Marinai di una volta

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    3.8.1943, la regia nave Città di Catania “finiu a tri tubi

    dalla pagina facebook Centro Storico Pedonale – Catania
    segnalata da Sergio Platania

    …e l’origine dell’espressione “fi­niu a tri tubi” (*)

    Rarissima foto della nave “Città di Catania”, presumibilmente del 1910 prima del varo.

    L’unità è impostata il 14 aprile 1909 nei cantieri Ansaldo, Armstrong & Co. di Sestri Ponente (numero di cantiere 157) ed iscritta con matricola 43 al Compartimento Marittimo di Palermo, l’unità faceva parte di una serie di quattro veloci piroscafi passeggeri ordinati dalle Ferrovie dello Stato.
    Il 23 maggio 1910 l’unità viene varata nei cantieri Ansaldo, Armstrong & Co. di Sestri Ponente (Genova).
    Fin dalla costruzione era previsto, nei piani della Regia Marina, che in caso di guerra le quattro navi sarebbero state requisite, armate ed impiegate come incrociatori ausiliari. Per questo motivo nel 1911-1912 la nave, requisita ed armata come incrociatore ausiliario, conobbe il suo primo impiego operativo durante la guerra italo-turca. Il 10 aprile 1912, in particolare, l’unità partecipò, insieme agli incrociatori corazzati Carlo Alberto e Marco Polo, al similare incrociatore ausiliario Città di Siracusa, al cacciatorpediniere Fulmine ed alla torpediniera Alcione, ad un bombardamento della città di Zuara (centro di contrabbando di materiali bellici per le truppe ottomane), seguito da uno finto sbarco simulato dai piroscafi Sannio, Hercules e Toscana.
    Con l’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale il Città di Catania venne nuovamente requisito, armato con 4 cannoni da 120/47 mm e due da 47/40 mm ed iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato come incrociatore ausiliario. Il 24 maggio 1915 la nave non era ancora pronta, ma entrò presto in servizio.
    Il 12 agosto 1915 il Città di Catania era in crociera di blocco ad est di Brindisi, quando, verso mezzogiorno, venne bersagliato dal sommergibile austro-ungarico U 3 con il lancio di un siluro. Evitata l’arma, l’incrociatore ausiliario passò al contrattacco e speronò l’U-Boot che si stava immergendo, senza tuttavia riuscire ad affondarlo. Nella notte successiva il danneggiato U 3 fu affondato a cannonate dal cacciatorpediniere francese Bisson, uscito da Brindisi insieme agli italiani Abba e Mosto per dare la caccia al sommergibile.
    Nel pomeriggio del 6 dicembre la nave, al comando del capitano di fregata Sorrentino, lasciò Taranto insieme agli esploratori Quarto e Pepe, ai posamine Minerva e Partenope ed ai cacciatorpediniere Borea, Abba, Nievo e Nulloper scortare a Valona un convoglio (trasporti truppe Dante Alighieri, America, Indiana, Cordova e trasporto militare Bengasi) con a bordo 400 ufficiali, 6300 tra sottufficiali e soldati e 1200 cavalli: il convoglio giunse a destinazione alle 8 del 7 dicembre.
    L’11 dicembre 1915 il Città di Catania salpò nuovamente da Taranto per scortare a Valona, insieme ai posamine Minerva e Partenope ed a 6 cacciatorpediniere, un convoglio composto dai piroscafi Dante Alighieri, America, Cordova, Indiana e Valparaiso carichi di rifornimenti destinati alle truppe italiane operanti in Albania (5.000 uomini, 900 animali, più carriaggi e rifornimenti). Il convoglio, dopo una navigazione notturna, arrivò in porto il 12 dicembre.
