Marinai di una volta

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    Ulisse, il suicidio delle sirene e altro

    a cura Antonio Cimmino

    Questo articolo è dedicato a tutte le donne, in modo speciale a quelle dei marinai, che in ogni istante della loro esistenza si armano di santa pazienza, di buona volontà e di amore per l’unità della famiglia. Esse, come Penelope, amano semplicemente, come sempre e per sempre (Pancrazio “Ezio” Vinciguerra)

    Ulisse il mitico personaggio omerico rappresenta una metafora del viaggio di ogni individuo, quello che conduce alla conoscenza del mondo e di se stessi. Eroe antico e moderno allo stesso tempo, è un navigatore esperto che sa governare una nave ed un regno. Con il suo desiderio di avventura, il suo coraggio, la determinazione nel perseguire l’obiettivo, la capacità di leadership, la capacità di saper offrire sicurezza al proprio equipaggio, rappresenta la massima possibile espressione delle aspirazioni e delle qualità che un uomo di mare si pone e di cui desidererebbe poter disporre per realizzare i propri traguardi. D’altra parte l’uomo di mare è molto concreto per scelta e per necessità, dovendosi confrontare con un elemento che, in alcuni momenti, non lascia molto spazio alla fantasia e che richiede in ogni istante di dover risolvere il problema contingente prima di approntarsi alla soluzione di quello successivo. In questo senso ciascuno di noi marinai deve essere pienamente consapevole delle proprie capacità, frutto dell’esperienza e di un duro lavoro, per applicarle al meglio, avendo a riferimento i valori che la figura di Ulisse emblematicamente rappresenta. In una parola nessun marinaio può presumere di sentirsi come Ulisse. Ma identifica in questo mitico eroe la possibilità di raggiungere anche le mete più impegnative. Le reincarnazioni dell’eroe omerico sono decine e decine, e coloro che inaugurano il modernismo, Erza Pound, T.S. Eliot e James Joyce, lo aprono tutti significativamente, con l’ombra e le tracce di Ulisse. Un meccanismo che si ripete puntualmente dopo l’Ulisse dantesco, in romanzi come “Il vecchio e il mare”, “Il capitano Achab”, racconti coinvolgenti che nascono dallo stupore che l’uomo prova dinanzi a ciò che non conosce. In estrema sintesi, quando ciascuno di noi viene a contatto con le meraviglie del nuovo e dell’ignoto.

    La storia ci narra che oltre ad essere un indomito guerriero, fu un abile ingegnere, ne è testimonianza la prodigiosa invenzione del cavallo di Troia che ancora oggi ci sorprende per la genialità. La guerra tra troiani e greci fu vinta, da quest’ultimi, grazie a questo espediente, frutto della sua intelligenza. Oltre ad essere un abile artigiano, costruttore della zattera e del talamo nuziale, è il simbolo di chi sperimenta, ricerca, stupisce e si stupisce, di chi va alla scoperta del perché delle cose e delle ragioni di ciò che prova o incontra. Quando gli altri ritornano dalla guerra lui continua a navigare con i suoi amici per il Mediterraneo malgrado a Itaca, sua amata patria, abbia lasciato la fedele e innamorata moglie Penelope ed il figlio Telemaco. Penelope non è una donna torbida e intrigante come la malevola Circe che trasforma gli uomini in maiali. Sebbene altre donne innamorate e generose come Calipso e Nausica abbiano tentato di sedurlo, Ulisse non ha che un pensiero fisso: come ogni marinaio pensa alla sua amata, a suo figlio e alla propria terra. Prima di approdare nella sua Itaca, deve però affrontare uragani e divinità avverse; i mostri marini Scilla e Cariddi, resistere ai canti ammalianti delle sirene facendosi legare all’albero della nave. Perde i compagni nei naufragi. Si misura con il ciclope Polifemo: il gigante con un solo occhio che nell’Etna fabbrica i fulmini di Giove. Scende persino nell’Ade. Quando finalmente raggiunge la sua Itaca, malgrado Minerva lo ha trasformato in un mendicante per renderlo non identificabile, viene riconosciuto dal suo fedele cane Argo e dalla nutrice d’infanzia Euriclea. Si vendica dei Proci che tentano invano di rubargli la moglie e il regno e li uccide aiutato dal figlio. Fin qui l’epica storia del più ammirato dei marinai. Nonostante siano passati millenni dalle vicende raccontate nell’Odissea ancora oggi l’angelo del focolare resta la donna. Anzi negli ultimi tempi le donne sono diventate più forti e, pur avendo conquistato importanti posizioni nel lavoro e nella società contemporanea, rimangono, per la loro dedizione e generosità, la vera anima della famiglia, il punto di riferimento per i loro cari, il porto sicuro dopo le battaglie a cui la vita moderna ci sottopone.

