Curiosità

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    29.4.1904, a Napoli si esibisce la Regina Margherita

    di Carlo Di Nitto

    …alla Rivista Navale.

    Una bella foto della prua della nave da battaglia di 1a. classe Regina Margherita, eseguita (come recita la didascalia originale scritta a mano) durante la Rivista Navale tenutasi a Napoli il 29 aprile 1904.
    Questa unità, classe omonima, dislocava 14574 tonnellate.


    Varata nei Cantieri dell’Arsenale Militare Marittimo di La Spezia nel 1901, entrò in servizio nel 1904. Affondò l’11 dicembre 1916 per urto contro mina nei pressi di Valona (Albania).
    Nell’affondamento perirono 674 uomini di equipaggio.
    La Rassegna Navale del 29.4.1904 si svolse a Napoli alla presenza del Re Vittorio Emanuele III e del Presidente della Repubblica Francese Émile Loubet. I due illustri personaggi, proprio a bordo della “Regina Margherita” passarono in rassegna tutte le navi schierate per l’occasione nel golfo di Napoli, davanti alla riviera tra via Caracciolo e Posillipo. Con le navi italiane erano schierate anche numerose unità francesi, appositamente intervenute per partecipare all’importante manifestazione.

    Nella foto la parte iniziale di un simpatico articolo di stampa che parla dell’evento.

  • Attualità,  Che cos'è la Marina Militare?,  Curiosità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Pittori di mare,  Racconti,  Recensioni,  Storia,  Un mare di amici

    27.4.1930 a Castellammare di Stabia (NA), varo della regia nave Giovanni Delle Bande Nere

    
a cura Antonio Cimmino



    … a Castellammare di Stabia c’era un arsenale che costruiva navi, e adesso? 

    La regia nave Giovanni Delle Bande Nere era un incrociatore leggero varato presso i cantieri navali di Castellammare di Stabia (Napoli) il 27.4.1930. La nave fu affondata dal sommergibile Urge il 1° aprile 1942 a largo dell’isola di Stromboli.
    Caratteristiche tecniche
    Impostazione: 31.10.1928
    Varo: 27.4.1930
    Consegna: 1.1.1931
    Perdita: 1.4.1942
    Dislocamento: 6954 tonnellate
    Dimensioni: 169,3 x 15,5 x 5,3 metri
    Apparato Motore: 2 caldaie, 2 turbine, 2 eliche, 95.000 CV
    Velocità: 37 nodi.

    Armamento all’origine: 8 cannoni 152/53 mm (4 installazioni binate); 6 cannoni 100/47 mm (3 installazioni binate); 8 mitragliere 37/54 mm (4 installazioni binate); 8 mitragliere 13,2/75 mm (4 installazioni binate); 4 tubi lanciasiluri 533 mm
    Aerei: 2 tipo IMAM Ro,43 In catapulte a prora
    Equipaggio: 507 uomini.

    Quando il sommergibile inglese Urge tagliò in due il regio incrociatore Giovanni Dalle Bande Nere
    di Francesco Venuto

    Buongiorno Ezio,
    Le invio, se le può essere utile, un mio servizio pubblicato da Giornale di Sicilia nel 1991 e da altri giornali in seguito cordiali saluti, Francesco Venuto ex sergente radiotelegrafista (di leva).

    Questo articolo è dedicato, per grazia ricevuta, a Paolo Puglisi.

    Francesco Venuto per www.lavocedelmarinaio.comSTROMBOLI – Cinquantasei anni fa, il primo aprile del 1942, al largo dell’isola di Stromboli due siluri lanciati dal sommergibile inglese “Urge” tagliavano in due l’incrociatore “Giovanni Dalle Bande Nere”.
    Varata nel 1931, la nave effettuò, tra il 10 giugno 1940 e la data del suo affondamento, 15 missioni di guerra, percorrendo in tutto circa 35 mila chilometri. Tra gli ottocento uomini imbarcati sull’incrociatore, quel primo aprile c’era Paolo Puglisi, 75 anni, baffetti alla Clark Gable rimasti neri come ai tempi in cui stava per ore chiuso nella torretta numero 4, pronto ad azionare i cannoni del Bande Nere.
    L‘enciclopedia “La Seconda Guerra Mondiale”, curata da Arrigo Petacco, liquida in un paio di righe l’affondamento dell’incrociatore. Secondo Puglisi, in realtà, vi furono delle circostanze quantomeno sospette per cui le cose non andarono per il verso giusto. Inoltre tra i marinai superstiti dell’affondamento, si parlò con insistenza di una “spiata”, partita proprio da Messina, sui movimenti della nave e sulle sue condizioni di navigazione.

    Giovanni Dalle Bande Nere
    «Il Bande Nere partecipò alla seconda battaglia della Sirte -ricorda Puglisi- Tornavamo alla base di Messina dopo una navigazione con il mare fortissimo, tanto che due caccia-torpediniere, il “Lanciere” e lo “Scirocco”, colarono a picco per il maltempo. Il nostro incrociatore era piuttosto malconcio e molte erano le avarie che il comandante Lodovico Sirta aveva dovuto annotare sul libro di bordo. Arrivammo nello Stretto con ben 48 ore di ritardo, e con la consapevolezza che il destino della nave era il bacino di La Spezia, dove sarebbero state eseguite le riparazioni.
    Così infatti fu deciso dal comando della Regia Marina Militare, e qualche giorno dopo aspettavamo con ansia l’ordine di mollare gli ormeggi. Il Bande Nere lasciò il porto di Messina il primo aprile 1942 -racconta Puglisi – dopo sei giorni di incomprensibili rinvii. Erano le sei del mattino, due caccia e alcuni ricognitori aerei controllavano che lungo la nostra rotta non vi fossero battelli nemici.

    Marinaio Paolo Puglisi (f.p.g.c. Francesco Venuto per www.lavocedelmarinaio.com)
    Tutto filò liscio sino alle nove, all’ora di colazione, di solito un panino con la mortadella o il provolone.
Eravamo al largo di Stromboli, un sommergibile inglese lanciò un primo siluro, il Bande Nere si inclinò di almeno trenta gradi, un minuto dopo arrivò il secondo e definitivo lancio dell’”Urge”, la nave si aprì in due e cominciò ad affondare rapidamente. Io non ebbi il tempo di gettarmi subito in mare, come buona parte dell’equipaggio. Ero infatti ai “pezzi da 100”, proprio nella zona colpita dai siluri. Riuscii comunque a liberarmi dei vestiti e, aggrappandomi alle “traglie”, i passamano, finii sott’acqua trascinato dal risucchio della nave che stava inabissandosi. A sette-otto metri di profondità, non riuscendo ormai a risalire avevo abbandonato ogni speranza di salvarmi. La visione di mia madre e una miracolosa bolla d’aria mi spinsero di nuovo verso la superficie dove sembrava aspettarmi l’idrovolante delle nave capovolto, attorno ai cui galleggianti erano aggrappate almeno settanta persone.
    Pioveva, si cercava di resistere a tutti i costi, di non mollare la presa. In molti alla fine furono vinti dalla stanchezza, dall’acqua gelida e dal dolore per le gravi ferite riportate. Cinque ore dopo arrivò il cacciatorpediniere “Libra”, che raccolse i superstiti e i marinai morti.
    Il mare era diventato nero per le tonnellate di nafta fuoriuscite dai serbatoi del Bande Nere. Io fui sistemato tra i morti, perché all’atto di essere recuperato persi i sensi, la confusione del momento fece il resto. Mi svegliai tra la meraviglia dei siluristi, non ricordavo nulla, non ci vedevo più, ero diventato cieco.
    Poi mi dissero che era stata la nafta, anche il mio corpo del resto era bruciato per essere rimasto molto tempo a contatto con il carburante. Tornati a Messina, in un primo tempo non fu riconosciuta la mia infermità, ed anche per questo mi misero in prigione. Dopo qualche giorno però fui rimandato a casa, mentre agli arresti ci andò l’ufficiale che aveva ordinato la mia carcerazione. Il sole lo rividi dopo un mese».

    Paolo Puglisi (f.p.g.c. Francesco Venuto per www.lavocedelmarinaio.com)

    1.4.1942, affondamento del regio incrociatore leggero Giovanni Delle Bande Nere
    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra, Carlo Di Nitto, Pasquale Mastrangelo, Stefano Piccinetti.

    La regia nave Giovanni Delle Bande Nere era un incrociatore leggero varato presso i cantieri navali di Castellammare di Stabia (Napoli) il 27.4.1930.
    La nave fu affondata dal sommergibile Urge il 1° aprile 1942 a largo dell’isola di Stromboli.

    Giovanni D’Adamo
    a cura Carlo Di Nitto 

    Marinaio Cannoniere Giovanni D’Adamo, di Tommaso e di De Meo Maria Civita, Croce di Guerra al V.M., disperso nell’affondamento del Regio Incrociatore “Giovanni delle Bande Nere” il 01 aprile 1942.
    L’unità, colpita da due siluri lanciati dal Smg. inglese Urge, si spezzò in due tronconi ed affondò immediatamente con gran parte dell’equipaggio. Mar Mediterraneo, a circa miglia 11 per 144° dall’isola di Stromboli.
    Era nato il 19 giugno 1920 a Castellonorato.
    (foto p.g.c. della Famiglia)

    Tancorre Vincenzo, marinaio di una volta come me, come noi…

    di Pasquale Mastrangelo

    Carissimo Ezio,
    come promesso giorni fa, ti allego una scheda riepilogativa relativa al Meccanico Navale Tancorre Vincenzo (mio compaesano), perito a seguito dell’affondamento della regia nave Giovanni delle Bande Nere.
Ti allego altresì un file contenente la foto da Allievo della Scuola Meccanici di Venezia, copia di una lettera inviata ad un suo amico nell’imminenza della fine del Corso da Allievo (prima di imbarcare) e della cartolina che è l’ultimo suo scritto prima dell’affondamento, praticamente sei giorni prima!
    Nel rileggere la lettera scritta al suo amico sono rimasto molto colpito dalle parole che un giovane di 19 anni sentiva di scrivere. Parole dettate dal senso di appartenenza, dallo spirito di corpo, dall’amore per le istituzioni ed il senso di Patria. Abbiamo tanto da imparare da queste frasi, soprattutto tanti giovani di questa epoca che si divertono a distruggere auto, vetrine e colpire nel cuore le Istituzioni.

    So’ per certo che saprai come tuo solito valorizzare questa grande testimonianza secondo i tuoi canoni e so’ di mettere “il tutto” nelle migliori mani possibili.
    Ho anche suggerito ad Aldo Capobianco cognato del TANCORRE (*) la tua amicizia su facebook. A lui puoi tranquillamente rivolgerti per eventuali altre informazioni al riguardo.
    Ti rinnovo i sentimenti di amicizia e stima e ti ringrazio per il privilegio di esserti amico.
    Pasquale Mastrangelo.

