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    Vito My (Nardò (LE), 23.11.1918 – Mare, 20.1.1941)

    di Carlo Leone e Claudio Confessore

    (Nardò (LE), 23.11.1918 – Mare, 20.1.1941)

    Vito My nato a Nardò (LE) il 23.11.1918, figlio di Cosimo Damiano e Pasqualina Monetizzo.
    Arruolato quale iscritto di leva alla Regia Marina il 31.12.1937 in qualità di allievo cannoniere O.
    Classificato Comune di 1^ classe dal 1° novembre 1939.
    Imbarcato sul regio sommergibile Nani è deceduto il 20.1.1941 (disperso) in Oceano Atlantico.
    Unitamente a Vincenzo Spagnuolo e Salvatore Marra, l’Associazione Marinai d’Italia Gruppo di Nardò gli ha intitolato la sede sociale.

    Regio sommergibile Nani (classe Marcello)
    di Claudio Confessore
    Il battello è stato impostato il 15/1/1937 nei Cantieri C.R.D.A. di Monfalcone, varato il 16/1/1938 e consegnato il 5/9/1938.
Allo scoppio della Guerra il 10/6/1940 è dislocato a Napoli.
    In guerra ha effettuato 6 uscite operative:
    – 3 offensive e/o sorveglianza in Mediterraneo;
    – 3 offensive in Atlantico.
    Viene impiegato dal 10 al 13/6/1940 in agguato al largo di Capo Bengut (Algeria), dal 24 al 30/6/1940 in agguato al largo di Port Mahon e dal 15 al 22/7/1940 in Pattuglia al largo di Gibilterra.
    Il 29/9/1940 parte da Napoli dopo circa 2 mesi di lavori per adeguarlo ad operare in Atlantico e raggiungere la sua nuova destinazione a Betasom (Bordeaux).
    Il 4 ottobre attraversò lo Stretto di Gibilterra in immersione. Il 5/10/1940, durante il trasferimento, affonda al largo di Capo Spartel (situato a 14 km a ovest di Tangeri – Marocco) il piroscafo inglese “Kingston Shappire” (356 tons), l’unità colpita da 2 siluri affondò rapidamente.
    Dall’11 al 27 ottobre, il battello sostò in agguato nella zona a nord di Berdeaux ed il 27 avvistò il piroscafo svedese Maggie di 1583 tons isolato e senza bandiera e l’affondò con il cannone.
    Il 4/11/1940 entra con onore a Bordeaux.
    Riprende il mare il 13/12/1940, ma il 17 rientra per sbarcare l’Ufficiale in seconda ed un cannoniere rimasti gravemente feriti a seguito di una violenta ondata che aveva investito il battello. Nella notte fra il 16 e il 17, mentre è alla fonda a Pauillac (Gironde) e nella notte fra il 17 ed il 18, nel corso di un allarme aereo, abbatté un velivolo Gironda in attesa di entrare a Bordeaux, abbatte con le armi di bordo un aereo nemico.
    Riparte da Bordeaux il 20/12/1940 per una missione di agguato a ponente dell’Irlanda. Il suo rientro era previsto fra il 20/2/1941.
    Non rientra, e l’ultima comunicazione con la base è avvenuta il 3/1/1941.

    regio-sommergibile-nani-f-p-g-c-giuseppe-carotenuto

    Nel dopoguerra, da fonte ufficiale britannica risulta che l’unità venne affondata il 7 gennaio 1941 dalla corvetta HMS Anemone Comandata dal Lt. Cdr. Humphry Gilbert Boys Smith, a sud est dell’Islanda in posizione 60°15’ Nord – 015°27’ Ovest (Atlantico), posizione molto più a nord della posizione che gli era stata assegnata, si presume che il battello era all’inseguimento di qualche convoglio.
    Nessun superstite.


    corvetta-hms-anemone-foto-internet

    Comandante: C.C. Gioacchino Polizzi

    C.te in 2^: T.V. Ernesto Porzio 
    
Direttore di macchina: T.G.N. Riccardo Petralli;
    
Altri Ufficiali: S.T.V. Giuseppe Gualco; S.T.V. Paolo Emilio Marinelli; T.G.N. Mario Cattaruzza; S.T.G.N. Giuseppe Tuccari.

