C'era una volta un arsenale che costruiva navi

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    23.2.1846, varo della pirofregata a ruote Carlo III

    di Antonio Cimmino

    …a Castellammare di Stabia c’era un arsenale che costruiva navi, e adesso?

    La pirofregata a ruote Carlo III, varata a Castellammare di Stabia il 23 marzo 1846, la sera del 4 gennaio 1857, mentre era in rada a Napoli in partenza per Palermo, improvvisamente prese fuoco e scoppiò il suo carico di munizioni e polvere da sparo, provocando la morte di 38 uomini dell’equipaggio.

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    20.2.1929, varo della regia nave Strale

    di Antonio Cimmino



    …c’era una volta un arsenale che costruiva navi, e adesso?

    Cacciatorpediniere classe Dardo. Varato a Sestri il 20 febbraio 1929. Incagliatosi mentre scortava un convoglio presso Ras ed Amar il 21 giugno 1942.
    Silurato ed affondato il 6 agosto 1942 dal sommergibile inglese Turbolent.

    Dati tecnici
    Dislocamento: 2.200 tonnellate a pieno carico;
    Dimensioni:95,9 x 9,35 x 4,3 metri;
    Apparato motore: 3 caldaie e 2 gruppi di turbine collegate a due assi;
    Velocità: 30 nodi circa;
    Armamento:
    – 4 cannoni da 120/50 mm;
    – 2 cannoni da 120/15 (illuminanti);
    – 2 mitragliere da 40/39 mm;
    – 4 mitragliere da 13,2 mm;
    – 6 tubi lanciasiluri da 533 mm;
    – 2 tramogge per lancio bombe di profondità;
    Equipaggio: 6 ufficiali e 159 tra sottufficiali, graduati e comuni;
    Motto: Ché il destinato segno tocchi.

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    La stagionatura tronchi in acque minerali

    di Antonio Cimmino

    … a Castellammare di Stabia c’era una volta un arsenale che costruiva navi, e adesso?

    Nel Real Arsenale di Castellammare di Stabia, alla fine del ‘700, la stagionatura legname (teorie russe, inglesi e francesi) era fatta con le acque minerali. Infatti le acque minerali favoriscono una buona stagionatura propedeutica a quella dell’aria sotto le tettoie.
    Questo esperimento fu eseguito nel 1973.
    La stagionatura veniva effettuata per 6 mesi immergendo tronchi di quercia in acqua media-ferruginosa-sulfurea e successivamente per 2 mesi sotto tettoia.
    Il legname di quercia, asciugandosi, si presentava più compatto e flessibile rispetto a quello stagionato sotto tettoia e per oltre 12 mesi.
    Fra gli annali sono state ritrovate una relazione del colonnello del Genio Francesco De Vita all’accademia delle Scienze nel 1819 e nel 1835.


    Il ritrovamento a Messigno di 12 tronchi di cipresso infossati verticalmente in zona ricca di lapilli e polle di acque minerali (forse di navi romane sepolte dall’eruzione del 79 d.C.) si presentava compatto agli occhi degli archeologi, rigoroso e assai ben conservato. Così affermava l’ingegnere di 1^ classe Giuseppe Negri del Real Arsenale di Castellammare di Stabia:
    … il legno conserva la sua flessibilità, le fibre sono integre e conservano ancora l’odore di cipresso”.

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    7.2.1911, entra in servizio il regio incrociatore San Marco

    
a cura di Antonio Cimmino e Carlo Di Nitto

    …a Castellammare di Stabia c’era una volta un arsenale che costruiva navi, e adesso?



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    Il regio incrociatore corazzato San Marco, classe San Giorgio, fu varato a Castellammare di Stabia (Napoli) il 20 dicembre 1908. Fu la prima nave da guerra italiana ad avere 4 turbine Parson, alimentate da 14 caldaie, in luogo delle macchine alternative a vapore.

