nativo di Caronia (Messina), dove attualmente vivono i suoi parenti – il nipote Leonardo Longo che vive a Milano – ogni anno dedica un post sulla sua bacheca di Facebook – noi Marinai di sempre – ci associamo a ricordare e onorare il nostro compaesano M.O.V.M. Paolo Rabboni assieme i nostri fratelli che si sono immolati in quell’evento che R.I.P.

    Note
    Parte dei superstiti del regio cacciatorpediniere Antonio Da Noli, con altri del Vivaldi, furono salvati nella serata del 12 settembre dal sommergibile britannico Sportsman e condotti in un campo di concentramento in Algeria, altri raggiunsero la Corsica lottando contro il violento vento spirante da est.
218 (per altre fonti 228) fra morti e dispersi e solo 39 sopravvissuti.
 Nel corso del conflitto l’unità aveva svolto 208 missioni di guerra per un totale di 70.466 miglia percorse e poco meno di 3300 ore di moto.
Il relitto del Da Noli è stato individuato nel settembre 2009, spezzato in due su fondali tra i 90 ed i 95 metri. Il ritrovamento del relitto del cacciatorpediniere Antonio Da Noli è avvenuto nel 1975 ad opera del corallaro Giovanni SPIGNO di S.Teresa Gallura, il quale durante una battuta di pesca al corallo nelle Bocche di Bonifacio (su un fondale di circa 90 95 metri) (con strumento ingegno o croce di Sant’Andrea), al momento di tirar su detta attrezzatura, si accorse che questa era piena di proiettili, avvisò subito le autorità italiane, che dopo qualche settimana mandarono sul posto la nave della Marina Militare Cavezzale che identificò il relitto, confermando che si trattava del cacciatorpediniere Antonio Da Noli, con lo scafo diviso in due parti.

    Bibliografia consigliata
    – Franco Bargoni. Esploratori Italiani. Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1996.
    – Aldo Cocchia. La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale. Vol. VII: La Guerra nel Mediterraneo – La difesa del Traffico coll’Africa Settentrionale: dal 1º ottobre 1941 al 30 settembre 1942. Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1962.
    – Pier Filippo Lupinacci. La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale. Vol. XVIII: La Guerra di Mine. Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1966.
Ufficio Storico della Marina Militare, La battaglia dei convogli: 1940-1943. Roma, 1994.
    – Agostino Incisa Della Rocchetta. Un CT e il suo equipaggio – mare Mediterraneo 1940-43. Ferrara, Giovanni Vicentini Editore, 1988.
    – Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La Marina tra vittoria e sconfitta 1940-1943, Mondadori 2001.
- Gianni Rocca, Fucilate gli ammiragli. La tragedia della Marina italiana nella seconda guerra mondiale, Mondadori.
    – Aldo Cocchia, Convogli. Un marinaio in guerra 1940-1942, Mursia 2004.

    Dello stesso argomento sul blog
    – 8 settembre 1943, requisito il regio sommergibile Bagnolini.

    Egregio sig. Ezio,
    in relazione alla richiesta di aiuto inviatami a suo tempo, posso completare la risposta e dopo aver esaminato l’Albo d’Oro della Marina Militare e sentito all’argomento anche ONORCADUTI, le riporto in allegato i nominativi dei morti e dispersi del Da Noli a seguito dell’affondamento avvenuto il 9 settembre 1943 ed anche quelli morti prima di tale data sia a bordo che a terra. Finalmente risolviamo anche l’indeterminazione dei numeri che dal dopoguerra ad oggi non erano mai stati risolti, alcune fonti parlavano di 218 altre di 228.
    Distinti saluti
    Claudio Confessore

    Egregio Claudio Confessore,
    mi sono permesso di pubblicare la sua mail per far comprendere, qualora ce ne fosse ancora di bisogno, chi sono i Marinai di una volta e, soprattutto, chi sono i veri Signori dei mari.
    Ogni altra mia parola in aggiunta sarebbe superflua e fuori luogo.
    Le chiedo anticipatamente di comprendere e perdonare questo petulante marinaio che, come Lei e altri Marinai di una volta, si ostinano ad amare la Marina Militare.
    P.s. Ho pubblicato l’articolo volutamente nel giorno dedicato ai Re Magi …che hanno portato in “dono” qualcosa!
    Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Lutto www.lavocecelmarinaio.comIl regio cacciatorpediniere Da Noli, insieme con il Vivaldi, il mattino del 9 settembre 1943 era in navigazione da La Spezia a Civitavecchia per imbarcare in quest’ultimo porto i componenti della casa reale, del governo ed i Capi Militari e trasportarli a La Maddalena. A seguito di valutazioni sulla sicurezza cadde l’ipotesi di imbarcare le predette Autorità a Civitavecchia e fu deciso di imbarcare il Re ed il suo seguito su nave Baionetta dal porto di Ortona per il successivo trasporto a Brindisi. La missione del Da Noli e del Vivaldi fu di conseguenza modificata e le due unità ricevettero l’ordine di portarsi nelle acque fra la Corsica e la Sardegna per attaccare il traffico tedesco in tale zona e poi raggiungere le forze navali al Comando dell’Ammiraglio Bergamini.
    Fra le 1600 e le 1715, raggiunte le Bocche di Bonifacio, si sviluppò una vivace azione fra i due Cacciatorpediniere e diverse motovedette e motozattere germaniche, alcune delle quali furono affondate e danneggiate ed altre costrette a riparare in costa. Poiché la costa non era lontana, intervennero anche le artiglierie da terra armate dai tedeschi. Il Da Noli fu colpito da due proiettili con danni non gravi ma nel tentativo di uscire dalla zona battuta dal tiro nemico urtò contro una mina. La nave affondò alle ore 1720 rapidamente a circa 5 miglia a ponente del faro di Pertusato (Bocche di Bonifacio), dividendosi in due tronconi.
    Il relitto del Da Noli è stato individuato nel settembre 2009 su fondali tra i 90/95 metri.

