Curiosità

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    26.12.1872, auguri Istituto idrografico della Marina Militare

    L’istituto idrografico della Marina Militare trae storicamente le sue origini dal Regio Decreto n. 1205 del 26 dicembre 1872, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 1873 e che costituiva l’Ufficio Centrale per il Servizio Scientifico dell’Osservatorio astronomico di San Giorgio in Genova il quale assumerà il titolo di Ufficio Idrografico della Regia Marina.
    Esisteva infatti l’esigenza di creare una cartografia nazionale marittima, dato che le autorità cartografiche degli Stati pre-unitari, che avevano formato poi il Regno d’Italia, si erano appoggiate in precedenza alle carte nautiche della Francia e dell’Ammiragliato Britannico, che avevano una produzione ragguardevole, ma difforme per finalità, impostazione, unità di misura, formato, scala e lingua.
    Tra gli altri Stati pre-unitari, il Regno delle Due Sicilie, sotto l’impulso dei Borboni, aveva un proprio “Reale Officio Topografico”, che pubblicava regolarmente le carte e, per esempio, il Signor Benedetto Marzolla, in occasione dell’emersione dell’isola Ferdinandea, fu incaricato di stendere una particolareggiata relazione corredata anche da immagini per l’aggiornamento della carta della Sicilia, nel 1831. Anzi, l’isola  fu ancora indicata in tali carte anche dopo la sua scomparsa, avvenuta nel dicembre dello stesso anno.
    2Ma tornando all’Ufficio Idrografico della Marina, il primo direttore fu l’allora capitano di fregata Giovanni Battista Magnaghi, poi promosso ammiraglio ed il cui nome fu dato a diverse unità navali. L’istituto trovò la sua sistemazione logistica presso l’Osservatorio San Giorgio di Genova, realizzato sulle rovine di un forte che i Sabaudi avevano innalzato dopo l’annessione della Liguria al Piemonte ed ebbe il compito specifico di provvedere alla redazione della cartografia delle acque nazionali e delle pubblicazioni nautiche ad essa associate.
    Il complesso veniva dotato di laboratori per la incisione di matrici in rame e per la stampa delle carte, mentre diverse imbarcazioni militari vennero assegnate, via via nel corso degli anni, per i necessari rilevamenti in mare.
    Il primo direttore, Magnaghi, fu un idrografo esperto e studioso di nautica e fu autore di diverse qualificate pubblicazioni, nonché ideatore di vari strumenti scientifici. Alla scadenza del suo lungo mandato, assunse a Roma incarichi ministeriali e quindi venne nominato “Senatore del Regno ed Accademico dei Lincei” in riconoscimento dei suoi meriti.
    3Oggi l’Istituto Idrografico della Marina, come ente militare, provvede al rilievo sistematico dei mari e delle coste italiane e la loro rappresentazione, sotto forma di carte e pubblicazioni nautiche, che costituiscono la documentazione ufficiale per la sicurezza della navigazione, con una continua verifica dei rilievi già effettuati, per tenere sempre aggiornata una documentazione, che consta di oltre 400 carte nautiche.
    A questa produzione tradizionale l’istituto affianca poi numerose pubblicazioni a carattere storico, scientifico, oceanografico e meteorologico, nonché carte speciali per gli studi di geologia marina e testi vari ad uso della navigazione. L’istituto dispone, ovviamente, di attrezzature modernissime ed organizza corsi di preparazione e di aggiornamento per gli ufficiali della Marina, anche provenienti dall’estero, dato che la sua attività è molto apprezzata anche a livello internazionale.
    Monitor simulatore - www.lavocedelmariaio.comRecentemente, e precisamente all’inizio del 2002, è stato dotato di due nuove navi idro-oceanografiche della classe “Ninfe”, denominate “Aretusa” e “Galatea” appositamente realizzate con architettura a catamarano in vetroresina e dotate di apparecchiature sofisticatissime ed ultramoderne, mentre in precedenza la Marina utilizzava delle navi adattate all’impiego idrografico.
    L’istituto fa parte fin dal 1921 dell’Organizzazione Idrografica Internazionale ed oggi i progetti più impegnativi riguardano la produzione di cartografia elettronica, secondo direttive tecniche concordate in ambito internazionale.

    La documentazione nautica
    È l’insieme delle carte nautiche e delle pubblicazioni annesse, indispensabili per la condotta della navigazione marittima.
    Il Regolamento per la sicurezza della navigazione e la salvaguardia della vita umana in mare (D.P.R. 8 novembre 1991, n. 435, pubblicato sul Suppl. ord. alla G.U. n. 17 del 22 gennaio 1992), all’art. 136 stabilisce quanto segue:

    1. Tutte le navi devono essere dotate delle carte nautiche, generali e particolari, degli avvisi ai naviganti e di ogni altra pubblicazione ed istruzione nautica di cui all’art. 142 che possano essere necessari nel corso del viaggio.
    2. Le predette dotazioni devono essere edite da Servizi idrografici di Stato e devono essere costituite da copie dell’ultima edizione valida e quelle in uso devono essere tenute costantemente e tempestivamente aggiornate con le modalità da questi previste
    ”.

    Pertanto, per poter iniziare la navigazione marittima, una qualsiasi nave deve avere a bordo la dotazione nautica sufficiente (in relazione al viaggio da intraprendere), costituita da carte e pubblicazioni edite da un Servizio idrografico di Stato ed aggiornate con l’ultimo avviso ai naviganti dello Stato stesso.
    Il Regolamento di sicurezza per le navi abilitate all’esercizio della pesca costiera (locale e ravvicinata), approvato con D.M. 22 giugno 1982, stabilisce all’art. 20 che tutte le navi devono essere dotate di carte nautiche necessarie nell’esercizio dell’attività di pesca.
    Inoltre il Regolamento di sicurezza per la navigazione da diporto, approvato con D.M. 5 ottobre 1999, n. 478, stabilisce nella Tabella Allegato B che le imbarcazioni abilitate alla navigazione oltre 12 miglia dalla costa devono essere dotate di strumenti e carte nautiche necessari, in relazione alla navigazione che si vuole intraprendere.
    Infine il Regolamento approvato con D.M. 2 luglio 1999 prevede che le carte nautiche su supporto cartaceo prescritte per la navigazione da diporto e per le navi abilitate allo esercizio della pesca costiera possano essere sostituite da sistemi elettronici di ausilio alla navigazione, che impieghino cartografia digitale conforme ai contenuti della Cartografia Ufficiale. Le caratteristiche, i requisiti e gli standard dei sistemi di cui sopra (Electronic Chart Systems) sono stati stabiliti con Decreto 10 luglio 2002. Lo stesso sancisce che un “ECS”, conforme alle specifiche allegate al Decreto e corredato da idonei sistemi di back-up, è idoneo a soddisfare i requisiti della documentazione nautica prescritta per la navigazione da diporto e per le navi abilitate all’ esercizio della pesca costiera.
    Di seguito è illustrata, per sommi capi, la documentazione nautica fornita dai Servizi idrografici di Stato (per l’Italia dall’I.I.M.), precisando che, anche se la forma può essere leggermente diversa, sostanzialmente i documenti nautici editi dai vari Servizi si equivalgono. Viene anche descritta sommariamente la carta elettronica che costituisce un nuovo e moderno strumento di navigazione (in fase di avanzata sperimentazione).