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    Apparteneva alla classe Principe di Carignano.
    Entro in servizio nel mese di febbraio 1867.
    Nata inizialmente come pirofregata ad elica, subì nel corso della sua esistenza diverse classificazioni.
    Una prima revisione con l’applicazione di piastre di ferro da 110 mm, venendo classificata pirofregata corazzata di primo ordine. Una seconda revisione fu ultimata il 1 luglio 1877 venendo riclassificata fregata corazzata di 2a classe.
    Il suo dislocamento era pari a 4313 tonnellate alimentata da 6 caldaie cilindriche che sviluppavano una potenza di 600 HP nominali per una velocità massima di 12 nodi.
    Svolse servizio di ordinaria amministrazione eccezion fatta  per la partecipazione nel settembre del 1880 per la campagna di liberazione di Roma.
    Ebbe breve vita per la rapida evoluzione del naviglio corazzato e fu definitivamente radiata dal naviglio il 19.2.1880.

    di Carlo Di Nitto
    Il regio incrociatore corazzato San Marco, classe “San Giorgio”, fu impostato e costruito nei cantieri di Castellammare di Stabia l’1/9/1905, dislocava 11300 tonnellate.
    Fu varato il 20/12/1908 ed entrò in servizio il 07/02/1911; ha la caratteristica di essere stata la prima unità italiana ad essere dotata di apparato propulsivo a turbine.
    Durante la guerra di Libia partecipò a varie operazioni. Venne anche dislocato a Derna da dove effettuò diverse missioni di vigilanza e appoggio lungo le coste della Cirenaica, quindi partecipò allo sbarco di Rodi.
    Nel corso della Prima Guerra Mondiale svolse missioni di bombardamento contro le coste nemiche e crociere di vigilanza. Dopo il conflitto passò alle dipendenze del Comando Navi scuole, effettuando crociere per gli allievi dell’Accademia.
    Nel 1934 fu trasformato in nave bersaglio radiocomandata.
    Dopo la proclamazione dell’armistizio, il 9 settembre 1943, fu catturato dalle forze tedesche di occupazione. Alla fine della guerra venne trovato affondato nel porto di La Spezia.
    Fu radiato ufficialmente nel 1947. Il relitto, recuperato nel 1949, venne avviato alla demolizione.
    Il suo motto fu: “Custos vel ultor” (Custode o vendicatore).

    Il regio incrociatore corazzato San Marco verosimilmente fotografato nel periodo della Prima Guerra Mondiale.

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    Sala dei garbi (sala a tracciare)

    di Antonio Cimmino

    Il “tracciato alla sala” è un disegno esatto nella scala reale (1:1) rilevato dai disegni cartacei del progettista per rilevare, con tracciati supplementari e con sagome modelli, i dati necessari alla costruzione di una nave.
    Per le navi da guerra corazzate, si rilevano i profili delle piastre corazzate che vengono inviati alla fonderia per poi montarle a bordo durante l’allestimento. Sempre per le navi in ferro, sono rilevati i profili di altri pezzi fusi come, ad esempio, occhi di cubia, bracci portaelica, dritto di poppa ecc..
    I tracciatori, con l’aiuto dei falegnami, costruiscono anche sagome (seste) e simulacri da inviare nell’officina navale per le successive fasi della lavorazione. Essi quindi stavano a monte del processo produttivo.
    Le linee geometriche di nuove navi da costruire erano armonizzate nelle tre viste:
    – piano longitudinale;
    – piano verticale o trasversale;
    correggendo inesattezze ed incompletezze non apprezzabili su modello oppure Piano di costruzione in scala; inoltre per ampliare sviluppi e tracciati strutturali, rilevare garbi al vero per poi lavorare in officina (su materiale prescelto), strutture comunque sagomate, quartabonate e rette.
    Dagli anni ’80 del 1700 e fino agli inizi degli anni ’70 del 1900 si è continuato ad operare sostanzialmente in maniera immutata nella metodologia del lavoro.