    regio cacciatorpediniere Antonio Da Noli - www.lvocedelmarinaio.com
    Su Internet ed in vari blog viene indicato in 218 (per altre fonti 228) il numero di morti e dispersi mentre i sopravvissuti sono stati solo 39, alcuni dei quali furono salvati il 12 settembre dal sommergibile britannico Sportsman e condotti in un campo di concentramento in Algeria mentre altri raggiunsero a nuoto la Corsica.
    Non ho l’elenco dei sopravvissuti per cui non posso confermare né il numero né indicare i nominativi. Per i morti ed i dispersi invece è possibile risalire all’elenco completo tramite l’Albo d’Oro della Marina e il data base di ONORCADUTI.
    Dalla consultazione sono scaturiti i seguenti elementi:
    – 9 settembre 1943: morti 10 dispersi il 212;
    – 10 settembre 1943: morto 1 (si tratta sicuramente di un ferito recuperato giorno 9)
    Il totale dei morti e dispersi nell’affondamento è quindi di 223 UOMINI.
    Per completezza di informazione si evidenzia che precedentemente all’ultima missione erano già deceduti per cause varie n° 6 uomini dell’Unità.
    Di seguito i nomi dei morti e dei dispersi.
    Morti il 9 settembre 1943 – 10 uomini
    AIELLO SANTO, COLLOVIGH EUGENIO, CURTO GIUSEPPE, LIPARI ANTONIO, MARINARI OLIVO, MICHELONI ETTORE, RUGGIERO GIOVANNI, RUSSO MICHELE, UGHI DANILO, VENTURELLI CARLO
    Morto il 10 settembre 1943 – 1 uomo
    GIANNICO ESTERIN
    Dispersi il 9 settembre 1943 – 212 uomini
    ALBIERO LUIGI, ALBORETTI LUIGI, ALIPRANDI ANGELO, ALTIERI CARLO, AMBROSI ALBERTO, ANGELUCCI EZIO, ANTONELLI ARMANDO, ANTONIACOMI GIANNINO, ANTONUCCI DUILIO, ARICO’ RAFFAELE, ARMAN LUIGI, ARMUZZA GIOVANNI, AVITAIA RAFFAELE, BAGNASCO ARTURO, BAIOCHI LORENZO, BANI GIACINTO, BASSI COSTANTINO, BELLOTTI FAUSTO, BERETTA ANGELO, BESIO ERNESTO, BEVILACQUA FERNANDO, BIANCHI GILDO, BIASCO FRANCESCO, BIGGI AGOSTINO, BISASCHI ALIDE, BOCCHINO GIUSEPPE, BRAMBILLA SALVATORE, BRIGANDI SALVATORE, BRIVONESE STELLIO, BRUNO MICHELE, BUDA SALVATORE, BURCHIANTI LEONIDA, BUZZETTO ANGELO, CABELLA BENEDETTO, CADDEO CIRILLO, CALBINI FAUSTO, CAMINITI GIOVANNI, CAMMAROTA FERDINANDO, CAMPANER GIUSTO, CANCILA GIOACCHINO, CANDIOTTO ITALO, CAPONE ANTONIO, CAPPELLA RINALDO, CARALLA MARIO, CARPANI VIRGILIO, CASALINI BIAGIO, CASLINI BRUNO, CASTIGLIA RENATO, CAVASSA PIETRO, CERVINI LUIGI, CICCOTTI ALDO, COLONNA NICOLO, CONCA LORENZO, CORATELLA AGOSTINO, CORBACELLA ORLANDO, COSTA SALVATORE, CRESCITELLI CARMINE, CROTTI SANTE, CUCCURULLO ANTONIO, CURCIO ALDO, DALLOU AUGUSTO, D’ANDREA VINCENZO, D’ANNA GIUSEPPE, DANTE ALIGHIERO, DATTOLA ANTONINO, D’AURIA PASQUALE, DE FARERI ANGELO, DE SARIO PIETRO, DEBERNARDI ARTURO, DENTICE FRANCESCO, DI LORENZO