    Carta nautica tradizionale - www.lavocedelmarinaio.com

    Le carte nautiche
    Sono delle carte geografiche, generalmente in proiezione di Mercatore, in cui sono rappresentate le informazioni e gli elementi necessari ed utili per la condotta della navigazione. Tra essi ricordiamo: l’andamento batimetrico, i pericoli per la navigazione, i punti cospicui diurni e notturni, le avvertenze, le zone regolamentate ecc (vedi Carta 1111 INT 1 per la simbologia).
    Dal punto di vista dell’impiego si possono raggruppare in:
    – carte generali a piccola scala (minore di 1 : 1.500.000);
    – carte delle traversate e costiere, a media scala (tra 1 : 1.500.000 e 1 : 150.000);
    – carte costiere, dei litorali e dei porti, a grande scala (maggiore di 1 : 150.000).
    L’I.I.M. pubblica carte generali del bacino del Mediterraneo ed una cartografia nautica completa di carte a media e grande scala per i mari italiani e quelli ad essa adiacenti.
    L’indice grafico delle carte pubblicate dall’I.I.M. è riportato nei risguardi anteriore e posteriore, alla pagina III della presente Agenda e sul Catalogo delle carte e delle pubblicazioni nautiche (I.I. 3001).
    Le carte nautiche vengono fornite all’utente aggiornate alla data di vendita e di tale aggiornamento è data garanzia con apposito timbro. La responsabilità del successivo aggiornamento sistematico, sulla scorta delle notizie fornite dal fascicolo degli Avvisi ai Naviganti, è dell’utente.

    carte nautiche elettroniche

    I portolani
    Sono documenti complementari alla cartografia nautica. Essi contengono tutte quelle notizie che non possono essere riportate sulle carte: in particolare descrivono la costa come appare al navigante, cioè vista dal mare.
    I portolani, di massima, forniscono per una data area geografica, le seguenti informazioni:
    – notizie di carattere generale;
    – notizie, fornite in forma tabulare, relative ai servizi esistenti nei porti e lungo le coste descritte nel volume;
    – la descrizione dell’aspetto verticale della costa e dei punti cospicui presenti lungo la medesima, i pericoli per la navigazione, gli approdi, gli ancoraggi e i porti. Per questi ultimi viene riassunta, ove necessario, la normativa portuale in vigore. Sono corredati da foto di alcuni porti minori e da “vedute” di costa.
    L’I.I.M., per le coste del Mediterraneo, pubblica attualmente sette volumi (P1 – P2 – P3 – 1B – 1C – 4 – 6) del portolano propriamente detto, relativo alle acque nazionali e mari d’interesse e due volumi delle “Generalità” (geografiche, talassografiche, meteorologiche, ecc.).
    Continua la realizzazione della nuova collana dei portolani italiani in nuovo formato e suddivisi in più fascicoli (a similitudine di P1, P2 e P3).
    L’elenco dei fari
    È la pubblicazione, in due volumi, annessa alla cartografia nautica ove sono descritti tutti i segnalamenti marittimi (fari, fanali, boe luminose, segnali da nebbia) presenti in mare aperto (piattaforme off-shore, ecc.), lungo le coste e nei porti.
    Per ogni segnalamento sono indicate la posizione, le caratteristiche della struttura (forma, colore, quota, ecc.) e le caratteristiche luminose e/o acustiche, necessarie per il suo riconoscimento dal mare.
    L’Elenco dei Fari e segnali da nebbia pubblicato dall’I.I.M. interessa le coste del Mediterraneo e del Mar Nero.
    I radioservizi per la navigazione
    Sono pubblicazioni annesse alla cartografia nautica, che riportano e descrivono tutti i radioausili alla navigazione marittima (radiofari, risponditori radar, sistemi di radionavigazione, stazioni radio costiere, servizi meteorologici, ecc.).
    L’I.I.M. pubblica, sempre limitatamente al Mediterraneo ed al Mar Nero, due volumi. Nel primo sono riportati tutti i servizi relativi a radiofari, stazioni costiere, racons, stazioni VHF, ecc.; nel secondo tutte le notizie relative all’informazione radio-meteorologica.

    Cartografia elettronica - www.lavocedelmarinaio.com
    Altre pubblicazioni
    In aggiunta alla documentazione di cui sopra, la dotazione nautica necessaria per intraprendere una navigazione deve comprendere anche altre pubblicazioni nautiche edite dall’I.I.M. quali le Tavole Nautiche, le Tavole di Marea, le Effemeridi Nautiche, le Norme per prevenire gli Abbordi in Mare, le Basi Misurate, ecc. L’elenco completo è consultabile sul Catalogo delle carte e delle pubblicazioni nautiche (I.I. 3001).

  • Curiosità,  Recensioni,  Storia

    Primo telegrafo magnetico a Castellammare di Stabia

    di Antonio Cimmino

    Il telegrafo ad aghi di William Thomas Henley si basava sugli esperimenti di Ampère: in presenza di corrente elettrica un ago magnetico devia la sua posizione. La deviazione dell’ago magnetico, influenzato dalla corrente prodotta nella stazione trasmittente, indicava nel ricevitore le lettere del messaggio trasmesso.
    A Castellammare di Stabia la prima linea telegrafica fu inaugurata nel 1851 e furono sistemate 86 stazioni nel Regno delle Due Sicilie.
    Nella metà degli anni ’50, Castellammare di Stabia utilizzava ancora il telegrafo ottico di Chappe e contestualmente due stazioni telegrafiche ubicate nella Regia di Quisisana e nel Real Arsenale.
    Il sistema usato, come in tutta la dorsale tirrenica era quello di Henlley, mentre lungi le coste adriatiche era operante il sistema Morse.

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    22.12.1920, quell’incendio sul regio sommergibile H2

    a cura Antonio Cimmino

    banca-della-memoria-www-lavocedelmarinaio-com

    A Francesco Paolo Di Somma, Stefano Farina e Donato Ceci.

    2capo-francesco-paolo-di-somma-sommegibile-h2-www-lavocedelmarinaio-comFrancesco Paolo di Somma, marinaio di Castellammare di Stabia (Napoli), morì assieme ai colleghi Donato Ceci e Stefano Farina mentre tentavano di spegnere un incendio sviluppatosi in apparato motore del regio sommergibile H.2 ormeggiato nella base navale di Napoli. Era il 22 dicembre 1920…per non dimenticare, mai.

    1. NON SIAMO IN POSSESSO DI FOTO E NOTIZIE DEI MARINAI DONATO CECI E STEFANO FARINA. AIUTATECI A NON DIMENTICARLI.

    sommergibile-h2-www-lavocedelmarinaio-com

    2. NON SIAMO IN POSSESSO DI FOTO E NOTIZIE DEI MARINAI DONATO CECI E STEFANO FARINA. AIUTATECI A NON DIMENTICARLI.

    Buongiorno,
    sono il nipote di Stefano Farina, Capo Torpediniere perito nell’incendio ed esplosione del Sommergibile H2.
    Ringrazio del ricordo di quell’infausto evento per il quale tre giovani vite furono spezzate nel tentativo di salvare l’unità.
    Comunque, per dover di cronaca, evidenzio che si trattava del Dicembre 1928 e non del 1920.
    Distinti saluti
    Stefano Farina
    mar 6 nov, 18:36
    Stefano Farina

    Buonasera signor Vinciguerra,
    grazie per il bel lavoro che fa ricordando il passato di tanti uomini d’onore e valore.
    Mio padre Achille era il figlio di Stefano (mio nonno) ed insieme al fratello Giuseppe sono rimasti orfani di Padre, rispettivamente a 7 e 5 anni.
    Le invierò una foto del nonno e anche un documento molto caro … Il telegramma dello Stato Maggiore alla famiglia per le condoglianze ufficiali.
    Mio Papà Achille ha avuto anche lui una storia di Marina difficile perché era allievo ufficiale quando la scuola per motivi di guerra e bombardamenti di Livorno era stata trasferita sull’isola di Brioni (*).
    Qui furono catturati dai Tedeschi e deportati in Austria.
    Le invio i documenti appena possibile.
    Un caro saluto
    Stefano Farina
    6.11.2018

    Buonasera Ezio,
    come promesso:

    1. 1 – Immagine di mio Nonno Stefano Farina in uniforme
    2. 2 – Foto di gruppo dell’equipaggio del sommergibile H2 (non so purtroppo l’anno di riferimento ) – mio nonno e il secondo da sinistra nella seconda fila dal basso seduti.
    3. 3 – Telegramma di condoglianze dal Comando in Capo del Dipartimento Marittimo – datato 25 Dicembre 1928, possiamo immaginare che Natale abbiano passato in casa mia Nonna, mio Papà e mio Zio (rispettivamente di 5 e 2 anni ( 1923 mio Papà \ 1926 mio Zio ).