    Marescialli: C°2^cl. Antonio Pedroni; C°^3c1. Federico Antonucci; C°3^cl. Antonio Di Meo.
2°Capi: Gino Agnelli – Ugo Alvisi – Montroso Faggioni – Gennaro Gagliano – Giuseppe Lavatelli – Francesco Mattiuzzi – Omero Ricchi – Fortunato Stefanoni

    Sergenti: Ciro Berton – Vincenzo Palmieri – Vittorio Pappalardo – Mario Saladini

    Sottocapi: Arturo Barbieri – Silvio Bertelli(*) – Mario De Angelis – Giovanni Mirano – Luigi Monticone – Giovanni Nicoletti – Mario Raimoldi – Salvatore Zerrillo

    Comuni: Giuseppe Ambrosino – Antonio Battaglia – Aldo Borgognoni – Filippo Calogero – Carlo Cappiello – Ernesto Cassinari – Ornelio Cornacchini – Orlando Crispino – Pietro Dal Pezzo – Ubaldo De Luca – Salvatore De Simone – Pasquale De Vita – Giuseppe Deserio – Vincenzo Diminico – Giovanni Laureato – Paolo Manuguerra – Valentino Marigliani – Vito May – Renato Pagani – Giovanni Palmisano – Nicolò Principato – Basilio Romano – Luigi Vatellini – Ugo Vergottini – Gianbattista Virgilio.

    Caratteristiche tecniche
    Dislocamento: Superficie 1059,091 t. – Immerso 1312,921 t.
    Dimensioni: Lunghezza 73 m.; Larghezza max 7,2 m.; Imm. Media in carico dosato 5,09 m.
    Apparato motore: 2 motori diesel C.R.D.A.; 2 motori elettrici di propulsione C.R.D.A.; 1 batteria di accumulatori al piombo di 132 elementi.
    Potenza complessiva: Motori a scoppio 3200 hp.; Motori elettrici 1100 hp..
Velocità: Superficie 17 knt; Immerso 8 knt.
    Autonomia in superficie: 2825 nm. a 17 knt; 9760 nm. a 8 knt.
    Autonomia in immersione: 8 nm. a 8 knt; 110 nm a 3 knt.
Combustibile: 63,135 m3 carico normale; 107,035 m3 sovraccarico.
    Armamento: 4 tubi lanciasiluri AV da 533 mm.; 4 tubi lanciasiluri AD da 533 mm.; 2 cannoni da 100/47 mm.; 2 mitragliere binate da 13,2 mm.; 12 siluri da 533 mm. (6 a poppa e 6 a prora); 300 proiettili per i cannoni; 3000 colpi per le mitragliere.
    Equipaggio: 7 ufficiali, 50 tra sottufficiali e truppa.
    Profondità di collaudo: 100 m.
    Coefficiente di sicurezza relativo alla sollecitazione massima alla profondità di collaudo riferito al limite di elasticità del materiale: 3.

    regio-sommergibile-nani-foto-internet

    Bibliografia
    – La Marina Italiana nella seconda guerra mondiale Navi perdute Tomo I – Navi Militari;
    – Siamo fieri di voi di Corrado Capone;
    – Albo d’Oro della Marina Militare;
    http://www.xmasgrupsom.com/public/index.php?showtopic=2706
    http://www.regiamarina.net/detail_image_with_list.asp?nid=215&lid=2
    http://fotoalbum.virgilio.it/alice/senettal/marcelloclas/nani-1.html
    http://www.uboat.net/allies/warships/ship/4806.html

    Le immagini sopra riportate potrebbero essere soggette a Copyright

    Per quanto affermato ufficialmente dagli inglesi al termine della guerra, la morte si deve anticipare al 7 gennaio 1941 come si evince dalla storia del sommergibile sopra narrata.

