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Aquile Africane – Storie di piloti della Regia in Africa Orientale/1940-1941

di Orazio Ferrara (*)

Non fu solo il capitano pilota Mario Visentini a dare bagliori fiammeggianti al crepuscolo dell’impero italiano in Africa Orientale. Certo egli fu il migliore e più fulgido esempio di quale tempra d’acciaio fossero fatti certi uomini della Regia Aeronautica italiana. Certo egli fu, a ragione, il più conosciuto ed ammirato, in patria e non solo. Ma vi furono anche altri piloti che seppero tenere alto, anzi altissimo, il nome dell’Italia in quelle lontane e sperdute terre africane contro un nemico non più bravo di noi, ma meglio guidato e organizzato. E forse più fortunato.
Il primo vero, temibile avversario per quei piloti, ma anche per i fanti e i marinai e non solo per quel teatro di guerra, fu la scriteriata condotta tattico-strategica di certi settori dei loro alti comandi, che si piccavano di saperla lunga in fatto di arte militare. E invece… Così si andò incontro ad incomprensibili sconfitte, rischiarate solo dal sangue versato di chi, in divisa e ubbidendo in silenzio, aveva offerto la sua giovane vita.
Alla fine del conflitto si sorvolò con nonchalance tutta italica sul pressapochismo, sul dilettantismo e sull’incompetenza di certi “capi” militari. Ancora una volta non facevamo i conti con la nostra storia militare. Esattamente come dopo Custoza, Lissa, Dogali, Adua, Caporetto. Ma non di ciò abbiamo voluto parlare, bensì di quei piloti della Regia, disconosciuti ai più, che si distinsero nei cieli dell’Africa Orientale negli anni 1940/1941, pur in presenza spesso, ripetiamo, di scriteriati modi d’impiego.
Siamo consapevoli che celebrare certe vicende e certi uomini, specialmente di un teatro di guerra coloniale, si presta il fianco alla facile e prevedibile accusa di “nostalgismo” coloniale, se non peggio di “colonialista”. Rispondiamo che non ha senso alcuno calare l’anticolonialismo dei nostri giorni in vicende accadute quasi ottant’anni fa. Si rischia di leggere quegli accadimenti con la lente deformante del pregiudizio e di continuare nel solco delle vulgate storiche tradizionalmente di comodo, che però ormai fanno acqua da tutte le parti.
E così abbiamo raccontato, senza pastoie ideologiche o di fazione, di un aquilotto fanese, il sergente maggiore pilota Enzo Omiccioli, diventato per gli ascari “il diavolo bianco”, che era solito lanciare il suo aereo in acrobatiche esibizioni anche quando affrontava i velivoli nemici. Era il suo modo scanzonato di cantare la giovinezza e… la guerra. Omiccioli era mille miglia lontano dall’essere un guerrafondaio, ma era un giovane che viveva in pieno la sua epoca e quindi intriso anche dei valori di quel tempo.
Abbiamo scritto poi del sottotenente pilota Miroslavo Komjanc, sloveno e italiano ad un tempo. Due patrie un unico orgoglio. Poteva sacrificare la sua giovane vita per l’una o per l’altra. Le amava entrambe. Scelse l’Italia.
Raccontato dell’eroica morte di Ildebrando Malavolta, l’ultima nostra aquila in terra d’Africa, al cui coraggio financo lo stesso nemico s’inchinò.
“Tribute to the pilot of the Fiat. He was a brave man. South African Air Force”
(Omaggio al pilota del Fiat. Egli era un uomo coraggioso. La Forza Aerea del Sud Africa).
Così recitava il messaggio lanciato da un pilota britannico sulle linee italiane di Gondar dopo la morte di Malavolta.
E raccontato del sottotenente pilota Alberto Veronese, asso della 410a Squadriglia Caccia, quella dei diavoli rossi. Infine di Max Peroli, l’indomito trasvolatore della Regia, che beffò più volte la diuturna vigilanza della Royal Air Force su rotte, su cui quest’ultima aveva l’assoluto dominio dell’aria.      

Titolo: Aquile Africane;
Sottotitolo: Storie di piloti della Regia in Africa Orientale / 1940-1941;
Autore: Orazio Ferrara;
Editore: IBN Roma;
Anno: 2019.

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