GIUSEPPE, DI MAIO GIOVANNI, DI NISIO BRUNO, DI VINCENZO GIUSEPPE, DONATELLI NEVIO, DONATO GIUSEPPE, FALCHI EFISIO, FARRIS SALVATORE, FELLO VITO, FICARA GIUSEPPE, FLORIO GIUSEPPE, FORMICA GIUSEPPE, FREGONI FRANCESCO, FRUSTERI MASSIMO, GALIMBERTI EMILIO, GALLI GUIDO, GANDOLFO FRANCO, GAVAGNIN VITTORIO, GENTA GIAN OBERTO, GIAMPIERI ETTORE, GIOFFRE’ ROCCO, GIRACE RENATO, GIRIBONE ALDO, GISMONDI GIOVANNI, GIULIANI VITTORIO, GOBBI ANGELO, GODUTO RAFFAELE, GORI ALBERTO, GRASSO ROSARIO, GRILLI ADELIO, GUERRA ARTURO, GUIDA VINCENZO, GUIDI SILVANO, GULLIENSZICH PRIMO, INVERNIZZI ANTONIO, LA ROCCA CLAUDIO, LAMBRI MARIO, LANDINI DECIMO, LATTANZI RENATO, LAZZARI ROMANO, LEARDINI SERGIO, LENUZZA DONATO, LEOTTA ANTONINO, LIBRI GIUSEPPE, LIETO ANDREA, LIGABUE BRENNO, LIVORNO PAOLO, LO BIONDO CALOGERO, LOMBARDI ALBERTO, LONGONI SPARTACO, LUBRANO LUCIANO, LUCCHI ATTILIO, MANAGLIA MARIO, MAROLLA TOMMASO, MARTINCIG ARTURO, MASINI FERNANDO, MATARESE VITO, MAURI LUIGI, MAZZA ANTONIO, MAZZONI ALESSANDRO, MELI RAFFAELE, MELLONE FRANCESCO, MELLONE ISAIA, MINNITI EUGENIO, MIORI BRUNO, MODESTO SILVESTRO, MORETTI MARIO, MORO ALDO, MORRA CESARE, MOZZALI ALESSANDRO, NAVARRA ANTONIO, NICOLI NEREO, NOTO GASPARE, ORSUCCI GIOVANNI, PAGANO LORENZO, PALADINO PLACIDO, PALMISANO VITO ANTONIO, PEDRETTI GIUSEPPE, PETRUZZELLIS FILIPPO, PICCOLI MARIO, PILOTTI LUIGI, PINETTI BALDASSARE, PIRAS GIUSEPPE, PISCHEDDA MARIO, POLICHETTI MARIO, PONI VITTORIO, PORCHERA GIUSEPPE, PORRINO PAOLO, PRICCA AUGUSTO, PROIETTO SALVATORE, PROSCIA PASQUALE, QUARTUCCIO FRANCESCO, RABBONI PIETRO PAOLO, REMONDINO EUGENIO, RENDA VINCENZO, REPACI CARMELO, RIBOLDI FELICE, RICCO’ ANGELO, RIVA ORTENSIO, ROSSI TULLIO, ROTELLA DOMENICO, RUGGIERO TOMMASO, RUSSO EUGENIO, SABATINI DUILIO, SACCOMANI FRANCESCO, SAMBIN ALBANO, SARZANINI ATTILIO, SAVOIA ROMEO, SBARBARO GIUSEPPE, SCALETTA ANGELO, SCAMARDELLA SALVATORE, SCARDALA EMILIO, SCARINGI RAFFAELE, SCIACQUA ANDREA, SCOTTO D’ABUSCO MICHELE, SEBASTIANUTTI SERGIO, SECONDO GIUSEPPE, SEMENTA ANTONIO, SERIO IGNAZIO, SIBILIO ROBERTO, SILIPIGNI PIETRO, SIMONI MARIO, SORIA CESARE, SPENA GIOVANNI, TETTAMANTI VIRGINIO, TONELLO FERRUCCIO, TORNIAI GUIDO, TORTORA DOMENICO, TREGROSSO GAETANO, TROVATO ROSARIO, UGGERI DOMENICO, VACCARO CARMELO, VALDAMBRINI PIO, VALENTINI VINCENZO, VASELLI RENZO, VASILE ANGELO, VERDE GIROLAMO, VEZZANI AMOS, VIANELLO BRUNO, VICINELLI WALTHER, VIGINO ARRIGO, ZACCARIA CATALDO.
    Morti in periodi precedenti – 6 uomini (in parentesi la data di morte)
    GRILLI PIETRO (30/01/1942), RAPARI SPARTACO (07/01/1943), CAPUZZIMATI COSIMO (07/01/1943), CRIPPA LUIGI (30/01/1943), PERINI LUIGI (23/02/1943), MOROSINI ANTONIO (02/06/1943).

