Poesie

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    21.3.1921, in ricordo di Alda Merini

    di Alda Merini

    Alda Merini, un’isola di saggezza in un mondo di follia.

    Poetessa visionaria e lucida, mente tremula e forte, cuore di oceano in un corpo senza pelle.


    Sono una donna anziana, di 76 anni, malconcia, che ha subìto diversi interventi di cui l’ultimo all’anca e quindi faccio fatica a muovermi. Mi piacerebbe uscire, scendere le scale (non ho l’ascensore) e fare una passeggiata per le vie della città, bere un caffè al bar, sorretta dal mio bastone. Ma ho paura. Paura del mondo attorno perché è così spaventosamente cambiato. Io sono stata in manicomio per tanti anni, ma dopo la legge Basaglia (legge 180 che ha fatto chiudere i manicomi) i matti sono in giro e hanno ragione di essere matti: c’è troppo odio in questa società. Un odio che ha devastato l’Italia e che rende le persone ignoranti, aride e cattive. Non c’è più amore per nessuno. E per assurdo affermo che mi sentivo più sicura in manicomio, anche se so che con questa mia affermazione urterò la sensibilità di molti: io vorrei che riaprissero i manicomi. Dico di più, vorrei ritornarci. Tra le mie quattro mura non mi sento sicura, ho dei vicini terribili, persone inqualificabili. Mi disturbano con il silenzio, se facessero rumore mi farebbe piacere, vorrei sentire le grida dei loro bambini, invece niente, silenzio tombale che mi porta a domandare “sarà in casa?”. Poi improvvisamente questo silenzio viene rotto da un rumore violento che ti fa sobbalzare perché non te l’aspettavi e se sei fragile di cuore può anche farti male. È una tortura morale. Madre Teresa di Calcutta diceva che c’è qualcosa di più grave dell’omicidio colposo: l’indifferenza, che può arrivare a uccidere un uomo. Ecco, i miei vicini mi trattano con indifferenza. Non parlano, non si rivelano, fanno comunella tra loro, continuano a vedermi come la donna che è stata in manicomio, una sorta di stigam impresso addosso, che mina la mia identità personale, per loro io sono ancora matta, e anche mia figlia lo è, per il solo fatto di essere nata da me. Ma i veri disturbati di mente sono loro. La gente odia la malattia mentale perché ha paura di essere uguale al malato di mente, molti non lo sanno che sono già uguali ai pazzi. E così li emarginano credendosi sani. I miei vicini di casa ricostruiscono la mia pazzia. Sparlano alle mie spalle perché la mia casa è disordinata, per loro vivo nella sporcizia, loro invece hanno case asettiche, perfette e impersonali ma non si rendono conto che vivono nella sporcizia morale. Il fatto che non mi rivolgano la parola è drammatico.
    (testimonianza pubblicata su D – la Repubblica delle Donne)

    Tramonto sul lago
    “Vibra d’un ultimo sospiro
    il giorno incandescente,
    provando a trattenere
    il calore che svanisce;
    rosso di stanchezza
    s’inabissa il sole
    nell’acque increspate
    a incontrar ristoro,
    e passa alla sera intatto
    il testimone dei pensieri.”
    Alda Merini (1931 – 2009)


    Ponza, il faro della guardia (Alda Merini)
    “Quello è il faro
    e noi
    sui gradini dell’immaginazione
    indoviniamo i flutti dove vanno. …”
    Alda Merini (1931 – 2009)

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    Quel gesto dei militari di portarsi la mano alla fronte per salutare la Bandiera