    Tancorre Vincenzo, nato a Gioia del Colle (Bari) il 7.7.1923. Frequentò la scuola per meccanici di Venezia. Perì a seguito dell’affondamento della regia nave Giovanni delle Bande Nere il 1° gennaio 1942. Fu dichiarato disperso il giorno successivo.
    (*) https://www.facebook.com/aldo.capobianco.54

    Nota della redazione
    Giovanni Dalle Bande Nere era un incrociatore Leggero varato a Castellammare di Stabia il 27.4.1930. Partecipò alla Guerra dei Convogli e alla Seconda Battaglia della Sirte.
    Il mattino del 1° aprile 1942 lasciò Messina diretto a La Spezia scortato dal cacciatorpediniere Aviere e dalla torpediniera Libra.
    Alle ore 09.00, a undici miglia da Stromboli, le navi vennero intercettate dal sommergibile britannico Urge.
    Un siluro spezzò in due lo scafo e l’unità affondò rapidamente, trascinando con se 381 Marinai su 507 uomini dell’equipaggio. Fra di essi c’era anche Nicola Verdoliva nato a Castellammare di Stabia il 5.12 1916 che risultò disperso in mare. Di Lui non abbiamo nessuna foto a corredo di questo articolo ma siamo certi, ovunque si trovi con i suoi Frà che non fecero più ritorno all’ormeggio, che adesso riposano in pace fra i flutti dell’Altissimo.

    Quel giorno del 1° aprile 1942
    narrato da Guido Piccinetti (*)

    Questa è la storia di Guido Piccinetti, giovane fanese classe 1919, con la passione profonda per il mare, la pesca e la cucina marinata, socio storico della nostra associazione e memoria storica della città di Fano. Il racconto è stato dettato al figlio Stefano, direttamente narrato da Guido che riviveva, con occhi lucidi, i momenti drammatici e memorabili della guerra dal 1939 al 1945.
    Vorrei ricordare mio padre, salpato per l’ultima missione il 2 luglio 2015 all’età di 95 anni.
    Penso che abbia fatto una buona vita sia come uomo che come Cristiano. Era buono e, soprattutto, era un marinaio nell’anima, dignitoso e fiero, come sono gli uomini di mare.
    Ciao Guido “Marinaio per sempre”.
    Stefano Piccinetti

    Il 15.12.1939 fui chiamato alle armi ed arruolato nella Regia Marina.
    Come prima destinazione ebbi Venezia presso le Scuole C.E.M.M. (Corpi Equipaggi Militari Marittimi), situata a Sant’Elena, dove fui addestrato ed istruito con la categoria Fuochista di Bordo.
    Dopo circa 40 giorni fui destinato a Taranto ed imbarcato sul regio cacciatorpediniere Giovanni delle Bande Nere che in quel periodo era ai lavori in arsenale nel Mar Piccolo nella base navale di Taranto.
    Stavamo rientrando da Tripoli da una scorta convogli, eravamo nel Golfo della Sirte con un forte mare al traverso e dopo qualche giorno di navigazione siamo entrati nella base navale di Messina.
    La sosta durò qualche settimana nei quali facemmo servizi di guardia, poi il Comando di bordo decise di andare a La Spezia per i danni subiti dal maltempo.
    Salpammo alle ore 06.00 del 1° aprile 1942, era una bella giornata di sole e il mare era buono. Eravamo circa all’altezza delle isole Eolie vicino Stromboli e le condizioni del mare mi invitarono a riposarmi al centro nave, così mi coricai sopra i lancia siluri. Ad un tratto sentii un gran scoppio che mi sollevò in aria, poi più nulla fino a ritrovarmi a circa 20 – 30 metri dalla nave. Al contatto con l’acqua ripresi i sensi e mi guardai intorno, vedevo solo fumo e sentivo le urla e i lamenti dei miei compagni, percepivo il sangue colarmi dalla testa e vidi una leggera ferita alla gamba destra, ma mi rassicurai capendo che non era niente di grave.
    Dopo qualche ora in balia delle onde, vidi mio cugino Ivo che era in difficoltà poiché non aveva il salvagente; nuotando faticosamente lo raggiunsi e gli diedi il mio salvagente, così ci siamo aggrappati a una latta di plastica per mantenerci a galla.
    Poco dopo la zona fu sorvolata da un aereo dell’Aviazione Italiana che ci sganciò i salvagenti individuali.
    Dopo circa 8 – 9 ore in balia delle onde, venne on nostro soccorso il regio cacciatorpediniere Maestrale, il quale ci fornì le prime cure a bordo e ci portarono a Messina dove sono stato ricoverato all’ospedale militare Santa Margherita per circa 10 giorni. Al termine del ricovero in ospedale ebbi una breve licenza per recarmi a casa per riabbracciare i miei genitori, per poi ripartire verso la nuova destinazione alla polveriera di Malcontenta provincia di Venezia. Successivamente fui fatto prigionieri dai tedeschi e deportato in Germania nel campo di concentramento per prigionieri di Fraureuth provincia di Werdau in bassa Sassonia. Ebbi la fortuna di lavorare fuori dal campo, in una falegnameria, il titolare e Sindaco del paese si chiamava Wully Smithe, fu la mia salvezza. Alla fine della guerra nell’agosto 1945 tornai in Patria.
    Questa è sommariamente la mia storia, le emozioni e le sofferenze forse non si possono cogliere in queste due righe, ma ancora oggi mi commuovo continuamente al pensiero di quello che hanno visto i miei occhi e al ricordo delle urla dei miei compagni, naufraghi di un mare senza colpa ma complice nel destino.

    (*) Nato il 20.12.1919 e residente a Fano.
    Oggi unico superstite del regio cacciatorpediniere Giovanni dalle Bande Nere, decorato con Croce al Merito di Guerra, in data 29 luglio 1947.
    Guido Piccinetti è salpato per l’ultima missione dalla sua Fano il 2.7.1915.

    Giuseppe Tumminia, mio padre (26.3.1922 – 25.10.2011)
    di Antonino Tumminia

    … riceviamo e con infinito immenso orgoglio pubblichiamo.

    Mio padre, Giuseppe Tumminia, siciliano, era uno dei Cannonieri della Giovanni dalle Bande Nere, quel 1° aprile del 1942, ( sic proprio una pesce d’aprile), era fra i naufraghi. Mi raccontava che si era salvato con altri 40 marinari sopra un pezzo di sughero che galleggiava, e rimasti per 4 ore in quel mare gelido, in attesta di essere ripescato con gli altri sopravvissuti. Sul ponte della nave che li salvò (non ricordo il nome della nave), c’erano tutti i suoi compagni morti, distesi in fila sul ponte. Le macchie di petrolio o nafta che avevano bruciato i suoi piedi rimasero lì per parecchio tempo. Quanto io, a 18 anni partii militare, mi ritrovai marinaio e fui destinato al Ministero della Difesa, a Roma, lavoravo negli uffici del Ministero, segretario dattilografo, nell’ufficio di una sezione (che ometto) con un Tenente Colonnello, un Maresciallo, un Tenente, con il loro aiuto riuscii a fare avere a mio padre la Croce di Guerra che meritava e che il Ministero non aveva mai rilasciata, forse perché mio padre non sapeva cosa fare per ottenerla, assieme a quell’attestato gli spedii una foto della “Bande Nere”; venni a sapere dopo, che pianse tanto nel rivederla, pensando ai suoi amici morti.Mio padre ormai non c’è più, ma sulla stanza dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, c’è ancora in cornice la sua Croce di Guerra, con la sua foto di allora e la Giovanni dalle Bande Nere, che mi rendono orgoglioso di mio padre, per l’uomo e il marinaio che è stato.
    Antonino Tumminia

    Gent.mo Sig. Vinciguerra
    Ringrazio Lei, per il suo interessamento per mio padre Giuseppe. E’ nato a Palermo il 26.3.1922 e nel 2011 è partito per il suo ultimo viaggio. Purtroppo io non mi trovo a Palermo perché dal 1975 mi sono trasferito nel Modenese dove attualmente risiedo, a Palermo è rimasto uno dei miei fratelli, al quale chiederò di inviarmi la foto dell’attestato della Marina Militare e una foto ritratto di mio padre di allora. Appena riceverò questo materiale sarà mia cura farle pervenire. Pere ciò che riguarda eventuale missione non ricordo nulla in merito, da quello che mi raccontava, stavano per andare per riparazioni, quando i due colpi di siluro del Surge, affondarono la Bande Nere, mio padre fortunatamente si trovava sul ponte ed è riuscito a tuffarsi appena in tempo, proprio mentre la nave si spaccava in due tronconi e affondava verticalmente. Mi ha raccontato molte cose della sua vita militare e di quando è stato prigioniero dei francesi e delle umiliazioni subite da lui e dagli altri italiani, ma ho vergogna a raccontarle degli sputi ricevuti dai francesi  mentre, prigionieri, in corteo, sfilavano  per le vie e dai balconi i nostri cugini francesi gli sputavano addosso, al punto che arrivati a destinazione erano proprio bagnati. Riguardo stazionamenti o trasferimenti non so dirle nulla, per certo so che stava a Messina, perchè mi raccontava che scaricavano i bossoli dalla nave sul molo a Messina (dove c’è ancora oggi la base navale, Martello Rosso o qualcosa di simile… dove anch’io sono stato solo per 15 giorni prima del mio congedo) Il suo imbarco è stato il primo ed unico,  con la categoria  di Cannoniere, appena in tempo per  imparare a sparare,  …con la bocca aperta per non farsi saltare i denti daii contraccolpi delle cannonate.Appena possibile le invierò i materiali.
    Un Cordiale saluto. Antonino TUMMINIA.

    Gent.mo Sig. Vinciguerra,
    Spesso mi rivedo accanto a  mio padre, ad ascoltare i suoi racconti di guerra,  della sua prigionia, e dei posti visitati, e non ricordo tante cose, ma alcune mi sono rimaste impresse nella mente, magari sono dei flash, ma sono immagini che ancora navigano nella mia mente. Ricordi di umanità,  anche di sorrisi, d sofferenze e di furbizie per sopravvivere in campi di prigionia. Credo che lo shock di quel naufragio se le portato addosso come un vestito nero, come un lutto perenne, per la sua bella nave e l’umanità dei suoi compagni. Ironia della vita, l’ultima notte della sua vita, trascorsa in ospedale,  passata a raccontare, al dottore di turno, storie di marinaio della Bande Nere, il dottore stesso, meravigliato della sua improvvisa dipartita, ci raccontò, che  trascorse molto tempo a parlare della guerra, all’alba, si è imbarcato per l’ultimo viaggio, questa volta non doveva stare ai cannoni e non doveva sparare, viaggiava verso l’amore e la luce, dove troviamo tutti quelli che ci hanno amato e una schiera di amici, in parata militare, che lo aspettano a bordo di una anima d’amore.                                                                                                                                                                          Antonino Tumminia 

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    I nomi delle navi

    di Guglielmo Evangelista (*)

      …. della Marina Militare. Quanti, quali e dove.