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    26.1.1883, viene consegnata la regia nave Flavio Gioia

    di Antonio Cimmino

    La nave fu progettata dall’Ispettore Generale Carlo Vigna e costituiva una classe di due unità assieme alla gemella Amerigo Vespucci costruita nell’arsenale di Venezia.
    La cerimonia del varo e alcune caratteristiche tecniche dell’unità, furono descritte, con una prosa alquanto enfatica ma sicuramente esatta nei dettaglio, dal giornalista Nicola Lazzaro sull’Illustrazione Italiana n. 27 del 3 luglio 1881.

    “…Intanto il Flavio Gioia, quasi donzella che presso al matrimonio si vede allontanato il giorno deciso ed aspetta tranquilla, se ne restava al suo letto nel cantiere e sfidava lo imperversar della pioggia, come il saettare del fulminer. Ma il giorno di domenica 12 giugno si vide rivestire a festa, gli operai gli appiccicarono nei fianchi delle immagini di santi e madonne, altri lo copersero di fiori e l’imbandierarono tutto. Quale elegante mostra di sé dava la nave sulo suo scalo! Non era la colossale mole dell’Italia, ma qualche cosa di civettuolo e di simpatico. L’Italia era la imponente matrona romana, il Flavio Gioia la piccola donnina elegante di un salone. La folla corse a vederla scendere nel mare, come era accorsa per l’altra, e tutta Castellammare sembrava irriconoscibile. Vi si giumgeva da Napoli mercé gli avvisi della R.Marina, i piroscafi delle società commerciali, la ferrovia e le carrozze. Vi si arrivava dai paesi limitrofi per le ferrovie, sulla carrozze ed anche a piedi. Anzi quest’ultimo mezzo fu quello adoperato dalla generalità dei contadini, che prefittando della festa, lasciarono i villaggi e vennero in città.
    Alle undici monsignor Sarnelli, vescovo di Castellamare, intervenuto alla cerimonia, per tema avessero nuovamente a sospendergli le temporalità, seguito dal clero dà la benedizione religiosa alla fidanzata, cioè al Flavio Gioia; è uno msposalizio della signora nave con il signor mare. Buon numero di invitati sono già presenti. Alle 11 ½ arrivano altri molti e con essi tre grosse corazzate, il Duilio, l’Affondatore e d il Principe Amedeo. I cannoni delle tre matrone salutano la sposa. (…)

    Si tolgono gli ultimi puntelli, ed alle due e dieci minuti il capo operaio grida la formula sacramentale – In nome di Dio tagliate le gomene! Da un capo e dall’altro due nerboruti artigiani prendono affilate ascie. Un lampo, un colpo secco ed il Flavio Gioia resta in balia di sé stesso, sciolto da qualsiasi legame. Per qusi non ne sia certo e ad assicurarsene si dondola per un istante. Convintosi che niente, assolutamente niente, lo attacca alla terra, leggermente scivola sul suo letto e fra un grido massimo, immenso, di Viva l’Italia! che prorompe dagli spettatori, si tuffa nelle acque. La sposa si getta nelle braccia dello sposo, che amorevolmente l’accoglie, e gli invitati vanno via per non disturbare, con la loro presenza inopportuna, gli intimi colloqui. Il varo non poteva riuscire meglio ed ha mostrato ancora una volta come Castellammare sia un cantiere di primo ordine.
    (…) Prende posto… fra i legni di secondo ordine non corazzati, e tuttavia è destinato a rendere importanti servizi dei legni di primo ordine anche dei corazzati. Il suo nome tecnico è incrociatore, sua missione in tempo di guerra, di essere all’avanguardia della flotta, esplorare, dar la caccia ai legni mercantili del nemico. Necessita quindi che cammini celermente e sia potentemente armato. A ciò si è pensato fornendolo di una macchina a tre cilindri, che sviluppa una forza di 5000 cavalli ed imprime al legno una velocità media di 16 miglia all’ora. La macchina è stata costruita dalla rinomata casa inglese Penn (…)