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    19.1.1943, l’eroica battaglia del dragamine RD36 della Guardia di Finanza

    di Antonio Cimmino e Marino Miccoli
    di Antonio Cimmino

    Banca della memoria - www.lavocedelmarinaio.com

    Antonio-Cimmino-per-www.lavocedelmarinaio.com_1Tra il 1916 ed il 1929 la Regia Marina fece costruire circa 50 dragamine della classe RD (Rimorchiatore-Dragamine), progettati per appoggiare e soccorrere unità maggiori danneggiate e/o trovatesi in campi minati. A Castellammare di Stabia ne furono costruiti 25 appartenenti a diverse classi (RD1-2; RD3-4-5-6-; RD15-16-17-18-19-20-21-22; RD23-24-25-26; RD31-32-33-34-35-36-37). Lo scafo era in acciaio dolce, possedevano attrezzature per il dragaggio meccanico tipo “Oropea”. Tale tipo di dragaggio utilizzava un cavo di acciaio seghettato atto a tagliare il cavo di ormeggio delle mine, tenuto ad una data profondità da un immersore e scostato lateralmente alla linea di rotta da un divergente.
    Il loro dislocamento variava da 196 a 201 tonnellate; la lunghezza tra i 35 ed i 38,1 metri, la larghezza andava da 5,4 a 6 metri mentre l’immersione variava tra 1,54 e 2,2 metri. Generalmente erano armati con 1 cannone da 76/40 sistemato sul castello a prora e da 2 mitragliatrici antiaeree da 6,5 mm. collocate sul ponte di comando. L’equipaggio era composto da 21 uomini.
    Il rimorchiatore-dragamine RD 36, della classe RD 31, fu varato nel regio cantiere di Castellammare di Stabia nel mese di agosto del 1919 ed entrò in servizio nello stesso anno. Successivamente fu trasferito alla Finanza di Mare. Il 19 agosto del 1939 fu aggregato alla XI Squadriglia della VII Flottiglia Rimorchiatori-Dragamine di stanza a Porto Empedocle in Sicilia.