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    Regia nave Antonio Da Noli
    di Carlo Di Nitto

    Cacciatorpediniere dal 1938

    Il regio esploratore “Antonio Da Noli”, classe “Navigatori”, dislocava 2600 tonnellate a pieno carico. Costruito nei Cantieri Navali del Tirreno di Riva Trigoso (Genova), fu impostato il 25 luglio 1927 e varato il 22 maggio 1929. Fu consegnato ed entrò in servizio nella Regia Marina il 29 dicembre 1929. Il 5 settembre 1938 venne declassato a cacciatorpediniere e gli fu attribuita la sigla DN. Come altre unità della sua classe, pochi mesi dopo la consegna, venne sottoposto a grandi lavori di modifica delle sovrastrutture. Successivamente partecipò alla Crociera Atlantica come capo gruppo del 2° Gruppo. Al termine rientrò in squadra iniziando una intensa attività in Mediterraneo culminata con la partecipazione alle operazioni della guerra civile spagnola.
    Declassato a Cacciatorpediniere, venne sottoposto ad un secondo ciclo di grandi lavori che ne modificarono ulteriormente linea ed aspetto.

    Dopo lo scoppio delle ostilità fu trasferito a Palermo per essere impiegato alla scorta di convogli sulle rotte per l’Africa settentrionale alternando i servizi di scorta con pattugliamenti notturni, posa di mine, e azioni di sostegno a torpediniere e MAS.  Eseguì anche diversi salvataggi di naufraghi e rimorchi di navi silurate subendo numerosi attacchi aerei.
    L’11 aprile 1942 venne investito, a causa della nebbia, dal piroscafo “Honestas” e subì gravi danni che ne obbligarono il trasferimento in arsenale a La Spezia. Rientrato in armamento, venne inizialmente utilizzato in scorte convogli per la Grecia. Poi ritornò ad operare sulle rotte per il Nord Africa nel periodo più duro di quel teatro di operazioni.
    Il 28 febbraio 1943 entrò il collisione con il gemello “Zeno” durante un’operazione di posa di mine. Rientrato in arsenale, per i gravi danni subìti, vi rimase fino al 31 luglio.
    Subito dopo la proclamazione dell’armistizio, il mattino del 9 settembre 1943, era in navigazione sulla rotta La Spezia – Civitavecchia insieme al gemello “Vivaldi”. Le due unità ricevettero l’ordine di portarsi nelle acque fra la Corsica e la Sardegna per attaccare il traffico tedesco in zona e di riunirsi poi alle forze navali dirette a Bona. Raggiunte le Bocche di Bonifacio, fra le ore 16.00 e 17.15, i due CC.TT. intercettarono alcune motozattere e motovedette germaniche con le quali ingaggiarono combattimento affondandone alcune. Le unità italiane furono però inquadrate da batterie terrestri armate dai tedeschi. Il “Da Noli” fu colpito da due proiettili ma, mentre manovrava per portarsi fuori tiro, urtò contro una mina. La nave, spezzata in due, alle ore 17.20 affondò rapidamente a circa 5 miglia a ponente del faro di Capo Pertusato (Corsica). Nell’affondamento scomparvero 218 Marinai; i superstiti furono soltanto 39.
    Il “Da Noli”durante i mesi di guerra aveva percorso 70.466 miglia.
    Il suo motto fu: “Prendimi teco a l’ultima fortuna”.
    ONORE AI CADUTI!

  • Curiosità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Pittori di mare,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Gaio Plinio Cecilio II

    Guglielmo Evangelista (*)

    Storia di un ammiraglio di un tempo lontano (23 – 79 d.C.)

    In queste note ripercorreremo la biografia – speriamo non nota a tutti – di Plinio il Vecchio, illustre ammiraglio e scrittore dell’antica Roma, forse il personaggio di maggior rilievo della storia navale italiana nell’arco degli oltre 1500 anni intercorsi fra Gaio Duilio e Andrea Doria.
    Gaio Plinio Cecilio Secondo nacque a Como nel 23 dopo Cristo. La sua famiglia apparteneva alla classe dei cavalieri che, nella rigida suddivisione sociale romana, era considerata aristocratica, ma inferiore a quella senatoria.
    Giovanissimo, fu portato a Roma dove si appassionò allo studio, acquisendo un’ampia cultura di base ed interessandosi a tutto in modo enciclopedico.