    Il Flavio Gioia sarà armato con 8 cannoni ognuno di 15 centimetri, atti a forare le corazzate di secondo ordine, ed avrà inoltre due mitragliatrici sistema Northenfield e due stazioni, una per lato, per lancio dei siluri. Lo scafo di acciaio al pari delle pareti-stagne, e della struttura dei ponti. Tutta la lunghezza della nave è difesa da un ponte cellulare corazzato che si stende orizzontalmente, assicurando così dai proiettili nemici i locali sottostanti (…) Sul Flavio Gioia non c’è nulla che manchi o venga meno al progresso marittimo; timone a vapore, macchina per salpare le ancore, barcacce a vapore insommergibili, campanelli elettrici, luce elettrica per illuminare i ponti, indicatori di giri sul ponte del comando ed altre invenzioni moderne per rendere abitabile, sicura e comoda una nave da guerra. (…)
    Come si evince dalle stampe, il varo fu eseguito di prora e non, come usualmente avveniva ed avviene, costruendo la nave sullo scalo con la poppa rivolta verso il mare in modo che, all’atto dell’incontro con l’acqua della parte poppiera più rotondeggiante, faciliti la cd. spinta di Archimede. Tale spinta di galleggiabilità assume la forza massima quando la parte prodiera dell’invasatura toccando l’acqua fa inclinare leggermente la prua. Questo momento è chiamato, in gergo, nasata o saluto.
    Dopo i lavori di allestimento, la nave fu portata a Napoli nel bacino di raddobbo per i controlli di routine della linea d’asse e il completamento della pitturazione dell’opera viva. Unitamente al Vespucci, fu adatta a nave scuola degli allievi dell’Accademia Navale di Livrono apportando modifiche sia alle sovrastrutture e sia ai locali interni.

    Un particolare interessante che accomuna il Flavio Gioia e il Vespucci fu rappresentato dall’uso dei cavi in acciaio. Per la prima volta su navi della Regia Marina furono utilizzati tali cavi in sostituzione di quelli tradizionali in canapa costruiti dalla Regia Corderia di Castellammare di Stabia, voluta da Ferdinando IV di Borbone nel 1796.

    Crociere oceaniche
    Il giovane Guardiamarina effettuava il periodo d’imbarco sulle navi scuole per “ completare la sua istruzione tecnica, rendersi atto al comando delle manovrea e degli esercizi militari e acquisire pratica del mare…”.La navigazione oceanica, così come avveniva nella marineria inglese e francese, era ritenuta indispensabile per la formazione degli ufficiali e degli equipaggi e fu svolta unitamente a crociere commerciali e di rappresentanza, nonché di difesa degli interessi italiani nel mondo da parte di molte unità.
    Il 23 giugno del 1883 il Flavio Gioia (Comandante Ricotti), unitamente alla pirofregata Vittorio Emanuele (Comandante Parascandolo) e all’incrociatore gemello Amerigo Vespucci (Comandante Carnevali) , agli ordini del Contrammiraglio Morin, partecipò ad una crociera oceanica imbarcando gli allievi ufficiali dell’Accademia Navale di Livorno. I 277 allievi trovarono la seguente sistemazione a bordo: 84 sul Gioia, 84 sul Vespucci e 109 sul Vittorio Emanuele.
    Tutta la traversata atlantica fu effettuata quasi per intera con la propulsione a vela durando circa un mese. Dopo aver attraccato ad Annapoli, Baltimora e New York, il 31 agosto la Squadra oceanica ripresa la rotta per il ritorno in Patria arrivando a Livorno il 31 ottobre avendo percorso un totale di 10.570 miglia (6.691 a vela e 3.879 a vapore).