    Il 23 febbraio 1916 l’incrociatore ausiliario (al comando del capitano di fregata Guida R.), insieme al similare Città di Siracusa ed ai cacciatorpediniere Ardito, Irrequieto e Bersagliere, giunse nella baia di Durazzo ed iniziò a bombardare con le proprie artiglierie le truppe austroungariche in avanzata, che stavano per occupare il porto albanese, in via di abbandono. Il 26 febbraio la nave (insieme a Libia, Città di Siracusa, Città di Sassari ed agli anziani arieti torpedinieri Puglia ed Agordat), mantenendosi alla fonda, bombardò anche le postazioni avversarie a Capo Bianco, Rasbul, quota 200, nonché le alture dei dintorni, la diga e la strada per Tirana, sempre nell’ambito delle operazioni di evacuazione di Durazzo.
    Verso la metà del 1916 l’unità venne destinata al gruppo incrociatori ausiliari Brindisi, insieme alle unità Città di Cagliari, Città di Siracusa, Città di Sassari e Città di Messina (incrociatore 1909).
    Successivamente al termine del primo conflitto mondiale la nave venne restituita alle Ferrovie dello Stato, riprendendo il servizio di linea. Successivamente venne ceduta alla Società Anonima di Navigazione Tirrenia. In tempo di pace il Città di Catania fu impiegato nel servizio postale di linea.
    Nel 1933 la nave prese parte, con compiti di appoggio, alla celebre crociera aerea atlantica degli idrovolanti di Italo Balbo.
    Il 10 giugno 1940, l’Italia entra nella seconda guerra mondiale. A differenza che nel conflitto precedente, il Città di Catania non verrà nemmeno requisito, e continuerà ad essere utilizzato prevalentemente in servizio civile di linea; tuttavia, sarà anche spesso utilizzato come trasporto truppe per conto del Ministero della Guerra, soprattutto nella seconda di metà del 1942 e nel 1943. Gli sarà assegnato il nome in codice «Calore».
    A partire dal 7 novembre 1941 la nave venne noleggiata dalla Tirrenia alla società consociata Adriatica, che sino alla sua tragica perdita la impiegò sulla rotta da Brindisi a Durazzo.
    Alle 5.33 del 3 agosto 1943 il Città di Catania lasciò Durazzo diretto a Brindisi con a bordo 407 passeggeri civili e militari e 105 membri dell’equipaggio (tutti civili). Alcune ore dopo la nave, giunta ormai in vista della costa pugliese, venne avvistata dal sommergibile britannico Unruffled, che le lanciò due siluri: alle 10.45 le armi andarono a segno, raggiungendo il Città di Catania sul lato sinistro, a centro nave, e provocando la rottura della chiglia. Spezzato in due, il piroscafo s’inabissò nel giro di due minuti a 8 miglia per 40° dal semaforo di Brindisi (in posizione 40° 30′ 30″ N e 18° 04′ 30″ E), trascinando con sé la metà esatta delle persone a bordo. Oltre alla rapidità dell’affondamento, il gran numero delle vittime fu dovuto al fatto che molti dei passeggeri erano sistemati nel salone centrale, proprio all’altezza del punto in cui colpirono i siluri.
    Le numerose unità minori (tra cui una pilotina, il rimorchiatore Galliano e quattro motopescherecci/dragamine ausiliari) che stavano conducendo operazioni di dragaggio fuori Brindisi accorsero prontamente sul posto, salvando 200 passeggeri e 56 membri dell’equipaggio.