    Non amo condividere effetti personali della famiglia ma, a 90 anni da questo evento, trovo doveroso un omaggio al mio nonno, tra l’altro la storia degli eventi è particolarmente drammatica.
    Sono cresciuto con il dolore che ogni anno, durante le feste di Natale,  si rinnovava per mia Nonna.
    Quel 22 Dicembre nonno Stefano era già in congedo per il Natale presso gli uffici del porto. Il sommergibile era ormeggiato al molo Beverello e ci fu prima un incendio e Lui ebbe l’istinto di correre li per aiutare i commilitoni a bordo. Poco dopo l’esplosione nella sala batterie…
    Le auguro una buona serata ed un buon weekend.
    10.11.2018
    Saluti Stefano Farina

    3. NON SIAMO IN POSSESSO DI FOTO E NOTIZIE DEI MARINAI DONATO CECI. AIUTATECI A NON DIMENTICARLO E A FRALI RICONGIUNGERE VIRTUALMENTE CON PAOLO DI SOMMA E STEFANO FARINA.

     

     

     

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    21.12.1930, varo regia nave Colleoni

    a cura Carlo Di Nitto, Antonio Cimmino, Salvatore Amodio

    Il regio incrociatore leggero Colleoni, classe “di Giussano” o “Condottieri”, dislocava 6900 tonnellate.
    Varato il 21 dicembre 1930 presso i Cantieri Ansaldo di Genova, entrò in servizio il 10 febbraio 1932.
    Il 19 luglio 1940 il “Colleoni” (comandato dal C.V. Umberto Novaro, Medaglia d’Oro al Valor Militare) unitamente al gemello “Bande Nere” si trovava a poco più di sei miglia da Capo Spada (isola di Creta). Vennero intercettati da una soverchiante formazione navale britannica. Ne scaturì un violento combattimento nel corso del quale il “Colleoni” venne ripetutamente centrato dal tiro nemico.
    Colpito gravemente nell’opera viva e con incendio a bordo, l’unità rimase immobilizzata alla mercé del nemico. Venne finito dai siluri dei cacciatorpediniere “Hyperion” ed “Ilex”.
    Affondò alle ore 09.00 portando con sé 121 Marinai.
    Invece, nel corso delle ostilità, i CC.TT. fotografati ebbero, in altre occasioni, le seguenti perdite di Marinai:
    – Libeccio : 27 Caduti
    – Grecale : 31 Caduti
    – Scirocco : 234 Caduti
    ONORE AI CADUTI!

    Una bella immagine del Regio Incrociatore “Bartolomeo Colleoni” in manovra a Venezia. In secondo piano, la 10^ squadriglia Cacciatorpediniere composta (da sinistra) dai Regi CC.TT. “Libeccio”, “Grecale”, “Scirocco” e “Maestrale”.

    di Antonio Cimmino




    … era il 19 luglio del 1940. Per non dimenticare, mai.


    Nicola Manzo era nato a San Giuseppe Vesuviano (Napoli), era imbarcato sul Regio Incrociatore Colleoni dove fu ferito durante il combattimento e con un braccio asportato dalle esplosione.


    Pietro Turi era nato a Castellammare di Stabia (Napoli), naufrago e successivamente prigioniero in India e Inghilterra.

    L’incrociatore fu affondato dal cacciatorpediniere inglese Ilex e Havock nella battaglia di Capo Spada (Creta) del 19 luglio 1940.
    Nella battaglia morirono 129 marinai mentre i 525 naufraghi furono raccolti dalla squadra navale inglese ed avviati alla prigionia.

    Battaglia Capo Matapan: due strani, misteriosi e inquietanti episodi
    di Salvatore Amodio

    segnalato da Carlo Di Nittto

    Ciao Ezio, 
    ti inoltro un articolo a firma Salvatore Amodio, pubblicato sul notiziario dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia del Mese di Marzo 1996, in occasione del 55° anniversario della tragica battaglia navale di capo Matapan. In quel luttuoso evento, accaduto il 29 marzo 1941, la Regia Marina Italiana perse cinque splendide unità: gli incrociatori pesanti “Fiume”, “Pola”, “Zara” e i Cacciatorpediniere “Alfieri” e “Carducci”. Nello scontro e nei giorni successivi trovarono la morte 2331 Marinai italiani. 
    Nell’articolo sono riportati due strani ed inquietanti episodi, già noti agli studiosi di storia navale, ai quali ancora oggi non si riesce a dare una spiegazione razionale.

    ACCADDE ALL’ALBA PRIMA DELLO SPUNTAR DEL SOLE
    “… Durante l’ultima guerra il marinaio Giovanni Pinta era imbarcato sul “Fiume” quando l’incrociatore fu mortalmente colpito dal fuoco delle corazzate inglesi nel corso della battaglia di Capo Matapan. Il comandante Giorgi aveva dato l’ordine di abbandonare la nave, quand’erano risultati inutili tutti i tentativi di spegnere gli incendi divampati a bordo, e si era lasciato affondare con essa.
    Un gruppo di superstiti, vagando alla deriva su una zattera, senz’acqua e senza viveri, fu raccolto dopo cinque giorni; ma all’alba del secondo giorno…
    All’alba del secondo giorno vissero un’esperienza, che Giovanni Pinta una volta a terra narrò ad un suo ex comandante, l’ammiraglio Aldo Cocchia (noto storico navale n.d.r), il quale ne fece oggetto di un articolo pubblicato da “Il Tirreno” dell’’11 febbraio 1951.
    “Fu all’alba, poco prima che spuntasse il sole, (cito dall’articolo del com.te Cocchia) – mi disse Pinta. Mare, soltanto mare, un mare calmo, oleoso. Non avevamo da bere né da mangiare e qualcuno di noi già smaniava per la disperazione, ma la nave la scorgemmo tutti, un quattro – cinque miglia lontano da noi. Spuntava dal mare: lo capimmo subito. Prima gli alberi, il fumaiolo, il torrione. Chi di noi non avrebbe riconosciuto il “Fiume”?

    “Venne fuori il ponte di comando, poi spuntarono i cannoni. Affiorò fin quasi alla coperta, ma con una lentezza che ci pareva di morire. Qualcuno urlò, ma in quello scafo apparso su dal mare c’era qualcosa che non dava gioia, qualcosa che agghiacciava, invece di rallegrarci.
    “Per un lungo istante fummo convinti che il “Fiume” si sarebbe avvicinato, che sarebbe venuto a prenderci, che ci avrebbe tolto dall’agonia nella quale vivevamo… La nave rimase ferma lì, per un po’ di tempo, senza riuscire a venir fuori tutta, poi, poco a poco, quasi insensibilmente, scomparve”.
    Questo fu l’episodio narrato da Giovanni Pinta al suo superiore; alcuni uomini, sperduti sul mare, “rivedono” la loro nave affondata due notti prima col suo comandante. Fu un episodio vissuto in uno stato particolare, di disagio e di angoscia, ma vissuto da più uomini i quali, in seguito, confermarono il racconto di Pinta.
    Ma questo non fu il solo fenomeno fuori dell’ordinario verificatosi in occasione della tragedia di Capo Matapan; nello stesso scritto del comandante Cocchia viene riferito un altro fatto inspiegabile.
    In quella battaglia primo ad essere colpito fu il nostro incrociatore “Pola” che, in preda alle fiamme, rimase immobilizzato in mezzo al mare. In suo soccorso mossero gli incrociatori “Fiume” e “Zara” scortati da quattro caccia. Purtroppo anch’essi erano destinati a subire la stessa sorte del “Pola”, come s’è visto dall’episodio precedente a proposito del “Fiume”.
    Le nostre navi, dunque, navigavano in soccorso del “Pola” ignare di essere state, a loro volta, già rilevate dai radar avversari. Questa nuova apparecchiatura, della quale gli italiani erano privi, ebbe peso determinante sull’esito di quella sfortunata battaglia.
    Gli inglesi rilevarono le nostre navi e poi individuarono “prima attraverso i radar e poi direttamente, un incrociatore tipo “Colleoni” a proravia delle due maggiori “Fiume” e “Zara”, quasi battistrada della formazione italiana.

