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La storia vera del K-19

di Marco Angelo Zimmile (*)

Articolo vincitore del concorso “Articoli storici 2005” – Associazione Italia Difesa

Correva l’anno 1961, pieno periodo di guerra fredda. L’unione Sovietica, in quel periodo, possedeva armi nucleari sufficienti a distruggere il mondo due volte; l’America dieci volte. La marina americana aveva posizionato, a scopo di spionaggio, due sottomarini nucleari lanciamissili alla portata di Mosca e Leningrado (l’odierna San Pietroburgo) mettendo i membri del Politbjuro in seria preoccupazione. Fu presa quindi la decisione di varare il primo sottomarino sovietico lanciamissili a propulsione nucleare, il K-19, appartenente alla classe Hotel (il primo sottomarino a sola propulsione nucleare, il K3, faceva parte della classe November); lo scafo era simile a quello della classe November, la vela invece era la stessa di un convenzionale classe Golf. Le sue caratteristiche principali erano:

Lunghezza: 114,1 metri;
Gruppo motore: 2 reattori nucleari, da 70 megawatts ciascuno;
Armamento: 3 missili balistici R-13 con testate nucleari da 1,4 megaton e 8 tubi lanciasiluri;
Equipaggio: normalmente era composto di 125 persone, tra ufficiali e marinai, ma nel 1961 a bordo c’erano molti osservatori, per un totale di 139 persone.

Per il comando del K-19 era stato designato il comandante Mikhail Polenin, il quale fu in seguito declassato a comandante in seconda e sostituito da Nikolai Zatayev in quanto aveva giudicato il battello non pronto a prendere il mare ed aveva anteposto il battello ed i suoi uomini al partito. Ma le autorità del Cremlino evidentemente non erano dello stesso parere e vararono ugualmente il sottomarino nonostante le precarie condizioni di sicurezza del mezzo. Scopo principale della missione era di portarsi al di sotto del mar glaciale artico, emergere dai ghiacci ed effettuare un lancio di prova di un missile con testat nucleare per dimostrare agli Stati Uniti che anche la Russia era in grado di compiere non più solo una guerra navale ma anche marittima, cioè dal mare.

La prima missione ebbe buon fine, e subito dopo Mosca ordinò di portarsi al largo delle coste tra New York e Washington D.C., e ad una distanza di circa 130 km da una base NATO posta su una piccola isola in quelle vicinanze, allo scopo di posizionarsi in una zona strategica nel caso di guerra nucleare tra i due stati. E fu lì che avvenne l’irreparabile: avaria al reattore di poppa. La conseguenza fu un surriscaldamento del nocciolo che, se raggiunta la temperatura di mille gradi, avrebbe causato una fusione con la conseguente esplosione dei due reattori più le testate atomiche dei due missili balistici R-13 posti nei silos della vela. Grave pecca durante la costruzione fu non aver montato il sistema d’emergenza per il raffreddamento dei reattori, molto probabilmente neanche previsto in quanto i battelli nucleari erano in servizio da pochi anni e, come succede per una nuova tecnologia, ancora non si potevano fare previsioni sul corretto funzionamento del nuovo tipo di propulsione.
I sottufficiali consigliarono al Comandante Nikolai Zatayev di abbandonare il battello, dato che durante l’ultima immersione si era danneggiata l’antenna per le comunicazioni in bassa frequenza e non vi era modo di comunicare con la base della penisola di Kola, ma quest’ultimo si rifiutò ed ordinò alla squadra di guardia al reattore di tentare la riparazione modificando il sistema di raffreddamento e consentire di utilizzare l’acqua dolce che avevano a bordo, circa 30 tonnellate. Chiuso ermeticamente e fortemente radioattivo, il comparto del reattore, se aperto, emetterebbe una enorme quantità di radiazioni che investirebbero tutto il sottomarino. Eppure bisognava farlo, lo scoppio del reattore avrebbe innescato le testate dei missili e un’esplosione nucleare così vicina a una base NATO avrebbe potuto scatenare la Terza Guerra Mondiale. La squadra formata da sei uomini entrò a coppie di due nel reattore, ognuno di loro restò all’interno per 10 minuti. Indossavano tute per le sostanze chimiche in quanto sprovvisti di tute anti-radiazioni. Gli effetti possono essere facilmente immaginabili. Gli uomini avevano riportato forti ustioni ed assorbito una dose di radiazioni dieci volte superiore a quella letale. Per un certo tempo la riparazione resse, ma non a lungo. Nel frattempo il K-19 era stato trovato da un “destroyer” americano, che offriva loro aiuto, aiuto che fu rifiutato dal comandante Zatayev. Intanto, l’ufficiale addetto al reattore, Vadim Radtchenko, entrò da solo nel comparto del reattore portando a termine la riparazione ma restando all’interno per quasi venti minuti con conseguenze ben immaginabili.
Data la situazione, il comandante Zatayev decide di farsi dare aiuto dagli americani, sbarcare quindi gli uomini e affondare il sottomarino per non farlo cadere in “mani nemiche”, quando arriva in soccorso un sommergibile convenzionale russo. Contravvenendo agli ordini di Mosca, Zatayev fece sbarcare l’equipaggio sul sottomarino di soccorso il quale rimorchiò il K-19 fino alla base di Murmansk. Giunto in Russia l’intero equipaggio, primo fra tutti il comandante Zatayev, sospettato di tradimento, fu sottoposto a processo, ma fu assolto, grazie alla testimonianza del comandante in seconda Polenin e a quella del resto dell’equipaggio, ma non comandò più unità sottomarine né di superficie. I sei uomini entrati nel reattore morirono dopo pochi giorni e furono sepolti in bare di piombo a causa del forte tasso di radioattività che emanavano. Per loro fu chiesto sia dall’equipaggio che dai comandanti del K-19 il titolo di eroi dell’Unione Sovietica, proposta che fu rifiutata in quanto non si era, ufficialmente, in stato di guerra; l’accaduto fu catalogato come banale incidente ed indegnamente insabbiato dalle autorità del Politbjuro, ordinando a tutto l’equipaggio di mantenere il più assoluto silenzio sulla faccenda, pena trasferimento in un gulag. Il tenente Vadim Radtchenko, ufficiale responsabile al reattore, riuscì a sopravvivere solo dopo numerosi trapianti di midollo, ma rimase cieco e paralizzato.
In seguito a queste vicende il K-19 fu riparato e riprese il suo ruolo operativo rimanendo in servizio ancora per qualche anno. Lo sfortunato sottomarino si trova adesso nella base di Murmansk in stato di completo abbandono.
Morirono in tutto:
– 10 persone durante la costruzione;
– 5 persone a causa di un incendio sviluppatosi all’interno del battello durante la navigazione;
– 6 persone a causa delle radiazioni assorbite all’interno della camera del reattore;
– 6 persone a causa delle radiazioni assorbite dopo che queste si erano propagate all’interno del battello.
27 morti.

