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    Le superstizioni dei marinai

    di Antonio Cimmino

    Le superstizioni dei marinai
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    …a Donato e Claudio per il prezioso suggerimento e per la profonda stima e amicizia.

    Ma i marinai sono superstiziosi? Proverbialmente sembra proprio di si e per menzionare tutte le loro superstizioni bisognerebbe scrivere un’enciclopedia. La storia della marineria è intrisa di riti scaramantici ancora oggi diffusi.

    Stregonerie, esorcismi, rituali pagani e religiosi erano e sono il pane quotidiano di capitani e marinai sempre attenti a non sfidare le regole della fortuna e ingraziarsi, con riti propiziatori, la benevolenza degli elementi naturali. Di natura irrazionale, le superstizioni possono influire sul pensiero e sulla condotta di vita delle persone che le fanno proprie. Il credere che gli eventi futuri siano influenzati da particolari comportamenti, senza che vi sia una relazione casuale, vengono da molto lontano. La paura dell’ignoto e dell’immensità degli oceani ha generato sin dagli albori della navigazione una fitta serie di credenze. Per secoli miti e leggende sono stati tramandati a colmare col soprannaturale, quel vuoto che la razionalità ancora non riusciva a riempire. In Grecia, per esempio, si compivano sacrifici umani per assicurarsi il favore degli dei. Così Agamennone, re di Argo, fece immolare sua figlia Ifigenia per ottenere nuovi venti  per le navi che dovevano lasciare Troia. I vichinghi invece versavano il sangue degli schiavi sgozzati in segno di benedizione prima del varo di una nave o prima di intraprendere la navigazione. I miti e le leggende che si narravano intorno al mare e alle terribili creature che lo abitavano assunsero tinte ancora più fosche con il diffondersi del cristianesimo, quando a fare degli oceani campi di battaglia, non furono più dei capricciosi spiriti malvagi, ma santi e satanassi. Alle tempeste opera del diavolo venivano contrapposti ed invocati i santi (tutt’ora i marinai invocano per esempio Santa Barbara durante i forti temporali). Sempre durante il cristianesimo non si potevano mollare gli ormeggi il primo lunedì del mese di aprile perché coincideva con il giorno in cui Caino uccise Abele oppure il secondo lunedì di agosto era meglio restare in porto: in quel giorno Sodoma e Gomorra furono distrutte; partire poi il 31 dicembre era altrettanto di cattivo auspicio perché era il giorno in cui Giuda Iscariota si impiccò.

    Gli agenti atmosferici come i “fuochi di Sant’Elmo” o come il passaggio di una cometa erano presagi buoni o cattivi a seconda dell’interpretazione che se ne dava; mentre una tromba d’aria in avvicinamento all’orizzonte poteva essere “tagliata” con una spada e deviata recitando una preghiera o una formula magica; le onde si placavano mettendo in mostra i seni nudi di una polena, o facendo scoccare in acqua dal più giovane dei marinai una freccia magica.

    Anche gli animali non erano (…sono) immuni dai preconcetti scaramantici. Il gatto, malgrado ami poco il contatto dell’acqua, ha trovato un posto di tutto rispetto sui vascelli. La ragione della sua presenza a bordo si collega alla sua naturale propensione a scovare i roditori ed era anche ritenuto capace di prevedere eventi climatici: se soffiava significava che stava per piovere, se stava sdraiato sulla schiena c’era da aspettarsi una bonaccia, se era allegro e baldanzoso il vento stava per arrivare; se un gatto inoltre andava incontro un marinaio sul molo era segno di buona fortuna, se gli tagliava la strada il contrario (oggi per alcuni se un gatto nero ti attraversa la strada è presagio di brutte notizie); se si fermava a metà strada c’era da aspettarsi invece qualcosa di sgradevole. Si riteneva infine che i gatti potessero invocare una tempesta grazie al potere magico delle loro unghie. Per questa ragione a bordo si faceva sempre in modo che fossero ben nutriti e coccolati. Tra gli uccelli gabbiani e albatros erano l’incarnazione dei marinai morti in mare e portatori di tempeste. Peggio ancora se un cormorano si posava sul ponte di una nave e scuoteva le ali, guai a fargli del male si era posato per rubare l’anima di qualcuno e avrebbe significato naufragio sicuro. Così se tre uccelli si trovavano a volare sopra la nave in direzione della prua, l’equipaggio si disperava per l’imminente disgrazia da questi annunciata. Se uno squalo per esempio seguiva la scia di una nave era di cattivo auspicio perché si credeva fosse in grado di fiutare l’odore della morte. Diversamente i delfini e le rondini erano di buon augurio.