    Si sa che per i marinai tutte le navi hanno un’anima e le considerano quasi esseri viventi.
    Una delle conseguenze è che, in quanto tali, vengono battezzate con un nome.
    Si tratta di una tradizione antichissima: se rispolveriamo qualcuno dei tanti nomi noti di navi della flotta imperiale romana troviamo Cerere, Nettuno, Diana, Aquila, Concordia, Reno, Eufrate, Vittoria, Fortuna…
    Non è difficile fra questi trovare nomi o tipologie di nomi che si sono perpetuati fino ad oggi, identici per millenni, insensibili al fatto che i motori e i missili hanno sostituito i remi e le frecce.
    Eh già, perché spesso per denominare le navi da guerra non ci vuole un particolare sforzo di fantasia dato che in tutto il mondo è prassi comune e frequente trasferire il nome da un’unità che viene radiata ad una di nuova costruzione.
    Cerchiamo, per sommi capi, di dare una panoramica sui criteri di scelta dei nomi della navi italiane che poi, mutatis mutandis, non differiscono troppo da quelli usati dalla Royal Navy, dalla US Navy dalla Marine Nationale o da tutte le altre…
    Non è certo possibile fare classificazioni, ma in linea di massima più la nave è grande, più sono diffusi i nomi di personaggi storici importanti o di grandi città, regioni o stati.
    Per il naviglio silurante e quello destinato alla scoperta o all’attacco si cercano frequentemente nomi che riflettono qualità positive per l’uomo di mare e di guerra: come Audace, Impavido, Animoso e, a quelli italiani, ad esempio, fa eco una sterminata serie di caccia prima sovietici e poi russi come Oмелыi (coraggioso), Oпытныi(esperto). Отважныi(coraggioso).
    La schiera dei nomi dei più grandi rimorchiatori, immancabilmente si riferisce invece alle loro caratteristiche di potenza: Tenace, Ercole, Robusto…
    Un po’ dovunque sono sparsi i nomi di personaggi storici, di caduti in servizio o di marinai che comunque hanno dato lustro alla marina.
    E’però quest’ultimo sistema che non mi trova sempre d’accordo…
    Infatti il ricordare certi nomi celebri di comandanti non rende giustizia ai tanti semplici e anonimi marinai, caduti con loro, che hanno fatto egualmente il loro dovere e che come loro si sono sacrificati, senza però che il ricordo venga consacrato denominando un’unità.
    In secondo luogo, trascorso un certo periodo di tempo, si rischia spesso di trovarsi di fronte a nomi di illustri sconosciuti ormai dimenticati che nulla dicono alle giovani generazioni di marinai e peggio ancora se sono cambiate le opinioni politiche o la storia viene rivista e sottoposta a critica. Saranno pochissimi coloro che abbinano il nome di Ruggero di Lauria o Lanzerotto Malocello a un grande ammiraglio e a un navigatore medievale… Per non parlare dei “tre pipe”i caccia della prima guerra mondiale con i nomi di tantissimi ufficiali e generali garibaldini. Alla luce della recente e attenta storiografia ormai si sa bene che molti non hanno tenuto un comportamento troppo limpido.
    In certi altri casi chi scrive ha cercato dappertutto non è riuscito a trovare una traccia di qualche personaggio o di qualche nome misterioso pur ricordati da qualche nave minore.
    Insomma, non tutti i nomi restano attuali e, tanto meno, o possono ormai rappresentare un esempio.
    Quindi sarebbe sempre meglio usare nomi classici ed immortali, possibilmente suggestivi o familiari a tutti.
    Ma tutte queste sono opinioni personali.
    Ad ogni modo non è difficile immaginare come sarà proseguito fin dai tempi dell’unità d’Italia a oggi il lavoro dell’apposita commissione incaricata di questo compito che probabilmente da sempre avrà subito pressioni di ogni genere da parte di ragguardevoli personaggi civili e militari.
    Raramente una nave cambia nome, e spesso questi provvedimenti sono considerati di malaugurio. A parte il caso di unità che per cause belliche o per vendita passano da una nazione all’altra, questo avviene specialmente quanto una nave è alla fine della carriera e deve convivere per qualche tempo con una simile più moderna in costruzione o appena entrata in sevizio, o quando le sue caratteristiche cambiano radicalmente a seguito di una trasformazione. Un nome altisonante come Savoia non poteva restare sulla vecchia nave reale che, sostituita da una più grande e moderna, venne declassata a una semplice nave officina: assunse il nome del dio Vulcano, tra l’altro adatto proprio al nuovo compito che le fu affidato.
    A volte, quando un certo tipo di nave viene riprodotto in molti esemplari identici, qualche marina ha usato serie di nomi con la stessa lettera iniziale: erano talvolta eterogenei, ma erano comodi per individuare con immediatezza una classe. Si può fare l’esempio delle classi inglesi V e W. C’era il Valourus, il Valentine, il Valhalla: nomi che non avevano nulla a che fare fra loro, se non l’iniziale.
    Scendendo un gradino più in basso, per quanto riguarda navi minori come dragamine o torpediniere, il loro grande numero ha imposto di pescare nomi in serie, ricorrendo alla geografia, alla botanica e alla zoologia che offrono esempi inesauribili. Ecco quindi i rimorchiatori minori che da quasi un secolo insistono sui “Porti” (Porto Fossone, Porto Recanati, Porto Venere ecc,), i dragamine delle classi Fiori e Alberi, e poi non sono mancate le costellazioni, i pesci e gli altri animali marini…
    Una buona riserva da cui attingere sono i classici nomi per le navi cisterna per acqua, che appartengono sempre a fiumi.
    A volte, tuttavia, anche queste serie si esauriscono a meno di non andare a sfogliare qualche manuale universitario cercando riferimenti troppo dotti o scientifici: da noi è capitato con le torpediniere delle prime generazioni che avevano nomi di insetti e di costellazioni: il numero di unità costruite esaurì le serie disponibili più comuni e conosciute. Si preferì quindi sostituirli con una numerazione, espediente pratico quando le navi sono troppe, troppo uguali e troppo piccole.

    (I nomi delle navi figurano normalmente con lettere di bronzo. Nel 1917 per il pontone Monte Cucco, basta una mano di vernice (Da www.agenziabozzo.it)

    E’ stato scritto che, a proposito dei sommergibili americani del periodo bellico, ne furono costruiti così tanti da esaurire i nomi dei pesci noti così che, per alcuni degli ultimi ad essere costruiti nel 1945, vennero scelti nomi di pesci inesistenti ma che…in futuro avrebbero potuto essere scoperti. Insomma, come dire che dopo il pesce sega e il pesce martello, sarebbe dovuto toccare anche al pesce pialla o al pesce chiodo. Non so però se sia una notizia attendibile.

    Abbiamo poi le curiosità: in primo luogo le numerosissime corvette classe Ape del periodo bellico, i cui nomi sono un’accozzaglia non codificabile e priva di qualsiasi omogeneità: in pratica queste unità rappresentano un compendio di parecchie categorie di nomi tradizionali della marina: abbiamo gli uccelli (Gabbiano, Pellicano Ibis, Folaga….) gli animali (Gazzella, Renna..) gli insetti (Ape, Grillo, Cocciniglia…) le armi (Scimitarra, Scure, Zagaglia…) gli dei (Artemide, Urania, Tersicore, Flora).

    Molti di questi erano appartenuti alle torpediniere delle serie più antiche, quando avevano ancora un nome e non un numero.
    Ma la vera originalità, che arriva al grottesco, riguarda i pontoni armati costruiti in fretta durante la prima guerra mondiale, specialmente dopo Caporetto, e destinati a percorrere le vie d’acqua interne del Veneto e del Friuli a sostegno delle operazioni terrestri dell’esercito.
    Si trattava di imbarcazioni di poco pescaggio armate con cannoni di grosso calibro che si muovevano lentamente oppure non avevano motore ed erano rimorchiate fra i canneti e le lagune. Anche le più grandi erano unità brutte e prive di qualità nautiche e il malaugurato naufragio del Cappellini in Adriatico durante una tempesta lo testimonia.
    Poche unità più importanti ricevettero nomi “seri” come Cappellini, Faà di Bruno, Padus, Valente, ma la maggior parte di ogni classe venne inquadrata in serie contraddistinte da un nome comune a tutte seguito da un numero progressivo.
    Ma che nomi! C’era la classe Topo (Topo 1, Topo 2 ecc.), poi la classe Rana seguita dalla classe Ranin e Ranon (Indipendenti dalle dimensioni, come suggerirebbero i nomi) e per finire c’era perfino la serie Zoccola.
    Gli antichi romani dicevano nomen omen per significare che il destino di ogni cosa era legato al nome posseduto: per fortuna questi pontoni smentirono il detto clamorosamente facendo con serietà ed efficienza il proprio dovere.
    Le ragioni di questa scelta sono ignote e non si capisce perché non si sia fatto ricorso a semplici sigle e numeri.

    (L’unica nave che non ha mai navigato. Il brigantino Cappellini dell’Accademia Navale).

    Mi sono infine divertito a censire tutti i nomi delle nostre navi ripartendoli per categoria. Mi sono basato sull’Almanacco storico delle navi militari italiane edito dall’U.S.M.M. e aggiornato fino al 1995, quindi mancano le unità più recenti anche se il loro numero non elevato cambierebbe di poco le cose. In secondo luogo ho dovuto fare scelte personali nei molti casi dubbi: ad esempio certi nomi di paesi possono riferirsi tanto a località quanto a piccoli fatti d’arme di guerre ormai lontane, oppure hanno lo stesso nome tanto animali quanto costellazioni. Quindi i dati non possono essere che indicativi.


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    23 aprile San Giorgio: le navi della Marina

    di Marino Miccoli

    Il 23 aprile di ogni anno si festeggia un grande santo: San Giorgio. La devozione verso questo Santo cavaliere è molto diffusa da tempi assai lontani in tutta la Cristianità, in Russia come in Gran Bretagna, in Italia come in Portogallo; innumerevoli sono le persone che hanno ricevuto il giorno del loro battesimo questo bel nome; esso deriva dal greco ‘ghergós’ che significa ‘agricoltore’. Più volte la Marina ha imposto il nome di San Giorgio alle sue più prestigiose unità. A tal proposito è doveroso ricordare la gloriosa vicenda del Regio Incrociatore Corazzato SAN GIORGIO, la nave che durante l’ultimo conflitto mondiale nella difesa del porto si meritò il titolo di “Leonessa di Tobruk”, proprio nel momento in cui la città della nostra colonia Libica subì l’attacco degli Inglesi. Mio zio Vittorio Polimeno (era maresciallo della Regia Aeronautica e a quell’epoca si trovava in Libia) mi narrava che la nave San Giorgio è rimasta ormeggiata nel porto di Tobruk per circa otto mesi respingendo con le sue poderose bocche da fuoco i continui ed ostinati attacchi che gli erano stati condotti contro dal mare e dal cielo. Quando apriva il fuoco con tutte le sue armi, il Regio Incrociatore si trasformava in un vero e proprio vulcano e per questo gl’Inglesi, soprattutto i piloti della R.A.F., avevano imparato a temere sempre le sue energiche reazioni. Nella notte fra il 21 e il 22 gennaio 1941, dopo aver fronteggiato l’avanzata dell’VIII Armata inglese, questa superba unità che aveva partecipato a tre guerre, era autoaffondata dal suo equipaggio per evitare che cadesse in mano nemica.
    La leggenda di San Giorgio nei secoli è stata alimentata anche dal racconto che segue. Si narra che, ai tempi del Santo, in un’angusta grotta situata nei pressi di Lydda, in Terra Santa, si era rintanato un enorme drago, perciò chiunque si fosse avvicinato sicuramente sarebbe stato sbranato da quella bestia feroce e immonda che spandeva il suo puzzo mefitico e pestilenziale nell’aria circostante, ammorbandola. Dopo alcuni giorni il drago affamato si diresse verso il paese per sfamarsi con le persone che vi abitavano e siccome tutti i cittadini temevano di essere sbranati, si riunirono in assemblea e si decise di tirare a sorte per stabilire chi sarebbe stato dato in pasto per primo a quella terrificante bestia.
    Fu estratto proprio il nome di Rosella, la giovane e bella figlia del re. A bordo di una carrozza, la principessa fu condotta dinanzi alla tana del drago. La folla che l’accompagnava piangeva disperatamente per l’atroce destino al quale la fanciulla era condannata. Proprio in quel momento passò per quella contrada San Giorgio il quale, colpito dai pianti e dalle grida di dolore del popolo, ne chiese il motivo. Conosciutane la causa, il Santo si recò dal re e gli disse:
    – “Io sono Giorgio, cavaliere di Cristo, e m’impegno ad uccidere il drago crudele e a salvare la vostra adorata figliola!”.
    Il re fiducioso rispose:
    – “Oh valoroso cavaliere! Se riuscirete in quest’impresa vi darò in dono metà del mio regno!”.
    – “Non accetto nulla di ciò” rispose S. Giorgio e, dette queste parole, si fece indicare dove fosse la grotta del drago e in sella al suo candido destriero vi si diresse risolutamente.
    Giunto dov’era l’orrenda bestia, si trovò presto al suo cospetto ed ingaggiò con quella un’accesa lotta. San Giorgio stava per avere la peggio quando il suo cavallo, con un balzo prodigioso, consentì al cavaliere di trafiggere con la sua lancia il drago, uccidendolo.
    La principessa era alfine salva e con lei tutti gli abitanti del paese. Il Santo fece montare in sella al suo destriero la regale fanciulla ed insieme giunsero al palazzo. Egli consegnò Rosella al re e disse: – “Maestà, ecco vostra figlia. E’ salva!”.
    – “Prodigioso cavaliere! – esclamò esultante il re – avete mantenuto la promessa, ora io manterrò la mia!”.

