Curiosità

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    Il porto di Villa Lagarina

    di Roberta Ammiraglia88
    https://www.ammiraglia88.it
    https://www.mondovespucci.com

    …con il suo traghettatore.

    roberta-ammiraglia88-per-www-lavocedelmarinaio-com-copiaIl fiume Adige veniva utilizzato per trasportare le merci da Bolzano a Verona e viceversa; spesso si arrivava fino all’arsenale di Venezia. Verso sud si usavano le zattere, mentre per le consegne destinate a nord c’erano i burchi. Le zattere facevano spola solo all’andata e, alla fine della navigazione, entravano in segheria perché il loro legname veniva riutilizzato. Alcune zattere più grandi, con tronchi lunghi, erano già destinate all’arsenale di Venezia per le navi della Serenissima. I burchi risalivano la corrente carichi e trainati da cavalli, o da buoi, e dovevano ridiscendere senza merce perché ospitavano a bordo i loro animali, per il successivo traino.
    La navigazione non era facile; il fiume non era rettilineo, c’erano accumuli di detriti dei vari affluenti e bisognava stare attenti alle “roste” (ripari per i campi) che creavano correnti anomale. Le merci venivano custodite dentro botti di legno per evitare i danni causati dall’acqua.
    I punti nevralgici erano: il porto di Bronzolo; Lavis; Sacco; Pescantina.
    Secondario era il porto di Villa Lagarina. I materiali che provenivano da questo porto di Villa erano: legname da costruzione, zucchero e caffè, vino, sete colorate, sale, pelli lavorate, chiodi tedeschi e lamiere di rame, grano. Pomarolo invece spediva il tufo e, nei pressi del porto, c’era una fabbrica di coppi.
    I tempi di percorrenza erano: con la zattera da Bronzolo a Trento mezza giornata e da Trento a Verona 2 giornate (si viaggiava di giorno); con il burcio, per lo stesso percorso, da 2 a 4 giorni. Per Venezia ci volevano 8 giorni.

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    L’attraversamento dell’Adige a Villa Lagarina teneva in comunicazione le località della vallata. Il primo ponte fu costruito nel 1847, ma prima c’era un traghettatore.
    Il traghettatore, detto “portener” (portinaio), trasportava persone, animali e cose da una sponda all’altra del fiume. Prendeva inoltre in carico e custodiva le merci che arrivavano, o partivano, al/dal porto. Le prime notizie del “port” – traghetto di Villa Lagarina sono del gennaio 1489. La possibilità di trasportare persone, animali e merci da una sponda all’altra era un privilegio dell’Imperatore. Questi cedeva il diritto ai suoi vassalli; per Villa era il Principe Vescovo di Trento. Anche lui poteva passare l’amministrazione ad un signore, o signorotto, che spesso a sua volta lo dava in concessione. I Conti Lodron e signori di Castel Nuovo e Castellano stipularono infatti un contratto con un sig. Vicentini per l’affidamento di un servizio di traghetto e la conduzione del “porto”. Il contratto aveva durata 19 anni, rinnovabile di altri 19. L’affitto andava pagato annualmente il giorno di San Michele (29/09). Era indispensabile che il traghetto fosse solido, fornito di barche, di corde e di ogni strumentazione necessaria al trasporto, e che fosse in sicurezza.
    Si conoscono le tariffe applicate nel 1685. La moneta usata era il “carantano”. Con 13 carantani si faceva un trono. La paga giornaliera di un manovale era un trono e mezzo. Ecco alcune tariffe per:
    – una persona, andare e ritornare carantani 1;
    – un Cavallo o Mullo carantani 4;
    – una Carrozza, Calesso o Birba o Carretta con due Cavalli carantani 10;
    – un Carro andare e ritornare carico carantani 7;
    – una Cesta ossia minalla senza manico non ordinaria con la persona carantani 4.
    Le tariffe erano raddoppiate se il fiume era piena.

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    In una relazione effettuata nel 1810, è scritto che: la rendita “sporca” del Porto era di circa 850 fiorini all’anno (1 fiorino = 5 troni); la spesa annua sostenuta per il mantenimento era di circa 450 fiorini – principali spese: reghem (la fune sospesa tra le sponde), soghe, riparature di barche, dei scanelli (piccole panche), del pavimento del porto, mantenimento di un uomo continuo di custodia e di servizio.
    Sembra che l’invenzione di questo traghetto sia di Leonardo da Vinci. Il particolare mezzo di trasporto era attaccato con una fune ad un cavo che univa le due sponde. Ponendo la prua del traghetto, in un verso o nell’altro, si sfruttava la forza della corrente del fiume per spostarsi. Uno simile è ancora in attività e si trova a Imbersago.