    Ma le superstizioni colpiscono anche le persone e allora: “occhio, malocchio prezzemolo e finocchio” (come avrebbe recitato il principe De Curtis).

    Gli avvocati (categoria particolarmente detestata dai marinai inglesi che li apostrofano spregevolmente squali di terra) e i preti (averli a bordo rappresentava una aperta sfida a Satana) portavano male (…avvocati, preti e polli non sono mai satolli). Stessa sorte per la donna averla in barca portava male (ora non si dice più, forse per la parità dei sessi). Secondo alcune tradizioni però una donna nuda, o incinta poteva placare anche la più terribile delle tempeste. Poi non ci poteva essere cosa peggiore, prima di salpare, di incontrare una persona con i capelli rossi, con gli occhi storti o con i piedi piatti (…rosso malpelo sprizza veleno). L’unica modo per salvarsi in questo caso era parlargli per prima.

    C’erano e ci sono usanze che i marinai cercano assolutamente di evitare a bordo: indossare abiti di un altro marinaio, soprattutto se morto nel corso dello stesso viaggio; evitare di fare cadere fuori bordo un bugliolo o una scopa; imbarcare un ombrello, bagagli di colore nero, fiori e guardare alle proprie spalle quando si salpa); salire a bordo della nave con il piede sinistro; poggiare una bandiera sui pioli di una scala o ricucirla sul cassero di poppa (attualmente i marinai italiani nel ripiegare la bandiera lasciano il colore verde fuori in segno di speranza); lasciare le scarpe con la suola verso l’alto (presagio di nave capovolta); accendere una sigaretta da una candela (significava condannare un marinaio a morte); evitare il suono prodotto dallo sfregamento del bordo di un bicchiere o di una tazza; il rintocco della campana di bordo se non mossa dal rollio; pronunciare le parole: verde, maiale, uovo, tredici, coniglio; parlare di una nave affondata o di qualcuno morto annegato; indossare le magliette fornite dall’organizzazione di una regata; capi di abbigliamento nuovi; cambiare nome a una barca o battezzarla con un nome che finisce con la lettera “a”(in passato è stata sempre una eresia, soprattutto in Italia è ancora fonte di numerosi scrupoli. I francesi hanno risolto il problema cambiando il nome a ferragosto e mettendo in atto questo rituale: procedendo di bolina la barca deve compiere sei brevi virate e poi scendere in poppa piena tagliando in questo modo la sua stessa scia. In questo modo, secondo alcuni, si disegnerebbe un serpente che si morde la coda scongiurando la iella. Solo a questo punto la barca sarà pronta a un nuovo nome ) e tantissime altre superstizioni.

    E’ invece di buon augurio per un marinaio avere un tatuaggio; lanciare un paio di scarpe fuori bordo immediatamente dopo il varo di una nave, indossare un orecchino d’oro (usanza antica che serviva a coprire le spese di sepoltura qualora il marinaio fosse deceduto); toccare il solino o la schiena di un marinaio; dipingere occhi sul moscone delle barche.

    Oggi quando si vara una nave ci si limita a versare dello champagne sul ponte. Più raramente si lancia contro lo scafo l’intera bottiglia del prezioso vino: se questa si rompe è di buona sorte, altrimenti sono dolori.

    Il pallino della superstizione di chi va per mare non accenna a svanire neppure oggi e, se non è superstizione, è certamente scaramanzia. E’ bene ricordare a tutti che qualunque marinaio prima di salpare, come nella vita di tutti i giorni, non accetta di buon grado gli “auguri” o i “buona fortuna”. Meglio porgergli in “bocca al lupo” o “in culo alla balena”.