    Scomparvero con la nave 49 membri dell’equipaggio (compreso il comandante) e 207 passeggeri.

    (*) “FINIU A TRI TUBI”:
    Un’e­spres­sio­ne dif­fu­sa fra ge­ne­ra­zio­ni vec­chie e nuo­ve, so­prat­tut­to nel­la zona orien­ta­le del­l’i­so­la, e che deve la sua ori­gi­ne proprio alla storia della nave.
    Tra il 1909 e il 1910, in­fat­ti, quando ven­ne co­strui­to il pi­ro­sca­fo, i suoi tre gros­si co­mi­gno­li colpirono su­bi­to l’at­ten­zio­ne del­la cit­ta­di­nan­za, che quindi so­pran­no­mi­nò la nave “la tre tubi”.
    La fine spia­ce­vo­le del piroscafo, ri­ma­se im­pres­sa nel­la men­te del­la po­po­la­zio­ne siciliana al pun­to che fino ad oggi, quan­do qual­co­sa va stor­to, vie­ne im­me­dia­ta­men­te as­so­cia­ta al ce­le­bre mez­zo di tra­spor­to, seb­be­ne non tut­ti ne sap­pia­no an­co­ra rin­trac­cia­re l’e­ti­mo­lo­gia.

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    3.8.1881, impostazione regia nave Francesco Morosini

    di Carlo Di Nitto

    La regia corazzata di 1^ classe ”Francesco Morosini”, classe “Ruggiero di Lauria”, dislocava 11.726 tonnellate. Costruita nei Cantieri dell’Arsenale Militare di Venezia, fu impostata il 3.8.1881, varata il 30.7.1885, entrò in servizio il 21.8.1889. A causa delle lungaggini nella costruzione, con le gemelle, era già tecnicamente superata al momento del varo e per questo ebbe vita breve senza avvenimenti di rilievo nella sua attività.
    Nel 1907 prima di essere posta in disarmo, per ordine del Ministero della Marina e al fine di raccogliere dati interessanti le future costruzioni navali, effettuò diversi tiri con proiettili carichi e scarichi con i pezzi da 431 mm. degli impianti prodieri e poppieri puntati orizzontalmente nella direzione più prossima possibile alla linea di chiglia per verificare gli effetti della concussione prodotta dai grossi calibri sulle strutture della nave. Tali esperimenti furono effettuati il 6 settembre 1907. Ripropongo questa interessante foto che riprende l’unità proprio in tale occasione.


    Posta in disarmo tre giorni dopo, fu radiata nel 1909. Subito impiegata come bersaglio per esperimenti di siluri e di artiglierie, venne affondata il 15.9.1909.
    Il suo motto fu: “Frangar non flectar” (mi spezzo, ma non mi piego).

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    2.8.1940, entra in servizio la regia nave Vittorio Veneto

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    La regia nave Vittorio Veneto, assieme alle gemelle Littorio, Roma e Impero costituiva la classe “Littorio”. Impostata nel 1934, fu varata a Trieste e completata nel 1940. Progettata dal Generale Pugliese e considerata insieme alle altre della stessa classe, fra le migliore unità in dotazione.

    Fra le numerose operazioni di guerra alle quali partecipò la regia nave Vittorio Veneto sono da ricordare:
    – scontro di Capo Teulada del 27 novembre 1940;
    – intercettazione delle Forze navali Britanniche, che proveniente da Gibilterra aveva bombardato Genova l’8 febbraio 1941;
    – scontro di Gaudo del 28 marzo 1941, ove combatté, prendendo sotto il suo tiro, i quattro incrociatori britannici provenienti dal Pireo che tentavano di attrarre le forze navali italiane verso la flotta del Mediterraneo, forte di tre corazzate e di una portaerei provenienti da Alessandria. Al tramonto del 28, attaccata dai bombardieri e dagli aerei siluranti della portaerei, la regia nave Vittorio Veneto, a ponente di Creta, fu colpita a poppa da un siluro e imbarco 4.000 tonnellate d’acqua. Tuttavia poté raggiungere Taranto con i propri mezzi navigando a 19 nodi e conservando la piena efficienza bellica di tutti i servizi;
    – il 13.12.1941 subì siluramento da parte del sommergibile inglese Urge (40 marinai deceduti)
    – operazione mezzo giugno dal (da 14 al 16 del 1942) nel Mediterraneo Orientale.

    La regia nave Vittorio Veneto nel secondo conflitto mondiale partecipò a ben 56 missioni e percorse 18.000 miglia.
    Dopo l’armistizio del settembre 1943, dopo una breve sosta a Malta, fu internata nei Laghi Amari in Egitto dove rimase fino al febbraio 1937 con l’augurio di un successivo reimpiego che non avvenne mai perché l’unità, in base al trattato di pace, fu assegnata alla Gran Bretagna che considerò i costi della sua demolizione altissimi, rinunciandone l’assegnazione.
    Rientrò in Italia e fu disarmata, radiata e demolita a La Spezia il 3 gennaio 1948.
    Le lettere di ottone che componevano il nome scritto sulla poppa, sono adesso in mostra presso il Museo navale di Venezia.
    Dello stesso argomento sul blog
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2016/01/3-1-1948-la-regia-nave-vittorio-veneto%e2%80%a8-viene-posta-in-disarmo/

    Caratteristiche tecniche
    Cantieri: C.R.D.A. Trieste
    Impostazione: 28.10.1934
    Varo: 25.7.1937
    In servizio: 2.8.1940
    Radiazione: 1948
    Dislocamento: – Normale: 43.835 t – Pieno carico: 45.963 t
    Lunghezza: 237,8 ( f.t.) – 224,5 ( pp.) m
    Larghezza: 32,9 m
    Immersione: 10,5 m
    Apparato motore: 8 caldaie – 4 turbine – 4 eliche
    Potenza: 140.000 HP
    Velocità: 30 nodi
    Combustibile: 4.000 t di nafta
    Autonomia: 3.920 a 20 nodi
    Protezione: – Verticale: 350 mm. – Orizzontale: 207 mm.
    Artiglierie: 350 mm.
    Torrione: 260 mm.
    Armamento: – 10 pezzi da 381/50 mm. – 12 pezzi da 152/55 mm. – 4 pezzi da 120/40 mm. – 12 pezzi da 90/50 mm. – 20 pezzi da 37/54 mm. – 30 pezzi da 20/65 mm. – 3 aeroplani
    Equipaggio: 1920.