    “Lo videro tutti dalle navi britanniche, lo videro e ci spararono contro, finché quello, incendiato, non si allontanò dal campo di battaglia…”
    L’avvistamento e l’azione che ne seguì furono annotate dall’ammiraglio Cunningham, comandante della formazione avversaria, nel suo rapporto ufficialeAnche i superstiti del “Pola”, che assisté inerte allo scontro, affermarono di aver visto un “Colleoni” abbandonare in fiamme il campo.
    Ebbene risulta con assoluta certezza, da varie fonti storiche che esaminarono minuziosamente, minuto per minuto, tutto quanto avvenne durante quella battaglia, che “nessun’altra nave italiana” si trovava in quelle acque quella notte, oltre quelle che navigavano in soccorso del “Pola”.
    Non solo, ma “lo strano è che proprio in quelle acque dell’Egeo – prosegue in comandante Cocchia – circa otto mesi prima di Matapan, l’incrociatore “Colleoni” era affondato combattendo valorosamente contro il “Sidney” britannico”.
    Dunque il “Colleoni” non poteva essere. Nessuna altra unità navale italiana si trovava in quelle acque.
    Contro chi spararono gli inglesi?
    Anche questo fu un fenomeno di allucinazione collettiva?
    Si noti che anche l’apparecchiatura radar rilevò il presunto battistrada in testa alla nostra piccola formazione.
    Questi interrogativi rimasero senza risposta”.

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    21.12.1798, Francesco Caracciolo e Giovanni Bausan umiliano Orazio Nelson

    di Antonio Cimmino

    Un mese prima dell’instaurazione della Repubblica napoletana, all’arrivo dei francesi in città il 21 dicembre 1798, il re Ferdinando IV con tutta la famiglia e i suoi ministri, scappò da Napoli a Palermo imbarcandosi sul Vanguard, vascello al comando di Orazio Nelson. Il monarca del Regno delle Due Sicilie preferì la nave inglese al Sannita, il vascello napoletano comandato dall’ammiraglio Francesco Caracciolo. La consistente flotta borbonica, su subdolo suggerimento inglese, fu fatta incendiare nel porto di Napoli e nell’arsenale di Castellammare di Stabia, per non farla cadere nelle mani dei francesi.

    La traversata fu caratterizzata da una violenta tempesta che si protrasse fino all’imbocco della rada di Palermo. Nelson non riusciva a governare la nave per entrare in porto. Caracciolo, invece, con perfetta padronanza della situazione attraccò con un’ardita manovra a Palermo. Egli mandò Giovanni Bausan di Gaeta, comandante della corvetta Aurora che si trovava in rada, in aiuto della nave inglese in difficoltà. Il Bausan con una piccola imbarcazione sfidando i marosi, si portò sul Vanguard e, assunto il comando, lo pilotò fino al molo. Il re, che aveva preferito il grande ammiraglio inglese, suggeritogli anche dal ministro John Acton, elogiò pubblicamente il suo ammiraglio davanti ad un Nelson furibondo. Caracciolo si congedò dalla Marina e tornò a Napoli ove fu convinto ad aderire alla Repubblica assumendo il comando della sua piccolissima flotta composta di qualche fregata e barche cannoniere. Anche Bausan seguì il suo ammiraglio nella sfortunata avventura repubblicana.


    La perizia marinaresca del Caracciolo che aveva umiliato il baldanzoso Nelson considerato il miglior ammiraglio del Mediterraneo, generò un odio profondo dell’inglese nei confronti del napoletano.
    Quando la Repubblica fu sconfitta nel mese di giugno del 1799, il Caracciolo fu processato per tradimento e condannato a morte. A presiedere la corte marziale fu proprio Nelson che non volle ascoltare la richiesta del Caracciolo di essere fucilato. Egli per oltraggiarlo lo fece impiccare al pennone dell’albero di trinchetto della corvetta Minerva, la nave che era stata comandata proprio dal Caracciolo. Al marinaio che, piangendo indugiava a mettergli il cappio intorno al collo Caracciolo lo esortò dicendogli “Sbrigati: è ben grazioso che, mentre io debbo morire, tu debbi piangere”.

    Dopo l’impiccagione il corpo, per ulteriore sfregio, venne gettato in mare. Solo dopo alcuni giorni il cadavere, gonfio d’acqua, riemerse sotto il vascello Foudroyant, la nave ammiraglia di Nelson ove era ospite Ferdinando IV, da poco arrivata dalla Sicilia. Alla spettrale scena assistette anche Emma Hamilton l’amante di Nelson e l’ambasciatore inglese William Hamilton.


    Dello stesso argomento sul blog
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2016/06/il-processo-allammiraglio-francesco-caracciolo/

    A proposito di Giovanni Bausan
    di Carlo Di Nitto

    Il gaetano Giovanni Bausan avrebbe poi avuto occasione, in altre e diverse circostanze, di umiliare i superbi inglesi con la sua perizia marinaresca. Di seguito il quadro, conservato nella Reggia di Caserta; raffigurante il re Gioacchino Murat che, sul ponte della fregata Cerere, si congratula con il Bausan e i suoi marinai, vittoriosi sui “figli di Albione, dopo la seconda battaglia del “Canale di Procida” del 26 giugno 1809. Il dipinto è opera del pittore Guillame – Desirè Descamps.

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    21.12.1915, nel ricordo di Giuseppe Miraglia

    http://anmilugo.racine.ra.it/miraglia.htm

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    Togliamo dal “Notturno” di Gabriele D’Annunzio, alcuni versi autobiografici: “Verso mezzanotte arriva il Comandante Giulio Valli. Si siede accanto a me, mi parla del morto. Confessa che domandato alle forze di Giuseppe Miraglia tutto quel che potevano dare e oltre. Nei primi giorni della guerra, solo, con un apparecchio miserabile, con una vecchia pistola Maser, volava contro il nemico, difendeva Venezia, esplorava Pola. Mi parla della fiducia che l’aviatore aveva in me e di quella che in me stesso m’ispirava. Giuseppe Miraglia due giorni prima gli aveva detto: se proponessi a Gabriele D’Annunzio di volare su Vienna, risponderebbe semplicemente: Andiamo, si siederebbe sul seggiolino e non si volterebbe più indietro.”
    Con questi pochi versi che valgono più di un epitaffio, il Vate ricordava l’amico appena morto, il lughese Giuseppe Miraglia, uno dei primi aviatori della Regia Marina e l’unico italiano a cui venne intitolata una ‘portaerei’.