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    Cosa significa essere sensibili?

    di Francesco Paolo Disegni

    … ricevo e con infinita commozione mista ad orgoglio pubblico:

    Riporto di seguito dal post precedente condiviso:
    << … È anche il momento di capire che essere sensibili vuol dire semplicemente che si è connessi in modo attivo e produttivo con se stessi.
    Quando siamo sensibili alle emozioni altrui, l’intensità diventa la migliore amica di tutte le emozioni: l’amore, il dolore, la delusione e l’allegria.
    La verità esiste per il saggio; la bellezza, per il cuore sensibile.
    Friedrich Schiller …
     >>

    Ora vi dico cosa significa per me.
    Ho il Diabete dal 1992, mi è scoppiato per lo stress a bordo di nave Libeccio esattamente dopo il rientro “Display Determination” una esercitazione N.A.T.O., sorvolo sulle cause che sono top secret 😎 fatto sta che il 4 luglio 1992 l’Asl di La Spezia mi comunica di avere un inizio di diabete, a pensare che imbarcai che ero sano come un pesce, subito dopo aver fatto le visita annuale per il rinnovo e mantenimento del brevetto di volo, presso l’Istituto Medico Legale dell’Aeronautica che superai brillantemente.
    Ebbene, da quel 1992, quando andavo in casa di amici e parenti, ho sempre detto di avere il diabete, nonostante ciò, mi venivano sempre offerti, con molta semplicità, pasticcini e bevande dolci che io naturalmente consumavo, sia per non offendere con un rifiuto, sia perché il diabete porta all’assunzione di zuccheri del quale se ne avverte una perenne mancanza, per cui è difficile resistere a tale impulso.
    Mi domandavo sempre perché amici e parenti, nonostante sapessero che avevo il diabete, mi offrissero con estrema disinvoltura e insistenza dei dolci, che mi facevano solo male eppure, secondo i dettami di quell’Uomo di 2000 anni fa l’ospite è sacro, credo che tutti loro avessero le idee confuse riguardo questa raccomandazione, per cui probabilmente pensavano di farmi cosa gradita e non del male.

    Fu così che un giorno, tra i tanti amici e parenti che mi venivano a trovare e che accoglievo con rispetto e un lauto pranzo, secondo i dettami di quell’Uomo, mi venne a trovare un caro amico con sua moglie che sapevo essere diabetico come me.
    Ebbene nel preparare l’accoglienza stavo per fare lo stesso errore degli amici e parenti che mi offrivano dolci ma, subito mi son ripreso e sono uscito a comprare prodotti adatti che non facessero male al mio ospite, caviale, salmone, mozzarella, pomodori e crostini integrali e preparai degli stuzzichini senza un solo dolce e vino bianco secco e acqua.
    Domanda: cosa mi ha reso differente da tutti gli altri?
    Risposta essere SENSIBILE VERSO GLI ALTRI!
    Non so se ho reso chiaro di cosa significa essere sensibili, scrive bene l’amico fraterno Ezio Pancrazio Vinciguerra:
    <<il nostro amore per gli altri deve essere così raffinato che non sia necessario che questi ci dicano di cosa hanno di bisogno, perché l’amore è intuitivo e si anticipa ai bisogni del prossimo facendoci assumere i desideri degli altri come i nostri. >>

    Quanta Verità c’è in questo pensiero, che denota un animo gentile, sensibile, da sincero e devoto cristiano. Un caro abbraccio Ezio, che il Signore sia sempre con te e i tuoi cari tutti per il tuo essere un “Giusto” su questa terra. ❤️

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    Francesco Caccavale (Taranto, 14.4.1915 – Caserta, 17.3.1963)

    di Maria Caccavale

    (Taranto, 14.4.1915 – Caserta, 17.3.1963)

    … riceviamo e con infinito orgoglio e commozione pubblichiamo.