    Ognuno di noi marinai sa che in fondo al proprio cuore c’è sempre una “Penelope” ad aspettarlo: la propria amata. La donna del nostro destino; la tessitrice di quel filo che, come Penelope, non finisce mai di raggomitolare, di quel filo, simbolo del legame e della continuità dell’amore eterno, che genera la vita (Pancrazio “Ezio” Vinciguerra).

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    Nicola Chiusano (Montella, 12.12.1921 – 25.4.2013)

    di Antonio Camuso
    tratto da la Domenica de il Quotidiano del Sud (info@quotidianodelsu.it)
    di domenica 19 settembre 2021
    Segnalato da Sebastiano Lavecchia (*)

    (Montella, 12.12.1921 – 25.4.2013)

    Nicola Chiusano, nato a Montella il 12 dicembre 1921 decedeva a 91 anni compiuti il 25 aprile del 2013 mentre si festeggiava in tutta Italia il 68esimo della vittoria della lotta di Liberazione dal nazifascismo, alla quale lui stesso era stato partecipe e testimone. Un’esperienza che lo accomunava con quella di mio padre, Luigi “Gino” Camuso anche lui montellese, marinaio nella Regia Marina, coinvolto nelle vicende dolorose che travolsero le forze arma- te italiane dopo l’8 settembre 1943 e testimone anche lui di episodi tragici e con aspetti al limite del paradossale. Tra i due compaesani, quella comune esperienza aveva fatto sì che si consolidasse una fraterna amicizia e se pur residenti, l’uno a Montella e mio padre a Brindisi, ogni anno, si ritrovavano nelle cerimonie dell’Associazione Reduci e combattenti di Montella, dove si prodigava attivamente Nicola Chiusano. Un impegno che quest’ultimo  si accompagnava con quello a favore del Santuario del SS Salvatore cui era profondamente devoto. Una vitalità, in un novantenne, che mi aveva incuriosito e spinto a farmi concedere da lui un’intervista nell’agosto del 2012, e  in cui mi narrò la sua esperienza di marinaio italiano coinvolto, suo malgrado, nella tragedia dell’8 settembre e di come fosse stato testimone d’eccezione di fatti emblematici del periodo tormentato che va dal 1943 al 1945 in cui l’Italia subì l’occupazione nazista. Mi narrò come avesse partecipato sin dall’inizio alla seconda Guerra Mondiale sulle navi della Regia Marina, dopo aver superato il corso di specializzazione nel 1940 alle scuole CEMM di Pola, le stesse che due anni dopo avrebbero visto tra i banchi, mio padre, appena diciottenne, partito volontario dall’Irpinia. Nicola Chiusano, nel 1941 fu imbarcato sulla torpediniera Procione, partecipando alle numerose missioni di scorta convoglio, in difesa delle navi mercantili che rifornivano gli eserciti italiano e tedesco, sia sul fronte africano sia quello greco. Missioni sempre più rese pericolose dall’insidia dei sommergibili inglesi di stanza a Malta, e dalla flotta inglese di stanza a Gibilterra e Alessandria cui si univa l’offesa aerea.