    di Enzo Arena

    Quel gesto di portarsi la mano alla fronte per salutare militarmente la bandiera ogni volta che salivo o scendevo la passerella della Nave o Sommergibile dove ero imbarcato, poteva sembrare un gesto tanto abituale ed istintivo che veniva fatto meccanicamente. Invece no!
    Quel gesto che ripetevo anche decine di volte in un solo giorno, era un gesto che sentivo dentro, era un gesto che mi dava il piacere di essere ossequioso nei confronti di un simbolo così grande che riusciva a darmi orgoglio.
 Mi soffermavo spesso a guardare con piacere anche tutti i colleghi che, come me, compivano quel gesto con amore e rispetto.
    Al suono del fischio che accompagnava “l’alza o l’ammaina bandiera” interrompevo qualsiasi cosa stessi facendo e, a capo scoperto, sull’attenti e con lo sguardo fisso sulla bandiera che lentamente saliva o scendeva lungo l’asta, seguivo con i brividi, così come facevano tutti i colleghi.
    Solo dopo che la bandiera aveva concluso il suo percorso ed il fischio o la tromba lo avevano segnalato, riprendeva il normale scorrere della vita nel nostro mondo.
    Grande il potere di quel simbolo! Per qualche minuto, tutti i giorni, alle otto del mattino ed al tramonto, la bandiera fermava lo scorrere della vita.

    Il saluto alla Bandiera (Enzo Arena)

    Ti salutavo cento volte al giorno
    mentre salivo o scendevo passerella.
    Guardavo in alto e tu sempre presente.
    Io sull’attenti e tu sempre più bella.

    Eri il buongiorno, il buon vento,
    il “buon tutto” e… anche in mare,
    al tramonto con fischio e con onori:
    sere lontane e colme di preghiere.

    Il tuo lento salire lungo l’asta,
    il mio sentir la pelle accapponare.
    Cara bandiera, ti prego, resta in alto!
    Continua tanti cuori a far sperare!

    Ti vedo meno, ti vedo bistrattata.
    Ti vedo offesa, ferita e con stampella,
    Ma resta lì! Stai sempre a sventolare.
    Cara bandiera, sei sempre la più bella

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    8 marzo, per non dimenticare Giovanna Reggiani

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    – 8 MARZO FESTA DELLA DONNA –

    … a Giovanna Reggiani e a tutte le donne uccise dall’uomo e dal loro degrado.

    A te, donna, che a questa terra rabbuiata dall’odio doni una luce d’amore, che a un mondo di fiele doni il sapore della dolcezza; che a un mondo senz’anima doni il cuore e la speranza, che a questo mondo orribile doni la tua grazia e la tua bellezza, che ad un mondo morente doni la gioia della vita e della speranza, che nel dolore del parto doni la vita ed il sorriso di un bambino, che nella distruzione della società combatti per i figli e per l’unità della famiglia.
    A te, donna, non a caso primo essere femminile creato da Dio, perché il mondo di allora, come quello di adesso, possa stupirsi e gioire della tua presenza.
    A te, donna, che sei l’espressione più bella, carezza d’amore e colomba di pace, nido di dolcezza e culla della vita.
    A te, donna. Grazie.

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    5.3.1943, il coraggio di vivere che ancora non c’è

    I giardini di marzo
    (Mogol – Battisti)

    Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati
    al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti
    io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti
    il più bello era nero coi fiori non ancora appassiti.
    All’uscita di scuola i ragazzi vendevano i libri
    io restavo a guardarli cercando il coraggio per imitarli
    poi sconfitto tornavo a giocar con la mente i suoi tarli
    e alla sera al telefono tu mi chiedevi perché non parli.
    Che anno è che giorno è
    questo è il tempo di vivere con te
    le mie mani come vedi non tremano più
    e ho nell’anima
    in fondo all’anima cieli immensi
    e immenso amore
    e poi ancora ancora amore amor per te
    fiumi azzurri e colline e praterie
    dove corrono dolcissime le mie malinconie
    l’universo trova spazio dentro me
    ma il “coraggio di vivere quello ancora non c’è”…
    I giardini di marzo si vestono di nuovi colori
    e le giovani donne in quei mesi vivono nuovi amori,
    camminavi al mio fianco e ad un tratto dicesti “tu muori
    se mi aiuti son certa che io ne verrò fuori”
    ma non una parola chiarì i miei pensieri
    continuai a camminare lasciandoti attrice di ieri.
    Che anno è che giorno è
    questo è il tempo di vivere con te
    le mie mani come vedi non tremano più
    e ho nell’anima
    in fondo all’anima cieli immensi
    e immenso amore
    e poi ancora ancora amore amor per te
    fiumi azzurri e colline e praterie
    dove corrono dolcissime le mie malinconie
    l’universo trova spazio dentro me
    ma “il coraggio di vivere quello ancora non c’è”…