    Ma San Giorgio rispose:
    – “Io voglio solo che voi, maestà, ed il vostro popolo siate battezzati nella vera fede e gridiate esultanti il nome di Cristo nostro Signore e Salvatore e di colui che ha vinto il drago selvaggio”.
    Da quel giorno nacque una grande devozione verso il Santo che presto si propagò in tutta la Cristianità.

    Forse nessun santo ha riscosso tanta venerazione popolare quanto San Giorgio e, a testimonianza di ciò, sono innumerevoli le chiese dedicate al suo nome; anche la Parrocchiale di Spongano (il mio paese d’origine, nel Salento) è stata a Lui dedicata quando fu consacrata nel lontano 1768.
    Giova precisare che non soltanto nella Cristianità, ma anche i  musulmani lo onorano; infatti gli diedero l’appellativo di ‘profeta’. Per il grande coraggio ed il valore dimostrati, fu acclamato Patrono della gente in armi e della Cavalleria in particolare.
    Le nazioni e le città che hanno eletto il Santo come proprio Patrono sono numerose: è Patrono del Portogallo, dell’Inghilterra e della Russia; il nome dello stato della Georgia (dove si festeggia il 14 agosto di ogni anno) deriva proprio da Lui; tra le diverse città prime fra tutte le città marinare di Genova, Venezia e Barcellona da cui i cavalieri Crociati partivano per l’Oriente. La croce rossa in campo bianco di San Giorgio è il vessillo della regione Lombardia e, sovrapposta alle croci di Sant’Andrea e di San Patrizio, costituisce l’Union Jack che è la bandiera della Gran Bretagna. Il Santo è ancora oggi invocato contro la peste, la lebbra, la sifilide, i morsi dei serpenti velenosi, le malattie della testa e le popolazioni dei paesi situati alle pendici del Vesuvio lo supplicano contro le devastanti eruzioni del vulcano. A conclusione di questo mio scritto voglio riportare di seguito una bella preghiera in dialetto calabrese che è stata dedicata proprio al grande santo, s’intitola:

    U vintitrì d’aprili”
    U vintitrì d’aprili
    Giorgiu Santu trapassau
    a sua santa, bella gloria
    mparadisu sa levau.
    Lu celu nci l’apriu li sacri porti,
    na quantità d’Angeli calaru
    e tutti chi cantavanu orazioni
    e cantavanu scheri scheri
    “Viva San Giorgi, nostru cavalieri!”

    Il ventitrè di aprile
    San Giorgio morì
    la sua santa, bella gloria
    in paradiso se l’è portata.
    Il cielo gli ha aperto le sacre porte,
    una quantità di Angeli scesero
    e tutti che cantavano orazioni
    e cantavano a schiere a schiere
    “Viva S. Giorgio, nostro cavaliere!”

    La storia
    Alla nave è stato assegnato il nome di San Giorgio, il soldato che fu martire in Palestina ancora prima dell’ascesa dell’Imperatore Costantino.
    L’immagine che l’unità ha adottato per il suo Crest è la riproduzione di quella che abili ed esperte mani di pittori e scultori hanno saputo interpretare e tramandare fino a noi: il coraggioso guerriero a cavallo ripreso nell’atto di trafiggere con la sua lunga lancia l’enorme drago. Di San Giorgio non è possibile tracciare il profilo della vita reale poiché essa sconfina fino a confondersi con la leggenda.
    Si narra infatti di un drago che, uscendo dalle acque di un lago, insidiava gli abitanti di una città della Palestina. Per placare l’ orribile mostro gli abitanti sacrificavano i più valenti giovani finché fu la volta della giovane e bella principessa.
    Fu in quel momento che San Giorgio, raggiunta la città e appreso il motivo del sacrificio, quando il drago uscì dall’acqua per perpetrare il sacrificio, lo inchiodò al terreno con la sua lunga lancia salvando così la principessa e gli abitanti della città. Subito la leggenda si diffuse ad Occidente e ad Oriente e la letteratura, ma soprattutto l’ arte figurativa, si impossessò del mito tramandandoci l’ immagine dell’eroico soldato vincitore.
    L’immagine a cui invece la Cristianità, attraverso i secoli ha voluto ricondurci, è quella del Santo che, con la sua grande forza sia d’animo che fisica, messa al servizio di Dio e con l’ausilio del Suo Prodigio, esalta la lotta dell’uomo contro il flagello del malefico a vantaggio dell’Umanità. San Giorgio è quindi considerato uno dei primi martiri cristiani dai contorni forti e significativi: la notevole intensità del suo volere e la determinazione delle sue azioni sublimano l’ animo verso alti valori. La figura del Santo si carica così di significati e di valori morali ed etici di tale importanza da decretare la sua nomina a patrono di Nazioni come l’Inghilterra e di città come Genova.
    È stato altresì immediato trasporre, con la figurazione, i molti e complessi valori attribuiti a San Giorgio nel significato e nell’operato a cui la nave con scopi militari e civili deve tendere. Il Crest dell’unità, come detto, è la rappresentazione iconografica di quanto l’ arte classica ha trasmesso fino a noi: un valoroso guerriero che con la sua lancia ferma sul terreno il mostruoso drago.
    Il bordo, doppiamente rifinito da una leggera corda, contiene al suo interno, divisi da due stellette, il motto, “Arremba San Zorzo” alloggiato nel semitondo superiore, e il nome dell’unità con la sigla identificativa “LPD S. Giorgio” sistemati, nel semitondo inferiore.

    Le caratteristiche tecniche dell’attuale Nave San Giorgio
    Tipologia: Nave assalto anfibio;
    Impostata il 27/05/1985;
    Varata il 21/02/1987;
    Cantieri Navali Riva Trigoso;
    Dislocamento: 7790 m;
    Lunghezza: 133,3 m;
    Larghezza: 20, 5;
    Larghezza Ponte di Volo: 20,5 m – lungh: 133,3;
    Immersione: 5,4;
    Apparato motore: 2 motori diesel GMT A-420.12, 2 assi con eliche a passo variabile e pale orientabili;
    Potenza: 12353 KW (16565,64 HP );
    Velocità: 20;
    Autonomia: 4500 mg;
    Armamento: 2 mitragliere binate da 25/90; capacità di trasporto: 350 militari delle truppe da sbarco; 36 veicoli corazzati da combattimento VCC-1 più vari veicoli ruotati;
    Equipaggio: 165;
    Motto: Arremba San Zorzo.

     

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    Il Convoglio H e Domenico Di Palo (Afragola (NA), 31.1.1922 – Mare, 2.12.1942)

    di Claudio53 e Ferdinando Di Palo 

    Buongiorno signor Ezio,
    vorrei sapere, se è possibile, quando e dove è caduto mio zio Di Palo Domenico, sottocapo della Marina Militare, nato ad Afragola (Napoli), non so la data di nascita e ne la data della morte. Il corpo è stato recuperato e esumato nel cimitero di Afragola. Dalle notizie che avevo avuto da mio padre, che era sottocapo nel Battaglione San Marco, so che questo mio zio ha fatto le scuole C.R.E.M. a Pola ed era a bordo di una nave da guerra affondata nel Mediterraneo, forse nel periodo invernale.
    Grazie del suo interessamento, con cordialità Di Palo Ferdinando.

    Buongiorno signor Ferdinando Di Palo,
    se mi manda una o più foto di suo zio Domenico, pubblico l’articolo su di Lui e su di quello che gli è accaduto e, in calce allo stesso diamo le opportune doverose informazioni su come comportarvi per le ricerche. In attesa di un suo gradito riscontro e consenso, cordiali saluti Ezio

    Signor Ezio Vinciguerra buongiorno,
    ho ricevuto la sua risposta alla mia a-mail e la ringrazio del suo interessamento e impegno.
    Purtroppo di mio zio ho una solo foto in divisa che mi accingo a spedire. Lui è il marinaio posto al centro tra gli altri due che non conosco.
    Mi ha colpito il sorriso di gioventù di tutti e tre. Ripeto il suo nome: Di Palo Domenico e non Di Paolo Domenico come molti si confondono.

    Le mando poi, se possono interessare, alcune foto del mio papà quando nel 1936 fu inviato, con il Battaglione San Marco, nella concessione italiana a Shanghai ( Cina) durante il conflitto Cina-Giappone.
    Cordiale saluti  – Ferdinando Di Palo

    1. La rotta della morte
    Alla fine del 1942 la guerra in Africa volgeva al peggio, con i trasporti si dovevano assicurare i rifornimenti per le truppe sul nuovo fronte della Tunisia e provvedere ad urgenti rifornimenti per l’Esercito in ritirata dalla Libia. Da fine novembre, quindi, nacque l’urgente esigenza di incrementare i rifornimenti per il fronte tunisino ed iniziò la battaglia dei convogli per la Tunisia sulla “rotta della morte”, termine impiegato per indicare la rotta obbligata tra le due sponde del Mediterraneo, per l’elevato numero di vite umane perdute e di buona parte dei mezzi navali e mercantili: su 344 mercantili solo 52 giunsero a destinazione senza danni; ne furono affondati 154 e 138 furono danneggiati.


    Tra il 30 novembre e il 1° dicembre 1942 venne programmato un primo grande convoglio per l’Africa Settentrionale con vari gruppi partenti da Napoli, Palermo e Trapani ma l’idea venne quasi subito scartata e si preferì programmare partenze separate.