Dal lontano 1961 passarono 28 anni. Con la caduta del comunismo i superstiti poterono raccontare la sfortunata storia del primo sottomarino nucleare lanciamissili sovietico.

Curiosità
Dopo l’incidente del 1961 il K-19 fu ribattezzato “Hiroshima”.
Nel novembre 1969 “Hiroshima” andò a sbattere contro l’USS Gato (SSN-615) che lo stava “seguendo”, il colpo lo spinse a immergersi a prua in giù tanto da far cadere un libro (Astronomia per la navigazione) sulla testa del comandante Valentin Anatolieviç Shabanov in quel momento disteso sulla sua cuccetta. La collisione mise fuori uso il sonar prodiero e schiacciato i portelli dei tubi di lancio. Il sottomarino sopravvisse. Nel febbraio 1972 una grave avaria all’impianto di propulsione colpisce “Hiroshima” a circa 600 miglia a NE di Newfoundland. In quell’occasione morirono 26 uomini fra ufficiali e marinai, altri 12 uomini aspettavano la morte chiusi nel compartimento di poppa del sottomarino, impossibilitati ad attraversare i locali pieni di gas. Rimasero là 23 giorni fino all’arrivo alla base.
I missili imbarcati (conosciuti nella NATO come SS-N-4 “Shark”) erano bistadio a propellente liquido, lunghi 15 metri, avevano un diametro di 1,8 metri, pesavano 18 tonnellate ed avevano una gittata di 700 km; il singolo missile era contenuto in un cilindro che fungeva da pozzo di lancio e occupava l’altezza del battello dalla chiglia al “tetto” della vela.
L’arma, che fu il primo missile balistico ad essere progettato esclusivamente per l’impiego navale, divenne operativa nel 1958, ma poteva essere lanciata solo quando il battello era in superficie. Vennero installati per la prima volta a bordo di battelli classe Golf appositamente modificati.
Esiste un film sul K-19, interpretato da Harrison Ford (Zatayev, ma il nome fu cambiato in Alexej Vostrikov, non so il perchè) e Liam Neeson (Mikhail Polenin), diretto da Katherine Bigelow, a mio avviso fatto molto bene e di cui consiglio la visione. Il titolo è “K-19, The Widowmaker” (fabbricatore di vedove).
(Tratto dalla rivista telematica “Dall’Alfa allo Zulu” n.11)

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