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    1.6.1966, radiazione del sommergibile Giada

    di Carlo Di Nitto

    Battello della classe 600, serie “Platino”, il regio sommergibile “Giada” dislocava 712/865 tonnellate (emersione/immersione). Impostato il 16 ottobre 1940 presso i Cantieri C.R.D.A di Monfalcone, era stato varato il 10 luglio 1941 ed era entrato in servizio il 6 dicembre successivo.
    Dislocato a Cagliari, dopo un lungo periodo di addestramento, compì la prima missione di guerra nella prima metà del giugno 1942 operando tra le isole Baleari e la costa algerina, al fine di contrastare le operazioni di rifornimento a Malta. In particolare, il 14 giugno, con un’ardita azione tentò il siluramento della portaerei “Eagle”. Nel successivo mese di agosto, durante la “Battaglia di Mezz’Agosto”, venne avvistato ed attaccato da un aereo mentre si immergeva. A causa dei danni subìti, fu costretto a riemergere ma riuscì a far desistere l’aereo dall’attacco dopo averlo danneggiato. Poco dopo fu nuovamente attaccato da un altro aereo con bombe e mitragliamento. La precisa reazione del “Giada” riuscì ad abbattere l’aereo, ma nell’azione rimase ucciso il sottocapo cannoniere Francesco Nacca ed altri marinai rimasero feriti. Il battello fu costretto a rifugiarsi temporaneamente nel porto spagnolo di Valencia dove sbarcò la salma del Caduto e, in sole sette ore, effettuò delle riparazioni indispensabili per la navigazione ed il rientro alla base.

    Nella foto il “Giada”, dipinto con la caratteristica pitturazione mimetica, è ripreso in fase di semi affioramento, verosimilmente durante i lavori del periodo 1942 – 1943.

    Tornato in servizio dopo un ciclo di lavori, il 23 gennaio 1943 avvistò un grosso piroscafo fortemente scortato. Lanciò una salva di quattro siluri e dovette immediatamente disimpegnarsi immergendosi. L’esito di questa azione non è noto.
    All’atto dell’armistizio, obbedendo agli ordini ricevuti, l’11 settembre 1943 diresse su Bona (Algeria) dove si consegnò agli alleati. Successivamente si trasferì a Malta.
    Rientrato a Taranto nel mese di ottobre, effettuò un lungo turno di lavori. Nell’aprile 1944 fu inviato a Colombo, nell’isola di Ceylon, per addestramento di unità aeronavali alleate. Nell’ottobre successivo ritornò a Taranto dove rimase inattivo fino al termine del conflitto.
    Con la firma del trattato di pace doveva essere consegnato alla Francia che vi rinunciò imponendone però la demolizione. Quindi, nel 1948 venne radiato e disarmato. Per impedirne la demolizione, fu trasformato in pontone di carica e denominato V. 2. In realtà si trattò di uno stratagemma per continuare ad addestrare i sommergibilisti italiani nonostante le severe clausole del trattato di pace. Il battello effettuava uscite notturne per tornare a fingersi pontone di carica durante il giorno,
    Il 1° novembre 1952, in seguito all’ammissione dell’Italia nella N.A.T.O., fu reiscritto nei quadri del Naviglio Militare e rimesso in servizio, denominato nuovamente “Giada”.
    Nel periodo 1952 – 1953, effettuò importanti lavori di trasformazione allo scafo e cambiamenti (eliminazione delle artiglierie, modifica della falsatorre, installazione del radar e altre) che comportarono anche un leggero aumento del dislocamento. Trasformato in unità cacciasommergibili e addestrativa per le nuove generazioni di sommergibilisti, fu anche intensamente impiegato per compiti addestrativi delle unità di superficie.
    Venne definitivamente radiato il 1° giugno 1966 e avviato alla demolizione.
    ONORE AI CADUTI!

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    Salvatore Uttaro (Gaeta, 20.4.1920 – Gaeta, 13.1.1991)

    di Alberico Uttaro

    (Gaeta, 20.4.1920 – Gaeta, 13.1.1991)

    … riceviamo e con immenso orgoglio misto a commozione pubblichiamo.

    Buongiorno Ezio,
    frequentando il suo blog mi sono permesso di inviare alcune foto.
    Le prime riguardano mio padre Salvatore, nato a Gaeta il 20 aprile 1920 ed ivi deceduto il 13 gennaio 1991 che ha partecipato alla Seconda Guerra mondiale.

    Le ultime due foto sono di mio padre e mio zio fatta prima di partire per il fronte 26 agosto 1942.