    quadro RD 36 - copia - www.lavocedelmarinaio.com

    Allo scoppio della guerra fu impiegato in missioni di dragaggio esplorativo ed esecutivo, di ricerca, distruzione e recupero di mine alla deriva, di trasporto uomini e materiali nelle Isole Egadi.
    Il 21 agosto del 1941 la nave subì un durissimo attacco aereo mentre, insieme con il dragamine ausiliario R.189 – Santa Gilla, effettuava il dragaggio a sciabica nelle acque di Pozzallo in provincia di Ragusa. Nell’attacco cadde eroicamente il comandante Brigadiere Francesco Mazzei e due finanzieri Esposito e Russo; l’unità, benché danneggiata, poté rientrare alla base.
    Al comandante, nativo di Marciana nell’isola d’Elba, fu poi concessa una Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
    ” Comandante di dragamine fatto segno a ripetuti attacchi di aereo nemico, si sostituiva volontariamente al puntatore di una mitragliera ammalato ed iniziava una intensa reazione di fuoco contro il veicolo attaccante. Con sereno coraggio e cosciente ardimento proseguiva animosamente nel serrato duello finché, colpito al petto da una raffica di mitraglia, si abbatteva esanime sull’arma ancora puntata contro il nemico. Acque di Pozzallo 21 agosto 1941”
    L’attività della piccola unità continuò incessante nelle acque di Licata, Trapani, Messina e Reggio Calabria.
    Tenente di vascelllo Giuseppe Di Bartolo - www.lavocedelmarinaio.comL’RD 36 passò in forza alla XL Flottiglia – comandata dal Tenente di Vascello Giuseppe Di Bartolo – e trasferito in nord Africa facendo base, dall’8 settembre 1942, a Tripoli. Nelle acque di Tripoli l’unità compì diverse missioni di dragaggio, vigilanza antisom e scorte a piccoli convogli.
    Dallo scoppio della guerra l’RD36 aveva effettuato ben 317 missioni, percorrendo 18.700 miglia e con 2560 ore di moto.
    Con l’aggravarsi della situazione bellica il passaggio nel Canale di Sicilia dei convogli italiani, divenne sempre più drammatico; decine di mercantili e relative navi di scorta subirono violenti attacchi dagli inglesi che, con le loro forze aereo navali e subacquee denominate Forza Q con base a Bona in Tunisia e Forza K, con base a Malta, decimarono la flotta italiana provocando migliaia di vittime tra marinai, soldati trasporti e marittimi della Marina Mercantile.
    Nel contesto della guerra dei convogli si inserisce l’eroica ultima missione del RD 36.
    Avvicinandosi la caduta di Tripoli, il Comando di Marilibia il 19 gennaio del ’43, ordinò l’evacuazione della città ed il trasferimento in Sicilia di tutto il naviglio.
    Alle ore 18,00 unitamente RR.DD. 31 e 39 (Capo Squadriglia Sottotenente di Vascello Renato Landin), all’RD 37 ad altro naviglio di uso locale (N.U.L.) , l’RD 36, comandato dal Maresciallo della Guardia di Finanza ramo mare Aldo Oltramonti, uscì in formazione mettendosi alla testa del piccolo convoglio. Sull’unità imbarcò il Comandante della XL Flottiglia Tenente di Vascello Giuseppe Di Bartolo.
    In serata la formazione, a circa 18 miglia a levante di Zuara, fu attaccata da cacciatopedinieri della Forza K e principalmente dallo Javelin e dal Kelvin.
    Subito iniziò una impari lotta, Di Bartolo diede ordine alle altre unità di disperdersi ed avvicinarsi alla costa africana e, con la sua piccola nave, si avventò contro il potente avversario.
    Tutto il fuoco dei cacciatorpediniere si concentrò sul RD36 che, con il cannone e le due mitraglie combatté con enorme eroismo. Davide contro Golia! Ma il piccolo battello fu frantumato dai colpi di cannone delle navi nemiche ed affondò con tutto l’equipaggio. Anche le altre unità, nonostante il sacrificio del RD36, furono raggiunte ed affondate.
    Alcuni superstiti poterono raggiungere a nuoto la costa altri, recuperati in mare, furono sbarcati a Sfax.
    Al Tenente di Vascello Giuseppe Di Bartolo – nativo di Palermo e già Capitano Marittimo con esperienze belliche nel primo conflitto mondiale a 17 anni d’età – conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla memoria” con la seguente motivazione:
    ” Comandante di flottiglia dragamine dislocata in zona avanzata oltremare, resasi necessaria l’evacuazione della base ed avuto ordine di trasferire in Patria flottiglia, apprestava alla lunga navigazione – con competenza e capacità – le unità dipendenti, nonostante le ininterrotte, violente incursioni aeree. Nel corso del trasferimento, attaccato di notte da preponderante formazione di supercaccia avversari, nel sublime tentativo di salvare le altre unità, impartiva l’ordine di dirottare verso la costa mentre con la propria – offerta al supremo olocausto – muoveva decisamente incontro all’attaccante, nel disperato tentativo di opporsi alla schiacciante superiorità dei mezzi avversari. Giunto a portata di tiro delle proprie mitragliere impegnava impari lotta, sorretto dall’entusiasmo e dalla fede degli eroi, colpita la sua imbarcazione più volte, prossima ad affondare, rispondeva al nemico facilmente vittorioso, con le ultime raffiche di mitraglia, inabissandosi con la nave e l’intero equipaggio. Fulgido esempio di estrema dedizione alla Patria e di luminose virtù di comando – Mediterraneo Centrale, 20 gennaio 1943”.