    A New York la Squadra navale trovò il Corsaro uno yacht da 50 tonnellate al comando del capitano d’Albertis che era andato in America per onorare la memoria di Cristoforo Colombo ripercorrendo la stessa rotta. L’Ammiraglio Morin gli offrì di farsi rimorchiare dal Flavio Gioia. Dopo un giorno di navigazione, le peggiorate condizioni del mare costrinsero a mollare il cavo di traino. Il Corsaro dovette affrontare da solo le tempeste dell’Atlantico e solo il 26 settembre arrivò a Capo San Vincenzo accolto dagli urrah dei marinai della Squadra navale che avevano temuto per la sua sorte dopo lo sgancio effettuato 25 giorni prima.
    Nel 1884 il Flavio Gioia, al comando di Eugenio Grandiville effettuò un’altra crociera d’oltremare fermandosi a Cuba per difendere gli interessi della comunità italiana. In quella occasione fu tentata la stipula di un accordo tra il Banco de Crédito Territorial Hipotecario de Cuba ed il Bando di Credito e Sconto di Napoli per favorire l’immigrazione diretta dall’Italia. Il Comandante elevò vibrate proteste al Ministro De Pretis quando si accorse che tale accordo serviva a sostituire gli schiavi affrancati dalla schiavitù che lavoravano nelle piantagioni di tabacco, con braccianti italiani. Il Comandante Grandville scrisse che:” l’abolizione della schiavitù fu accettata a malincuore ed ove non è dimenticato il sistema di oppressione verso il lavoratore obbligato” riportando anche l’alto tasso di delinquenza e corruzione che vigeva all’Avana ed in tutta l’isola. Tale progetto fortunatamente fallì.
    Nel 1886 assieme al Vespucci ed alla cannoniera Verniero, al comando del Contrammiraglio Giuseppe Mantese, il Flavio Gioia fu inquadrato nella Divisione Navale dell’America Meridionale ed effettuò un’altra circumnavigazione del globo.
    Fino al 1911 effettuò con gli allievi dell’Accademia Navale di Livorno diverse crociere: dal 10 luglio al 26 settembre 1896 in Mediterraneo ed in Atlantico; nel mese di settembre del 1897 e ad agosto-settembre dell’anno successivo nel Levante; nei mesi di agosto-ottobre 1899 nel Mar Baltico; nell’estate del 1900 e del 1901 ancora nel Mediterraneo ed in Atlantico. E così fino al 1911.
    Nella guerra italo-turca il Flavio Gioia, inquadrato nella Divisione Navi Scuola partecipò alle operazioni di bombardamento di Misurata ed agli sbarchi di Zaura. A bordo, oltre agli Allievi dell’Accademia Navale, c’era anche i Mozzi del Corpo dei Reali Equipaggi (C.R.E.M.) e ciè gli attuali Nocchieri. Nell’estate del 1913 e 1914 effettuò crociere nel Mediterraneo ed in Atlantico.

    Allo scoppio della prima guerra mondiale l’unità fu impegnata in compiti di vigilanza costiera e scorta antisommergibile nel Tirreno. Terminata la guerra, ripresa l’attività usuale di nave scuola fino al 1920 quando venne rediata dal naviglio militare ed utilizzatas come Convitto per Marinaretti a Napoli con la sigla CM181. Questa iniziativa si aggiunse a quella già in corso a Napoli con la vecchia nave Caracciolo iniziata nel 1913 così come la nave-officina Garaventa a Genova e, la prima esperienza del genere che si formò a Venezia nel 1903 con lex nave idrografica Scilla. Nel 1923 l’esperimento didattico-educativo delle Navi-scuola terminarono con l’assorbimento nell’Opera Nazionale Balilla. Il Flavio Gioia, quindi, il 4 marzo cessò definitivamente anche questa attività.

    Marinai famosi imbarcati sul Flavio Gioia
    Molti ufficiali si forgiarono su questa unità nel corso dei lunghi anni di attività. Se ne vogliono ricordare due, insigniti di Medaglia d’Oro al Valor Militare.
    Il primo, il Capitano di Corvetta Lorenzo Gandolfi di Mantova, imbarcato durante la crociera oceanico del 1987. Egli, il 3 luglio del 1916, sacrificò la sua vita nel domare un incendio scoppiato su un treno carico di munizioni bel Deposito Munizionamento di La Spezia, la motivazione era la seguente:” Accorreva prontamente e radunava militari e maestranze al pontile delle munizioni presso lo stabilimento Pirelli, sul quale erano parecchi vagoni carichi di esplosivi e uno di razzi che si era già incendiato. Conscio del grande pericolo che correva, con mirabile sangue freddo e giusto intuito, provvedeva ad organizzare opera di salvamento, cercando di spegnere l’incendio e di staccare i vagoni non ancora incendiati, fulgido esempio di eroismo ai dipendenti; e mentre attendeva a quest’opera mercé la quale si evitava disastro assai maggiore, cadeva gloriosa vittima della sua gloriosa abnegazione per lo scoppio avvenuto in vagoni isolati”.

