Giustizia fu fatta quando fui promosso Capo di 1^ classe furiere di complemento
di Antonio Cimmino
Caro Ezio, credo proprio sia impossibile non amare, e ti spiego.
Con il diploma di perito navale, fui ammesso alle selezioni per il corso A.U.C. “D” per Livorno.
Mi diedero anche il biglietto Compamare-Livorno.
Dopo qualche mese vennero i Carabinieri e vollero che restituissi tutta la documentazione in Capitaneria perché non ero stato più ammesso. Pazienza…
Partii di leva, tanto dopo 6 mesi mi avrebbero fatto sergente con cambio di vestiario.
Alla prima licenza, lasciai la cappotta a mio padre che lavorava nei cantieri navali di Castellammare di Stabia all’intemperie, tanto non mi sarebbe più servita, anche perché mi diedero una sola divisa invernale come a tutti i diplomati.
Su Nave Volturno e Nave Etna, mi impegnai molto e le note caratteristiche erano “superiore alla media”. Vedevo tutti i miei fratelli di contingente passare di grado e cambiare status ( …e paga).
Un giorno mi chiamò il Comandate dell’Etna e mi disse che non ero stato promosso sergente, mi fece capire che forse per problemi politici.
Apriti cielo, mi cascò il mondo addosso. Subito richiesi la cappotta a mio padre che me la mandò a Taranto tramite un operaio dell’arsenale in trasferta a Castellammare.
Da un rapido esame mi accorsi che molti miei amici di Nave Volturno, come me, non erano stati promossi. Ma loro erano impegnati politicamente specie quelli di La Spezia, Sarzana e Trieste, io invece, ero stato tenuto fuori da mio padre che mi inviò perfino a scuola dai salesiani (a costo di enormi sacrifici economici) per darmi un futuro migliore Mio padre era comunista – ma quelli di base, operai che lottavano per una migliore condizione di vita nelle fabbriche e nella società – e fu implicato nei disordini a Castellammare (come in tutta Italia) dopo l’attentato a Togliatti ottenendo una condanna di 9 mesi. Il mio mondo era crollato…
Mi rassegnai a trascorrere i due anni di leva come sottocapo (meno male che non ci pensarono, altrimenti sarei stato un marinaio semplice).
La divisa invernale, l’unica, era diventata lisa.
Mi congedai molto arrabbiato, ma non contro la Marina che amavo ma contro i militari ed i politici. Mi iscrissi all’Associazione Nazionale Marinai d’Italia e iniziai a chiedere il perché di questa incomprensibile scelta della non promozione giacché io e mio padre eravamo due entità giuridiche distinte e poi l’onore di ricevere il grado mi spettava…
Successivamente, tra un ricorso e l’altro, mi laureai in Giurisprudenza.
Mutò il mio status e, mutando la situazione politica, ebbi la promozione simbolica e dopo qualche tempo anche la richiesta di documentazione per il N.O.S. (Nulla Osta di Segretezza).
Era il 1980. Da meccanico ero passato nella categoria furiere. Mi hanno mandato la cartolina rosa di pre-mobilitazione fino al 50° anno di età. Questa in sintesi la mia storia. L’ho scritta in maniera veloce e accavallata perché l’emozione mi prende sempre…
Volevo restare in Marina, quella che mi raccontava mio padre che si era fatto 7 anni dal 1937 al 1943. La Marina non l’ho mai odiata, non mi aveva tradito, come una ragazza i cui genitori mi avevano maltrattato (…ella mi avrebbe voluto).
Così forse mi spiego e ti spiegherai questo rinnovato e senile amore per essa.
Ciao Antonio.
Ciao Antonio,
nel leggere e rileggere la tua accorata mail mi sento di poter affermare, tranquillamente, che quello che è accaduto a te e accaduto anche a me nel 2010 (con conseguenze anche sul fisico e sul morale) e per questo comprendo. I pregiudizi sono spesso accompagnati dalla mancanza di amore verso gli altri, nelle vessazioni (oggi si usa il termine mobbing) che vanno a braccetto con la superbia e l’invidia: due dei peggiori peccati capitali.
In qualunque campo, compreso l’ambiente militare, le persone di cultura, di sapienza, hanno dato e continuano a dare fastidio, e non poco, a quei saccenti che io definisco gli “illuminati di niente” se non dal peccato.
Li dobbiamo perdonare? Tutti e sempre, pregando per loro, perché la mancanza del perdono è come un veleno che beviamo giornalmente, un veleno il maligno ci somministra in gocce e che, alla fine, potrebbe uccidere l’anima nostra.
Perdonare non significa non dare importanza a quello che è successo, né dare ragione a chi ti fa compassione. Semplicemente significa mettere da parte i pensieri che causarono dolore perché chi guarisce le ferite provocate dal risentimento, rinnova le persone, i matrimoni, le famiglie, le comunità, la vita sociale, sua e degli altri.
La scelta di amare gli altri così come dobbiamo amare LUI oltre che lo stile di vita del Cristiano: sono i primi due Comandamenti che ci ha dettato attraverso Mosè per questo accetta di perdonare sempre, chiunque e per ogni cosa.
Perdonare come hai perdonato tu, carissimo Antonio, perdonare con l’esempio della sua Vita, Morte e Resurrezione, sempre!
Pancrazio “Ezio” Vinciguerra (per te Antonio solo e sempre Ezio)
P.s. Nel Vangelo di oggi Matteo (18, 15-20) ci propone Dio che ammonisce.
L’ammonizione e la correzione sono una manifestazione dell’amore…non possiamo dire di amare Dio, se poi non siamo in grado di andare d’accordo almeno con coloro che vivono con noi tutti i giorni. Sarà un caso?
Per gli Illuminati di niente a buon intenditor…