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    Al porto di Villa Lagarina c’erano anche un deposito per le merci, un ricovero per gli animali, un locale di ristoro (visti i tempi di percorrenza del fiume e la necessità, per i burchi, di far riposare gli animali) e una chiesetta dedicata a San Giovanni. Questa era annessa al porto fluviale, tanto che era nominata chiesa di “San Giovanni al Porto”. A conferma che la zona è “storicamente definita porto fluviale” ci sono vari documenti pubblici in cui tale chiesa viene citata proprio così.
    Solo nel 1847 venne inaugurato il primo ponte per attraversare il fiume. Nel 1895 il secondo ponte di legno venne sostituito con uno in ferro ripristinando, durante i lavori, il traghetto!

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    17.10.1888, varo della regia nave Re Umberto 1°

    a cura Antonio Cimmino

    SPIGOLATURE DI STORIA DELLA MARINA: IL VARO DELLA CORAZZATA UMBERTO I A CASTELLAMMARE DI STABIA


    Nave corazzata da battaglia varata il 17 ottobre 1888.
    Il varo dell’unità ebbe vasto eco in Italia e all’estero. Accompagnato dal Re d’Italia, anche l’imperatore di Germania Guglielmo II partecipò alla cerimonia. La squadra navale era alla fonda nel golfo di Napoli assieme ad altre navi francesi ed inglesi. La squadra italiana era rappresentata dalle navi da battaglia Lepanto, Dandolo, Duilio e Affondatore, dagli incrociatori Galileo, Tripoli, Saetta, Sparviero e Nibbio, nonché dall’Etna, Bausan, Stromboli e Vesuvio, dalle torpediniere Goito, Folgore, Aquila e Avvoltoio e da Staffetta e Colonna. Era presente anche lo yacht reale Savoia.
    L’Illustrazione Italiana del 21 ottobre 1888 così scriveva:
    … La mattina del 17 i due Sovrani andarono a Castellammare ad assistere al varo dell’Umberto I ed a passare in rivista la squadra italiana posta sotto gli ordini del vice ammiraglio Acton comandante supremo, e dei contrammiragli Lovera di Maria e Martinez. L’Umberto I è una delle nostre grandi navi di prima linea che va alla pari col Duilio, l’Italia, la Lepanto e il Dandolo. La costruzione di questo nuovo colosso, di questa fortezza galleggiante, è stata diretta dal Comm. Capaldo direttore dell’arsenale di Napoli, e dal cav. Micheli direttore del cantiere di Castellammare, figlio del compianto comm. Micheli deputato e ispettore del Genio navale. La nave in cantiere, prima del varo, quale è rappresentata nel nostro disegno, era collocata sopra una invasatura di legno e di ferro, con trinche colossali intorno allo scafo, puntellata. ai due lati da grossi pali. Lo scafo dipinto di rosso e nero, con le due immense eliche sporgenti alle spalle di poppa, e le ancore provvisorie sospese ai due lati della prua, sembrava dolcemente inclinato verso il mare. Fra l’invasatura ed il pavimento eravi una soluzione di continuità di sei o sette millimetri ottenuta con una serie di zeppe di ferro. Questo breve spazio è stato riempito di sego, due giorni prima del varo, in modo che la nave immensa non si abbassasse levando con una macchina le zeppe di ferro. Parte dei puntelli fu tolta prima della cerimonia del varo. Al momento della cerimonia si abbatterono gli altri pochi, si tagliarono i due enormi cavi che trattenevano la prua allo scalo e la nave scivolò sullo strato di sego innalzando un denso e puzzolento nembo di fumo; effetto dalla combustione del sego determinato dallo sfregamento di tanta mole”.