    2. Partenza dei convogli
    Il 30 novembre partirono da Napoli i seguenti convogli:
    Convoglio B
    partito da Napoli alle 14:30 del 30 novembre, destinazioni Sfax, Biserta e Tunisi composto da 5 mercantili (Arlesiana, Achille Lauro, Campania, Menes e Lisboa) scortati da 5 Torpediniere (Sirio, Groppo, Orione, Pallade e dalle 17:10 del 1° dicembre dalla torpediniera Uragano). Alle 19:35 dello stesso giorno si aggregarono anche i Cacciatorpediniere Maestrale, Grecale e Ascari;

    Convoglio C
    partito da Napoli alle 23:00 del 30 novembre destinazione Tripoli composto da 3 mercantili (Chisone, Veloce e Devoli) scortati da 4 torpediniere (Lupo, Aretusa, Sagittario, Ardito).
    In serata dello stesso giorno un aereo tedesco riportò nel porto di Bona (Algeria) la presenza di unità da guerra Alleate. Supermarina, preoccupata per tale avvistamento, chiese una ulteriore ricognizione per il tramonto del giorno successivo e rinviò al giorno dopo la partenza dei convogli G e H, in attesa dei rapporti della ricognizione aerea ordinata su Bona.
    Il 1° dicembre 1942 avvenne la partenza dei seguenti convogli:

    Convoglio G
    partito da Palermo alle 09:00 del 1° dicembre destinazione Biserta, composto dalla sola petroliera Giorgio scortata da 2 unità (Cacciatorpediniere Lampo e Torpediniera Climene);

    Convoglio H
    partito da Palermo alle 10:00 del 1° dicembre destinazione Biserta composto da 4 mercantili (Aventino di 3794 tonnellate, Puccini di 2422 tonnellate, KT 1 di 850 tonnellate e Aspromonte di 976 tonnellate, quest’ultima, in porto a Trapani, si unì al gruppo alle 20:00) scortati da 5 unità (i Cacciatorpediniere Da Recco, Camicia Nera, Folgore e le Torpediniere Procione e Clio). Il Comandante del Da Recco fu designato come Caposcorta.
    Il mercantile più veloce del convoglio H era l’Aspromonte che poteva procedere a 16 nodi ma per via delle altre unità la velocità del convoglio fu di 10 nodi. Per tal motivo, i convogli H e G sarebbero rimasti in contatto per quasi tutta la traversata nonostante il convoglio della cisterna Giorgio sia partito un’ora prima.

    3. ULTRA
    Alan Mathison Turing (23 giugno 1912 – 7 giugno 1954) è stato uno dei più grandi matematici del XX secolo. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu impiegato come crittografo presso il “Department of Communications” britannico per decifrare i codici usati nelle comunicazioni dai tedeschi che avevano sviluppato una macchina denominata “Enigma”. Turing con i suoi collaboratori creò “Colossus”, un calcolatore ante-litteram, che decifrava velocemente i codici tedeschi creati con “Enigma”.
    Per tale motivo la partenza dei nostri convogli fu segnalata il 29 novembre 1942 all’Ammiragliato britannico dagli specialisti dell’intelligence di Bletchley Park. Il termine “Ultra” è stato spesso usato come sinonimo della decrittazione dei predetti codici.
    I britannici misero in atto il solito copione per tenere segreta la violazione dei codici della macchina ULTRA; sul cielo delle nostre unità giunse la loro ricognizione aerea in modo che fosse attribuito a questa la scoperta della presenza in mare dei convogli.
    L’esistenza di tale sistema divenne nota a metà degli anni Settanta e confermò che le accuse di tradimento rivolte alla Regia Marina sia interne alla Forza Armata sia fatte dai tedeschi fossero prive di fondamento.
    Al termine della guerra Turing cadde in depressione e si ritirò a vita privata ed il 7 giugno 1974 fu ritrovato morto. Ufficialmente la causa fu attribuita a un suicidio mediante cianuro e sul luogo dell’evento fu trovata anche una mela con l’impronta di un morso (il cianuro era nella mela?). Altre fonti parlano di un omicidio attribuendo l’uccisione ai servizi segreti britannici poiché personaggio non controllabile ed omosessuale; questa teoria non è però supportata da prove documentali.
    Turing viene considerato uno dei padri dell’informatica e la casa costruttrice di computer “Apple”, in sua memoria scelse come suo logo una mela morsicata.

    4. Il convoglio “H”
    Il convoglio H trasportava 1766 militari ripartiti sull’Aventino e sul Puccini, 698 t di munizioni e materiali a bordo del KT1 tedesco, 32 autoveicoli, 4 carri armati e 12 cannoni da destinare all’Afrika Korps. Comandante della scorta e del Da Recco era il Capitano di Vascello Aldo Cocchia, Comandante del Camicia Nera il Capitano di Fregata Adriano Foscari, Comandante del Folgore – alla sua prima missione – il Capitano di Corvetta Ener Bettica, Comandante del Procione il Capitano di Corvetta Renato Torchiana, Comandante del Clio era temporaneamente il Comandante in seconda, Tenente di Vascello Vito Asaro, poiché il Comandante era malato. Nessuno dei Comandanti della scorta aveva navigato in precedenza con il Comandante del Convoglio C.V. Cocchia.
    Per facilitare le comunicazioni su tutte le navi mercantili, eccetto il KT 1, erano stati installati degli apparati radio ad onde ultracorte del cui impiego erano incaricati alcuni Guardiamarina provenienti da Incrociatori. A bordo del Da Recco era anche presente un Ufficiale come osservatore ed un operatore di collegamento tedesco per richiedere in caso di necessità l’intervento aereo germanico.
    I comandanti delle unità da guerra e delle navi mercantili del convoglio H con, in aggiunta, gli ufficiali alle comunicazioni delle singole unità furono convocati il 30 novembre a bordo del Da Recco per una riunione di coordinamento. Furono date istruzioni in caso di minaccia aerea o di sommergibile, le formazioni da assumere ed i segnali da scambiare. In caso di incontro con navi di superficie nemiche le direttive date prevedevano un automatismo poiché non si poteva escludere che il capo scorta potesse avere difficoltà di comunicazioni oppure che fosse colpito o affondato prima che potesse dare ordini.
    Tali direttive prevedevano che dopo le 24:00 tutte le unità di scorta dovevano essere pronte a sviluppare la massima velocità ed in caso di contatto con il nemico:

    • Da Recco, Camicia Nera e Procione dovevano immediatamente attaccare;
    • le navi mercantili, scortate da Folgore e da Clio, dovevano subito assumere la rotta di allontanamento più rapida, nascoste dalle cortine fumogene delle Torpediniere.

    Tutte le disposizioni date a voce vennero messe per iscritto e prevedeva tutti i casi che potevano verificarsi, si cercava di essere pronti a tutte le evenienze, anche agli eventi più improbabili. Alle 14:40, alle 15:00 e alle 15:15 Supermarina intercettò le comunicazioni degli aerei britannici che riportavano rispettivamente gli avvistamenti in mare dei convogli B, C e G.
    Nello specifico, il 1° dicembre salparono da Bona gli incrociatori leggeri britannici HMS Aurora (Capt. W.G. Agnew, nave su cui imbarcava il Vice Ammiraglio C.H.J. Harcourt, comandante della formazione), HMS Argonaut (Capt. E.W.L. Longley-Cook) e HMS Sirius (Capt. P.W.B. Brooking) e i cacciatorpediniere HMS Quentin (Comandante A.H.P. Noble) e l’australiano HMAS Quiberon (Comandante H.W.S. Browning). Con la velocità di 27 nodi avrebbero intercettato i convogli «H» e «G» intorno alla mezzanotte.
    Al tramonto, Supermarina chiese a Maricolleg Frascati (Ufficio di collegamento con le Forze germaniche in Italia) l’esito della ricognizione sul porto di Bona. Poiché non si era stabilito il contatto né con l’aereo tedesco né con quello italiano che erano stati inviati in missione Maricolleg Frascati suppose che fossero stati abbattuti. Intanto, alle 19:00 partì da Bona la Forza Q composta da 3 incrociatori leggeri inglesi (Aurora, Argonaut e Sirius) e 2 Cacciatorpediniere canadesi (Quentin e Quiberon).
    Dalle 20:00 sia il convoglio G che quello H sono sorvolati da aerei che li illuminano con bengala e poco dopo, alle 20:15, Supermarina intercettò le comunicazioni degli aerei britannici che riportavano l’avvistamento del convoglio H, l’ultimo che mancava, che continuò ad essere illuminato, senza attacchi, sino alle 24:00.


    Il convoglio G fu attaccato e alle 21:56 la cisterna Giorgio (Comandante militare Tenente di Vascello Italo Cappa) venne colpita a prua a dritta da un siluro lanciato da un aereo britannico rimanendo immobilizzata e le due torpediniere di scorta riuscirono a salvarla dalla completa distruzione occultandola con cortine di nebbia. A bordo del mercantile appruato e sbandato sulla dritta, si sviluppò un violentissimo incendio, alimentato dal carico di carburante. Il personale di bordo riuscì a domare l’incendio alle 23:35 con il personale rimasto incolume, mentre gli uomini feriti dall’esplosione furono trasbordati sul capo scorta il Cacciatorpediniere Lampo, Capitano di Corvetta Antonio Cuzzaniti e sulla Torpediniera Climene, Tenente di Vascello Mario Colussi. Poiché ci voleva molto tempo da parte del Climene per prendere a rimorchio il Giorgio, la Torpediniera doveva recuperare prima le sistemazioni paramine, il Comandante del Lampo decise di imbarcare anche tutto il personale rimasto sulla cisterna Giorgio sulla sua unità e sul Climene per portarlo a Marettimo e ritornare all’alba in zona per far rimorchiare la cisterna lasciata alla deriva.
    Intanto il convoglio H continuava nella sua navigazione e Supermarina alle 23:01 inviò al Da Recco le disposizioni per il pilotaggio che le Torpediniere della scorta dovevano fare nelle vicinanze del porto di arrivo ed alle 23:30 ordinò al convoglio H di impiegare una Torpediniera per dragare di prora. Il compito venne assegnato dal Comandante del convoglio, il CV Cocchia, alla Torpediniera Procione. Tale disposizione si incrociò con una notizia giunta a Supermarina alle 23:30 che un aereo tedesco aveva avvistato alle 22:40 la Forza Q britannica a nord di Biserta che procedeva ad alta velocità con rotta 090° (in realtà la rotta era 104°). L’avvistamento era stato comunicato con notevole ritardo perché il velivolo aveva la radio in avaria e quindi poté farlo solo dopo l’atterraggio. Roma rilanciò alle 23:40 “all’aria” il segnale di scoperta ed una rapida valutazione della situazione portò alle seguenti valutazioni:

    • il convoglio C era lontano dalla minaccia a nord di Pantelleria;
    • il convoglio G era già sotto attacco e non rappresentava più un obiettivo;
    • il convoglio B era a rischio ma essendo più indietro di quelli G ed H si sarebbe sicuramente comportato come la situazione richiedeva, inoltre aveva la scorta del gruppo Maestrale inviato a protezione del convoglio di ritorno da una missione di posa di mine;
    • il convoglio H veniva stimato già a ridosso delle secche di Skerki e degli sbarramenti di mine e non conveniva ordinargli un cambiamento di rotta e poteva proseguire per la sua destinazione perché le navi britanniche potevano piombare sul convoglio nel momento critico di cambiamento di formazione.
      Il Da Recco dopo aver ricevuto l’informazione dell’avvistamento alle 00:05 ordinò un’accostata ad un tempo di 90° sulla sinistra ed alle 00:17 un’accostata ad un tempo sulla dritta per tornare sulla rotta precedente, ordine che il Puccini non ricevette ed entrò in collisione con l’Aspromonte mentre del KT1 non si seppe più nulla poiché non era in possesso di radio e gli ordini che aveva avuto alla partenza erano quelli di seguire il Puccini, e non fu fatto.

    Il tempo passa inesorabile, il Da Recco attende ancora che gli siano comunicati eventuali ordini, siamo ormai al 2 dicembre ed alle 00:21 il radar dell’unità britannica Aurora avvista il convoglio H. Alle 00:30 il Da Recco rompe gli indugi e chiede disposizioni in relazione all’avvistamento delle 23:40. Solo dopo questa richiesta Supermarina percepisce che il convoglio H era in ritardo rispetto a quello che aveva stimato.
    Il Folgore, che si trovava di poppa al convoglio rilevò la presenza delle navi nemiche con il «Metox» (primo intercettatore di frequenza radar costruito da una piccola ditta francese durante l’occupazione tedesca) ma era tardi poiché alle 00:35 sul convoglio H giunsero i primi colpi della Forza Q sulla motozattera KT 1.