    Come era abitudine di tutti i giovani delle buona società, fu avviato alla carriera nell’ambito dello Stato e iniziò con una lunga serie di incarichi militari: fu comandante di cavalleria in Germania, partecipò alle operazioni contro la popolazione sassone dei Catti, e poi fu in Gallia e in Spagna.
    Trascorse una pausa dagli impegni militari a Roma tenendosi lontano da Nerone, dedicandosi alla composizione delle sue molte opere e scrivendo, fra l’altro, una “Storia delle guerre germaniche” ma soprattutto ponendo mano alla sua “Historia Naturalis”, il suo più importante lavoro che spazia dalla geografia alla botanica, alla mineralogia, all’economia. Questi libri sono arrivati fino ad oggi e sono una delle più preziose fonti di informazione sull’antichità anche se accanto a materie trattate rigorosamente l’autore presta attenzione a molte favole come quelle circa l’esistenza di animali fantastici. Era un uomo dei suoi tempi, sapeva molto ma non sapeva tutto.
    Dopo il 70 l’amicizia con l’imperatore Vespasiano lo convinse a tornare al servizio di Roma: venne nominato procuratore in Spagna e in Gallia ed infine fu nominato Praefectus classis misenensis, cioè comandante della flotta di stanza a Miseno, succedendo a Regolo Aniceto. A Plinio era sempre piaciuto viaggiare e non si accontentò di ammirare la sua flotta dalla villa che gli era stata assegnata, ma ne approfittò per navigare in lungo e in largo per il Mediterraneo, sempre attento ad annotare ogni cosa nuova o insolita. Tenne onorevolmente l’incarico fino alla morte nel 79, avvenuta nelle circostanze di cui parleremo più avanti.

    L’ammiraglio dell’antica Roma
    Per quasi tutta la lunga storia di Roma la marina militare ebbe un’importanza piuttosto modesta e non fu mai considerata un corpo a sé ma un’appendice dell’esercito. Dopo le grandi battaglie navali con i cartaginesi e la battaglia di Azio del 31 avanti Cristo, con il Mediterraneo che era diventato un lago romano e, nel Nord Europa, nessun nemico in grado di contrastare l’impero sul mare, le navi ebbero impieghi limitati al contrasto della pirateria, alla scorta e all’assistenza dei convogli mercantili e soprattutto al trasporto di truppe e materiali per conto dello stato.
    Di conseguenza il servizio in marina era visto con poca simpatia da tutti i militari: quindi tanto il centurio classiarius, comandante delle compagne “anfibie” quanto i navarchi e trierarchi, erano considerati molto meno degli ufficiali dell’esercito con analoghe funzioni e anche la carica di ammiraglio, per quanto ovviamente di grande rilievo, era sempre meno prestigiosa di quella dei generali, tant’è vero che come abbiamo visto anche per Plinio, era d’uso conferirla a cavalieri e non a senatori e si arrivò perfino a nominare dei liberti.
    Il trasferimento in marina era una delle punizioni per i legionari che avevano commesso qualche mancanza e non a caso Flavio Vegezio, dedica alla flotta solo l’ultimo e striminzito capitolo.della sua Epitome de Re Militari, un esteso compendio di tutte le conoscenze militari romane.
    Ad ogni modo chi contava nella Roma di allora non intraprendeva carriere ben definite: lo stesso Plinio fu dapprima ufficiale dell’esercito, poi diventò un funzionario politico-amministrativo e infine approdò in marina. Peraltro lo spiccato senso dello stato e le diverse esperienze rendevano possibile alla classe dirigente impieghi versatili che dovunque davano buoni risultati.
    D’altra parte, essendo nativo di Como, la scelta di Plinio cadde su un uomo che aveva una certa confidenza con la navigazione, benché soprattutto quella interna, tanto più che aveva navigato in tempo di guerra lungo il Reno e aveva diretto lo scavo di un canale in Germania.
    Gli ammiragli romani, in genere, avevano la completa responsabilità della flotta alla quale erano stati assegnati, della gestione della base e dell’addestramento degli uomini e la loro importanza variava in relazione alla numerosità della flotta stessa: sono molto rari i documenti che accennano a un subpraefectus, cioè un contrammiraglio, o a un praepositus reliquationis classis, sorta di Direttore di commissariato.
    Infine., tenendo conto di quanto abbiamo detto sulla poca distinzione fra cariche militari, politiche e amministrative, il praefectus classis aveva la giurisdizione anche sulla popolazione civile – familiari e commercianti – che viveva nelle località vicine alle basi navali, facendo le funzioni di sindaco e di giudice.

