segnalato da Enzo Turco
…un piccolo Stato catapultato in una Grande Guerra.
Una domanda ci viene subito spontanea: perché San Marino, stato di circa 30.000 abitanti, che dal XIII secolo gode di un lunghissimo periodo di pace, la cui indipendenza da allora è stata sempre rispettata e che rimane molto lontano dalla zona di guerra, decide di partecipare a questo conflitto che fin dall’inizio si annuncia come un’immane catastrofe?
In effetti non è stata una scelta politica o economica, è stata una decisione obbligata per tutta una serie di motivi.
Con l’inizio delle ostilità si verifica anche l’inversione del flusso migratorio con il rientro in Patria di moltissimi emigranti che rendono problematico e deficitario l’approvvigionamento alimentare. Nel 1914 e durante buona parte dell’anno successivo si riesce ancora a produrre grano e pane per tutti senza dover imporre limitazioni o controlli particolari, ma con l’entrata in guerra dell’Italia si profila un periodo abbastanza nero.
Per l’entrata in guerra è però decisivo l’atteggiamento piuttosto sospettoso e diffidente dell’Italia che vede in una neutralità della Serenissima un pericolo per la sua sicurezza.
Nei primi mesi del 1915 il governo italiano accusa quello sanmarinese d’aver istallato sul Monte Titano una stazione radio ritenuta pericolosa in quel particolare momento. In effetti la realizzazione è avvenuta nel ’14 ma per iniziativa privata di un certo professore Borbiconi che l’aveva istallata per puro piacere personale e che si affrettò a smontarla rapidamente quando capii che stava creando dei seri problemi diplomatici ai due governi.
Ma c’è anche dell’altro: l’Italia è seriamente preoccupata che un San Marino non belligerante avrebbe potuto dare asilo ai suoi disertori, ai renitenti alla leva o più semplicemente a chi voleva evitare il sequestro di animali e di quel materiale necessario per la difesa nazionale. Per dirimere i dubbi ed evitare che potessero insorgere polemiche durante il periodo bellico, proprio il 24 maggio 1915 l’Italia propone un accordo a San Marino in base al quale richiede al piccolo Stato l’adozione di una serie di provvedimenti a protezione della sua sicurezza. L’Italia si impegna a trattare i sammarinesi alla stessa stregua degli italiani e non come stranieri e di non sottoporre a sequestro i loro mezzi meccanici o i loro cavalli, come invece sta facendo agli Italiani.
In questa situazione e sull’onda degli eventi italiani anche a San Marino il popolo degli interventisti prese il sopravvento al punto che in un suo discorso lo stesso Reggente, Moro Morri, plaudì all’entrata in guerra dell’Italia che a suo dire ne sarebbe uscita “più forte e più grande di prima”, finalmente unita da nord a sud e non più monca dei territori irredenti.
Immediatamente nella Serenissima si forma un comitato che arruola volontari da inviare al fronte; le adesioni sono molte anche perché i Sanmarinesi, nel frattempo, si danno una ragione nazionale per l’intervento: sperano nell’assegnazione all’Italia dell’isola dalmata di Arpe dove nacque San Marino il fondatore del primo nucleo abitativo sul monte Titano.
A parte i volontari il governo della Repubblica non si fa coinvolgere direttamente nel conflitto almeno per i primi tempi durante i quali molti sanmarinesi rimangono uccisi sui campi di battaglia; fra essi Carlo Simoncini e Sady Serafini che muoiono da eroi durante l’avanzata sul Carso il 16 luglio, il primo, e il 12 ottobre, il secondo.
Solo nel 1917 il governo sanmarinese prende la decisione di una partecipazione attiva organizzando un ospedale da campo e inviandolo al fronte dove rimane operativa dall’ottobre 1917 fino a dicembre 1918 periodo durante il quale cambia ben sei postazioni tra Monfalcone, Treviso, Mestre e Gorizia.
Vengono curati ben 3.000 soldati feriti tra cui il futuro Premio Nobel per la letteratura, l’allora 19enne Hernest Hemingway. Autista di ambulanze per la Croce Rossa Americana viene ferito da una granata austriaca a Fossalta di Piave la sera dell’8 luglio 1918. Benchè ferito riesce a caricarsi sulle spalle il secondo autista e a cercare di portarlo in salvo. Ferito una seconda volta al ginocchio dai colpi di una mitragliatrice riesce a raggiungere l’ospedale sanmarinese dove riceve le prime cure. Trasferito in un ospedale americano delle retrovie viene a conoscenza di fatti di guerra che ignorava completamente come la disfatta di Caporetto. È proprio questo ultimo periodo di guerra che fa da sfondo alla storia d’amore che lui ci descrive mirabilmente nel suo romanzo più famoso quell’Addio alle armi che gli farà vincere il premio Nobel.
Alla fine il tributo di sangue versato dai giovani sanmarinesi è di tutto rispetto tanto che negli anni venti il governo della Serenissima decide l’erezione di un monumento ai caduti con incisi i nomi di quelli che non avevano fatto ritorno a casa.
La fine della guerra non porta a San Marino nulla di diverso da quello che porta all’Italia: una situazione economica precaria, instabile e pericolosa che crea i presupposti politici e sociali per l’ascesa e la presa del potere del Partito Fascista Sanmarinese negli anni venti del ‘900.
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Più o meno la stessa cosa che stanno facendo la Corea del Nord con gli USA