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    2.8.1916, affonda la regia corazzata Leonardo da Vinci

    di Claudio Confessore

    Sono passati 107 anni dal 2 agosto 1916 ed andrà in scena la solita storia sull’affondamento della Corazzata Leonardo da Vinci.

    Improvvisati esperti di storia, per il solo fatto di aver indossato una divisa, diranno che si trattò di un attentato e metteranno in relazione l’accaduto con il famoso “colpo di Zurigo(*). Cadranno dalle nuvole anche ex marinai e tarantini che dichiareranno di non sapere che nella centralissima villa Peripato quel monumento con il busto di Leonardo da Vinci è dedicato alla nave e non al grande ingegnere, pittore e scienziato italiano. Collocato nel quadrato Ufficiali della Leonardo fu ritrovato 5 anni dopo l’affondamento e fu donato nel 1928 dall’allora Comandante in Capo del Dipartimento Ammiraglio di Squadra Ugo Conz al podestà di Taranto Giovanni Spartera. Anche sul numero dei Caduti, nei vari libri ed articoli, ci saranno variazioni che vanno in media da 248 a 270 ed alcuni continueranno a scrivere che nella tragedia morirono molti giovani tarantini. Poi arriveranno gli articoli sullo scandalo del verdetto finale del processo in cui furono assolti tutti i colpevoli. Per finire si scriverà e parlerà del recupero della corazzata e della grande professionalità degli operai dell’Arsenale Marittimo di Taranto.
    Ebbene, nella confusione più assoluta fatta da improvvisati storici navali o storici locali che scrivono solo per sentito dire, vediamo se è possibile fare un po’ di chiarezza sull’argomento.

    1 – OPERAZIONI DEL RECUPERO DELLA CORAZZATA
    È l’unico argomento trattato adeguatamente da quasi tutti gli storici poiché non esiste alcun dubbio sulla grande professionalità di coloro che furono gli artefici del recupero della nave. Normalmente viene fatto solo il nome del Generale del Genio Navale Edgardo Ferrati il cui progetto per il recupero venne scelto il 26 ottobre 1916 fra i sei finalisti selezionati. Non tutti sanno però che il progetto Ferrati fu in seguito integrato da quelli dei Colonnelli del Genio Navale Rota e Russo e che i lavori furono seguiti localmente dal Maggiore del Genio Navale Giannelli coadiuvato dal Capitano del Genio Navale Celentano e dai Capi tecnici Cassetta e Fontana.

    Intorno alla Corazzata fu allestito un cantiere galleggiante costituito dalla nave supporto Anteo, due galleggianti che erano adibiti ad alloggi per gli operai, cinque pontoni con pompe e compressori per insufflare aria all’interno del relitto. La corrente era assicurata a tutti da due cavi sottomarini collegati alla centrale elettrica dell’Arsenale. I palombari del servizio bacino, sotto la guida attenta del Capitano del Genio Navale Andri, e tanti altri militari e civili dei Cantieri Tosi fecero miracoli per sistemare i cilindri di spinta, tamponare le falle, con le strutture metalliche approntate nel cantiere di Castellammare di Stabia, ed alleggerire la Leonardo da Vinci togliendo tutto ciò che era possibile; ricorrendo a volte ad idee geniali come l’impiego di una piastra speciale per consentire il tamponamento provvisorio di grandi dimensioni, progettata dal Colonnello del Genio Navale Bonfiglietti, a tenuta d’aria, oltre che d’acqua.
    Per 30 mesi lavorarono ogni giorno circa 150 tecnici militari e civili che consentirono di alleggerire la nave di 6 mila tonnellate portandola da 24 mila a 18 mila tonnellate. Fu portata, capovolta, nel bacino in muratura trainata da 4 potenti rimorchiatori e seguendo, in Mar Piccolo, un canale appositamente dragato, profondo 12,5 metri, largo 45 metri e lungo 2,5 km. Durante i lavori, purtroppo, morì un palombaro.
    Il mattino del 24 gennaio 1921, la nave fu riportata capovolta nel punto dove era affondata ed in cui era stata scavata dalle draghe una nuova buca di 20 metri in modo da farle compiere liberamente la rotazione per raddrizzarla. Alle 11 iniziano le operazioni di rotazione (a bordo restarono 5 uomini tra cui il Colonnello Giannelli per manovrare le valvole per imbarcare acqua di zavorra) alle 11.53 la corazzata ruota e si raddrizza.