    La base navale di Miseno
    Potremmo dire, con termini moderni, che vi aveva sede la squadra navale del Mediterraneo Occidentale e da essa dipendevano varie altre basi con flotte minori fra cui in Italia Centumcellae (Civitavecchia), Palermo e Cagliari. Il nome completo, che però le venne conferito molto tempo dopo i fatti che raccontiamo, era Classis Praetoria Misenensis Pia Vindex. Secondo Vegezio la sua competenza si stendeva alla Gallia, alla Spagna, alla Mauritania e all’Egitto.
    L’altra principale flotta, quella del Mediterraneo Orientale, aveva sede a Ravenna.
    La base venne fatta costruire da Augusto verso il 27 avanti Cristo, trasferendovi da Pozzuoli le navi militari poiché i fondali del vecchio Portus Iulius stavano diventando impraticabili per il bradisismo.
    Il porto era composto di due bacini in comunicazione fra loro, uno esterno ed uno interno, tuttora ben visibili, sulle cui rive sorgevano cantieri di riparazione, alloggi e magazzini e che erano uniti da un canale che si poteva valicare con un ponte mobile.
    Fra le opere sopravvissute merita di essere ricordata la cosiddetta Piscina mirabilis, un’enorme cisterna per l’acqua necessaria agli equipaggi, capace di ben 12000 tonnellate.
    Nella base prestavano servizio circa 10.000 uomini e d’ordinario si trovava in armamento un centinaio di navi, ma le banchine potevano accoglierne fino a 250.
    Un distaccamento di marinai di Miseno a turno faceva servizio a Roma dove era impiegato sia per le naumachie, battaglie navali simulate che erano uno spettacolo molto apprezzato, sia per stendere il velarium, una serie di complicati teloni usati per riparare gli spettatori del Colosseo dal sole o dalla pioggia che per il peso e le dimensioni erano difficilissimi da manovrare se non da esperti veterani.
    La loro caserma, i castra misenantium, si trovava vicino alle Terme di Traiano, più o meno a metà dell’attuale via dei Fori Imperiali.
    La base di Miseno funzionò fino al tardo impero e successivamente i Bizantini privilegiarono Napoli. Le rovine rimaste sono numerose anche se in gran parte non è stato ancora possibile individuare per ciascun edificio le funzioni originarie.

    L’eruzione di Pompei
    E’ una storia troppo nota per ripercorrerla: cercheremo invece di mettere in evidenza i particolari relativi a Plinio e agli aspetti navali dell’operazione da lui comandata.
    Conosciamo la vicenda nei particolari dato che è narrata in due lettere a Tacito scritte dall’omonimo nipote, Plinio il Giovane, che era stato adottato dalla zio e che, diciassettenne, si trovava a Miseno dove ha potuto seguire dal vivo la vicenda e presumibilmente ascoltare poi quei testimoni che avevano seguito in mare l’ammiraglio e, a differenza di lui, avevano avuto la fortuna di salvarsi.
    Come Plinio vide l’eruzione ne fu estremamente interessato e desiderò avvicinarsi al vulcano per osservarla meglio. Fece quindi allestire in un primo momento una liburna, ma dopo aver ricevuto delle segnalazioni di aiuto dalla zona costiera si rese conto della gravità della situazione e, lasciata perdere la curiosità scientifica, ritenne fosse suo dovere portare aiuto ai molti in difficoltà.
    La liburna che aveva scelto per sé, una nave sottile e veloce a un solo ordine di remi, era ovviamente insufficiente per il suo progetto e fece quindi preparare le molto più grandi quadriremi prendendo posto su una di esse.
    Al contrario della tradizione che pone l’eruzione nel mese di agosto del 79, è stato accertato che molto più probabilmente questa avvenne in autunno avanzato, forse a fine novembre.
    Era quindi già passato ottobre e, come abitudine, dopo quel mese la navigazione veniva sospesa fino all’aprile successivo e le navi venivano messe in secco e riparate, ma trattandosi di una base militare era ovvio che un nucleo di unità veniva sempre tenuto pronto a prendere il mare, qualsiasi fossero le condizioni meteorologiche, per ogni improvvisa necessità.
    Le navi salparono e fecero rotta su Ercolano seguendo poi la costa in direzione di Stabia, ma si constatò che era impossibile avvicinarsi sia per il fondale che si stava sollevando che per le pomici e la cenere che cadevano sempre più fitte impedendo le manovre.
    Si ricorse quindi alle scialuppe delle quadriremi per cercare di imbarcare e traghettare sulle triremi la folla che si assiepava lungo la spiaggia.
    Fu la prima operazione “umanitaria” della storia anche se il mare tempestoso, la scarsa visibilità e la poca capienza delle barche sicuramente permisero il salvataggio di non molte persone. Furono persi uomini e imbarcazioni, i cui resti sono stati puntualmente restituiti dagli scavi.
    La flotta arrivò sul tardi a Stabia, presso l’odierna Castellammare, dove l’ammiraglio sbarcò intenzionato a portare soccorso all’amico Pomponiano che aveva una villa nei paraggi.
    Qui Plinio poté riposarsi. Appariva tranquillissimo e di buon umore. Cenò e cercò anche di dormire fino all’alba successiva quando il degenerare della situazione consigliò di tornare alla spiaggia per imbarcarsi e allontanarsi, ma lungo la strada l’ammiraglio, che già soffriva di problemi respiratori, ebbe un collasso e, con i suoi accompagnatori, morì soffocato dai gas velenosi.
    Il racconto del nipote, precisissimo per quanto riguarda le osservazioni sull’eruzione e dei fenomeni connessi che poté seguire personalmente da lontano, lascia però molto a desiderare sull’attendibilità di parecchi altri punti a partire dal fatto che egli rifiutò di seguire Plinio giustificandosi con l’aver preferito restare e dedicarsi ai suoi studi mentre è molto più probabile che sia stato lo zio ad avergli proibito di accompagnarlo considerati i pericoli verso cui sapeva di andare incontro.
    In particolare dalle lettere emerge la volontà di esaltare soprattutto la sua impassibilità e il suo coraggio di fronte al pericolo: è un uomo che mangia, dorme e scherza fra terremoti e piogge di pietre. Mentre era sulla nave, di fronte ai timori del comandante, avrebbe ordinato perfino di proseguire pronunciando la fin troppo comune frase “la fortuna aiuta gli audaci”.
    In questo modo Plinio il Giovane tentava di delineare per lo zio un carattere molto apprezzato fra le persone romane di cultura, per le quali contava più di tutto esibire un filosofico distacco di fronte alla vita e non lasciarsi prendere la mano da qualsiasi evento.
    Gli antichi chiamavano questo atteggiamento atarassìa, cioè imperturbabilità.
    In realtà è presumibile che con parecchie navi in mare e gli equipaggi impegnati nelle operazioni di salvataggio l’ammiraglio abbia pensato in primo luogo a loro e, se ha trascorso qualche ora in casa dell’amico, l’avrà usata soprattutto come quartier generale.
    Le navi e gli uomini gli erano stati affidati dall’imperatore e di fronte a questo non c’era filosofia che potesse tenere.