    La lotta divenne impari per la Regia Marina quando si ritrovò a rifornire le truppe  dell’ASSE in Tunisia dopo lo sbarco degli americani in Nord–Africa. L’ultima missione del Procione fu quella del 1 dicembre 1942, scortando il con- voglio H da Palermo a Tunisi, intercettato dalla forza Q della Marina inglese e che si terminò con l’affonda- mento di tutte le navi mercantili italiane e parte di quelle militari di scorta. In quell’occasione la nave di Chiusano, al comando del capitano di corvetta Torchiana, attuò tattiche da kamikaze lanciandosi da sola contro tre incrociatori inglesi e riportando gravissimi danni e alcuni morti e feriti a bordo. Chiusano rimasto illeso, a suo dire grazie alla devozione per il Santissimo Salvatore, sbarcato dal Procione, fermo per riparazioni, fu in seguito imbarcato nella primavera del 1943, sulla moderna torpediniera Ardito. Questa nave fu in seguito coinvolta in uno dei pochissimi episodi di resistenza vittoriosa ai nazisti da parte delle Forze Armate italiane: la battaglia navale nel porto di Bastia, in Corsica, del 9 settembre 1943.
    Nell’intervista da me fattagli, Nicola, lucidamente ricordava ogni particolare di quell’episodio e senza voler attribuirsi me- riti non suoi. L’8 settembre 1943, l’Ardito e la nave gemella, l’Aliseo, salpavano da La Spezia scortando la motonave armata Humanitas con equipaggio misto di marinai  italiani e tedeschi diretti per Bastia, in Corsica, giungendovi in serata. Dopo l’annuncio dell’armistizio, nonostante gli accordi presi con il comando tedesco di Bastia che permettevano ai tedeschi di lasciare l’isola senza azioni ostili da entrambe le parti, la mattina del 9 settembre i tedeschi, proditoriamente, cercarono di catturare o affondare tutte le navi italiane nel porto Corso.
    La scena più tragica fu quella del massacro dei marinai italiani dell’Umanitas colpiti proditoriamente dai tedeschi impossessatisi delle mitragliatrici di bordo. In seguito ad essere sottoposta a un duplice attacco fu la nave di Nicola Chiusano, attraccata a poca distanza dall’Umanitas, e assaltata anche da terra da truppe tedesche.
    Tra l’equipaggio dell’Ardito, più di un terzo furono i morti, ma Nicola Chiusano, a quanto pare protetto dalla sua fede per lo SS. Salvatore, fu graziato, poiché casualmente sceso a terra, per una corvèe, pochi minuti prima dell’assalto tedesco alla sua nave, cui assistì, riparandosi dietro alcune casse depositate sul molo, ma poi catturato dai tedeschi.
    A capovolgere le sorti di quella giornata fu la fortunata coincidenza che l’altra nave, la moderna torpediniera Aliseo, da poco dotata di un radar tedesco, era al comando di uno degli eroi della Marina Italiana, esaltato dal regime fascista per le sue imprese sommergibilistiche, il comandante Carlo Fecia di Cossato, che diede l’esempio di co- me la nostra Italia, potesse riguadagnare la dignità perduta, combattendo contro Hitler e Mussolini.
    Nel giro di poche ore l’Aliseo sotto la guida di Fecia di Cossato affondò ben sette navi tedesche che avevano cercato di prendere il largo, nonostante che fossero potentemente armate. Di quell’episodio Fecia di Cossato fu insignito della medaglia d’oro al valor militare.
    Dopo questo smacco clamoroso, i tedeschi di Bastia furono costretti a rilasciare i prigionieri, compreso il nostro montellese che, ritornato a bordo dell’Ardito, ripartì a equipaggio ridotto e fortemente danneggiata verso il Sud ma, purtroppo, rallentata dalle avarie, rimase indietro riparandosi a Portoferraio. Lì la guarnigione italiana inizialmente si oppose con le armi ai tedeschi ma dinanzi alle minacce di rappresaglia contro la popolazione civile, capitolò il 16 settembre 1943.
    In quell’occasione i tedeschi erano intenzionati a fucilare l’equipaggio per il solo fatto di essersi opposti con le armi alla cattura, poi decisero di deportarli in Germania, dopo aver ricondotto la nave a La Spezia. Nicola Chiusano, ricoverato in un ospedale militare ligure riuscì con uno stratagemma a fuggire, aiutato da una suora-infermiera, deciso di raggiungere a tutti i costi l’Irpinia. La sua fu una fuga densa di peripezie che lo portò alle spalle della linea Gustav, con i tedeschi arroccati a Montecassino.
    Fu in una piccola frazione di Formia, a Trivio che trovò accoglienza presso una famiglia contadina e lì Nicola potè essere ancora testimone di un altro miracolo: quello della solidarietà popolare, fraterna, che vide coinvolte tantissime famiglie italiane, di povera gente, che affrontarono la morte per rappresaglia, per mano nazista, solo per aver ospitato prigionieri in fuga, partigiani o semplici fuggitivi, come il nostro marinaio montellese.
    In quella piccola frazione, per ben due volte Nicola riuscì a sfuggire ai tedeschi: la prima volta rastrellato per caso e messo a lavorare forzosamente nelle fortificazioni costruite dall’organizzazione della logistica tedesca Todt, eluse la vigilanza e fuggì; la seconda volta riuscì a salvare la vita miracolosamente (…”- il Santissimo Salvatore mi ha aiutato a farmi trovare no pertuso, sotto una roccia, dove mi infilai… “) fuggendo sotto i proiettili di truppe tedesche probabilmente appartenenti alla 94ma Divisione di Fanteria, che in quell’occasione uccisero 7 civili innocenti, appartenenti a famiglie contadine della zona.
    Quella a cui scampò il nostro conterraneo irpino, è conosciuta come la strage di Costarella che vide Ii 26 novembre 1943 un reparto armato tedesco portarsi nell’abitato collinare formiano di Trivio per rastrellare uomini. Alcuni di essi, avvedutisi dell’operazione in corso, cercarono di sottrarvisi fuggendo verso l’alta collina, ma i tedeschi se ne accorsero, li inseguirono e li catturarono. Erano in otto e i loro nomi si ricordano ogni anno: Ersilio Filosa di 18 anni, Giovanni Filosa di 73 anni, Francesco Filosa e Antonio Guglielmo, di 38 anni, Salvatore Marciano di 37 anni, Alfredo Lagni di 35 anni, Angelo Nocella di 34 anni e Luigi Filosa di 30 anni. Furono catturati, radunati su uno spiazzo in montagna e, alla presenza dei parenti e di altri cittadini, vennero massacrati a colpi di mitra come “insegnamento” a chi avesse voluto imitarli.