    Alle 00:38 il comandante Cocchia ordinò alla scorta di attaccare ed i tre Cacciatorpediniere (Da Recco, Camicia Nera e Folgore) diressero contro il nemico mentre il Clio azionò i fumogeni per cercare di nascondere i mercantili vicino a lui ed il Procione, che era in testa alla formazione, andò all’attacco con ritardo per la necessità di dover prima tagliare i cavi dei paramine che aveva a mare per essere libero di manovrare. Ne seguì una mischia nella quale le unità italiane agirono isolatamente contro la formazione nemica e le azioni condotte furono le seguenti:

    • il Procione, dopo essersi liberato dei cavi dei paramine, prese contatto con il nemico ma venne subito colpito da due proiettili che provocarono ingenti danni. Continuò, comunque, la manovra di avvicinamento al nemico con l’intenzione di lanciare i siluri che però non poterono essere lanciati per avaria. Raggiunta da altri tre colpi d’artiglieria che danneggiarono l’impianto del timone. Immobilizzata, con incendi a bordo, locali allagati e gravi danni, la Torpediniera rimise in moto solo alle 01.45 e diresse a bassa velocità verso La Goletta (Tunisia);
    • il Cacciatorpediniere Folgore lasciò la scorta del Puccini, anticipando l’ordine che poco dopo fu dato dal Comandante Cocchia, si buttò ripetutamente all’attacco. L’azione venne inizialmente diretta contro l’Aurora, contro cui vennero lanciati tre siluri, senza risultato. Diresse, successivamente, il lancio dei siluri contro il Sirius riportando l’impressione di averlo colpito. Inquadrato dai colpi nemici, colpito ed avvolto da vari incendi continuò a bordo, continuò a sparare sino a quando i gravi danni e l’acqua che invadeva la nave costrinsero il Comandante a far salire il personale in coperta per abbandonare la nave. Il Comandante, Capitano di Corvetta Bettica, scomparve con la nave alle 01:16;
    • il Camicia Nera, che proteggeva il fianco destro del convoglio, dopo aver aperto il fuoco con i pezzi da 120 mm, serrò le distanze sino a 2000 metri e alle 00:43 lanciò una prima salva di 3 siluri che non colpirono i bersagli. Nonostante il fuoco nemico l’azione fu ripetuta ma anche la successiva salva di tre siluri non andò a segno. All’01:07 si portava nuovamente all’attacco ma numerosi colpi caddero intorno alla nave per cui alle 01:14 ripiegò per non essere distrutta. Terminato lo scontro il Cacciatorpediniere, insieme al Clio, iniziò la ricerca ed il recupero dei naufraghi;
    • la Torpediniera Clio, che al momento dell’attacco era intenta ad assistere la motonave Puccini coinvolta nella collisione con l’Aspromonte fu l’unica che non andò al contrattacco attenendosi alle disposizioni impartite prima della partenza dal Caposcorta di nascondere i mercantili con cortine fumogene. Nonostante tale azione i mercantili vennero tutti colpiti e/o affondati. Alle 01:21 sotto il tiro delle artiglierie britanniche l’unità cessò l’emissione delle cortine fumogene ed allontanandosi, per sottrarsi al tiro avversario, sparò 4 salve con gli impianti poppieri da 100 mm. Quando l’azione britannica terminò ritornò indietro ed iniziò la ricerca di naufraghi e di eventuali mercantili che fossero scampati alla distruzione;
    • il Da Recco, dopo aver ordinato alle altre unità di andare al contrattacco, diresse contro le unità britanniche aprendo il fuoco con i pezzi da 120 mm sia con tiro battente che, per rendere visibili gli avversari alle nostre navi, con tiro illuminante. Condusse un’altra azione di fuoco dalle 00:50 alle 00:57, sino a quando la Forza Q non scadde di poppa. Il Cacciatorpediniere cesso il fuoco e fece rotta verso est per riavvicinarsi alla formazione nemica. Alle l’01:30, avvistati gli avversari a circa 4000 metri di distanza, l’unità manovrò per avvicinarsi senza essere vista per portarsi a distanza di lancio dei siluri; ma a circa 2000 metri dalle navi britanniche, una colonna di scintille emessa dal fumaiolo prodiero ne svelò la posizione. La reazione dei britannici fu immediata; la prima salva di quattro colpi cadde a poca distanza dal Da Recco ma la seconda andò a segno: due proiettili distrussero l’impianto prodiero ed altri due colpirono il deposito munizioni dello stesso impianto provocando una violenta esplosione che investì l’intera zona prodiera, e la plancia uccidendo od ustionando tutti i presenti. Morì od ebbe gravi ustioni la metà dell’equipaggio ed il Comandante Cocchia rimase gravemente ustionato. La Forza Q non diede il colpo di grazia al Da Recco che, nel frattempo, su disposizione del direttore di macchina Capitano del Genio Navale Cesare Petroncelli, aveva fermato le macchine per consentire al Comandante in Seconda, Capitano di Corvetta Pietro Riva, di intervenire con il personale ancora abile per estinguere l’incendio. La difficile situazione dell’unità e la richiesta di aiuto furono messe a conoscenza delle altre unità e delle navi mandate da Supermarina in soccorso grazie all’iniziativa dell’ufficiale alle comunicazioni, Tenente di Vascello Alfredo Zambrini, ed al Sergente radiotelegrafista Mario Sforzi, che nonostante fossero entrambi ustionati, riuscirono a rimettere in funzione un radiosegnalatore.

    Per quanto riguarda i mercantili:

    • il KT1 affondò verso le 00:40, fu la prima nave ad essere affondata. Di predetta motozattera si erano perse notizie dal momento della accostata ordinata dal Da Recco e non avendo a bordo la radio e non essendoci nessun superstite non fu possibile conoscere quanto accadde;
    • l’Aventino (Comandante civile Capitano di lungo corso Giovanni Duili, Comandante Militare Capitano di Corvetta richiamato Pietro Bechis), alle 00:38 iniziò l’accostata per invertire la rotta come ordinato dal Da Recco ma venne subito illuminato da un proiettore e sottoposto a violento tiro d’artiglieria da parte dell’Aurora e dell’Argonaut. Sul sinistro dell’Aventino intanto si profilò la minaccia di un’altra unità nemica (doveva trattarsi del Quiberon che si era allontanato dalla linea di fila delle unità britanniche) che costrinse l’unità ad interrompere l’accostata assumendo una rotta quasi parallela a quella della Forza Q. Intrappolato dai due lati il piroscafo cercò di rispondere al fuoco con le sue mitragliere ma alle 00:55 circa fu colpito da 1 o 2 siluri lanciati dall’Argonaut e/o dal Sirius (entrambi lanciarono asserendo di aver colpito un mercantile). I siluri o lo scoppio di una caldaia dovuto a qualche colpo provocarono una violenta esplosione causando una strage tra i circa 1100 uomini trasportati. Il mercantile si inabissò verso le 00:55 nel punto di coordinate 37°43’N- 011°16E, 5 miglia ma ovest del banco di Skerki trascinando con sé gran parte delle truppe trasportate, che non riuscirono a raggiungere in tempo la coperta. Il comandante civile Duili scomparve con la nave insieme al Direttore di Macchina Bartolomeo Portolan, anche lui dalmata come il Comandante, nel tentativo di organizzare il salvataggio delle truppe e dell’equipaggio. Il Comandante militare Bechis, gravemente ferito, si salvò abbandonando la nave per ultimo e fu salvato dopo essere rimasto oltre dieci ore in acqua;
    • il Puccini fu colpito al centro sul lato dritto, subito dopo l’Aventino, ed i violenti incendi e le esplosioni convinsero il Comandante militare (Tenente di Vascello di complemento Mario Vinelli) ed il Comandante civile (Capitano di lungo corso Marcello Bulli) a dare l’ordine di abbandonare subito la nave. Nonostante ciò ci furono molti morti e fra essi i due Comandanti. Il Puccini rimase Immobilizzato alle 01:08 sia per i colpi delle navi del Regno Unito che per il cannoneggiamento da parte del sommergibile britannico Seraph (il battello in transito in quell’aria, che poi abbandonò in tutta fretta, non era a conoscenza dell’azione della Forza Q) e restò sino in galleggiamento sino alle 15:00 quando, valutata l’impossibilità di rimorchiarlo, il Camicia Nera l’affondò in PSN 37°40’N-011°16’E;
    • L’Aspromonte, Comandante il Tenente di Vascello di complemento Gaetano Zolese, si allontanò dal convoglio incrementando la velocità a 17 nodi ed accostando sulla dritta assunse una rotta per ovest – nord ovest prima e dalle 00:40 per 065° sottraendosi al tiro iniziale delle unità britanniche. Continuò indisturbata sino alle 01:10 con tale rotta, procedette poi zigzagando credendo di essere attaccata con siluri sino alle 01:20 quando l’Aurora inquadrò il mercantile che evitò le prime 6 o 7 salve zigzagando ma non le successive sparate sia dell’Aurora che delle altre unità britanniche che caddero a bordo provocando gravi danni. Fu colpita subito la plancia ed i presenti furono tutti uccisi o feriti gravemente tranne il Comandante che, ferito di striscio alla schiena, si mise personalmente al governo della nave continuando la manovra di zigzagamento finché un proiettile non mise fuori uso il timone. Il disperato tentativo di manovrare la nave con i motori non evitò che alle 01:29 a seguito di una violentissima esplosione, il traghetto affondò di poppa in posizione 37°43’ N e 011°16’ E, portando con sé, oltre all’equipaggio civile militarizzato, i 41 membri dell’equipaggio militare (6 Sottufficiali e 35 Sottocapi e Marinai).

    5. I soccorsi
    Quando il Da Recco comunicò dopo le 20:00 del giorno 1 che il convoglio H era sorvolato ed ombreggiato da aerei britannici, Supermarina dispose le seguenti azioni:

    • che la Nave Soccorso Capri, già in mare dalle 13:40 del giorno 1, seguisse a distanza il convoglio H;
    • che un rimorchiatore fosse tenuto pronto a Marettimo;
    • l’uscita dal porto di Palermo della Nave Soccorso Laurana, prevista inizialmente per le 22:30 ma effettuata alle 24:00 per la presenza di nebbia artificiale nel porto per allarme aereo.

    Dopo aver ricevuto la comunicazione di “Piroscafi in fiamme” dal Da Recco alle 01:15 del giorno 2 Supermarina ordinò:

    • l’urgente uscita da Trapani per la zona dello scontro dei Cacciatorpediniere Pigafetta e Da Noli;
    • l’invio in zona della Nave Ospedale Toscana e dei Mas 563, 576, della Ms 32.