    Il Capitano di Fregata Pietro De Cristofaro di Napoli imbarcato come Guardiamarina sull’unità durante il primo conflitto mondiale. Il 16 aprile del 1941 al comando del Cacciatorpediniere Luca Tarigo di scorta ad un convoglio nel Mediterraneo Centrale, subì l’attacco di forze nemiche e, benché con una gamba amputata, riuscì ad affondare, con i siluri il caccia britannico Mohawk e, subito dopo, si inabissò con la sua nave. La motivazione era la seguente:
    “Ufficiale superiore di altissimo valore. Comandante di silurante in servizio di scorta ad importante convoglio in acque insidiate dal nemico, prendeva tutte le disposizioni atte a garantire la sicurezza del convoglio affidatogli. Assaliti la scorta e il convoglio improvvisamente da soverchianti forze navali nemiche la notte sul 16 aprile 1941, con serena e consapevole audacia conduceva immediatamente all’attacco la nave di suo comando. Crivellata la sua nave da colpi nemici, colpito egli stesso da una granata che gli asportava una gamba, rifiutava di essere trasportato in luogo più ridossato e solo concedeva che gli venisse legato il troncone dell’arto, non per vivere ma per continuare a combattere. Così egli rimaneva fino all’ultimo, fermo al suo posto di dovere e di onore e nella notte buia, illuminata a tratti dalle vampe delle granate e degli incendi, i suoi occhi che si spegnevano avevano ancora la visione di un’unità nemica che sprofondava nel mare, colpita dall’offesa della sua nave E con questa egli volle inabissarsi, mentre i superstiti, riuniti a poppa lanciavano al nemico il loro grido purissimo di fede. Esempio sublime di indomito spirito guerriero, di coraggio eroico, di virtù di capo, di dedizione alla Patria oltre ogni ostacolo e oltre la vita”.

    Incrociatore Flavio Gioia – caratteristiche tecniche
    Motto dell’unità: “Saldi nella furia dei venti e degli eventi”
    Progettata Carlo Vigna
    Classe prototipo (Amerigo Vespucci)
    Impostata 26 luglio 1879
    Varata 12 giugno 1881
    Completata 26 gennaio 1883
    Dislocamento 2.750 tonn ( a pieno carico) – 2.493 tonn (normale)
    Lunghezza 84,50 metri (fuori tutta) – 78,00 (fra le perpendicolari)
    Larghezza 12,78 metri
    Immersione 5,19 metri
    Apparato motore: 8 caldaie tipo Penn – 1 motrice alternativa tipo Ansaldo – 1 elica
    Potenza 4.156 cavalli vapore
    Combustibile 500 tonnellate di carbone
    Velocità massima 14 nodi
    Protezione: ponte di coperta a struttura cellulare
    Artiglieria: 8 cannoni da 150/40 mm – 3 mitraglie da 75/24 mm tipo Northenfield – 2 mitraglie da 37 mm a 5 canne (il peso cannone-affusto era di 347 chilogrammi, quello di un proiettile di 483 grammi. A 500 metri di distanza, una scarica di proiettili colpivano l’interno di un cerchio di 1 metro di raggio. La velocità era di 42 colpi al 1’.
    A 240 metri di distanza i proiettili si conficcavano per 37 mm nella corazza – 2 mitraglie da 25 mm a 4 canne – 2 mitraglie leggere 2 impianti lanciasiluri da 355 mm sistemati a dritta e sinistra sul ponte
    Equipaggio: 268 uomini
    Radiata: 1920 (demolita 1923).