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    Giuseppe Miraglia nacque a Lugo il 21 giugno 1883 (atto di nascita n.434), terzogenito di tre figli, e morì a Venezia il 21 dicembre 1915, curiosamente, come si vede, nascendo nel solstizio d’estate e morendo nel solstizio d’inverno. Le sue radici affondarono in una città che dette i natali a grandi personaggi dell’aviazione, quali il famoso Asso degli assi M.O.V.M. maggiore Francesco Baracca ed il pioniere costruttore e fondatore dei primi campi di volo in Italia, l’ingegner Rambaldo Jacchia.
    Suo padre era il commendatore Nicola Miraglia, deputato liberale di origini lucane, direttore del Banco di Napoli, pluri incaricato nei ministeri dell’Agricoltura, delle Finanze, degli Affari esteri e degli Interni: Fu elevato al titolo di conte, motu proprio dal re Vittorio Emanuele III, il 19 gennaio 1926, per i grandi servigi resi alla nazione durante i suoi molteplici incarichi.
    Sua madre, Elena Mazzarini discendeva da un’antica famiglia patrizia e benemerita di Lugo, nota per l’istituzione di un’Opera pia creata il 3 dicembre 1865, amministrata da don Carlo Cavina, fondatore dell’Ordine delle Figlie di San Francesco di Sales. Il nonno materno Luigi, fu ingegnere primario di Governo a Forlì, dove fu barbaramente ed impunemente assassinato, nonna materna invece fu Daria Zauli degli Zauli di Baccagnano, un’antica famiglia nobiliare del XIII secolo delle colline di Faenza.
    Fratello maggiore di Giuseppe era Luigi, nato a Roma il 6 novembre 1876, che fece carriera nella Regia Marina, arrivando al grado di contrammiraglio ed aiutante di campo del re nel 1930. Luigi venne insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare in occasione di un incendio avvenuto nella santabarbara della Regia Nave Marco Polo in missione in Corea nel 1904, e di una di bronzo, oltre ad un nutrito gruppo di altre decorazioni(1).
    Nell’anno 1883, come spesso era d’uso per le gestanti in procinto di partorire, pure Elena Mazzarini di trentasei anni, allora residente con il marito a Roma, era ritornata nella città natìa presso la madre per il travaglio del parto, precisamente nella villa di famiglia situata nella borgata San Potito di Lugo in via Sant’Andrea 51. Fu per questa ragione che il figlioletto terzogenito venne alla luce a Lugo, mentre il padre era lontano dalla città, e portato al fonte battesimale della chiesetta di San Potito, dove gli vennero posti i nomi di Giuseppe, Maria, Luigi, Nicola, Michele, Biagio(2).
    Dopo avere frequentato le scuole a Napoli, dove il padre Nicola espletava le funzioni di direttore del locale istituto bancario, il 15 agosto Giuseppe Miraglia entrò allievo nella regia Accademia Navale di Livorno, matricola 1220, e nominato guardiamarina nel Corpo di Stato maggiore generale il 1 dicembre 1903. Fu promosso sottotenete di vascello sulla R.N. Dogali il 1 dicembre 1908, partecipando quindi alla campagna della guerra italo-turca imbarcato sulle RR. NN. Lombardia ed Emanuele Filiberto; in questo periodo probabilmente nacque in Lui la passione per il volo sulle esperienze delle prime scuole di volo istituite dagli italiani in Libia.
    Passato al grado di tenente di vascello, su sua richiesta il 17 marzo 1914 venne destinato presso la Scuola idrovolanti di Venezia, diretta dal tenente di vascello Francesco Roberti di Castelvero e comandante della squadriglia San Marco, dal febbraio 1914. Qui, appena una settimana dopo, poté compiere il suo primo volo su un velivolo della scuola, però come passeggero, pilotato dal tenente del genio navale Luigi Bresciani. Fu questa una dura esperienza, perché l’idrovolante 7 sul quale era salito, dovette compiere un ardito atterraggio di fortuna tra l’isola di San Michele e Sant’Andrea di Venezia, causando al giovane Miraglia lievi ferite ed una lieve commozione cerebrale(3).
    Nonostante questo primo volo incidentato, il lughese conseguì ben presto il brevetto di pilotaggio a Venezia, con disposizione ministeriale del 13 settembre 1914.
    Lo scoppio delle ostilità della Grande Guerra trovò il giovane tenente di vascello Giuseppe Miraglia a guidare addirittura la Squadriglia idrovolanti di Venezia, reparto che venne da lui in pratica plasmato secondo le moderne cognizioni belliche e di efficienza aerea.
”Piccolo, robusto, infaticabile, sorridente – così veniva descritto – pareva nato solo per vedere il lato buono degli uomini e delle cose e considerare la vita con immutabile serena benevolenza. Il suo ardire appariva fantastico.(4)