    Solo dopo il maggio del 1944 i tedeschi, si ritirarono verso il Nord e finalmente il marinaio montellese Nicola Chiusano potè raggiungere con mezzi di fortuna il suo paese natale. L’abbraccio con i suoi fu di breve durata perché nel giro di pochi giorni bussarono alla sua porta i carabinieri intimandogli di presentarsi al più vicino co- mando della Regia Militare, pena l’arresto immediato e l’accusa di diserzione. Fortunatamente per lui, giuntovi gli fu data la possibilità di scegliere se raffermarsi o congedarsi. La risposta fu netta: “-basta con la guerra ed i suoi orrori!“-.
    Di quell’esperienza, raccontata mille volte ai suoi compaesani e ai suoi parenti, rimase l’affetto alla Marina Militare nella quale aveva servito con onore negli anni della sua gioventù e sino all’ultimo ne indossò la divisa nelle cerimonie ufficiali commemorative. 
    Archivio Benedetto Patrone

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

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    25.4.1925, varo della regia nave Quintino Sella

    di Carlo Di Nitto

    Il regio cacciatorpediniere “Quintino Sella”, classe omonima, (sigla SE) dislocava 1480 tonnellate a pieno carico. Costruito nei Cantieri Pattison di Napoli, era stato impostato il 12 ottobre 1922, varato il 25 aprile 1925 ed era entrato in servizio dal 25 marzo 1926.
    Nell’estate 1926 compì una lunga crociera in porti greci, nel Dodecaneso, Cipro, Alessandria d’Egitto e Tobruk per rodare gli impianti e l’apparato di propulsione. Fu poi dislocato a Livorno a disposizione dell’Accademia Navale. Negli anni successivi effettuò, oltre alla normale attività addestrativa svolta prevalentemente in Alto Adriatico, anche numerose crociere estive.
    Nei primi mesi del 1936 fu inviato nei possedimenti italiani in Egeo e in Cirenaica. Rientrato in Italia, venne assegnato a Brindisi per attività locale. Nell’estate del 1939 fu dislocato come stazionario nel Dodecaneso. Qui si trovava quando l’Italia entrò in guerra e, nel Mar Egeo, esplicò prevalentemente la sua attività bellica, partecipando all’occupazione di varie isole greche e svolgendo servizio di protezione del traffico. Effettuò oltre 125 missioni percorrendo circa 44.000 miglia in zone intensamente contrastate dal nemico.