    Buongiorno,
    mi chiamo Maria Caccavale, sono la figlia di Francesco Caccavale, nato a Taranto il 14 aprile 1915, 2° Capo Cannoniere Artificiere, imbarcato sulla regia nave Diana  al momento dell’affondamento avvenuto nel 1942.
    Papà fu salvato dalla Nave Ospedaliera, dopo giorni di galleggiamento.
    In questo periodo mi sono dedicata alla trascrizione (per adesso manuale, perché è molto difficile l’interpretazione di alcuni termini) del diario di quella tragedia vissuta da papà e dai suoi compagni, diario scritto subito dopo le cure e durante la convalescenza. De diario custodisco gelosamente una fotocopia e reca la data del 3 agosto 1942.
    Papà, purtroppo, ci ha lasciato troppo presto. È morto a Caserta il 17 marzo 1963, a soli 47 anni. 

    Papà è il primo in alto a sinistra 

    Non è possibile descrivere l’emozione che ho provato nel leggere quelle pagine piene di sentimenti, disperazione, coraggio. In quelle pagine ho riscoperto mio padre, uomo meraviglioso, uomo eroico che, con la sua disciplina, mi ha insegnato ad andare avanti da sola.

    Papà è quello che comanda il plotone di Marinai

    Il monito di papà, a noi quattro figli, era: STUDIARE, STUDIARE. Io gli ho dedicato la mia laurea.
    La vicenda tragica di mio padre e dei suoi compagni dovrebbe far riflettere la società attuale.

    Mi piacerebbe tanto avere un riscontro da parte di parenti di quei marinai che hanno vissuto la tragedia di papà.
    Grazie. 

    Queste foto che invio sono incorniciate e non ci permettiamo di toccarle. Le ha in custodia la prima sorella.

    La regia nave Diana. La nota è di papà.

    Il diario non ha copertina. Le mando la prima e l’ultima pagina dove sono riportati  i nomi dei suoi compagni.

    Papà con i suoi ragazzi

    Breve storia della regia nave Diana
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra
    L’avviso veloce Diana fu progettato come yacht del Capo del Governo e successivamente modificato per le esigenze belliche.
    Costruito presso i Cantieri del Quarnaro a Fiume fu impostato il 31.5.1939, varato il 25.5.1940 ed entrò in servizio il successivo 12 novembre.

    La sua brevissima vita fu costellata anche da spiacevoli episodi. Un primo incidente si verificò il 28 settembre 1940 nel porto di Messina, quando entrò in collisione con il regio sommergibile Onice danneggiandolo; u secondo episodio avvenne il 1° novembre 1940 mentre la nave era in manovra nel porto di Fiume dove accidentalmente speronò e affondò il regio rimorchiatore Quarnero.
    Inviata nell’isola di Rodi per approvvigionamento viveri (il comandante ricevette una medaglia d’argento al valor militare da parte del governatore del Dodecaneso).

    La regia nave Diana fu impiegata anche come nave appoggio durante la fallimentare incursione della X Flottiglia MAS contro Malta. Salpò da Augusta al comando del Capitano di Corvetta Mario Di Mauro il 25 luglio 1940 con a bordo 9 barchini esplosivi e un motoscafo modificato che avrebbero dovuto distruggere le ostruzioni. L’attacco fu un totale fallimento per il rilevamento dei radar, tutti i barchini e gli SLC andarono distrutti o catturati, mitragliati da aerei britannici … solo in undici marinai si salvarono su una cinquantina di operatori.
    La regia nave Diana effettuò la sua ultima missione a Tobruk dove fu silurata ed affondata dal sommergibile HMS Thrasher il 29.6.1942 alle ore 11.45  e s’inabissò rapidamente a 75 miglia a nord del Golfo di Bomba (Cirenaica) in posizione 33°30’N e 23°30’E.
    I soccorsi arrivarono tra il 29 e il 30 giugno, da parte della nave ospedaliera Arno che si occupò del recupero dei superstiti.
    Perirono 336 uomini.

    Caratteristiche tecniche
    Dislocamento: normale: 2.487 tonnellate – pieno carico: 2.591 tonnellate
    Dimensioni: lunghezza: 113,9 (fuori tutto) mt. – larghezza: 11,7 mt. – immersione: 3,9 mt.
    Motori: 4 caldaie – 2 turbine – 2 eliche
    Potenza: 31.100 HP
    Velocità: 28 nodi
    Armamento: 2 pezzi da 102/35 – 6 pezzi da 20/65 – 2 scaricabombe A.S. – 87 mine
    Equipaggio : 152 uomini.

    Dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2019/06/29-6-1942-in-ricordo-di-erasmo-franciosa-e-laffondamento-del-regio-avviso-veloce-diana/

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    Enrico Porro (Lodi, 16.1.1885 – Milano, 14.4.1967)

    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra”

    (Lodi, 16.1.1885 – Milano, 14.4.1967)

    Biografia
    Nasce a Lodi Vecchio (Lodi) il 16 gennaio 1885 da genitori emigrati da Cuvio, nel varesotto.
    È stato il primo italiano a conquistare una medaglia d’oro olimpica nella lotta greco-romana nei pesi leggeri (66,6 kg) alle Olimpiadi di Londra del 1908. Marinaio, mozzo, arrivato a Buenos Aires scappò dalla nave e si rifugiò da un cugino tipografo che viveva nella capitale argentina, ma tornò a Milano dopo aver litigato con la moglie del parente. In precedenza, nel 1906, vinse il titolo europeo.
    A diciassette anni partecipò poi alla sua prima competizione ufficiale a Legnano, vincendola.
    Arruolato in Marina per il servizio militare (quattro anni di ferma), nel 1906, , imbarcato come elettrotecnico sulla regia nave-scuola Castelfidardo, di stanza a La Spezia, ai Giochi Olimpici di Londra si recò in divisa avendo ottenuto l’autorizzazione a partecipare e, nella finale disputata, ebbe la meglio sul russo Nikolaj Orlov, sette chili più pesante. Quel viaggio in treno 3^classe, da La Spezia a Londra durò due giorni.
    Tornato a La Spezia con un biglietto di terza classe, la banda della Regia Marina lo accolse con tutti gli onori. Fu portato in trionfo e premiato da Vittorio Emanuele III con una medaglia d’oro. Saltate le Olimpiadi del 1912 (Stoccolma) per la bruciatura a una mano causata da un corto circuito, prese parte con esiti modesti a quelle del 1920 (Anversa) e 1924 (Parigi).
    Visse gli ultimi anni con le braccia paralizzate dall’atrofia muscolare.
    Salpò per l’ultima missione da Milano il 14.4.1967.

    Curiosità
    Si racconta che al re scappò un sorriso quando, sulla plancia del regio cacciatorpediniere Castelfidardo, all’àncora nell’Arsenale Militare della Spezia, venne condotto al suo cospetto il marinaio Enrico Porro. Vittorio Emanuele III non poté infatti fare a meno di notare che l’uomo che aveva di fronte, vincitore qualche settimana prima di un oro olimpico a Londra nella lotta greco-romana, era alto… quanto lui.
    Ricorda, Porro, che quella visita inaspettata (fu infatti rintracciato in una balera dove stava festeggiando allegramente la vittoria e rimesso in fretta e furia in condizioni appena decenti) si concluse con molte lodi da parte del sovrano e una più tangibile «medaglia d’oro grossa come una michetta».

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    14.4.1912, Guglielmo Marconi e il Titanic

    di Marino Miccoli e Manuel Jobs Muttarini (*)

    Con piacere ho accolto l’invito dello stimato Manuel Muttarini (Gold Associate Member della prestigiosa Titanic Historical Society) (*) a scrivere un breve articolo che trattasse di quelle che furono le reazioni e le opinioni espresse dal grande scienziato italiano inventore del telegrafo senza fili Guglielmo Marconi in occasione del drammatico affondamento del transatlantico Titanic avvenuto la notte del 14 aprile 1912.

    (*) digita sul motore di ricerca del blog il nome e cognome degli autori per conoscere gli altri loro articoli.