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    Il 24 maggio 1915, primo giorno di guerra, un aeroplano austriaco gettò bombe su Venezia, ma attaccato ed investito dal fuoco di Miraglia, fu costretto ad allontanarsi. Il giorno successivo ed il 27 maggio eseguì, su comando dello Stato maggiore della R. Marina, vaste ricognizioni su Pola, poi nel mese di giugno su Trieste e quindi su tutta la costa istriana, lanciando il 4 luglio, diverse bombe sulle batterie di difesa contraerea nemiche di Punta Salvore.
    L’8 luglio inseguì un idrovolante ed avvistò un sommergibile a circa 30 miglia da Pola. Il giorno seguente lanciò bombe su un cacciatorpediniere nemico sul canale di Fasana, avendo fatto segno ad intenso fuoco di artiglieria.
    In data 13 luglio inseguì ancora un idrovolante austriaco e bombardò postazioni avversarie su Salvore riuscendo a schivare il tiro di un caccia austriaco che cercava di intercettarlo.
Mitico rimase il blitz che il tenente di vascello Miraglia effettuò sul cielo di Trieste il 7 agosto insieme al tenente del Lancieri di Novara, Gabriele D’Annunzio, al quale da allora lo legò una profonda amicizia.
    Quell’azione, compiuta insieme ad un altro velivolo italiano ed uno francese, venne riportata sulle pagine del Giornale d’Italia. “Il velivolo condotto dal Comandante Miraglia, avendo a bordo Gabriele D’Annunzio, partì alle ore 3.30 del pomeriggio, sabato 7 agosto 1915, cominciando subito a prendere quota lungo la costa e giungendo sopra Trieste; alle 4.30 era già altissimo. Subito avvistato ebbe il caloroso saluto dai cannoni, dalle mitragliatrici e dai fucili. Fu lanciata una bomba sul magazzino militare Maria Teresa. L’apparecchio colpito da un proiettile di mitragliatrice, ebbe la fusoliera fracassata. Fece lunghi giri sulla città che appariva deserta. Nel primo giro furono lanciate carte col messaggio, dettato dal Poeta”.
    Il messaggio che gettò D’Annunzio riportava il seguente testo: “Coraggio fratelli! Coraggio e costanza! Per liberarvi più presto, combattiamo senza respiro. Nel Trentino, nel Cadore, nella Carnia, su l’Isonzo, conquistiamo terreno ogni giorno. Non v’è sforzo del nemico che non sia rotto dal valore dei nostri. Non v’è menzogna impudente che non sia sgonfiata dalle nostre baionette. Abbiamo già fatto ventimila prigionieri. In breve tutto il Carso sarà espugnato. Io ve lo dico, io ve lo giuro, fratelli: la nostra vittoria è certa. La bandiera d’Italia sarà piantata sul grande Arsenale e sul Colle di San Giusto. Coraggio e costanza! La fine del vostro martirio è prossima. L’alba della nostra allegrezza è imminente. Dall’alto di queste ali italiane che conduce il prode Miraglia, a voi getto per pegno questo messaggio e il mio cuore. Io Gabriele D’Annunzio. Nel cielo della Patria, 7 agosto 1915”.
    Su Pola, Miraglia ripeté ricognizioni più volte alla settimana, e l’8 settembre comandò una esplorazione aerea sul cielo di Venezia al fine di proteggere le navi da battaglia italiane, ma incendiatosi il motore del suo velivolo dovette effettuare un atterraggio di emergenza davanti a Malamocco.
    Il 25 ottobre attaccò un idrovolante austriaco che aveva gettato bombe su Venezia, mentre il 18 novembre costrinse ad allontanarsi un altro velivolo nemico che aveva la medesima missione offensiva sull’antica repubblica marinara.
    In una giornata, Miraglia si alzava in volo anche due volte per cercare di riportare alla base sempre più dati, notizie ed informazioni sulle dislocazioni delle difese costiere e sulle unità della flotta austriaca, specialmente sul finire del 1915, quando si riteneva che una parte della flotta della Marina imperiale austroungarica si sarebbe spostata verso sud per ostacolare la Regia Marina italiana impegnata fortemente nel salvataggio dello sconfitto esercito serbo.
    Divenne così necessario fare una ricognizione approfondita sulla costa avversaria e particolarmente sulla città di Pola, dove si era rifugiato il grosso della flotta avversaria. Al Comando supremo italiano urgeva conoscere se, approfittando delle condizioni atmosferiche, la flotta imperiale non avesse cambiata la dislocazione, ma la fitta nebbia insistente, pioggia e vento insieme al mare agitato avevano impedito tutti i tentativi degli italiani di venire a capo della faccenda.
    Per questa pericolosa missione infine si alzarono in volo dalla stazione degli idrovolanti di sant’Andrea di Venezia, il 18 dicembre 1915, il tenente di vascello Miraglia insieme al sottotenente di vascello Manfredi Gravina che così lo ricordò: “… Pilotò quel giorno il più vecchio idrovolante della stazione, un Albatros che tante volte lo aveva portato su in alto a sfidare la morte. Fu quella la trentatreesima volta che dall’inizio della guerra egli intraprendeva l’ardimentosa ricognizione sulla principale roccaforte marittima nemica. In lontananza scorgemmo le torpediniere uscite per la nostra scorta e dirigemmo per passare sovra di esse. Nell’insieme, la giornata era bella, ma non priva di fatica per il pilota essendo l’aria mossa, la visibilità limitata dalla foschia, il mare alquanto agitato. Il velivolo ballava violentemente, ma, nei momenti più bruschi, io non avevo, per tranquillizzarmi che voltarmi verso l’amico e guardare attraverso il grandi occhiali nei suoi occhi buoni e sereni, quasi sempre sorridenti, dall’espressione infantile – sempre la stessa – immutata dal giorno della nostra prima conoscenza che datava da quindici anni. Illimitata era la mia fiducia nella sua abilità di pilota, nella sua prontezza di decisione – sempre uguali e presenti – sia sotto il fuoco della batterie nemiche, che in altre gravi circostanze. … Passammo così sulle nostre torpediniere, procedemmo oltre verso l’ignoto, forse senza ritorno, mentre l’apparecchio guadagnava rapidamente quota. Giungemmo a 1450 metri d’altezza e più non si vedeva la costa italiana. Ed ecco ad un tratto l’atmosfera schiarirsi, dopo qualche tempo ancora, staccarsi ben visibile, sulla sinistra in avanti, il noto caratteristico arcipelago, antistante Rovino.
    Dopo otto o dieci minuti di volo, siamo sulla minore delle Brioni, alcune navi sono nel canale di Fasana, la flotta nemica è nel porto di Pola. Con rapida mossa il pilota accosta sulla dritta descrivendo una esse sulle Brioni, mentre io col binocolo posso tranquillamente osservare e prendere appunti. Giunti verso sud, all’altezza di Capo Campare, il compagno mi chiede a mezzo di gesti se ho compiuto l’osservazione, alla mia risposta negativa giriamo nuovamente verso nord completando l’otto, lungo il litorale foraneo delle Brioni. Alle 13 precise, ultimata la ricognizione, giriamo definitivamente per Ponente, ed assicuratomi di non essere inseguiti da alcun velivolo nemico, scrivo all’amico sul libretto di volo: “Finalmente è fatta, si tratta ora di tornare a riferire”. Egli mi risponde con un sorriso di assicurazione, dal suo viso traspare l’intima soddisfazione di aver compiuto interamente il suo dovere e risponde, calmo, intrepido, la condotta del velivolo agitato. Alle 14.30, con magnifico vol planè, scendiamo a S.Andrea.”(5)

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    Era già stato stabilito per il 23 dicembre 1915, un raid comandato da Miraglia ed animato da D’Annunzio, con quattro velivoli, che da Venezia avrebbe portato ad Ancona ed a Zara per ritornare poi nella città marchigiana e quindi alla base, allo scopo di ricordare al popolo dalmata la loro origine italiana. Questa azione avrebbe costituito una delle imprese di maggior spessore di quei tempi, già preannunciante l’ardimentoso e successivo raid su Vienna, ma il destino vanificò questo iniziale progetto.
    L’aviatore lughese della Regia Marina, due giorni prima, nel solstizio d’’inverno, in una splendida e calma giornata di sole, poco dopo mezzogiorno, si alzò in volo con il fedele motorista S.c.t.e. Giorgio Fracassini Serafini, ai comandi dell’idrovolante Albatros austriaco “L173”.
    Questo velivolo era stato catturato dagli italiani durante l’ammaraggio forzato dell’aviatore austriaco che lo pilotava, e portato, dato che si trattava di un più moderno modello del medesimo in dotazione all’aviazione della Marina italiana, alla stazione idrovolanti di Venezia per essere provato da mani esperte di pilota e per essere poi usato per eventuali missioni in territorio nemico.
    Quel 21 dicembre 1915, dopo le prove di motore e la verifica del buon funzionamento di tutti gli strumenti a terra, Miraglia partì compiendo sulla laguna, un paio di giri, quindi risalì ad una quota di circa 600 metri in 20 minuti. Successivamente si comprese dal rumore del motore che il pilota era in procinto di effettuare il volo a vela per discendere pian piano con il motore parzialmente escluso come era la tipica manovra di Miraglia, arrivando così approssimativamente a 300 metri di altezza davanti a Santa Maria del Lido.