    Intanto in zona, dalle ore 03:15, il Camicia Nera era impiegato nella ricerca naufraghi, mentre la Torpediniera Clio, che aveva intercettato la cisterna Giorgio alla deriva alle 04:00, assistita da due MAS rimarrà in zona sino alle 06:15 quando il Lampo gli ordinerà di scortare il Climene mentre rimorchiava il Giorgio sino a Trapani. Il Climene fu sostituito nel suo compito alle 09:15 dal rimorchiatore Liguria proveniente da Trapani ma le precarie condizioni di galleggiamento della cisterna imposero la decisione di portarla ad incagliarla alle 21:15 a Punta Troia (Trapani). Intanto, dopo aver disposto il rimorchio, il Lampo alle 07:30 avendo ricevuto la richiesta di aiuto da parte del Da Recco, dirigeva verso la zona del sinistro e coordinava le operazioni di ricerca naufraghi con il Camicia Nera ed iniziò ad imbarcare i feriti dal Da Recco. Tale attività continuò fino all’arrivo in zona del Cacciatorpediniere Da Noli (Capitano di Fregata Pio Valdambrini) e del Cacciatorpediniere Pigafetta (Capitano di Vascello Del Minio) ed essendo il Comandante di quest’ultimo il più anziano sulla scena del disastro della battaglia, assumeva il Comando delle operazioni e disponeva che:

    • il Pigafetta prendesse a rimorchio il Da Recco (di poppa) e facesse rotta verso Trapani scortato dai MAS 563 e 576;
    • il Lampo, già impegnato nel recupero dei feriti dal Da Recco, li trasferisse sul Da Noli che aveva a bordo il medico e poi si disponesse a protezione del Pigafetta/Da Recco;
    • il Da Noli trasferisse i feriti più gravi sulla nave Capri appena questa sarebbe giunta in area ed al termine di disporsi a protezione del Pigafetta/Da Recco, operazione che eseguì alle 11.24 dopo il trasbordo di 40 ustionati;
    • il Camicia Nera e le altre unità di rimanere in zona per la ricerca di naufraghi.

    A rinforzare il dispositivo di ricerca naufraghi nell’area dello scontro alle 09:10 erano giunte anche le Torpediniere Partenope (Capitano di Corvetta Gustavo Lovatelli) e Perseo (Tenente di Vascello Saverio Marotta), in mare dalle 02:15 del giorno 1 per un’attività antisommergibile sulla rotta Trapani – Biserta. Avendo intercettato la richiesta di aiuto del Da Recco, informando Marina Trapani, il Comandante Lovatelli d’iniziativa aveva deciso di sospendere l’attività e di dirigere in soccorso al convoglio H. Nelle vicinanze del Puccini dove erano presenti il Perseo, il Numana ed il Camicia Nera giunse, altresì, alle 15:00 il Da Noli, che il Pigafetta aveva distaccato alle 11:54, allo scopo di coordinare le operazioni di soccorso. Infine, alla scorta del Da Recco alle 15:00 si aggiunse al Lampo anche il Clio che anziché rientrare a Trapani, come gli era stato ordinato dal Climene al termine della sua attività di scorta del rimorchio del Giorgio, chiese di aggregarsi al gruppo.

    6. Mattino del 2 dicembre 1942
    La situazione il mattino del 2 dicembre era la seguente:

    Convoglio H

    • KT 1 affondato alle 00:40 circa;
    • Aventino affondato alle 00:55 circa;
    • Puccini immobilizzato alle 01:08 ed affondato alle 15:00 dal Camicia Nera;
    • Cacciatorpediniere Folgore affondato alle 01:16;
    • Aspromonte affondato alle 01:29;
    • Cacciatorpediniere Da Recco gravemente danneggiato e rimorchiato a Trapani;
    • Torpediniera Procione danneggiata e, con i propri mezzi, giunta a nel porto di La Goletta (Tunisia) alle 08:00;
    • Cacciatorpediniere Camicia Nera indenne;
    • Torpediniera Clio indenne.

    Convoglio G

    • Cisterna Giorgio danneggiata, prima arrenata nella zona di Trapani e successivamente trasportata in tale porto. Il 21 marzo 1943, mentre la stavano rimorchiando per portarla Genova per i lavori di riparazione, fu affondata con un siluro dal sommergibile britannico Splendid;
    • Nessun danno alle unità di scorta.

    Convoglio B
    Il convoglio B che aveva accostato alle 22:30, che sin dall’inizio aveva visto in lontananza di prora sinistra i bengala e successivamente molti altri in direzione del convoglio H, accostò per levante e successivamente per 150° per non avvicinarsi troppo alle unità sotto attacco per trapani, alle 01:00 su ordine del Cacciatorpediniere Nave Maestrale dirigesse per Palermo.

    Convoglio C
    Il convoglio C fu seguito durante la giornata del 2 da aerei di Malta; al tramonto, all’altezza delle boe di Kerkenah, fu attaccato da aerosiluranti che incendiarono un piroscafo. La torpediniera Lupo, rimasta in zona per recuperare i naufraghi, fu sorpresa, cannoneggiata ed affondata, verso la mezzanotte, da una Squadriglia di Cacciatorpediniere britannici.

    Forza Q
    Il gruppo navale britannico non subì perdite nello scontro a fuoco con le navi italiane ma durante il rientro a Bona fu attaccato da aerosiluranti tedeschi del KG.26 e da Ju-88s del II FK, uno di questi colpì con una bomba da 500 kg. l’HMS Quentin che affondò in 4 minuti (alle 06:40) in posizione 37º32’N, 08º32’E. Persero la vita nel naufragio 20 uomini. Il Quentin aveva affondato insieme al Quiberon il smg. Italiano Dessiè pochi giorni prima (28 novembre 1942) davanti Annaba.

    7. Le vittime
    Nel combattimento persero la vita 2200 italiani su un totale di 3300 imbarcati sulle unità militari e sulle unità del convoglio H. In particolare, le perdite della Regia Marina furono di 286 uomini così suddivise:

    • 124 morti sul Folgore (4 Ufficiali, 13 Sottufficiali, 107 Sottocapi e Comuni);
    • 118 sul Da Recco (5 Ufficiali, 15 Sottufficiali e 98 tra Sottocapi e Marinai);
    • 3 sul Procione (due Sottufficiali e 1 Marinaio);
    • 41 sull’Aspromonte (6 Sottufficiali e 35 Sottocapi e Comuni).

    Morirono circa 200 componenti degli equipaggi civili o militarizzati dei mercantili e dei 1766 militari trasportati dall’Aventino e dal Puccini, se ne salvarono solo 239. Complessivamente vennero tratti in salvo un terzo del totale degli uomini imbarcati sulle navi del convoglio.
    Molti corpi furono ritrovati dopo molti giorni, alcuni anche dopo un mese, sulle spiagge delle Egadi e della Sicilia occidentale.

    8. Il rifornimento delle truppe italo – tedesche
    Benché ufficialmente viene indicata come “Difesa del Traffico”, la “Battaglia dei Convogli” ha visto, per tutti i trentanove mesi del conflitto, è stata un’attività imponente, massacrante, dove si sono verificati gli scontri più cruenti e dove si sono avute ingenti perdite.
    Nella pianificazione e nell’impiego delle forze e nello svolgimento dell’attività:

    • “………… Non si era preveduto e forse non era possibile prevedere che sarebbe stato necessario scortare grossi e frequenti convogli per il nord africa e per l’Albania. Ben presto quindi si dovette far ricorso ai cacciatorpediniere di squadra con il risultato di perderne qualcuno e di logorarli tutti più o meno rapidamente”. (“Il tramonto di una grande Marina” di Angelo Iachino);
    • ……….Il compito fu assolto dai nostri instancabili cacciatorpediniere con l’abnegazione, la bravura, il valore e la tenacia che erano loro tradizionali. Nel corso della guerra i nostri caccia hanno fatto di tutto: dalla scorta delle navi da battaglia, quelle rare rarissime volte, che tali navi hanno preso il mare, alle ben più impegnative scorte di convogli.” (“Convogli” di Aldo Cocchia).

    Il compito principale della Marina, che il Capo del Governo voleva offensivo su tutta la linea nel Mediterraneo e fuori, fu invece quello della protezione dei traffici per garantire il rifornimento delle nostre truppe impiegate fuori area, la protezione delle linee commerciali marittime per il rifornimento delle materie prime ed il contrasto dei rifornimenti dei nemici.
    Per molto tempo è stata attribuita alla Regia Marina la colpa per l’insuccesso della Campagna d’Africa delle truppe tedesche e del nostro Esercito e spesso si è data anche troppa importanza al ruolo di Malta, che comunque è stata una spina nel fianco per buona parte del conflitto, ma i numeri parlano chiaro e sono riportati nelle tabelle presenti nel Volume 1 “dati Statistici (2a edizione) del 1972 dell’USMM di cui si riporta di seguito la sintesi delle percentuali di personale e materiali giunti a destinazione:

    Libia
    Personale        91,6%
    Materiale        85,9%

    Tunisia
    Personale        93%
    Materiale        71%

    Se quindi si devono cercare giustificazioni per lo scarso rifornimento delle truppe italo – tedesche queste sono da ricercare principalmente:

    • nella scarsa disponibilità di rifornimenti disponibili in partenza;
    • nella scarsa produzione industriale per mancanza di materie prime;
    • al disastrato stato del trasporto ferroviario;
    • nelle scarsa capacità ricettive dei porti libici.

    Nelle guerre la logistica è fondamentale. La “rotta della morte” è stata una delle pagine più tristi della Regia Marina per il numero delle vittime; spesso si fanno dotte conferenze sulle principali battaglie (Punta Stilo, Gaudo, Matapan, Teulada, mezzo agosto, 1 e 2 Sirte, ecc…..) ma ci si dimentica di ricordare quelle unità e quegli uomini che con eroismo e a testa alta seppero reagire con valore contro nemici meglio organizzati, tecnologicamente più avanzati, con netta superiorità nel controllo aeronavale ed aiutati spesso da un efficiente sistema di intelligence (ENIGMA).

    9. Il Folgore ed il Sottocapo Motorista Di Palo Domenico
    Il comandante del Folgore Capitano di Corvetta Ener Bettica morì scegliendo di rimanere sulla sua nave che affondava. Gli fu conferita alla memoria la Medaglia d’oro al valor militare ed una nostra unità oggi porta il suo nome.
    Il Folgore aveva effettuato complessivamente 155 missioni di guerra (4 con le forze navali, 8 di caccia antisommergibile, una di bombardamento controcosta, 77 di scorta convogli, 14 addestrative e 51 di trasferimento o di altro tipo), percorrendo 56.578 miglia e trascorrendo 33 giorni ai lavori.
    Sul cacciatorpediniere era imbarcato il Sottocapo Motorista Di Palo Domenico nato ad Afragola (Napoli) il 31 gennaio 1922 deceduto quel tragico 02 dicembre1942. Il suo corpo fu recuperato e sepolto nel cimitero della città natale.
    I parenti se vogliono acquisire maggiori notizie possono richiedere:

    – il foglio matricolare da cui trarre notizie relative alla vita militare del Caduto al Centro Documentale (ex Distretti Militari) e/o all’Archivio di Stato competente per territorio, in base alla provincia di nascita;

    – la documentazione anagrafica (atto di nascita, atto di morte, ecc..) al Comune di nascita;

    – notizie/documenti relative alla definizione dello “status giuridico matricolare” del Caduto al Ministero della Difesa – Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati – III Reparto – viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma;

    – le vicende storiche dell’unità all’ Ufficio Storico della Marina Militare (appaiono comunque esaustive le notizie riportate nel presente articolo che possono essere integrate con quanto riportato nei libri editi dallo Stato Maggiore Marina e dalle numerose notizie presenti su internet).

    – la verifica di eventuali onorificenze/decorazioni concesse al Caduto al Ministero della Difesa Direzione Generale per il Personale Militare – V Reparto – 10^ Divisione Ricompense ed Onorificenze – viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma.