    Occorre premettere che è stata l’apprezzata professionalità di uno stenografo a far sì che il trentottenne Guglielmo Marconi non si trovasse sul transatlantico Titanic il giorno del suo affondamento. Egli con la moglie era stato invitato dalla White Star Line a partecipare al viaggio inaugurale di quella meravigliosa quanto tristemente famosa nave ma egli, a causa delle numerose pratiche cartacee da sbrigare e della sua conoscenza dell’abile e svelto stenografo che prestava servizio sul Lusitania, preferì imbarcarsi tre giorni prima su quest’ultimo transatlantico per raggiungere New York.
    Apprese della grande sciagura quando, sbarcato negli Stati Uniti, seppe che a Cape Race (una località situata in Terranova, sulla costa atlantica del Canada, vicino alle rotte transatlantiche) era stato captato un radiomessaggio che lasciava supporre essere avvenuto un grave disastro in mare.
    Quando il Carpathia attraccò al molo 54 di New York carico dei naufraghi del Titanic, Marconi si recò subito dai radiotelegrafisti per apprendere direttamente da loro quello che era successo. Parlò con Thomas Cottam del Carpathia e con Harold Bride marconista in seconda del Titanic (il primo marconista J. G. Phillips era perito nel naufragio). Si fece un’idea di quello che era avvenuto e da subito sentì di dover intervenire in favore dei marconisti che erano stati ingiustamente criticati, soprattutto difese l’operato di Phillips, il giovane che guadagnava 30 dollari al mese e che era voluto rimanere stoicamente al suo posto, nonostante il Comandante del Titanic lo avesse dispensato da ogni responsabilità.
    Sebbene Guglielmo Marconi fosse fiero del comportamento dei marconisti, era però amareggiato perché convinto che si sarebbero potute salvare molte più vite. In particolare, leggendo il libro che la signora Degna Marconi Paresce (figlia del grande scienziato italiano) ha pubblicato alcuni anni addietro veniamo a conoscenza che egli affermò: “Certe navi non poterono ricevere la richiesta d’aiuto del Titanic perché stavano ricevendo il bollettino delle ultime notizie da Cape Cod. Se a bordo ci fossero sempre due marconisti, uno avrebbe potuto badare al notiziario e l’altro avrebbe dovuto stare all’ascolto di eventuali segnali di pericolo, senza con questo interferire sui messaggi a lunga distanza”.

    In seguito l’attenzione di Marconi si concentrò sull’opportunità di dotare le scialuppe di salvataggio di un apparecchio rice-trasmittente di facile uso, affinché anche un uomo profano in materia potesse azionarle; finalmente nel 1926 una lancia così attrezzata del Royal National Lifeboat Institution riuscì a comunicare con una base a terra distante 185 miglia.
    In merito al fatto che il Carpathia aveva ritrovato i naufraghi del Titanic a notevole distanza dalla posizione originariamente segnalata (a ben 34 miglia di distanza…) egli sostenne la necessità di istituire dei radio-fari sulle coste dell’oceano, in modo tale da impedire errori di localizzazione di tale gravità che poi nei fatti si traducevano in un elevato numero di vite umane perdute.
    Egli evidenziò inoltre la necessità di dotare le grandi navi di linea di stazioni rice-trasmittenti più potenti, che fossero così in grado di collegarsi con entrambe le rive dell’oceano.
    L’illustre scienziato italiano fu senz’altro gratificato allorquando i superstiti dell’affondamento si recarono in massa da lui in albergo per manifestargli tutta la loro gratitudine e riconoscenza per la sua invenzione; durante quella commovente visita gli donarono una medaglia d’oro su cui era raffigurato Apollo, il nume profetico e splendente della sua bellezza. Guglielmo Marconi li ringraziò commosso.
    Anche noi siamo e dobbiamo essere grati al grande scienziato italiano perché nella storia recente dell’umanità la sua invenzione è stata di importanza capitale per la salvezza di un numero incalcolabile di vite umane. Consideriamo ciò un motivo di orgoglio in più per noi di essere Italiani.