    Gli eroi del glorioso RD 36 sono:
    Tenente di Vascello Giuseppe Di Bartolo di anni 43, capo Flottiglia;
    Maresciallo Aldo Oltramonti, Comandante;
    Maresciallo Vincenzo Genna, di anni 39, Direttore di macchina;
    Brigadiere Pietro Laganà, di anni 32, Meccanico;
    Sottobrigadiere Antonio Sanna, di anni 39, Nostromo;
    Appuntato Giuseppe Salone, di anni 38, Fuochista;
    Finanziere Giuseppe Inzucchi, di anni 37, Cannoniere;
    Finanziere Gaetano Rizzi, di anni 38, Marinaio;
    Finanziere Costabile Di Sessa, di anni, 30, Meccanico;
    Finanziere Vincenzo Coppola, di anni 26, Marinaio;
    Finanziere Giuseppe D’Aleo, di anni 34, Nocchiere;
    Finanziere Domenico Balzamo, di anni 31, Fuochista;
    Finanziere Nino Baccile, di anni 20, Fuochista;
    Finanziere Amato Fusco, di anni 26, Fuochista;
    Finanziere Giovanni Cavatorto, di anni 33, Fuochista;
    Finanziere Francesco Nunziante, di anni 20, Fuochista.

    gli eroi col solino giallo RD 36 foto pellegrino Giuseppe per www.lavocedelmarinaio.com copia

    Brigadiere Pietro Laganà - www.lavocedelmarinaio.com CopiaNel 1949 al brigadiere Laganà fu concessa la Croce di Guerra al Valor Militare con la seguente motivazione:
    ”Brigadiere di Finanza-ramo mare-imbarcato con mansioni di meccanico su dragamine in partenza verso altra zona per evacuazione di importante base navale oltremare, si prodigava sotto violenta azione aerea avversaria per l’imbarco di importante carico. Successivamente, attaccata l’unità da soverchianti forze navali che ne provocavano l’affondamento, partecipava all’impari lotta fino all’estremo sacrificio della vita. Esempio di sereno ardimento e sentimento del dovere- Mare Mediterraneo, 20 gennaio 1943”.

    Medaglia d’Argento per il naviglio della Guardia di Finanza concessa con D.P. del 29 luglio del 1949:
    ”Nel corso di lungo ed aspro conflitto cooperava con la Marina Militare, con perfetta efficienza di uomini e di mezzi, nell’assolvimento del gravoso compito di vigilanza alle coste nazionali e di oltremare, di dragaggio alle rotte di sicurezza, di caccia ai sommergibili e di scorta ai convogli, contrastando sempre l’agguerrito avversario con valore, tenacia ed alto sentimento del dovere. Successivamente all’armistizio, tenendo fede alle leggi dell’onore militare, concentrava le superstiti unità e, pur menomato nei mezzi e negli uomini per le notevoli perdite subite, iniziava con rinnovato ardimento la lotta contro il tedesco aggressore. Perdeva complessivamente, nella dura lotta, il cinquanta per cento delle unità, contribuendo con eroici sacrifici singoli e collettivi, a mantenere in grande onore il prestigio delle armi italiane – Mediterraneo, 10 giugno 1940-8 settembre 1943. Tirreno-Adriatico, 9 settembre 1943-8 maggio 1945”

    Nel 1972 il Presidente della Repubblica concesse al dragamine RD 36 la Medaglia d’oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
    “Dragamine comandato ed armato da personale della Guardia di Finanza, agli ordini del Comandante della Flottiglia, attaccato nella notte del 20 gennaio 1943 da preponderanti forze navali nemiche, correva incontro all’avversario nell’eroico intento di coprire e salvare le tre unità della formazione, fino a trovarsi a portata delle proprie modestissime armi di bordo. Aperto il fuoco, cercava di arrecare al nemico la maggiore possibile offesa continuando a sparare, benché colpito più volte, fino a quando soccombeva nell’impari lotta, inabissandosi con il Comandante e l’intero equipaggio. Sublime esempio di indomabile spirito aggressivo, di sovrumana determinazione e di dedizione al dovere sino al supremo sacrificio”.