    Quello che è scritto dietro è stato scritto da mio padre Salvatore Uttaro Salvatore, lui ritornò a casa, rimase prigioniero nelle colonie Africane per parecchio tempo, mio zio invece Antonio Uttaro (1) morì a Corfù,  per il bombardamento del regio cacciatorpediniere Stocco (2) dove, a firma Carlo Di Nitto Carandin, avete riportato la sua storia.

    (1) https://www.lavocedelmarinaio.com/2023/04/antonio-uttaro-gaeta-30-4-1926-corfu-24-9-1943-7/

    (2) https://www.lavocedelmarinaio.com/2022/09/24-9-1943-viene-affondata-regia-nave-stocco/

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    C’era una volta la leva obbligatoria

    di Antonio Ippolito Works (*)
    Già pubblicato nel 2010


    Si era chiamati alle visita medica di leva al compimento dei 18 anni (circa) e se dichiarati idonei si svolgeva servizio obbligatorio in marina, esercito o aeronautica solitamente con incarichi di bassa responsabilità (servizi) o incarichi di servizio nei corpi di combattimento (ad esempio fuciliere); solitamente dalla visita all’arruolamento passava al massimo un anno. L’esito delle visite, effettuate da medici militari, (che duravano due o tre giorni a seconda dei casi) poteva essere di tre tipi:

    *
     Idoneo al servizio militare. In questo caso era, ovviamente, previsto l’arruolamento.
    Rivedibile. In questo caso il coscritto era invitato a ripresentarsi l’anno seguente per effettuare nuovamente le visite in quanto giudicato temporaneamente inabile. Nel caso tale infermità perdurasse anche alla seconda visita il soggetto veniva riformato.
    Riformato. Questo giudizio sanciva la permanente inidoneità al servizio militare.

    L’esonero (o dispensa) al servizio militare (diverso dalla riforma, in quanto non prevedeva l’effettuazione degli accertamenti medici) era previsto solo per alcune situazioni familiari:
    * Figlio o fratello di militare deceduto in guerra;
    * Fratello di militare deceduto durante la prestazione del servizio;
    * Orfano di entrambi i genitori;
    * Vedovo o celibe con prole;
    * Arruolati con prole;
    * Unico fratello convivente di disabile non autosufficiente;
    * Primo figlio maschio di genitore invalido per servizio o caduto in servizio;
    Terzo (o successivo) figlio maschio se (almeno) due fratelli avevano già assolto completamente il servizio di leva;
    * Responsabile diretto della conduzione di impresa familiare.

    L’esenzione era anche prevista per i ministri di culto delle religioni ammesse dallo Stato che lo richiedessero, e per i membri di organismi internazionali all’estero regolati da apposita convenzione su immunità e privilegi regolarmente ratificata.
    Gli studenti delle scuole superiori e gli studenti universitari (per i quali era previsto un numero minimo di esami da superare per sessione per non perdere il beneficio) potevano domandare il rinvio del servizio ma non della visita (che comunque portava via, come accennato, solo 3 giorni – da qui l’appellativo di “tre giorni” usato come sinonimo di “visita militare”); negli ultimi anni fu ammesso anche il rinvio della visita.

     

    Pro e contro

    Tra le argomentazioni favorevoli alla leva vi sono queste:

    * La leva favoriva la conoscenza, soprattutto per i giovani di realtà disagiate, di aree lontane, e favorì anche l’integrazione linguistica;
    * La leva garantiva un costante afflusso di soldati a costi non elevati;
    * La leva favoriva lo sviluppo psicofisico dei giovani;
    * Secondo alcuni medici, l’abolizione della leva obbligatoria (con conseguente abolizione dell’obbligo di visita medica), non permetterà di identificare alcune patologie dell’apparato riproduttivo maschile che, molto spesso a causa di pigrizia o pregiudizi da parte dell’interessato, venivano identificati proprio dai medici militari durante la visita. Tra le patologie più comunemente riscontrate, la più frequente era il varicocele.

    Tra le argomentazioni contrarie si distinguono:

    * La leva era un’imposizione contro la libertà personale; alcune ideologie (come il pacifismo e l’antimilitarismo) erano contrarie per motivi legati alla loro etica;
    * La leva sottraeva tempo utile alla vita civile;
    Sovente durante il servizio di leva non venivano rispettati i diritti umani dei militari, in particolare le reclute venivano vessate da militari più anziani, spesso anch’essi di leva, con atti di bullismo e violenza. Queste pratiche, dette nonnismo poiché esercitate dagli anziani (nonni), hanno provocato anche numerosi decessi nella centenaria storia della leva militare in Italia.