    Transatlantico fotografato a Napoli, dalla coperta del Regio Esploratore Alvise da Mosto,sullo sfondo appare il Vesuvio al tramonto (foto d’epoca degli anni ’30)

    (*) 
    Cari Ezio e Marino,
    Vorrei che prima di questo splendido saggio aggiungeste questo pezzettino dedicato a voi.
    Ho conosciuto Ezio Vinciguerra qualche anno fa. Chiedendogli umilmente uno scambio di Link. Ho trovato ben altro di un sito. Una persona vera, sincera e amichevole. Ho cominciato a postare per tutti voi le mie ricerche. Mi avete dato la forza di continuare. Ogni parola scritta sul mio sito, è stata scritta su un’iphone e spedita al mio webmaster Stefano a cui devo molto. Molte notti con ore piccole, molte foto di persone scomparse, molte note della mia armonica dedicate a quella sciagura da sempre mi danno la forza di approfondire in modo semplice..Qualche Domenica fa, il signor Miccoli, con la sua gentilezza e cultura mi ha informato di una vicenda che non conoscevo cosi bene. Cosi l’articolo che leggerete tra breve sarà sul mio sito con una dedica al signor Miccoli a cui devo molto. Caro Marino spero di ricevere ancora suoi articoli e le stringo la mano per avermi illuminato con il suo sapere.

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    Ferruccio Castellani (Venezia, 29.7.1906 – Mar Mediterraneo Centrale, 13.4.1943)

    di Bruno Henning Castellani

    (Venezia, 29.7.1906 – Mar Mediterraneo Centrale, 13.4.1943)

    Ricevemmo e con immenso infinito orgoglio ripubblichiamo.

    6 febbraio 2017 ore 11.42
    Buongiorno,
    io mi chiamo Bruno Henning Castellani, figlio di Ferruccio Castellani deceduto nella tragedia della nave Loredan. Mio padre veniva salvato il 10 aprile 1943, portato a Cagliari all’ospedale Regio, moriva il 13 1943. Brutta storia che ha colpito tante famiglie, compresa la nostra.
    Mia madre, giovane sposa, viveva a Venezia. Mio padre Ferruccio era veneziano puro sangue, era molto giovane, ed io allora ero un piccolo bimbo. La sua perdita fu un dolore immenso, anche per i miei nonni paterni, perdere un figlio così giovane per la barbaria umana…
    Mi piacerebbe conoscere conoscere se c’è qualche familiare (di morti o sopravvissuti) della nave.
    Sarebbe bellissimo poterli conoscere. Se potete aiutarmi sarebbe un bel ricordo per tutti.
    Che il mare benedica tutti, anche il Capitano medico Cesarino Gatta (di cui non avevo sentito parlare fino ad adesso, un eroe anche lui.
    Saluti
    Bruno Henning Castellani

    6 febbraio 2017 ore 11.42
    Buongiorno signor Bruno Henning Castellani,
    di seguito riportiamo le notizie reperite.
    La Motonave mista Loredan di 1357 tonnellate di Stazza fu costruita nel 1936.
    Apparteneva alla Società Anonima di Navigazione Adriatica con sede a Venezia. Iscritta al Compartimento Marittimo di Venezia con la matricola n. 290.
    Fu requisita dalla Regia Marina a Barletta il 27 luglio 1941 e, in pari data, iscritta con la sigla D.19 nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, ed impiegata nel servizio di scorta ai convogli.
    Il 10 Aprile del 1943, durante la navigazione Cagliari – La Maddalena, alle ore 18.20, a 12 miglia per 100° da Punta Elia, fu silurata dal sommergibile britannico Safari ed affondata. Con la stessa data derequisita e radiata dal ruolo del naviglio ausiliario. (Notizie tratte da “Navi Mercantili Perdute” – Ufficio Storico Marina Militare Italiana).
    Il relitto dell’incrociatore armato Loredan giace adagiato sul fianco sinistro, con la poppa gravemente danneggiata dal siluro lanciato dal sommergibile ad una profondità compresa tra i 52 ed i 67 metri, sui fondali del golfo di Cagliari, in posizione 39°08′ N e 9°23′ E, a circa 12 miglia per 100° da Punta Elia (Cagliari). Notizie/foto sono reperibili su INTERNET poiché il relitto è frequente meta dei subacquei.
    Non abbiamo trovato, purtroppo, un elenco dei superstiti.
    Per quanto precede occorrerebbe vedere se ci sono documenti più dettagliate all’Ufficio Storico della Marina.
    Cordialità Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    6 febbraio 2017 ore 14.30
    Grazie della Sua gentile risposta , mi ha fatto molto piacere che questa tragedia non sia stata dimenticata.
    Per la mia famiglia, in particolare mia madre giovane sposa di circa 19 anni, è stato un colpo terribile, anche per la famiglia di nonno e nonna di origine veneziane.
    Dalle storie che mia madre e i miei nonni mi hanno raccontato sulla tragedia e la morte di tante vite umane, compresa quella di mio padre, ho capito che mio padre Ferruccio Spartaco era speciale, come tutti i figli pensano dei padri. La mia famiglia proviene da una nobile famiglia veneziana, i Castellani Conti di MALO vicino SCHIO. Mia madre aveva conosciuto mio padre in giovane età a Savona.
    Mio padre era nella Capitaneria in Via Santa Lucia a Savona e i miei nonni materni abitavano nelle vicinanze. L’amore sbocciò e i miei genitori si sposarono e andarono a vivere a Venezia.
    Nel 1943 mio padre Ferruccio era destinato in qualità di Guardia Marina penso sulla LOREDAN.