    Qualora al caduto competevano ma non sono state concesse/richieste onorificenze i parenti possono avanzare domanda secondo le modalità definite da predetto Reparto.

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    15.4.1941, impostazione DR 313

    di Carlo Di Nitto

    Qualche anno fa fui contattato dal signor Alvaro Bordoni che da giovane aveva navigato come marinaio “Radiotelegrafista segnalatore” sul Dragamine 313 (ex RD 313), nel periodo in cui mio padre Vincenzo (1) ne fu  l’ufficiale in seconda.  Desiderava averne notizie e dovetti dargli quella peggiore: che non era più con noi.
    Me ne parlò con affetto e nostalgia, come di un fratello maggiore, presentandomi di lui un nuovo, inedito “ritratto” che mi confermava ancora una volta le sue doti umane e marinare.
    Il buon Alvaro aveva inoltre qualcosa da farmi vedere. Poco in verità perché dopo più di sessant’anni molto era andato smarrito ma ben volentieri me ne inviò copia:

      • Una sua foto da giovane marinaio;
      • Una foto a poppa  (Alvaro è fotografato a sinistra)
      • Fotocopia del tesserino di accesso a bordo firmato da mio padre;
      • Il Dragamine 313 (*) vedi note tecniche;
      • Fotocopie di alcune pagine del suo diario, che trascrivo, riferite ad una forte tempesta incontrata dall’unità.

    Dal Diario di Alvaro Bordoni
    24 novembre 1948
    13.05 – Trav. C. Vieste
    13.50 – Trav. Torre Guainai
    15.00 – Trav. Rodi Gargano
    16.00 – Trav. Colorissa
    17.30 – Trav. P. del Diavolo (Isole Tremiti)
    19.00 – Trav. Termoli (approssimativo)
    23.00 – Trav. Ortona a Mare. Si mettono le macchine a ½ forza causa mare grosso da N – NE

    25 novembre 1948
    Dalle 23 alle 7.30 alla cappa davanti Ortona.
    Questa qui è stata la notte più brutta che ho passato in dieci mesi che navigo a bordo di questa unità.
    Delle montagne d’acqua ci sbattevano di fianco buttandoci in aria e facendoci fortemente sbandare come fuscelli. Io ho confessato al Comandante che avevo paura; lui mi ha rassicurato, ma io ad ogni sbandata tremavo e certo sono sicuro che non ero il solo.
    Si è rotta parecchia roba, bicchieri, lampadina della radio, ventilatore, ecc. L’acqua è entrata perfino nel locale macchine. Molta gente ha raccato, ed io mi meraviglio come mai non abbia fatto lo stesso, ma forse la paura è stata più forte del mal di mare. Quasi tutte le sette ore e buona parte della navigazione sono stato nella cabina radio con la testa abbassata.
    Non avevamo nessun porto vicino ove potevamo andare; Ortona e Pescara sono bassi fondali, tornare indietro era troppo lontano, proseguire non si poteva; il porto più vicino era Ancona a parecchie ore di navigazione; la radio era scassata ed in caso di bisogno non si poteva chiamare nessuno; l’unica era di aspettare il giorno e tentare di dar fondo ad Ortona.
    7.30 – Fattosi giorno si smette di stare alla cappa e si tenta di entrare nel porto di Ortona a Mare; dopo pochi minuti nell’interno di essa la nave si mette in rotta per Ancona mentre il mare comincia a migliorare.
    9.20 – Il mare si è abbastanza calmato e si è al traverso della Terra di Silvi.
    13.05 – Trav. S. Benedetto del Tronto
    14.00 – Trav. Faro di Pedaso
    16.20 – Trav. S. Loreto
    19.00 – Si arriva ad Ancona  e si dà fondo. Vado a terra…
    Da allora non ho più ricevuto comunicazioni dal caro sig. Alvaro. Oggi è un giovanotto quasi novantaduenne. Gli dedico questa paginetta ringraziandolo per la sua testimonianza  e, sperando di riaverne presto notizie, mi auguro di poterlo conoscere personalmente per abbracciarlo e parlare con lui di mio Padre e del “313”.

    (*) note tecniche
    IL DRAGAMINE DR 313
    Ex trawler inglese T 203 “Foula”  (classe “Isles”), fu un dragamine meccanico. Dislocava 791 tonnellate a pieno carico. L’impianto di propulsione era costituito da una motrice alternativa a vapore a triplice espansione costruita dalla Amos & Smith di Hull in grado di sviluppare una potenza di  950 hp  indicati e una velocità di 12 nodi.
    Ordinato dalla Royal Navy il 16 Nov 1940, venne impostato il 15 aprile 1941 nei cantieri  Cochrane & Sons Shipbuilders Ltd. (Selby, U.K.) e, varato il 28 luglio successivo, entrò in servizio il 16 febbraio 1942.
    Intensamente utilizzato durante la guerra, il 26 gennaio 1946 venne trasferito alla Marina Italiana dove, iscritto nei quadri del Naviglio Ausiliario dello Stato, entrò in servizio il 4 febbraio seguente. Entrò ufficialmente nei quadri del Naviglio Militare soltanto il 18 dicembre 1957. Nella Marina Italiana gli vennero attribuite le sigle RDR 313, poi  DR 313 e  5313. In data 01 febbraio 1965 venne declassato a Nave Ausiliaria Costiera e utilizzato come nave bersaglio. Fu infine radiato il 01 gennaio 1965.

    (1) https://www.lavocedelmarinaio.com/2019/01/8-1-1921-nasceva-mio-padre-vincenzo-di-nitto-un-marinaio-di-lungo-corso/ 

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    14.4.1912, Guglielmo Marconi e il Titanic

    di Marino Miccoli e Manuel Jobs Muttarini (*)

    Con piacere ho accolto l’invito dello stimato Manuel Muttarini (Gold Associate Member della prestigiosa Titanic Historical Society) (*) a scrivere un breve articolo che trattasse di quelle che furono le reazioni e le opinioni espresse dal grande scienziato italiano inventore del telegrafo senza fili Guglielmo Marconi in occasione del drammatico affondamento del transatlantico Titanic avvenuto la notte del 14 aprile 1912.

    (*) digita sul motore di ricerca del blog il nome e cognome degli autori per conoscere gli altri loro articoli.

    Occorre premettere che è stata l’apprezzata professionalità di uno stenografo a far sì che il trentottenne Guglielmo Marconi non si trovasse sul transatlantico Titanic il giorno del suo affondamento. Egli con la moglie era stato invitato dalla White Star Line a partecipare al viaggio inaugurale di quella meravigliosa quanto tristemente famosa nave ma egli, a causa delle numerose pratiche cartacee da sbrigare e della sua conoscenza dell’abile e svelto stenografo che prestava servizio sul Lusitania, preferì imbarcarsi tre giorni prima su quest’ultimo transatlantico per raggiungere New York.
    Apprese della grande sciagura quando, sbarcato negli Stati Uniti, seppe che a Cape Race (una località situata in Terranova, sulla costa atlantica del Canada, vicino alle rotte transatlantiche) era stato captato un radiomessaggio che lasciava supporre essere avvenuto un grave disastro in mare.
    Quando il Carpathia attraccò al molo 54 di New York carico dei naufraghi del Titanic, Marconi si recò subito dai radiotelegrafisti per apprendere direttamente da loro quello che era successo. Parlò con Thomas Cottam del Carpathia e con Harold Bride marconista in seconda del Titanic (il primo marconista J. G. Phillips era perito nel naufragio). Si fece un’idea di quello che era avvenuto e da subito sentì di dover intervenire in favore dei marconisti che erano stati ingiustamente criticati, soprattutto difese l’operato di Phillips, il giovane che guadagnava 30 dollari al mese e che era voluto rimanere stoicamente al suo posto, nonostante il Comandante del Titanic lo avesse dispensato da ogni responsabilità.
    Sebbene Guglielmo Marconi fosse fiero del comportamento dei marconisti, era però amareggiato perché convinto che si sarebbero potute salvare molte più vite. In particolare, leggendo il libro che la signora Degna Marconi Paresce (figlia del grande scienziato italiano) ha pubblicato alcuni anni addietro veniamo a conoscenza che egli affermò: “Certe navi non poterono ricevere la richiesta d’aiuto del Titanic perché stavano ricevendo il bollettino delle ultime notizie da Cape Cod. Se a bordo ci fossero sempre due marconisti, uno avrebbe potuto badare al notiziario e l’altro avrebbe dovuto stare all’ascolto di eventuali segnali di pericolo, senza con questo interferire sui messaggi a lunga distanza”.

    In seguito l’attenzione di Marconi si concentrò sull’opportunità di dotare le scialuppe di salvataggio di un apparecchio rice-trasmittente di facile uso, affinché anche un uomo profano in materia potesse azionarle; finalmente nel 1926 una lancia così attrezzata del Royal National Lifeboat Institution riuscì a comunicare con una base a terra distante 185 miglia.
    In merito al fatto che il Carpathia aveva ritrovato i naufraghi del Titanic a notevole distanza dalla posizione originariamente segnalata (a ben 34 miglia di distanza…) egli sostenne la necessità di istituire dei radio-fari sulle coste dell’oceano, in modo tale da impedire errori di localizzazione di tale gravità che poi nei fatti si traducevano in un elevato numero di vite umane perdute.
    Egli evidenziò inoltre la necessità di dotare le grandi navi di linea di stazioni rice-trasmittenti più potenti, che fossero così in grado di collegarsi con entrambe le rive dell’oceano.
    L’illustre scienziato italiano fu senz’altro gratificato allorquando i superstiti dell’affondamento si recarono in massa da lui in albergo per manifestargli tutta la loro gratitudine e riconoscenza per la sua invenzione; durante quella commovente visita gli donarono una medaglia d’oro su cui era raffigurato Apollo, il nume profetico e splendente della sua bellezza. Guglielmo Marconi li ringraziò commosso.
    Anche noi siamo e dobbiamo essere grati al grande scienziato italiano perché nella storia recente dell’umanità la sua invenzione è stata di importanza capitale per la salvezza di un numero incalcolabile di vite umane. Consideriamo ciò un motivo di orgoglio in più per noi di essere Italiani.

    Transatlantico fotografato a Napoli, dalla coperta del Regio Esploratore Alvise da Mosto,sullo sfondo appare il Vesuvio al tramonto (foto d’epoca degli anni ’30)

    (*) 
    Cari Ezio e Marino,
    Vorrei che prima di questo splendido saggio aggiungeste questo pezzettino dedicato a voi.
    Ho conosciuto Ezio Vinciguerra qualche anno fa. Chiedendogli umilmente uno scambio di Link. Ho trovato ben altro di un sito. Una persona vera, sincera e amichevole. Ho cominciato a postare per tutti voi le mie ricerche. Mi avete dato la forza di continuare. Ogni parola scritta sul mio sito, è stata scritta su un’iphone e spedita al mio webmaster Stefano a cui devo molto. Molte notti con ore piccole, molte foto di persone scomparse, molte note della mia armonica dedicate a quella sciagura da sempre mi danno la forza di approfondire in modo semplice..Qualche Domenica fa, il signor Miccoli, con la sua gentilezza e cultura mi ha informato di una vicenda che non conoscevo cosi bene. Cosi l’articolo che leggerete tra breve sarà sul mio sito con una dedica al signor Miccoli a cui devo molto. Caro Marino spero di ricevere ancora suoi articoli e le stringo la mano per avermi illuminato con il suo sapere.