    2 – I NUMERI ED I NOMI DEI CADUTI
    I Caduti furono in totale 249 di cui 21 Ufficiali. Solo 4 erano nati a Taranto (5 se consideriamo la Provincia). A richiesta possono essere forniti i nominativi.

    3 – TUMULAZIONE PRESSO IL FAMEDIO MILITARE
    Nel famedio di Taranto furono tumulati dopo l’incidente 53 uomini dell’equipaggio in cellette singole o collettive. Il Famedio è una costruzione destinata alla sepoltura o alla memoria di personaggi illustri e talvolta indica anche il luogo in memoria dei caduti in guerra. Il termine è un neologismo nato nel 1889 dal latino fama, “fama”, e aedes, “casa”, letteralmente significa “tempio della fama”.

    Il famedio fu distrutto dalle incursioni aeree americane su Taranto del 4, 5 e 29 agosto 1943. Ricostruito nell’attuale aspetto nel 1945.

    A seguito dei bombardamenti si riuscirono ad identificare solo 10 salme per cui 43 finirono nell’elenco dei “noti ignoti” poiché all’epoca non si faceva l’esame del DNA. I nominativi furono riportati su un nuovo cippo.

    Tutti gli storici sono concordi nell’affermare che il Comandante Picenardi morì 2 giorni dopo la tragedia. Sulla lapide del Famedio Militare è però riportata la data del 3 agosto (!!!).

    4 – LA TOPONOMASTICA ED I MONUMENTI DELLA CITTÀ DI TARANTO
    In ricordo della tragedia della corazzata Leonardo da Vinci a Taranto sono state intitolate:

    • il famedio militare;
    • il viale del cimitero del famedio;
    • una via in zona Lama;
    • la «rampa» Leonardo da Vinci;
    • monumento alla nave Leonardo da Vinci, nel giardino della villa Peripato

    5 – IL MONUMENTO ALLA CORAZZATA IN VILLA PERIPATO
    Chi nato a Taranto da piccolo non è mai andato a vedere alla villa Peripato il laghetto delle oche e delle papere? Chi non ha mai pattinato o andato in bici utilizzando lo spazio della rotonda della villa? Bene il monumento in ricordo della nave Leonardo da Vinci è lì vicino, impossibile non vederlo perché era la migliore zona in cui ci si poteva affacciare per vedere le navi ormeggiate in banchina Torpediniere. Ogni anno il 2 agosto l’evento viene ricordato a Taranto e ripreso dalle TV locali dal “Comitato per la Qualità della Vita” che opera in città da oltre 30 anni.
    A proposito del monumento della villa Peripato, di seguito è riportata una cartolina degli anni ’30 in cui si legge che è dedicato a Leonardo da Vinci e non alla Corazzata …l’ignoranza non è cosa moderna.

    Mettendo a confronto la fotografia della cartolina con una attuale, eseguita con la stessa angolazione, sembra che il “Leonardo” non guardi nella stessa direzione. La statua ha subito qualche modifica? Quando?

    6 – LA CORAZZATA E IL PRESUNTO ATTENTATO
    Se qualcuno va sul sito ufficiale della Marina Militare si accorge che è scritto che … “La nave andò perduta il 2 agosto 1916 mentre era all’ancora nel porto di Taranto per una esplosione interna a seguito di un incendio.” . non si fa riferimento a nessun attentato.

    Su un documento inglese del 1919 è riportato quanto segue:

    CB 1515 (24) – The Technical History and Index, Volume 2, Part 24 “Storage and Handling of Explosives in Warships” (October, 1919) CB 1515 (24) – The Technical History and Index, Volume 2, Part 24  “Storage and Handling of Explosives in Warships” (October, 1919)

    Già all’epoca, fra gli addetti ai lavori, circolava la voce che la causa fosse interna e non dovuta ad un attentato. Su una lettera del 20/8/1916 scritta dall’operaio Galante Romolo dei cantieri Tosi di Taranto ed indirizzata al cugino viene data la colpa dell’incendio al Capitano medico di bordo. L’operaio fu condannato a giorni 25 di detenzione e lire 50 di multa.

