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    Certe volte gli amici …


    CERTE VOLTE
    Certe volte
    si scrive
    per il puro bisogno di scrivere
    e per null’altro.
    Certe volte
    le qualità insite in ognuno di noi
    si attirano le inimicizie.
    Certe volte la paura
    non risiede nello straordinario
    ma nella vita di tutti i giorni.
    Certe volte serve solamente
    la consapevolezza e la certezza
    di essere e non di apparire.
    Pancrazio”Ezio” Vinciguerra

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    L’antico rito marinaresco di tagliare le trombe marine

    di Orazio Ferrara (*)

    Si racconta che i capitani marini ovvero i patruni dei velieri dell’isola di Pantelleria fossero i più bravi e “sperti” nell’eseguire l’antico rito marinaresco del taglio della tromba marina, che, quando improvvisamente compariva sul mare, rappresentava un vero e proprio pericolo mortale per i fragili legni dell’epoca. In tempi più recenti i marinai panteschi chiamavano la tromba marina kuda d’arja, mentre per il passato la chiamavano draunara (dragunera) al pari di quelli di Mazara del Vallo e di Lampedusa, quest’ultimi la usano ancora oggigiorno.
    La tromba marina, dovuta ad un cumulo con forti correnti ascensionali, è un fenomeno atmosferico che si sviluppa e si muove rapidamente sul mare, spazzandone la superficie e procurando a volte danni alle eventuali navi che incappano in essa. Per il passato questi danni potevano essere fatali trattandosi allora di velieri con estesa alberatura.
    Sempre per il passato si credeva (per la verità si crede tuttora, in quanto i marinai sono tra la gente più corriva alla superstizione nelle cose di mare) che la dragunera fosse opera malvagia del demonio (il dragone di tante raffigurazioni religiose) ed ecco la ragione di quel nome. Si credeva altresì che essa poteva essere esorcizzata e fatta sparire  attraverso un ancestrale rito di parole e di gesti ai confini tra la magia bianca e quella nera. Questo rito era assai antico nel mondo marinaresco, tanto che venne praticato persino da Cristoforo Colombo nel suo ultimo viaggio nelle Americhe, esattamente il martedì del 13 dicembre 1502.


    E veniamo al rito di tagghiari a Dragunera ovvero la coda del drago. Allorquando da una nave o da un veliero veniva avvistato l’avvicinarsi di una tromba marina, il capitano (se invece si trattava di una barca, il marinaio più anziano), rigorosamente a capo scoperto, si metteva di fronte al fenomeno marino, impugnando con la mano sinistra un coltello e con la destra libera o impugnante con quest’ultima un crocifisso  o una spada in verticale (come nel caso di Colombo o di capitani di vascelli militari).
    Poi il capitano recitava ad alta voce il “Padrenostro Verde”, una specie di preghiera capovolta infarcita di orribili bestemmie, che serviva ad ingannare il diavolo, a ingraziarselo e a tenerlo buono per alcuni istanti. Dopodiché il capitano subitaneamente, guardando sempre fisso la coda della tromba marina, con la sinistra armata di coltello fendeva, verso quella direzione, l’aria in orizzontale per tre volte (il numero della potenza della Trinità) e con la destra segnava nell’aria un triplice segno di croce. Nel contempo doveva recitare le parole dello scongiuro (ripetuto anch’esso tre volte).
    Queste parole, per i capitani panteschi e quelli del Canale di Sicilia (Trapani, Mazara), erano le seguenti:
    Nniputenza di lu Patri,
    Sapienza di lu Figghiiu,
    pi virtù di lu Spiritu Santu
    e pi nnomu di Maria
    sta cuda tagghiata sia
    (Onnipotenza del Padre / Sapienza del Figlio / per virtù dello Spirito Santo / e per il nome di Maria / questa coda sia tagliata).

    Qualcuno, sempre dell’area marinaresca sopra indicata, usava quest’altro scongiuro peraltro simile nella parte finale:
    Lùniri santu, Màrtiri santu
    Mèrcuri santu, Iòviri santu
    Vènnari santu, Sàbbatu santu
    Duminica di Pasqua
    sta cuda a mmari casca
    e pi lu nnomu di Maria
    sta cuda tagghiata sia

    (Lunedì Santo, Martedì Santo / Mercoledì Santo, Giovedì Santo / Venerdì Santo, Sabato Santo / Domenica di Pasqua / questa coda cada a mare / e per il nome di Maria / questa coda sia tagliata).

    I pescatori mazaresi, dalle loro barche incappate in una tromba marina, usavano quest’altro scongiuro, che riportiamo per la curiosità dei nostri lettori:
    Menzu lu mari c’è un sirpenti
    c’havi la cuda, la testa e li denti
    e pi lu nomu di Diu Onniputenti
    ti tagghiu la cuda, la testa, li denti

    (In mezzo al mare c’è un serpente / che ha la coda, la testa e i denti / e in nome di Dio Onnipotente / ti taglio la coda, la testa, i denti).

    Se il rito era stato ben fatto e le parole dette giuste immancabilmente la coda della dragunera ovvero della tromba marina era stata tagliata e si sollevava lentamente dal mare al cielo fino a sparire del tutta, lasciando solo un leggero alito di vento. A quel punto il capitano recitava il “Padrenostro Cristiano”  per ringraziare Nostro Signore per il grave pericolo scampato e ad estrema beffa e insulto per il demone maligno.

    All’inizio abbiamo accennato come i marinai panteschi fossero in Sicilia tra i più “sperti” in questo rito, uguagliati soltanto da quelli delle isole Eolie. Il segreto stava nell’utilizzare, per tagliare la coda della Dragunera, un coltellino di pura ossidiana nera, ritenuto lo strumento magico per eccellenza per una buona e perfetta riuscita. I Panteschi si servivano dell’ossidiana di Salto La Vecchia (non a caso luogo dalle coordinate magiche), mentre gli Eoliani dell’ossidiana dell’isola di Lipari. Le altre marinerie, quali la palermitana, la trapanese e la mazarese, per ovviare alla mancanza dell’ossidiana si servivano di un coltello dal manico rigorosamente nero.

    La formula dello scongiuro era lecito trasmetterla e tramandarla oralmente, dai marinai più anziani a quelli più giovani, soltanto nella notte del Santo Natale. Solo in questa notte l’adepto, imparandola a memoria, aveva la facoltà di renderla efficace. Chi la trasmetteva poteva recitarla una sola volta e chi non riusciva a memorizzarla e a recitarla in quella stessa notte doveva aspettare e riprovare il Natale dell’anno prossimo. Si credeva che tutto ciò ricadesse, per antica consuetudine, nell’ordine immutabile del sapere tradizionale trasmesso oralmente.
    Sempre quella stessa notte di Natale i marinai più anziani, per scaramanzia e fede (non c’era alcuna contraddizione per quelle menti semplici), immergevano con devozione le mani nell’acquasantiera, affidandosi allo Spirito Santo per non avere “morte per acqua” ovvero di non morire in un naufragio della propria imbarcazione.
    Termino riportando le strofe finali della poesia “Il miracolo di Colombo” di Giovanni Papini, quando il grande navigatore ha ormai sconfitto la Dragunera:

    Dopo che il portator di Cristo tutto
    ebbe scandito il prologo a gran voce,
    alzò la spada sull’enorme flutto
    e per tre volte lo segnò di croce.
    Subitamente la colonna nera
    al triplice baleno
    e incalzato da un vento di preghiera
    verso ponente il gran nembo piegò.

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