    Alla data dell’armistizio dell’8 settembre 1943, si trovava ai lavori a Venezia. Essendo imminente la caduta della Piazza di Venezia nelle mani dei Tedeschi, nel primo pomeriggio dell’11 parti per trasferirsi al sud, dopo aver imbarcato circa 300 profughi civili. Purtroppo alle ore 17.45 a circa 30 miglia a sud di Venezia, fu sorpreso da una motosilurante germanica nascosta dietro alcuni piroscafi, già catturati dai tedeschi, che aveva incrociato. Colpito in pieno da due siluri e spezzato in due, affondò rapidamente trascinando con sé 27 membri dell’equipaggio e oltre 200 civili.
    Il suo motto fu: “Virtutis praetium” (premio del valore).

    ONORE AI CADUTI
    Cesare Ciabatti, marinaio fuochista, disperso
    Salvatore Cienzo, marinaio nocchiere, disperso
    Alessandro Coppola, sergente S. D. T., disperso
    Amedeo Criscuolo, marinaio, disperso
    Giuseppe D’Henry, sottotenente di vascello, deceduto
    Domenico Dalino, capo meccanico di terza classe, disperso
    Simone Damonte, marinaio fuochista, disperso
    Sebastiano De Martino, marinaio cannoniere, disperso
    Giacomo Devecchi, sottocapo S. D. T., disperso
    Gustavo Gianese, tenente di vascello, deceduto in territorio metropolitano il 19.9.1943
    Sebastiano Gullino, sottocapo radiotelegrafista, deceduto
    Fulvio Mastracchio, tenente di vascello, disperso
    Giuseppe Matarese, aspirante (Genio Navale), disperso
    Cesare Mora, sottocapo meccanico, disperso
    Ottavio Pione, marinaio motorista, disperso
    Gennaro Raia, marinaio, disperso
    Lionello Re, marinaio, deceduto il 12.9.1943 in territorio metropolitano
    Luigi Serra, marinaio nocchiere, disperso
    Riziero Simeone, sottocapo cannoniere, disperso
    Paolo Troncossi, sottocapo segnalatore, disperso
    Natale Vannozzi, marinaio fuochista, disperso.
    (Fonte conlapelleappesaaunchiodo)

     

    Dello stesso argomento su blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2021/12/guido-cervone-gaeta-2-12-1913-8-12-2013-3/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2014/09/11-9-1943-affondamento-regia-nave-quintino-sella/

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    Egidio Bullesi (24.8.1905 – 25.4.1929)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra




    (24.8.1905 – 25.4.1929)