    Il giornale The Illustrated London News del 27 ottobre 1888 nel descrivere le operazioni di varo e la visita dei Sovrani a Castellammare, affermò che la Umberto I era un delle più grandi navi da guerra del mondo:
    This ship, one of the largest war-ships in world), possedeva una compartimentazione interna ed un armamento di tutto rispetto (…and she is divide into 150 water-tight compartments; she carriers four 104-tonn Arstrong guns of seventeen-inch calibre, mounted on two barbettes difende by very strong armour, and many smaller guns…).

    Il giornale inglese descrive nei dettaglio la cerimonia e le operazioni del varo, che vedono presenti il vescovo della città ed il clero ed il popolo esultante:
    …The operations for the launch were begun as soon as the Emperor and the Royal party had arrived. The Bishop of Castellamare, in full canonicals, attended by his clergy, pronounced a benediction on the great ship; the christening with a bottle of Italian wine was duly effected; and then the Rè Umberto began her descent into the water amid tumultuous cheerinh from thousands of spectators, the Emperor taking off his hat waving it in salutation…”

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    10.10.1855, impostazione avviso a ruote Sirena

    di Antonio Cimmino

    La nave
    Con il termine avviso, nella marineria velica si designava una piccola unità armata a cutter, usata come trait-d’union, per posta o ordini,  tra le navi delle squadre navali ovvero con la base. Con l’introduzione del vapore, questi avvisi si dotarono anche di macchine alternative, unitamente all’armamento velico, con ruote laterali di propulsione e, più tardi, con elica. L’ingombro delle caldaie e delle motrici, era consistente tanto è vero che i due alberi (trinchetto e maestro) erano distanti l’uno dall’altro. La velatura era necessaria per la scarsa affidabilità dei macchinari che, d’altronde, consumavano una enorme quantità di carbone. L’avviso aveva anche il compito di trainare i vascelli e le altre navi a vela, in caso di bonaccia.
    Pur non essendo adeguatamente armati e quindi atti al combattimento, gli avvisi erano utilizzati nelle esplorazioni essendo più veloci delle navi a vela. La velocità era favorita da un buon disegno dello scafo, molto lungo e stellato. Nella seconda metà dell’800 le loro dimensioni aumentava avviandosi a divenire corvette a vapore ovvero piccoli incrociatori.
    Durante il periodo borbonico, il cantiere di Castellammare costruì diverse unità di questo tipo, alcune protagoniste della storia dei primordi della Regia Marina (Delfino, Maria Teresa, LilibeoMessaggero, Miseno).
    Caratteristiche tecniche
    – Impostato nel cantiere navale di Castellammare di Stabia il 10 ottobre 1855;
    – Varato il 9 novembre 1859;
    – Entrato in servizio nella Marina borbonica il 28 maggio 1860;
    – Scafo in legno con carena ramata;
    – Dislocamento a pieno carico: 427 tonnellate; normale pari a 354 tonn.;
    – Dimensioni: metri 45,0 lunghezza fra le perpendicolari; metri 6,8 larghezza e metri 2,7 di immersione.
    Apparato motore:
    – 2 caldaie a tubi d’acqua collegate ad una macchina alternativa a vapore tipo Maudslay & Field a bassa pressione;
    – potenza 120 cavalli; ruote di propulsione laterali che imprimevano una velocità di 12 nodi. Due alti fumaioli favorivano il tiraggio
    Apparato velico del tipo brigantino-goletta: albero di trinchetto a vele quadre ed albero maestro a vele auriche (trapezoidali).
    Armamento originario: 1 cannone in ferro  a canna liscia da 60 libbre;
    Equipaggio:
    – 1 Tenente di Vascello quale comandante,
    – 1 Allievo di Vascello, 1 Pilota, 1 Chirurgo, 1 Pratico di chirurgia, 1 Tenente di Fanteria Marina, 3 Piloti, 1 Nostromo, 1 Guardiano, 2 Timonieri, 18 Marinai, 1 Contestabile, 1 Sergente cannoniere, 10 Cannonieri, 1 Sergente di Fanteria Marina,1 Tamburo, 22 Fanti di Marina, 1 Macchinista, 3 Alunni macchinisti, 4 Carbonai, 3 Maestri d’ascia, 1 Calafato, 1 Maestro razione, 1 Dispensiere, 1 Cuoco, 5 Domestici.
    Storia
    Radiato dal naviglio da guerra nel giugno del 1884 e adibito a deposito munizioni a Miseno fino al 1884. Successivamente fu utilizzato come guardaporto a Napoli con la sigla G.M.8. Nel 1910 fu venduto ai privati per 5.100 lire per la demolizione.
    Armamento  bellico all’atto del passaggio alla Regia Marina
    – 1 cannone in ferro ad anima  liscia ad avancarica da 200 mm caricato  con bombe da 30 libbre;
    – 1 cannone di bronzo ad anima liscia  da 160 mm di calibro e caricato con palle da 24 libbre.
    Armamento del 1872
