di Marco Angelo Zimmile (*)
Articolo vincitore del concorso “Articoli storici 2005” – Associazione Italia Difesa
Lunghezza: 114,1 metri;
Gruppo motore: 2 reattori nucleari, da 70 megawatts ciascuno;
Armamento: 3 missili balistici R-13 con testate nucleari da 1,4 megaton e 8 tubi lanciasiluri;
Equipaggio: normalmente era composto di 125 persone, tra ufficiali e marinai, ma nel 1961 a bordo c’erano molti osservatori, per un totale di 139 persone.
Per il comando del K-19 era stato designato il comandante Mikhail Polenin, il quale fu in seguito declassato a comandante in seconda e sostituito da Nikolai Zatayev in quanto aveva giudicato il battello non pronto a prendere il mare ed aveva anteposto il battello ed i suoi uomini al partito. Ma le autorità del Cremlino evidentemente non erano dello stesso parere e vararono ugualmente il sottomarino nonostante le precarie condizioni di sicurezza del mezzo. Scopo principale della missione era di portarsi al di sotto del mar glaciale artico, emergere dai ghiacci ed effettuare un lancio di prova di un missile con testat nucleare per dimostrare agli Stati Uniti che anche la Russia era in grado di compiere non più solo una guerra navale ma anche marittima, cioè dal mare.
La prima missione ebbe buon fine, e subito dopo Mosca ordinò di portarsi al largo delle coste tra New York e Washington D.C., e ad una distanza di circa 130 km da una base NATO posta su una piccola isola in quelle vicinanze, allo scopo di posizionarsi in una zona strategica nel caso di guerra nucleare tra i due stati. E fu lì che avvenne l’irreparabile: avaria al reattore di poppa. La conseguenza fu un surriscaldamento del nocciolo che, se raggiunta la temperatura di mille gradi, avrebbe causato una fusione con la conseguente esplosione dei due reattori più le testate atomiche dei due missili balistici R-13 posti nei silos della vela. Grave pecca durante la costruzione fu non aver montato il sistema d’emergenza per il raffreddamento dei reattori, molto probabilmente neanche previsto in quanto i battelli nucleari erano in servizio da pochi anni e, come succede per una nuova tecnologia, ancora non si potevano fare previsioni sul corretto funzionamento del nuovo tipo di propulsione.
In seguito a queste vicende il K-19 fu riparato e riprese il suo ruolo operativo rimanendo in servizio ancora per qualche anno. Lo sfortunato sottomarino si trova adesso nella base di Murmansk in stato di completo abbandono.
Morirono in tutto:
– 10 persone durante la costruzione;
– 5 persone a causa di un incendio sviluppatosi all’interno del battello durante la navigazione;
– 6 persone a causa delle radiazioni assorbite all’interno della camera del reattore;
– 6 persone a causa delle radiazioni assorbite dopo che queste si erano propagate all’interno del battello.
27 morti.
Dal lontano 1961 passarono 28 anni. Con la caduta del comunismo i superstiti poterono raccontare la sfortunata storia del primo sottomarino nucleare lanciamissili sovietico.
Curiosità
Dopo l’incidente del 1961 il K-19 fu ribattezzato “Hiroshima”.
Nel novembre 1969 “Hiroshima” andò a sbattere contro l’USS Gato (SSN-615) che lo stava “seguendo”, il colpo lo spinse a immergersi a prua in giù tanto da far cadere un libro (Astronomia per la navigazione) sulla testa del comandante Valentin Anatolieviç Shabanov in quel momento disteso sulla sua cuccetta. La collisione mise fuori uso il sonar prodiero e schiacciato i portelli dei tubi di lancio. Il sottomarino sopravvisse. Nel febbraio 1972 una grave avaria all’impianto di propulsione colpisce “Hiroshima” a circa 600 miglia a NE di Newfoundland. In quell’occasione morirono 26 uomini fra ufficiali e marinai, altri 12 uomini aspettavano la morte chiusi nel compartimento di poppa del sottomarino, impossibilitati ad attraversare i locali pieni di gas. Rimasero là 23 giorni fino all’arrivo alla base.
I missili imbarcati (conosciuti nella NATO come SS-N-4 “Shark”) erano bistadio a propellente liquido, lunghi 15 metri, avevano un diametro di 1,8 metri, pesavano 18 tonnellate ed avevano una gittata di 700 km; il singolo missile era contenuto in un cilindro che fungeva da pozzo di lancio e occupava l’altezza del battello dalla chiglia al “tetto” della vela.
Esiste un film sul K-19, interpretato da Harrison Ford (Zatayev, ma il nome fu cambiato in Alexej Vostrikov, non so il perchè) e Liam Neeson (Mikhail Polenin), diretto da Katherine Bigelow, a mio avviso fatto molto bene e di cui consiglio la visione. Il titolo è “K-19, The Widowmaker” (fabbricatore di vedove).
(Tratto dalla rivista telematica “Dall’Alfa allo Zulu” n.11)
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