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    Da quel momento le manovre del pilota apparvero confuse: sembrò per un momento che egli con la prora a settentrione, volesse entrare nel canale di sant’Andrea, poi però cambiò direzione e si diresse verso san Nicolò del Lido, con un’inclinazione che andava progressivamente aumentando per arrivare infine a circa 40 metri dal livello del mare, in posizione completamente verticale, e precipitare fragorosamente nello specchio d’acqua del passo del Lido.
    Miraglia e Fracassini in quei brevissimi secondi prima dell’impatto furono consci del loro destino, visto che cercarono di liberarsi della tuta di pelliccia, della cuffia e degli occhiali, nell’imminenza della nuotata fuori programma.
    Per primo venne recuperato il corpo del pilota da una lancia della Difesa e subito gli venne, inutilmente, praticata la respirazione artificiale, infatti, spirò a seguito delle gravi lesioni riportate nell’urto; i resti del povero motorista invece vennero rinvenuti due ore dopo.(6)
    Il cadavere dell’aviatore di Marina Miraglia venne in seguito portato all’ospedale della Marina, nelle fondamenta di Sant’Anna.
    L’annuncio della morte del lughese fu un colpo per il poeta Gabriele D’Annunzio che ebbe ben sessanta pagine sublimi dedicate a Miraglia nel suo poema “Notturno”. Egli si precipitò di corsa all’ospedale della Marina, dove trovò “sopra un lettuccio a ruote disteso il cadavere” dell’amico. D’Annunzio gli rimase accanto per molte ore in ginocchio “Nella sala mortuaria, tra l’afa dei fiori e della cera”.
    Per attendere l’arrivo del fratello Luigi Miraglia da Valona, dove era stato distaccato, passarono tre giorni dalla morte ai funerali dell’aviatore lughese. La vigilia di Natale fredda e plumbea, giorno dei funerali, la folla si accalcava al cancello dell’ospedale, mentre nella cappellata si svolgeva la messa funebre, poi all’uscita si fece sosta nel cortile del nosocomio, e ad un ordine del comandate Valli si formò un quadrato composto dal fratello Luigi, da ammiragli, generali ed ufficiali intorno al feretro.
    Nel silenzio più totale D’Annunzio pronunciò un lungo discorso che ci concluse così: “O fratello, fratello generoso ed infelice, mi sia almeno concessa la gloria di raggiungerti con le tue stesse ali e di portarti questo nostro amore che non sapevi così dolce, questo nostro dolore che noi non sapevamo così alto. Non addio, compagno, non addio. Con te siamo, con noi tu rimani. Con noi vincerai, e per te compiremo il tuo voto e il voto di tutti i nostri morti”.
    Una lancia parata di nero con i ricami in argento portò successivamente la salma del tenente di vascello Giuseppe Miraglia, seguita innumerevoli imbarcazioni per la laguna, al cimitero dell’isola di san Michele, la cosiddetta Isola dei morti.
    Trenta giorni dopo la sua morte, nel camposanto venne eretto un cippo in pietra d’Istria a lui dedicato, opera dell’artista triestino Achille Tamburini, dove venne scolpita l’epigrafe dettata da Gabriele D’Annunzio: “Qui si scioglie il corpo mortale del tenente di vascello Giuseppe Miraglia – che ebbe d’Icaro l’animo e la sorte – le sue ali immortali solcano tuttavia il cielo della Patria sopra il mare liberato”.
    Il re Vittorio Emanuele III di motu proprio, conferì alla memoria del lughese, la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Per l’ardimento spiegato in numerose, difficili esplorazioni aeree sulla costa nemica e segnatamente su Pola e Trieste, riuscendo, quantunque scoperto e fatto segno alle offese nemiche, a riportare sempre utili informazioni. (Alto Adriatico, maggio – dicembre 1915). A Miraglia vennero riconosciute la Campagna di guerra Italo-turca e la Campagna di guerra 1915, quindi insignito della medaglia commemorativa per l’opera di soccorso prestata nei luoghi devastati dal terremoto del 28 dicembre 1908, della medaglia commemorativa della guerra Italo-turca 1911-1912, della Croce d’Oro di anzianità di servizio, della medaglia commemorativa della guerra 1915-1918, della medaglia interalleata della Vittoria.
    Con decreto ministeriale, il suo nome venne assegnato dal Ministro della Difesa al suo reparto: “Alla Stazione idrovolanti di Venezia assegno il nome di Stazione idrovolanti Giuseppe Miraglia per onorare la memoria del tenete di vascello Giuseppe Miraglia che per primo ne ebbe il comando e diede allo sviluppo di essa, tutto il suo lavoro e la sua fede, perdendo la vita mentre si preparava a nuovi cimenti.”
    Dopo l’ottobre 1916, a causa dell’impellente necessità dovuta all’incremento di azioni belliche navali ed aeree lungo le coste venete, venne costruita una installazione di artiglieria pesante composta da quattro cannoni da 120/40 mm., dedicata alla memoria di Miraglia, presso la località di Carole, al fine di coprire a difesa da possibili attacchi nemici, un ampio settore di fronte al mare.
    Nella sua città natale, venne intitolato a suo nome il locale gruppo dell’Associazione nazionale marinai d’Italia, che cercò di venire a capo della vox populi lughese che dalla morte di Miraglia, sempre lo collocava nei decorati di medaglia d’oro, corredata pure da un paio di pubblicazioni locali e da cartoline celebrative con tale riferimento. Fu solo negli anni trenta che si risolse la questione a favore della medaglia d’argento, ed in tal veste, i marinai di Lugo, lo celebrarono grandiosamente nel 2000.
Sempre a ricordo del bravo aviatore, a Venezia nell’autunno del 1925, venne disputata una grande gara aviatoria, la Coppa “Giuseppe Miraglia”, e la città di Lugo fece dono al vincitore di un bellissimo orologio che portava la dicitura dannunziana: “Lugo matrice ferrigna”.
    A Napoli, sua città adottiva e dove frequentò le prime scuole, venne intitolato a suo nome il locale Aero club.
    Comunque il più importante ed indimenticabile negli annali della Regia Marina per oltre vent’anni, fu l’aver intitolato a suo nome la prima nave italiana che aveva le prerogative di una vera e propria portaerei: la R. N. portaerei Giuseppe Miraglia che prese ufficialmente il mare il 23 giugno 1929 e la sua Bandiera di combattimento venne intessuta dalla mani della contessa Elena Miraglia Mazzarini, madre dell’aviatore.(7)
    E’ bene precisare che questa nave non aveva un ponte di volo, ma possedeva, a differenza di altre unità precedenti, tutte le caratteristiche, e per la prima volta, che si chiedeva ad una portaerei, cioè la possibilità di lanciare aerei e soprattutto la possibilità di recuperarli. Si potrebbe dire che fu la risposta italiana alle portaerei a ponte che stavano nascendo nella altre marine e che tanto furono utili durante la seconda guerra mondiale, e che, di contro, aprirono scontri agli alti vertici della Regia Marina italiana fra le due fazioni dei favorevoli e contrari a dotare l’Armata di una portaerei a ponte.
    La Giuseppe Miraglia venne iscritta nel naviglio militare destinata a a nave appoggio per aerei. Lo scafo venne ordinato il 13 dicembre 1920, invece per l’impostazione vera e propria si attese il 5 marzo 1921. Il 19 giugno 1927 furono eseguite prove di macchina sul mare, quando raggiunse la velocità massima di 21,6 nodi con carico medio di 5126 tonnellate, mentre la consegna effettiva alla Regia Marina avvenne in data 1 novembre 1927 e le venne imposto il motto “Numquam dicit sufficit” (Mai dice basta). Il 18 giugno 1928 venne completamente allestita ed armata.(8)
    Lo scafo della nave, in acciaio Martin-Siemens, aveva la lunghezza massima fuori ossatura e corazza di 121,22 metri, mentre la lunghezza fra le perpendicolari toccava i 115 metri, per una larghezza massima fuori tutto nel totale di 14,994 metri. L’immersione dello scafo in media raggiungeva esattamente i 5 metri e 7 centimetri.
    La Regia Nave portaerei Giuseppe Miraglia prima della sua serie, apparteneva ovviamente della serie ed alla classe che recava la sua stessa denominazione, poteva contare su un equipaggio composto inizialmente da sedici ufficiali e centottanta membri d’equipaggio con varie qualifiche.
    Il segnale distintivo dell’unità assegnatole dalla Regia Mariana era: I A M U.
    La portaerei era dotata di due hangar uno a poppa che poteva contenere sei idrovolanti M-18 ad ali ripiegabili ed un prodiero che invece poteva ricevere cinque velivoli dello stesso tipo. La dotazione di benzina per i velivoli era di 40 tonnellate.
    Per il lancio dei velivoli dalla nave erano state installate due catapulte del tipo Gagnotto. La sua dotazione interessava la messa in mare ed il recupero degli idrovolanti; a tal fine esisteva, in corrispondenza della mezzeria di ogni apertura laterale, una ferroguida sistemata sotto il cielo dell’hangar che si prolungava per nove metri fuori bordo sostenuta da una gru a bandiera. Il telone Hein serviva per il recupero degli idrovolanti quando la nave era in navigazione.
    L’armamento dell’unità consisteva in 4 cannoni da 102/40 mm. antiaerei, dislocati nel numero di 2 sul castello e 2 sul cassero, ai quali si aggiunsero negli anni a seguire anche 12 mitragliere Breda ’31 antiaerei. I cannoni da 102 mm. 40 di lunghezza erano dello stesso calibro standard in dotazione ai cacciatorpedinieri italiani di origine inglese.(9)
    Il primo ruolo importante fu durante una esercitazione nell’aprile 1930 con lancio e recupero in velocità di idrovolanti, azione coronata da gran successo e soddisfazione dall’alto comando della R. Marina. Agli iniziali M-18 AR vennero preferiti i Cant. 25 AR.
    Tuttavia la Miraglia, proprio per via delle liti tra le due fazioni, pro e contro la portaerei, divenne solo “una base aerea galleggiante” e servì da trasporto velivoli per l’Africa orientale durante la conquista dell’Abissinia, pure se fu ai comandi di una delle più valorose future medaglie d’oro al valor militare della Marina, il capitano di vascello Ugo Fiorelli.
Nel 1937 entrarono il linea gli Imam Ro.43 che misero in pensione il telone Hein per il recupero.
    Curiosamente la piccola portaerei italiana, fu una dei pochi mezzi navali che si salvarono dalla Pearl Harbour italiana di Tarato, la notte fra l’11-12 novembre 1940, e gli aviatori inglesi non la degnarono neppure di una mitragliata, fortunatamente per la Marina italiana, ma sfortunatamente per la Royal Navy, infatti la piccola e grassoccia nave servì da utilissima base di lancio per il progetto che il 9 maggio 1942, portò all’adozione su vari mezzi navali italiani di aerei imbarcati e soltanto lanciati. Il primo RE.2000 MM.8281, ai comandi della Medaglia d’Argento al Valor Militare tenente pilota Giulio Reiner (già del 4° Stormo) partì proprio dalla catapulta Magaldi della Miraglia per il primo esperimento e lancio, tanto che i brillanti risultati produssero un gruppo di dieci RE.2000 “Falco I” , catapultabili e con la livrea azzurrina con tanto di paperotto sulla coda, trasformati in Grande Autonomia(10).
    A seguito dell’armistizio la portaerei Miraglia da Venezia si consegnò alla Royal Navy e messa alla fonda a Saint Paul Bay a Malta, impiegata come base appoggio per i sommergibilisti italiani, cioè da caserma. Dopo la guerra venne utilizzata per il rimpatrio dei prigionieri italiani ed ormeggiata poi a Taranto per essere utilizzata ancora come nave- caserma per gli equipaggi di motosiluranti(11), e successivamente come sola nave-officina.
La nave andò in disarmo, e fu radiata il 15 luglio 1950, chiudendo il capitolo dell’aviazione navale italiana(12) e di quella che fu l’antenata della moderna portaerei Giuseppe Garibaldi.