    – 2 cannoni in bronzo con anima liscia da 80 libbre;
    – 2 cannoni in bronzo con anima liscia da 75 libbre.
    Attività operativa
    L’unica azione effettuata sotto la bandiera borbonica fu quella di rimorchiare a Palermo, al comando del Tenente di vascello Roberto Pucci,  il brigantino San Girolamo.
    Il 7 agosto 1860, al comando del Capitano di fregata Pietro Lavia, non obbedì all’ordine di seguire Francesco II e fu aggregata alla squadra sarda del Contrammiraglio Persano passando al comando del Capitano di fregata Leopoldo de Cosa.
    Il 24 gennaio del 1861 la nave fu inviata nel Canale di Otranto per la sorveglianza della posa del cavo sottomarino da Brindisi per Corfù ad opera della nave inglese William.
    Tornata a Messina, il 17 marzo fu iscritto nel naviglio da guerra del Regno d’Italia e classificato “piroscafo a ruote” e, nel 1863, riclassificato “ avviso a ruote di 2° ordine”.
    Dopo diverse evoluzioni nel Tirreno e dopo essere posta in disarmo, la nave fu riarmata il 18 gennaio del 1864 e posta a Spezia, a disposizione del Contrammiraglio Provana del Sabbione prima e del Contrammiraglio Augusto Riboty poi. Fu destinata alla protezione degli interessi nazionali nelle acque della Tunisia al comando del Capitano di Fregata Giribaldi. Disarmata diverse volte ed altrettante volte riarmata, fece spola tra Napoli, Messina e Taranto al comando del Capitano di Fregata Raffaele Noce.
    Il 16 marzo del 1866 al comando del Luogotenente di Vascello Sanminiatelli fu destinata nel Mar Nero e stazionò a Costantinopoli e nell’anno successivo, al comando del Luogotenente di Vascello Vitagliano operò nello Ionio e nell’Egeo.
    Il Sirena tornò a Costantinopoli, al comando del Luogotenente di Vascello Vincenzo Casamarte, nel febbraio del 1868 e, rientrato a Napoli l’anno successivo, rimase in disarmo per circa tre anni.
    Nel 1878 fu inviato per la terza volta a Costantinopli durante il conflitto russo-turco. Nel 1880 passò al comando del Capitano di Corvetta Francesco Chigi e l’anno successivo di Luigi Palumbo. In tale periodo operò nelle acque tunisine.
    Fino al settembre del 1883 prestò servizio di vigilanza sanitaria nelle acque della Sicilia orientale e, nel mese di ottobre, ritornò a Napoli per il definitivo disarmo.
    Comandanti
    1860    Capitano di Vascello              Pietro Lavia
    1863    Luogotenente di Vascello      Edoardo Giribaldi
    1865    Capitano di Fregata               Raffaele Noce
    1866    Luogotenente di Vascello      Samminiatelli
    1866                “              “                  Vitagliano
    1868                “               “                 Vincenzo Casamarte
    1880    Capitano di Corvetta             Luigi Palumbo
    Notizie e curiosità
    Il Reggimento di Fanteria di Marina, la cui fondazione risale a Carlo di Borbone Re di Napoli (dal 1734-1759), accompagnò tutta la vita del regno delle Due Sicilie e, persino durante il periodo Napoleonico-Murattiano (dal 1806-1808 Giuseppe Bonaparte e dal 1808 al 1815 Gioacchino Murat) esistette a Napoli un  Reparto analogo di marinai e cannonieri della guardia a similitudine dei “Marine de la Garde” Napoleonici. Durante la permanenza di Re Ferdinando (Re dal 1759-1815) in Sicilia, con alterne vicende dal 1799 al 1815, parte del Reparto rimase a seguito dello stesso. Durante tale periodo, unità del Reggimento operarono dalla Sicilia a fianco dei “Royal Marines” britannici (Spedizione a Malta nel 1800, riconquista delle isole di Ischia e Procida nel 1809, Battaglia di Maida nel 1806 etc..).  Dopo il periodo napoleonico, con la Restaurazione, il Reparto subì varie riforme, assumendo consistenza diversa a secondo dei momenti, arrivò ad avere un organico di due Battaglioni di sei compagnie per un totale di 2400 Fanti di Marina ed unitamente al Reggimento Cacciatori della Guardia Reale costituiva una delle Brigate della “Guardia Reale”. Il periodo di maggiore splendore coincise con il lungo regno di Ferdinando II (1830-1859).
    Il Reggimento di Fanteria di Marina si occupava della difesa a terra delle basi navali ed a bordo delle navi forniva il supporto di fucileria nei combattimenti ravvicinati e negli abbordaggi oltre ovviamente a costituire l’avanguardia nelle operazioni di sbarco. Una delle operazioni più impegnative che lo vide protagonista fu l’operazione anfibia per la riconquista della Sicilia nel 1849 (sbarco nei pressi di Messina). Il Reggimento concluse la sua vita organica negli ultimi giorni di permanenza di Re Francesco II (Re dal 1859-1861) a Napoli ed elementi del Reparto furono presenti all’eroica difesa della città di Gaeta.