    PER GRAZIA RICEVUTA

    Egidio nasce a Pola il 24 agosto 1905, terzo di nove fratelli di una famiglia originaria di un piccolo paese all’interno dell’Istria. Il padre, Francesco Bullessich (il cognome verrà italianizzato giusto un mese prima della morte di Egidio) era dunque cittadino austro ungarico, disegnatore tecnico presso l’Arsenale di Pola. Durante la Prima Guerra Mondiale, la famiglia sfolla prima a Rovigno poi in Ungheria (Szeghedin) e poi in Austria (Wagna e Graz).Qui Egidio , sempre assieme all’adorata sorella Maria, si adopera per alleviare la miseria della famiglia percorrendo a piedi monti e valli alla ricerca di cibo, legna ed indumenti, ottenuti col baratto delle poche cose che il padre riusciva a portare da Pola.
    Terminata la guerra e rientrata la famiglia a Pola, divenuta italiana, Egidio comincia a lavorare come apprendista carpentiere a soli 13 anni nei locali cantieri navali e vi rimane fino al compimento del 20° anno. I compagni lo definiscono di carattere aperto e gioviale, estroverso e cordiale con tutti. In quegli anni frequenta anche la Regia scuola professionale e la termina eseguendo un modello di nave che ricevette anche un premio (oggi è conservato nel convento di Barbana). Fonda anche la sezione Scout cattolico di Pola, cui dedica tutto il suo tempo libero dal lavoro (diceva: è questa una strada provvidenziale, capace di portare gioiosamente i giovani al Padre). Conosce anche una brava giovane, di nome Italia , dalla quale però i genitori lo terranno lontano soprattutto per la sua giovane età. Risale a quel periodo l’incontro con alcuni frati francescani , incontro e frequentazione che segnarono la sua vita: si dedicò infatti allo studio delle opere del Santo e decise quindi, nel 1920, ad entrare nel Terz’Ordine Francescano. Durante uno sciopero “rosso”, sale su una gru e vi innalza il tricolore.
    Nel 1921, in occasione del 50° congresso della Gioventù Cattolica, Egidio è designato a rappresentarvi la sua città natale. Nel 1925, chiamato, come tutti i giovani sani e robusti della sua età (era alto più di 1,80 mt.) a prestare servizio militare, fu ovviamente arruolato nella Marina Militare e, dopo il periodo di reclutamento ed addestramento, destinato a bordo della corazzata “Dante Alighieri”. A bordo si distinse non solo per la sua capacità , disciplina e serenità ma per la capacità di aggregare intorno a sé un sempre crescente numero di marinai, raccolti quotidianamente in gruppi di riflessione e di preghiera: fra essi anche Guido Foghin che, dopo la sua morte, diverrà missionario francescano in Tibet. Terminato il 15 marzo 1927 il periodo di leva: scrisse alla madre:” lascio il servizio militare felice ed orgoglioso di avere dato alla Patria nostra, coscientemente, l’opera mia per oltre due anni e di avere servito con fedeltà ed onore”. Gli rimase la passione per il nuoto e la voga, che continuò a praticare con assiduità . Fu assunto come disegnatore tecnico , per opera del fratello Giovanni, dai cantieri navali di Monfalcone, città nella quale operò in favore delle famiglie povere ed emarginate ,curando in particolare l’educazione dei bambini e ragazzi analfabeti. Ala fine del 1927 si ammalò di tubercolosi e nel marzo successivo fu costretto a rientrare a Pola per ricevere assistenza dalla famiglia. Costretto a periodi di ricovero in ospedale sempre più lunghi, accettò la malattia con straordinaria serenità, trasfondendo a medici ed infermieri la sua gioia e la bellezza anche nella sofferenza. Morì la mattina del 25 aprile 1929 e le esequie furono celebrate nella cattedrale di Pola da don Antonio Santin , il futuro vescovo di Trieste, suo amico e confidente fin dalla più tenera età. Fu sepolto nell’isola di Barbana, vicino a Grado. Il processo della sua beatificazione è stato avviato nel 1974 a Trieste e la causa inviata a Roma nel 1977. Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato Egidio ufficialmente “venerabile” nel 1997. Nel 2000 il vescovo di Trieste ha trasmesso alla Congregazione per le cause dei Santi i risultati dell’indagine sul presunto miracolo, a lui attribuito, avvenuto nel 1929 sulla motonave “Vulcania”.
    Il 26 aprile 2009 nel Santuario della Madonna di Barbana (Grado – Gorizia) il padre Superiore, Frà Marciano Fontana (tel. 0431 – 80.453), ha espresso il desiderio di celebrare solennemente la ricorrenza nell’anniversario della morte.