    Note
    (1) Enio Iezzi “R.N. Portaerei Giuseppe Miraglia” Walberti, Lugo 2000, pp.7-9.
    (2) “Corriere Lughese” Lugo 20 settembre 1931, p.5.
    (3) Bruno Brivonesi “Mare e Cielo” Giusti, Livorno 1938, p.94.
    (4) Angelo Lodi “Il periodo pionieristico dell’Aeronautica Militare italiana”Ateneo & Bizzarri, Roma 1977, p.256.
    (5) Archivio Ufficio Storico della Marina Militare, cartella 13/7 “Biografia Giuseppe Miraglia”
    (6) Ibidem.
    (7) “R.N. Portaerei Miraglia” Borrelli, Napoli 1929.
    (8) “Storia Militare” n.13, ottobre 1994, Albertelli edizioni speciali, Parma, pp.26.39.
    (9) Erminio Bagnasco “Le armi della navi italiane nella seconda guerra mondiale” Albertelli, Parma 1978, pp.37, 53-5, 73, 189, 195.
    (10) “Aeronautica” n.11/98, Associazione Arma Aeronautica, Roma, p.17.
    (11) Erminio Bagnasco “La portaerei nella Marina italiana” suppl. Rivista Marittima, dicembre 1989, S.M.M., Roma, p.46.
    (12) “Notiziario della Marina” n.10/90, S.M.M., Roma p.13.

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Nave appoggio aerei Giuseppe Miraglia – caratteristiche tecniche
    Classe: Giuseppe Miraglia
    Cantiere di costruzione: arsenale di La Spezia
    Impostazione: 5 marzo 1921
    Varo: 20 dicembre 1923
    Completamento: 18 giugno 1928
    Entrata in servizio: 23 giugno 1929
    Dislocamento: normale 4.960 tonn. – pieno carico 5.913 tonn.
    Dimensioni: lunghezza f.t. 121,22 m.- lunghezza p.p. 115,00 m. – larghezza 15 ,00 m. -immersione 5,07 m.
Motore: 4 turbine a vapore – 8 caldaie – potenza 12.000 ihp – 4 eliche
    Velocità: 21 nodi
Autonomia: n.d.
    Combustibile: nafta 680 tonn. – benzina per gli aerei 40 tonnellate
    Protezione: verticale 50 mm.
Armamento: – 4 pezzi antiaerei da 102 mm. / canna 40 calibri (2 sul castello e 2 sul cassero) – 20 aeroplani Macchi M-18 AR.
    Si aggiunsero in seguito 12 mitragliere Breda ’31; nel 1930 gli aerei Macchi vennero sostituiti con i Cantoni 25 AR; nel 1937 gli aerei Cantoni 25 AR vennero sostituiti con gli Imam Ro.43
    Equipaggio: 196
Disarmo: 1946
    Radiazione 15 luglio 1950 e poi demolita.

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    Note tecniche aggiuntive

    Lo scafo della nave era in acciaio Martin-Siemens.Inizialmente costruita con il nome di Città di Messina, dopo il varo venne acquisita dalla Regia Marina ed il 24 gennaio 1925 venne riportata in cantiere per le necessarie modifiche onde trasformarla in nave appoggio idrovolanti in dotazione alle navi da battaglia ed agli incrociatori. Il suo compito era quello di officina per l’assistenza e riparazione degli aerei e nel contempo per trasportarli nelle squadre navali. La portaerei era dotata di due hangar: uno a poppa che poteva contenere sei idrovolanti M-18 ad ali pieghevoli ed un prodiero che invece poteva ricevere cinque velivoli dello stesso tipo compresi quelli in coperta, poteva trasportarne circa venti, a seconda dei modelli.
    Per il lancio dei velivoli dalla nave erano state installate due catapulte modello Gagnotto. 
La sua dotazione era anche in grado di posare in mare e recuperare gli idrovolanti: per la posa, in corrispondenza della mezzeria di ogni apertura laterale sui bagli dell’hangar era installata una rotaia tenuta da una gru girevole che si prolungava per nove metri fuoribordo.
    Per il recupero degli idrovolanti con l’unità in navigazione veniva utilizzato un telone di recupero Hein sino a che, nel 1937, vennero imbarcati gli IMAM Ro-43 e, non essendo più utile, l’apparato a telone venne smantellato.
    Veniva impiegata anche come trasporto del personale e di materiali.

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    Note storiche

    In origine destinato ai trasporti per le Ferrovie dello Stato con il nome di Città di Messina, venne invece deciso di incorporarla nella Regia Marina.
    I lavori di trasformazione in base aerea galleggiante iniziarono il 24 gennaio 1925.
Durante la conquista dell’Abissinia nel 1935 e 1936 servì da trasporto velivoli per l’Africa Orientale.
    Stesso incarico ebbe durante la guerra civile spagnola operando negli anni 1935 e 1936.
Rimasta illesa durante l’incursione alleata su Taranto, la notte fra l’11-12 novembre 1940, poté in seguito essere proficuamente utilizzata per le successive azioni in Mediterraneo.
    A seguito dell’armistizio la portaerei Miraglia da Venezia si consegnò alla Royal Navy e messa alla fonda a Saint Paul Bay a Malta, venne impiegata come base appoggio per i sommergibilisti italiani.
Dopo la guerra venne utilizzata per il rimpatrio dei prigionieri italiani dai campi dell’Egitto e dell’Algeria e dei civili dalla Libia e dalle isole del Dodecaneso.
    In seguito venne portata in Arsenale a Taranto per essere utilizzata come nave – caserma per gli equipaggi di motosiluranti e successivamente come nave-officina.
    La nave venne in seguito disarmata e fu radiata il 15 luglio 1950 per essere successivamente demolita.

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