    .. Il calibro dei cannoni è espresso in mm e rappresenta il diametro della bocca mentre le libbre sono il peso della palla. Una libbra (inglese)  equivale a 453,8 grammi mentre la libbra dei cannoni francesi equivala a circa 500 grammi.

    ..la Guerra turco-russa del 1877-78 ebbe origine dalla volontà russe di ottenere uno sbocco sul Mar Mediterraneo e di liberare le popolazioni slave residenti nei Balcani occupati dall’Impero Ottomano. Le potenze occidentali, tra cui anche l’Italia approfittarono della situazione per chiedere al sultano di concedere ampia libertà di culto alle chiese cristiane dell’Impero Ottomano.

    Cenni di architettura navale e marineria
    La lunghezza fra le perpendicolari è quella intercorrente tra la verticale del dritto di prora in corrispondenza della linea di massimo galleggiamento e la verticale che passa per l’asse di rotazione del timone a poppa.
    Le ruote di propulsione furono introdotte nella costruzione navale nel 1830 dall’inglese William Morgan. Alla periferia delle due ruote erano sistemate delle palette ruotanti sul loro asse e, con un sistema di assi eccentrici, quando la ruota gira le palette assumono, rispetto all’acqua, una posizione variabile rispetto alla verticale. Tale sistema, assieme a quello che prevedeva le pale perfettamente verticali ed a quello delle ruote a pale fisse radiali, risultò poco efficiente ed agevolò lo studio e l’introduzione dell’elica. Le ruote di propulsione laterali, inoltre,  in caso di rollio risultavano fuori dall’acqua una volta sinistra ed una volta a dritta e le palette non potevano imprimere una  spinta simultanea per cui il governo della unità era abbastanza difficoltoso.
    Con un carico di carbone di 50 tonnellate ad una velocità di 12 nodi, il Sirena aveva una autonomia di 12 miglia. (1 miglio marino era di circa 1852 metri) per cui abbisogna di continui rifornimenti di combustibile. Per questo motivo furono attrezzati diversi porti del Regno delle Due Sicilie per sopperire a tale necessità.
    L’albero di bompresso è quello non verticale, sporgente fuori prua, su cui si estende il lato inferiore delle vele triangolari dette fiocchi. Se grande, si compone di tre parti: la maggiore (bompresso) fissata alla prua; la mediana sovrapposta (asta di fiocco); la terza risovrapposta (asta di controfiocco).
    L’albero di trinchetto è di solito composto da 4 parti denominate, partendo dal ponte: fuso maggiore di trinchetto, albero di parrocchetto, alberetto di velaccino, alberetto di controvelaccino.
    L’albero di maestra, anch’esso formato da 4 parti denominate, sempre partendo dal ponte: fuso maggiore di maestra, albero di gabbia, alberetto di gran velaccio, alberetto di controvelaccio.