    7 – IL PROCESSO
    In merito al processo riporto alcuni passi della lettera del Ministero dell’Interno Direzione Generale della Pubblica Sicurezza. Ufficio Centrale d’Investigazione protocollo 1268 Posizione 479 del 26 maggio 1917 firmata dal Capo dell’Ufficio Centrale d’Investigazione.

    …omissis… “Emerge quindi dalle risultanze su esposte e da altre omesse per brevità che il Vincenzi ed il Criscuolo sono estranei al sinistro della R. Nave Leonardo da Vinci; poiché quanto formò in proposito oggetto delle trattative del Vincenzi cogli emissari austriaci…


    fu tutta una invenzione a lui suggerita dai Comandanti Laureati e Modena e dal Commissario Cimmaruta per sfruttare la credulità del nemico ai fini del nostro contro spionaggio.
    Risulta altresì che il Vincenzi non può in alcun modo aver tradotto quella suggestione fantastica in realtà criminosa poiché non ne ebbe la possibilità non essendosi nemmeno più recato a Taranto dopo che gli fu suggerito il nome della Leonardo da Vinci e perché tutta la sua condotta precedente e successiva al sinistro contrasta colla ipotesi di una sua partecipazione al fatto.
    Invero egli dà indicazioni erronee sul Comandante della nave, sul suo segretario, su una pretesa esplosione dolosa di un polverificio di Foggia, egli partecipa al Ministero della Marina i telegrammi relativi al termine fissato e poi prorogato per il colpo, non dà alcuna notizia dell’avvenuto affondamento della nave, né analoga notizia viene data dal presunto complice che non si fa vivo; e finalmente quando il Vincenzi è chiamato in Isvizzera e comunica alla autorità tale chiamata, parte per l’estero solo dietro autorizzazione e giunto a Zurigo cerca ogni via per comunicare con autorità italiane per avere istruzioni sul da farsi e finalmente, vistosi mancare ogni direttiva, ogni contatto per parte delle autorità italiane, decide di andare in fondo al giuoco pericoloso e si induce a recarsi a Vienna non senza però informare minutamente il Commissario sig. Cimmaruta di quanto gli è accaduto e di quanto sta per fare.
    Nulla di tutto ciò sarebbesi dovuto verificare se il Vincenzi fosse stato realmente autore del fatto. Nei documenti di Zurigo si sarebbero trovate prove della sua mistificazione verso il Ministero della Marina italiana e si sarebbero per contrapposto trovate esatte le indicazioni da lui date all’Austria.
    Egli non si sarebbe indotto a trasmettere a Zurigo le invenzioni suggeritegli, ma avrebbe rettificate le false notizie sul Comandante della nave e sul Segretario del medesimo (preteso correo) etc. non avrebbe comunicato all’Autorità i telegrammi relativi al termine fissato per l’attentato, non quello con cui lo si chiamava a Zurigo, avrebbe trovato modo (e non gli mancava il pretesto plausibile del commercio) di telegrafare convenzionalmente a Zurigo l’avvenuto disastro e di recarsi coll’espediente dei suoi negozi in Isvizzera senza mettere in sospetto l’autorità.
    Avrebbe preso opportuni accordi colla moglie, questa non avrebbe diffidato delle sue lettere per interposta persona ed avrebbe forse condotto con sé la famiglia. Non avrebbe poi con tanta insistenza implorati dalla Svizzera un colloquio col Cimmaruta e non avrebbe scritta la lettera del 24 settembre (alleg.)106
    E allora?
    Allora il Vincenzi ed il Criscuolo sono innocenti”
    omissis…

    8 – CONCLUSIONI
    Le vittime della tragedia furono 249 di cui 21 Ufficiali ed i nati a Taranto erano 4. La nave affondò a seguito di una esplosione come conseguenza di un incendio non affrontato adeguatamente il cui innesco è probabilmente da attribuire alla presenza di lattine di benzina sistemate all’interno dell’unità che presero fuoco e che si poteva estinguere l’incendio allagando subito e completamente i depositi munizioni e salvare la nave ma la condotta del comando e dell’equipaggio non fu tecnicamente corretta.

    La corazzata da Vinci, a seguito di un’esplosione si capovolse e affondò, ma grazie alla competenza e maestria del personale della Regia Marina e dell’Arsenale di Taranto venne riportata al galleggiamento e ancora capovolta venne introdotta in bacino, riparata e riportata in assetto.
    (*)  https://www.lavocedelmarinaio.com/2018/02/21-2-1917-colpo-di-zurigo/