    In alternativa al servizio militare si poteva quindi chiedere di svolgere il cosiddetto servizio civile (nel caso degli obiettori di coscienza) dopo la dichiarazione di idoneità; chi si rifiutava di effettuare alcun tipo di servizio (obiezione totale) veniva dichiarato renitente alla leva e successivamente disertore. La possibilità di usufruire del servizio civile è stata contemplata con un’apposita legge nel 1972, prima di tale data chi si dichiarava obiettore di coscienza veniva considerato renitente alla leva e trattato di conseguenza.

    La sospensione della leva militare obbligatoria (non l’abolizione, visto che sarebbe stata necessaria una legge costituzionale di modifica del discusso articolo 52 che definisce “sacro dovere” la difesa della Patria e il servizio di leva obbligatorio nei termini di legge), che ha introdotto anche la possibilità di arruolamento delle donne è stata disposta con il Decreto legislativo 8 maggio 2001 n. 215 del secondo governo Amato, che recepì leggi del 1999 e del 2000 e introdusse nuove norme sul rinvio degli ultimi coscritti. Tale sospensione, inizialmente prevista dopo la fine del dicembre 2006, ha avuto i termini di applicazione anticipati di due anni con la Legge 23 agosto 2004, n. 226 dal secondo governo Berlusconi; con il decreto legge del 30 giugno 2005 n.115, il 1º luglio 2005 è stata messa completamente fine all’obbligatorietà, permettendo ai soldati di leva di fare domanda per la cessazione del servizio. Una ricomparsa della leva è possibile solo in caso di carenza di soldati, e solo in caso di gravissime crisi internazionali in cui l’Italia sarebbe direttamente coinvolta sul proprio territorio. L’ultima classe chiamata a prestare servizio militare è stata quella dei nati nel 1985, tuttavia molti di questi (ma anche molti nati di anni precedenti), avendo rinviato per motivi di studio, non sono mai partiti; infatti dal 1 gennaio 2005 l’arruolamento è divenuto esclusivamente su base volontaria e a carattere professionale (VFP1).

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    Le P250

    di Giuseppe Procopio (*)

    Racconti e ricordi che tornano.

    Un po’ di tempo fa, scesi in spiaggia, alcuni marinai del luogo avevano messo in mare la loro barca.
    Uno di loro era intento ad avviare il motore fuori bordo dopo aver collegato il serbatoio del carburante. Tirava la classica cordicella, provò più volte, ma il motore non si avviava e,  tra  imprechi e piccole volgarità colorite tipiche dei marinai, provava e riprovava. Poi aprì il coperchio, diede una veloce controllata,  sistemò la regolazione del flusso carburante e si augurò a voce alta che tutto fosse a posto. Richiuse il tutto e ritentò.
    Con soddisfazione il motore si avviò e in poco tempo con gli altri marinai, guadagnarono il largo…Li osservavo attentamente e nella mia mente fece capolino un ricordo di esperienze simili vissute a bordo di nave Vesuvio durante le comandate delle squadre SAM e SAP, quando per esercitazione si dovevano o meglio si cercava di mettere in moto le P250.
    Le pompe Barellabili (trasportabili), che avevano in dotazione, un motore a scoppio e una cordicella, erano simili alla piccola imbarcazione di quei marinai. Una struttura tubolare cubica, o quasi, conteneva una pompa aspirante e un motore che la azionava. La  usavamo, di massima,  quando non era possibile usare le pompe EMU in quanto queste avevano bisogno della corrente elettrica e anche locali attrezzati specie in casi di emergenza.
    In estrema sintesi per l’accensione occorreva una cordicella che, come quella del motore della lancia, serviva dunque a fare avviare il motore.  Ebbene, quella pompa non si era mai avviata al primo colpo… e anche noi bordo imprecavamo con piccole volgarità tipiche dei marinai, e si provava e riprovava, proprio come quel marinaio…
    Un po’ di manutenzione e la P250 si avviava. Non senza le perplessità dell’Ufficiale Tecnico in comando…
    Non avevo molta dimestichezza, ero appena imbarcato ed era un po’ come ritornare a scuola ed imparare per gradi una nuova materia. Come componente del reparto Genio Navale tutto questo era il mio pane quotidiano.
    Certi episodi di vita vissuta a bordo ancora oggi mi danno un senso di felicità, vissuti  nel tempo e tramandati agi nuovi arrivati, un patrimonio per certi versi indelebile, una solida eredità che rafforza e tempra il carattere dei marinai.
    C’è un proverbio che recita “tenta e ritenta, sarai più fortunato”.
    Sembrava proprio scritto per i marinai di tutto il mondo.

    (*) Per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.