    Fonti
    AA.VV., Esploratori, fregate, corvette ed avvisi italiani 1861-1968, Ufficio storico della Marina, 1969:
    AA.VV. Navi da guerra/RN Sirena 1859, in www.agenziabozzo.it
    AA.VV. Muadslay and Filed, in www.history.rochester.edu/steam/lardner/chap13.html – 87k.
    AA.VV., Battello Patria-Scheda tecnica, in www.como.polimi.it/Patria/testi/scheda.htm.
    AA.VV., Real Marina del Regno delle Due Sicilie, in it.wikipendia.org/wiki/Real_Marina_del_Regno_delle_Due_Sicilie-89k.
    AA.VV., Il glossario della marineria d’altri tempi, in www.correrenelverde.com/nautica/glossario/glossario.htm – 273k.
    AA.VV., Cannone di bronzo, in www.earmiit/cannon1.htm-3k
    Musciarello L., Dizionario delle armi, voce calibro, Oscar Modadori, Milano, 1978
    Radogna L., Cronistoria delle unità da guerra delle Marine preunitarie, Vol.11, Uff.Storico della M.M., 1981, pagg. 263-265

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    La posta di BETASOM

    di Guglielmo Evangelista (*)

    Di Betasom, la Base Atlantica di Bordeaux dei nostri sommergibili, si è parlato tantissimo, ma non si è detto tutto.
    Come comunicavano con casa i nostri marinai? Oltre alla cartoline di franchigia potevano anche scrivere lettere più lunghe o usufruire a tariffa di tutti i servizi postali come pacchi, vaglia e raccomandate.
    Ovviamente scrivevano, e le lettere erano lunghe complice il maggior tempo libero per il personale non imbarcato.
    Nella base era stato aperto uno spaccio che vendeva anche francobolli e funzionava un servizio postale diretto con l’Italia.
    La nostra posta viaggiava approfittando della Feldpost, la posta militare tedesca che, come d’uso, per anni h provveduto a inoltrarla a Roma, al Ministero; dopo l’8 settembre compaiono anche dei corrieri, sottufficiali o marinai che raggiungevano La Spezia per servizio e da dove poi la corrispondenza veniva smistata in tutta l’Italia del nord. Questo sistema si rivelò molto più rapido dell’inoltro ordinario. L’alleato germanico, in  faccende sempre più gravi affaccendato, tollerava.
    Nonostante ci si appoggiasse ai tedeschi e Betasom fosse isolata nel territorio da essi occupato, i francobolli usati erano gli stessi delle serie in corso in Italia e, come in Italia, erano soprattutto quelli della serie detta “Imperiale” stampati in milioni e milioni di pezzi ed è difficile che chi conserva qualche vecchia lettera non abbia in casa qualche busta affrancata con questi comunissimi esemplari il cui valore commerciale è di pochi centesimi. I tagli disponibili erano assortiti in relazione alle diverse tariffe che variavano a seconda dell’oggetto postale che veniva inviato.
    Dopo l’8 settembre e l’adesione di gran parte del personale alla repubblica di Mussolini, l’attività bellica e logistica riprese rapidamente, compreso il servizio postale.

    Ritenendo che non fosse più opportuno usare i vecchi francobolli – alcuni portavano l’effige del Re- e ancora senza un’autorità competente a dare disposizioni, fu deciso di mostrare la propria tendenza politica scalpellando dai timbri lo stemma reale e sovrastampando le giacenze disponibili con la dicitura “Italia Repubblicana Fascista-Base Atlantica”.
    La soprastampa fu eseguita nella tipografia di bordo del grande transatlantico De Grasse requisito e utilizzato per ospitare caserme, uffici e servizi.
    L’ordine fu firmato dal Comandante della base Capitano di Vascello Enzo Grossi. Sembra che lui fosse un collezionista e forse l’iniziativa fu sua, approfittando dell’occasione per lasciare il suo nome anche nella storia postale oltre che in quella navale.
    Più tardi, nonostante il nuovo assetto istituzionale stabilito da Mussolini, a Betasom non giunsero mai i francobolli della Repubblica Sociale, né i primi provvisori né quelli definitivi.
    Si proseguì quindi utilizzando ancora le abbondanti giacenze, ma usando la nuova soprastampa “Repubblica Sociale Italiana Base Atlantica”.