    Un ritrovamento inaspettato
    Il nipote afferma che Plinio fu ritrovato dopo tre giorni ma non aggiunge altro. E’ abbastanza inverosimile che il corpo non sia rimasto seppellito sotto la pioggia di cenere ma, anche ammettendo il contrario, è molto dubbio che abbia ricevuto qualche attenzione in mezzo alle migliaia di morti, ammiraglio o no. Al massimo sarà stato seppellito sul posto… i romani preferivano stare lontano dai cadaveri.
    Agli inizi del ‘900 l’ingegner Gennaro Matrone, eseguendo degli scavi a Stabia in una sua proprietà, rinvenne sotto lo strato di ceneri e fango solidificati – non lava perché quella avrebbe bruciato tutto – ben 74 scheletri vicinissimi gli uni agli altri. Si trattava in massima parte di gente comune con il solito corredo dei morti di Pompei: qualche moneta e piccoli gioielli, quel poco che avevano e che erano riusciti a portare con sé. Discosto da questi c’era però un altro scheletro, abbigliato un modo completamente diverso, con una grossa collana d’oro, anelli da cavaliere, bracciali di pregio e un gladio da parata, la corta spada romana, con l’elsa e il fodero lavorati in modo insolito perché tempestati di conchiglie d’oro sbalzate e altre immagini marine.
    Per il luogo del ritrovamento e l’abbigliamento si affermò che si trattava del corpo di Plinio.
    Come sempre accade, ci fu chi contestò il ritrovamento affermando, con il sarcasmo devastante tipico del mondo accademico, che un ammiraglio non poteva andare vestito come “una ballerina d’avanspettacolo”. Ma basta ragionarci su per vedere che l’ipotesi è sbagliata: oltre a dimostrare l’assoluta ignoranza di come si adornavano i ricchi romani non si tiene conto che, pur in un’epoca in cui non si parlava di uniformi militari, appare logico che Plinio abbia indossato apposta una specie di “gran divisa”: in mezzo a una folla terrorizzata e con i suoi uomini che nonostante la disciplina dovevano essere piuttosto scossi, era più che opportuno indossare tutte le insegne della carica per essere ben riconoscibile durante le operazioni e far pesare la propria autorità.
    Corrisponde anche l’età del corpo, fra i 50 e i 60 anni e il gladio non poteva che appartenere a un ufficiale di marina. E poi chi fugge, se pensa a raccogliere i suoi tesori, li avvolge in fretta in uno straccio e non perde tempo ad indossarli. Quindi Plinio non stava tentando egoisticamente di raggiungere la salvezza dopo qualche ora trascorsa in stoica imperturbabilità, ma ebbe la stessa sorte della folla in mezzo a cui si trovava mentre la dirigeva verso le sue navi, mosso da un senso del dovere ben raro nel mondo antico.
    Gli altri corpi ritrovati potevano essere dei suoi marinai, degli schiavi di Pomponiano o di una folla anonima, ma fra i corpi più vicini all’ammiraglio fu ritrovato anche un medico che aveva con sé medicinali e strumenti professionali e un individuo alto ben oltre due metri. Quando la statura media era di un metro e mezzo o poco di più, era veramente un gigante.
    Il primo poteva essere un principalis cioè un medico di marina, la cui presenza appare logica in un’operazione di soccorso oppure aveva scortato l’ammiraglio che sappiamo che non godeva di buona salute, mentre il secondo poteva essere la sua guardia del corpo. Nel marasma generale è poco verosimile che Plinio si sia mosso da solo, senza farsi accompagnare, oltre che da ufficiali, anche da un individuo la cui sola presenza era più che sufficiente a proteggerlo.
    Fin qui i fatti e le ipotesi.
    Fatto sta che i corpi furono riseppelliti lì vicino e tutto il corredo, essendo stato trovato in una proprietà privata, restò al Matrone che lo vendette: soltanto il cranio fu conservato e tuttora è visibile nel Museo dell’Arte Sanitaria di Roma, unica reliquia giunta fino a noi di un personaggio importante dell’antica Roma.
    Infine, per chi volesse sapere qualcosa di più di queste brevi note, consiglio, fra la sterminata bibliografia di ogni epoca, questi libri che ho trovato particolarmente interessanti:
    – “Rotta su Pompei” di Flavio Russo, ricerca ampia ed approfondita;
    – “Pompei” di Richard Harris. E’ un romanzo, ma ben documentato.