    Proprio quel tragico 10 aprile 1943, mentre la nave affondava nelle vicinanze di Cagliari, ricorreva il compleanno di mia madre.
    Mio padre venne recuperato, come naufrago ferito, e portato a Cagliari nell’ospedale regio ma, come già detto, il 13 aprile 1943 moriva. Una delle cause fu anche anche l’aver ingerito petrolio…
    Un dramma immenso, una tragedia dover annunciare ai miei nonni la perdita del loro primo figlio.
    Mia madre sconvolta lasciò Venezia, con me piccolissimo, per trasferirsi a Savona presso i genitori, fortunatamente i miei nonni materni si trovavano in buone condizioni finanziarie. Mia madre mi ha allevato molto bene, assieme all’amore dei miei nonni e, molto spesso, mi venivano a trovare anche i nonni paterni, zii fratelli di mio padre da Venezia.

    Di mio padre posseggo quello che è rimasto, un orologio che portava al polso, quasi per nulla corroso dall’acqua, ma per me un grande ricordo, tante fotografie sue, e la sua croce di guerra con attestato che dopo anni è stata rilasciata a mia madre.
    Mi farebbe tanto piacere che i lettori del vostro blog potessero parlare di mio padre.
    Vi allego alcune belle fotografie e anche la foto di quell’orologio, è tutto quello che posseggo di lui.
    Spero che voi possiate onorare mio padre che riposa nel cimitero San Michele di Cagliari assieme ai suoi altri compagni Caduti in guerra.
    Vi allego foto anche della sua tomba.
    Per chi volesse contattarmi per scambiare notizie:
    Bruno Henning Castellani
    Via F. Sivori 311a (scala c) – 16136 GENOVA
    Tel. 3287406420
    mail: br.henning@gmail.com

    P.s. se dovessi trovare altre foto o cimeli ve li invierò, sicuro che Lei, carissimo Ezio, costruirà una bella storia su mio padre Ferruccio. Che DIO la benedica.
    Bruno HENNING CASTELLANI di MALO
    Ecco anche fotografie mie, una da giovane bimbo e una di adesso.

    6.2.2017 ore 19.06
    SIG. EZIO VINCIGUERRA,
    ECCO ALTRE FOTO UNA DEL ROTTAME DELL’OROLOGIO LONGINES CHE MIO PADRE PORTAVA AL POLSO AL MOMENTO DELLA TRAGEDIA.

    E POI UNA SUA FOTOGRAFIA E DELLA LAPIDE CHE A VENEZIA LIDO RICORDA I CADUTI DEL MARE. IL NOME DI MIO PADRE E’ IL QUINTO A SINISTRA. ANCORA GRATO DELO SUO INTERESSAMENTO E DELL’ARTICOLO CHE IO TERRO’ STRETTO AL MIO CUORE.
    UN CARO SALUTO BRUNO HENNING CASTELLANI di MALO.

    Nota
    Sull’elenco dei Caduti e Dispersi della 2^ Guerra Mondiale della Marina Militare risulta essere deceduto il 14.4.1943.