    L’ultima lettera conosciuta è dell’11 luglio 1944 quando ormai la base era in via di smobilitazione.
    Furono sovrastampati e usati non meno di 200000 francobolli di 17 tipi diversi.
    Di fatto non furono considerati emissioni ufficiali, ma furono tranquillamente tollerati dalle autorità postali di Salò e le lettere, al momento in cui arrivavano in Italia, non erano tassate maregolarmente recapitate.
    Oggi sono quasi tutti pezzi molto rari, ambiti non solo dai collezionisti italiani ma anche da quelli francesi e tedeschi ed è difficilissimo riuscire a trovarne qualcuno sul mercato. Di eccezionale rarità, praticamente dei pezzi unici, sono le buste complete viaggiate poiché spesso, a fine guerra, furono distrutte per non farsi trovare in casa documenti divenuti improvvisamente compromettenti.
    Assieme alle due emissioni regolari di cui abbiamo parlato si registrano sovrastampe false, errori di soprastampa preparati ad arte, sovrastampe su francobolli mai usati a Betasom: fra le tante migliaia di persone della base c’erano in mezzo appassionati filatelici a tutti i livelli che pensarono di crearsi un “tesoretto” e dopo il 1945 vi furono poi molti che specularono sull’interesse venutosi a creare attorno a questi francobolli.
    Insomma, si dice che raccogliere francobolli vuol dire portarsi a casa un pezzo di storia, ma in questo caso si tratta di un pezzo di storia che costa caro e che spesso può rivelarsi anche una sgraditissima truffa.