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    Un detective a bordo

    di Giuseppe Procopio (*)

    Vestire i panni di un detective per molti versi è molto interessante, una buona sensazione di un ricordo che ci si porta appresso dal tempo della fanciullezza un po’ cresciuta, quando si ha modo di leggere alcuni libri di questo genere letterario, molto noto e diffuso anche nei films.
    Per certi versi, torna utile per scoprire delle verità. In realtà quando m’improvvisai detective non era come pensassi; non c’era un assassino da smascherare o un movente da provare, solo una semplice indagine conoscitiva.
    Ero solo un Sottocapo Motorista addetto alla sicurezza che voleva svelare il mistero delle “Chiavi per manichette scomparse” dalle loro stazioni antincendio di bordo dei locali di vita o dei corridoi della nave.
    Non sembrava un caso difficile, ma richiese un po’ di indagini serie e qualche appostamento per cogliere il responsabile sul fatto.

    Non avevo molte nozioni sulla sicurezza della nave, le recuperavo per gradi. La ragione della mia perplessità era dovuta anche al fatto che il colpevole non si preoccupasse di riportarle al loro posto. Comportamenti irresponsabili che pur esistevano e non deponevano bene per la sicurezza della nostra nave.
    “Come avremmo avvitato è stretto le manichette in caso di emergenza?”.
    Quotidianamente effettuavo verifiche, un po’ per dovere, un po’ per caparbietà..
    Un giorno, mentre gironzolavo nell’alloggio equipaggio, notai  che su uno degli armadietti  dei marinai, qualcosa attirò la mia attenzione: ”Si sono loro; eccole dove stavano”. Quel rosso mi era famigliare cosi come la forma di quell’oggetto.

    Non accusai nessuno, ma proseguii nel mio piccolo impegno di sempre: tenere le stazioni antincendio con gli accessori al loro posto. In verità non ci volle molto a comprendere la ragione di questo approprio non autorizzato. Gli utensili erano usati per forzare i lucchetti personali di chiusura degli armadietti, quando qualcuno di noi se ne dimenticava la chiave all’interno.
    Si inseriva una chiave antincedio nell’arco del lucchetto e si faceva leva per spaccarlo. Fin qui nessun problema, ma perché quei tipi non le rimettevano al loro posto?

    Quella specifica attenzione, verso quella specifica anomala situazione, era ovviamente motivata dalla mia mansione a bordo.  Quando Capo Pellegrino e Capo Mongelli erano fuori bordo toccava a me fare le ispezioni e segnalare tutto quello che era fuori posto. Quel che facevo era un comportamento normalissimo, un atto di responsabilità che ogni buon marinaio apprende vivendo a bordo. Sono state lezioni importanti che ancora segnano la mia vita.
    Si concludeva la mia indagine sulla sparizione delle chiavi e la frase:”La sicurezza prima di tutto in porto e in mare” ancora riecheggia dentro di me, come il ricordo di un Frà di bordo che mi dice: “Stiamo affondando in porto”.
    Possibile? In porto? Mica ci hanno bombardato..
    Mi rispose che a causa di un lavoro sulle valvole a clarinetto che stavano svolgendo alcuni operai dell’arsenale si stava imbarcando acqua.
    Io assonato gli risposi: “Ma tu guarda …non si può nemmeno affondare in porto”.

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