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    25.4.1891, varo del regio panfilo reale Iela

    di Carlo Di Nitto

    Il regio panfilo reale italiano “Iela” dislocava 329 tonnellate. 
Costruito nel cantiere inglese Dunlop & Co. di Glasgow, era stato varato il 25 aprile 1891 con il nome di “Mira”.
    Nel 1897 era stato acquistato dal Principe di Piemonte Vittorio Emanuele di Savoia (futuro Re Vittorio Emanuele III) e da lui rinominato “Iela” (Elena in montenegrino) in onore della moglie Elena di Montenegro.
    Il 31 luglio 1900 i principi ereditari si trovavano in crociera sul regio panfilo nel mar Ionio quando, portata dalla regia torpediniera 140, giunse la notizia che il re Umberto II era stato assassinato a Monza. Nel momento in cui il comandante della torpediniera riferì, sull’attenti e salutando militarmente, che recava “un importante plico per Sua Maestà”, i principi di Piemonte compresero che il Re era morto e che loro erano diventati il Re Vittorio Emanuele III e la Regina Elena d’Italia.
Il panfilo nel 1912 passò in carico alla regia Marina Italiana, nel 1915 fu venduto ad un armatore greco e fu rinominato ”Constantinos Togias”, nel 1922.
    Nel 1933 cambiò nuovamente nome in “Sifnos”. 
Nel 1941 il “Sifnos” fu catturato dalle truppe di occupazione tedesche e utilizzato in servizio con le isole dell’Egeo.
    Venne affondato a Suda (isola di Creta) il 3 aprile 1944 durante un attacco di aerosiluranti alleati.

    IN MEMORIA DI ALBERTO CIVITELLA
    (Torre del Greco (NA), 4.2.1914 – 12.5.1981)

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    Lorenzo Gasparri (Napoli 25.4.1894 – 28.3.1943)

    a cura Antonio Cimmino

    Banca della memoria - www.lavocedelmarinaio.com(Napoli 25.4.1894 – 28.3.1943)

    Antonio-Cimmino-per-www.lavocedelmarinaio.com_1L’ammiraglio di Divisione Lorenzo Gasparri fu decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla memoria” con la seguente motivazione:
    Comandante di un gruppo di siluranti, si dedicava con appassionata costanza, con giovanile entusiasmo, e con alta competenza, all’addestramento dell’efficienza delle unità a lui affidate.
    Esempio a tutti per la sua fervida attività. per lo spirito combattivo, per l’amore della responsabilità e del rischio, prendeva di sua iniziativa imbarco sulle unità designate alle missioni più pericolose. In uno dei cicli operativi più duri per il nostro naviglio silurante, moltiplicando la sua attività e superando se stesso, riusciva con la sua onnipresente opera di capo a mantenere altissimo lo spirito di tutti i suoi dipendenti e a dare loro la forza morale necessarie a compiere silenziosamente più del loro dovere.
    Manifestandosi, in una nostra base navale, un pericolo incendio di un deposito di alto esplosivo e ravvisando in esso una minaccia per alcune unità da lui dipendenti, si recava sul posto per tentare di limitare gli effetti di un’eventuale esplosione. Quando la situazione gli diede la certezza che le sue navi non correvano pericolo, si recava sul luogo del sinistro per dare l’apporto della sua opera direttiva agli uomini che combattevano l’indomabile incendio.
    Saliva personalmente su alcune bettoline di munizioni per disimpegnarle dagli ormeggi e allontanarle. Investito dallo scoppio del deposito delle munizioni durante l’assolvimento di un compito che, estraneo ai suoi doveri di Comandante, si era imposto per seguire il suo temperamento generoso ed eroico, cadeva da prode soldato, concludendo in un alone di gloria un’esistenza dedicata alla Patria”.
    Napoli 28 marzo 1943.

    www.lavocedelmarinaio.com
    Altre decorazioni:
    – Medaglia d’Argento al Valor Militare sul capo (Durazzo, 1918);
    – Medaglia d’Argento al Valor Militare (Mediterraneo centrale 1942-1943)

    Incarichi principali:
    – Comandante Distaccamenti Regia Marina a Tientsin in Cina ed Assab in Africa Orientale;
    – Comandante I flottiglia Cacciatorpediniere e Gruppo Cacciatorpediniere Squadra Navale;
    – Comandante in 2^ regia nave Libia;
    – Comandante regia corazzata Cavour.