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

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    Le naumachie

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Le naumachie erano simulazioni di battaglie navali svolti, in appositi bacini naturali o allagati per la circostanza, a scopo di divertimento, dove si rievocavano famose battaglie storiche.
    naumacharii erano in genere prigionieri di guerra o condannati a morte che dovevano guerreggiare indossando le tipiche armature del paese rappresentato, incitati alla lotta dai pretoriani. I combattimenti così diventavano irruenti e davano agli spettatori quell’acre piacere del sangue, come nei ludi gladiatori.
    Il termine naumachiae deriva dal greco e indica sia il sito che lo spettacolo, mentre i romani chiamavano queste rappresentazioni “navalia proelia”.
    La prima naumachia di cui si ha memoria si tenne a Roma nel 46 a.C. in un lago artificiale creato nel Campo Marzio ad opera di Cesare per celebrare il suo trionfo. In quell’occasione venne simulata la battaglia tra la flotta fenicia e quella egiziana. Parteciparono circa 6.000 figuranti ed una folla enorme giunta dalle vicine colonie accampata nelle strade e nelle piazze, così numerosa come racconta Svetonio, da provocare nella ressa la morte di diverse persone.
    Il pubblico si esaltava alla vista delle navi e delle varie fasi della battaglia proprio perché erano così rare e facevano sfoggio della più raffinata evoluzione tecnica molto più di quella utilizzata negli altri ludi romani.
    Lo scopo dei ludi romani e del loro vasto consenso popolare era quello di tenere il popolo ben nutrito (attraverso la distribuzione gratuita di derrate alimentari a volte integrate con somme di denaro) e ben occupato con sempre maggiori divertimenti e spettacoli per evitare ribellioni e rivolte.
    In origine i giochi erano gestiti dai sacerdoti per questioni di culto e duravano, come le famose corse dei cavalli, solo un giorno. Dai 77 giorni di ludi proclamati ufficiali tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero si arrivò nel quarto secolo a ben 177 giorni all’anno dedicati agli spettacoli.
    Pane et circenses” (pane e divertimento come oppio di massa per gettare interi popoli nell’impotenza politica) era la formula coniata dal poeta satirico Giovenale che se ne servì per stigmatizzare la politica degli imperatori romani nei confronti dei loro sudditi.
    La naumachia di Cesare in effetti aveva stravolto il senso delle proporzioni dello spettacolo per la sua maestosità, per il contenuto storico e soprattutto per l’onerosità dei costi ma ai romani piacque così tanto lo spettacolo che nel corso degli anni si tennero altre di queste rappresentazioni.
    Lo stesso Augusto, attento conoscitore delle vicende politiche e del suo popolo, organizzò altre naumachie facendo costruire un grande complesso monumentale circondato da portici ed arricchito da opere d’arte, per lo più bottini di guerra, per celebrare la potenza della flotta romana di suo genero Agrippa (ammiraglio della flotta e costruttore del Pantheon).
    Per la prima volta dai tempi di Gaio Duilio, vincitore contro Cartagine, un ammiraglio veniva celebrato più di un generale di terra e per questo motivo l’orgoglio dei romani per la loro flotta veniva raffigurato nella naumachia di Augusto.
    Per avere un senso dello proporzioni Augusto e Domiziano fecero scavare un bacino artificiale vicino alla riva del Tevere (nella zona di Trastevere nei pressi della Chiesa di San Cosimato a Roma) lungo circa 550 metri e largo 360; un acquedotto costruito per portare l’acqua dal lago di Martignano (vicino al lago di Bracciano) lungo 33 Km capace di scaricare 180 litri di acqua al secondo per un ammontare di circa 200.000 metri cubi utili per riempire in 15 giorni la naumachia; un canale di collegamento tra il Tevere e la naumachia per permettere l’accesso delle navi impegnate nella battaglia; 30 navi rostrate biremi e trireme; 3.000 raffiguranti più i rematori ed un imponente servizio di guardia in ogni laddove per evitare che i ladri approfittassero dell’assenza dei romani per compiere saccheggi.
    Tutto questo nel 2 a.C. per celebrare la festa per l’inaugurazione del Tempio di Marte Ultore e simulare la battaglia di Salamina tra persiani ed ateniesi.
    Lo spettacolo aveva stravolto il senso delle proporzioni ma il popolo non piangeva le vittime ne tanto meno criticava l’incredibile costo della naumachia. I romani erano entusiasti di Augusto nonostante avesse sperperato più denaro del suo padre adottivo: Cesare.
    Oltre alle naumachie citate si ricordano nel Campo Marzio la naumachia di Caligola e Domiziano e nelle vicinanze del mausoleo di Adriano la naumachia vaticana e quella fatta tenere da Filippo l’Arabo per le feste commemorative del millenario di Roma (questa sembra sia stata l’ultima naumachia eseguita). Nerone fece riempire con acqua di mare un anfiteatro in legno immettendo anche pesci e animali marini. Dopo la rappresentazione della naumachia  venne fatta defluire l’acqua e nell’arena ormai asciutta si fronteggiarono gruppi di gladiatori.
    Anche Tito volle ulteriormente perfezionare l’arte della naumachia in occasione dell’inaugurazione del Colosseo e ne fece allestire due: la prima dentro il Colosseo stesso con cavalli, tori e altri animali equipaggiati sia per il movimento nell’acqua che sulla terra per ricordare la battaglia tra Corfù e Corinto; nella seconda, sul lago artificiale di Augusto, per ricordare la vittoria degli ateniesi sui siracusani venne allestita una piccola isola dove i naumacharii vi sbarcarono e successivamente la espugnarono. Particolarmente famosa è rimasta la naumachia fatta organizzare da Claudio nel 53 d.C. sul lago Fucino per celebrare il termine dei lavori della costruzione dell’emissario del Liri fatto costruire per la grande bonifica del luogo. Sebbene lontano oltre 100 Km da Roma l’evento richiamò un foltissimo pubblico dalle città vicine e da tutta la capitale. Sul lago Fucino era stata organizzata la più maestosa delle battaglie navali mai organizzata tra la flotta rodiese e la flotta siciliana. Si affrontavano su 100 navi 19.000 guerrieri, probabilmente criminali, che come racconta Tacito “combatterono con un coraggio degno di soldati valorosi non risparmiando né se stessi né gli avversari”, mentre sulle rive erano appostati i pretoriani pronti ad intervenire contro quei combattenti che si mostravano incerti o riottosi. Un tritone d’argento appariva in mezzo al lago al momento opportuno per dare con la tromba il segnale della battaglia.
    Queste battaglie dovevano costare ingenti somme sia per l’organizzazione della battaglia stessa, sia per l’allestimento dello specchio d’acqua in cui si dovevano svolgere questi combattimenti. Per le enormi spese, per difficoltà tecniche e per motivi igienici a causa dei miasmi provocati dalle acque stagnanti, le naumachie non venivano rappresentate frequentemente come le altre forme di spettacolo ma soltanto per celebrazioni eccezionali. In seguito le naumachie non vennero quasi più organizzate forse perché era diventato impossibile competere con la maestosità di quelle precedenti ma, molto più probabilmente, a causa delle voragini aperte da queste stravaganti rappresentazioni nelle casse statali e nelle casse private di ricchi e imperatori.