    Al brigadiere Pietro Laganà, nato a Montebello Jonico, sono state intitolate: il Comando regionale della Guardia di Finanza di Catanzaro (Legione Taranto); le unità navali G79 prima e G116 dopo.
    A Saline Joniche, invece, il 1° dicembre 2007 è stata inaugurata una stele in sua memoria.
    Una lapide nell’ex caserma Teseo Tesi di Portoferraio ed un’altra unità navale della G. di F., sono state intitolate al brigadiere Francesco Mazzei.

    RD37 - www.lavocedelmarinaio.com - copia

    La sorte dei Rimorchiatori-Dragamine RD costruiti nel cantiere di Castellammare di Stabia
    RD 1 varato nel 1916, consegnato nel 1916, perso/radiato nel 1919;
    RD 2 varato nel 1916, consegnato nel 1916,Naufragato nelle acque antistante Ancona per condizioni di mare avverso nel 1919;
    RD 3 varato nel 1916, consegnato nel 1916, perso/radiato nel 1921;
    RD 4 varato nel 1916, consegnato nel 1916, affondato per attacco aereo il 29.01.1943 mentre effettuava il dragaggio del canale di Skerki.
    RD 5 varato nel 1916, consegnato nel 1917, perso/radiato nel 1921
    RD 6 varato nel 1916, consegnato nel 1917, consegnati alla Marina Jugoslava nel 1948;
    RD 15 varato nel 1916, consegnato nel 1917, perso/radiato nel 1921;
    RD 16 varato nel 1917, consegnato nel 1917, consegnato alla Marina Jugoslava nel 1948;
    RD 17 varato nel 1917, consegnato nel 1917, perduto dopo l’Armistizio 1943/1947;
    RD 18 varato nel 1917, consegnato nel 1917, affondato da aerei alleati il 6.5.43 mentre era in
    navigazione da Diserta per la Sicilia. Armato con personale della Guardia di Finanza;
    RD 19 varato nel 1917, consegnato nel 1917, perso/radiato nel1921;
    RD 20 varato nel 1917, consegnato nel, Perso/radiato nel 1956;
    RD 21 varato nel 1917, consegnato nel 1918,1948, consegnato alla Marina Jugoslava nel 1948;
    RD 22 varato nel 1917, consegnato nel 1918, affondato nel periodo di cobelligeranza il 25.10.43 per il brillamento di una mina magnetica mentre si accingeva ad iniziare il dragaggio;
    RD 23 varato nel 1918, consegnato nel 1918, affondato da aerei alleati il 5.5.43 mentre si trovava nel porto di La Goletta.
    RD 24 varato nel 1918, consegnato nel 1918, affondato per cattive condizioni di mare il 18.2.43 mentre navigava da Trapani diretto in Tunisia.
    RD 25 varato nel 1918, consegnato nel 1918, consegnato alla Marina Jugoslava nel 1948;
    RD 26 varato nel 1918, consegnato nel 1918, radiato/perso nel 1943/47;
    RD 31 varato nel 1918, consegnato nel 1919, intercettato, unitamente ai RR.DD. 36-37-39 ed altre unità minori il 20.1.43 da cacciatorpediniere inglesi a levante di Zuara mentre erano in navigazione da Tripoli diretti a Trapani. Il convoglio fu distrutto. Il RD 36 fu insignito con MOVM.
    RD 32 varato nel 1919, consegnato nel1919, radiato/perso nel 1956;
    RD 33 varato nel 1919, consegnato nel1919, si perse per sinistro marittimo il 22.1.43 nel golfo di Tunisi.
    RD 34 varato nel 1919, consegnato nel 1919, perso dopo l’8 settembre 1943;
    RD 35 varato nel 1919, consegnato nel 1920, perso dopo l’8 settembre 1943;
    RD 36 varato nel 1919, consegnato nel 1919, radiato/perso nel 1943/46;
    RD 37 varato nel 1919, consegnato nel 1920, radiato perso nel 1943/46.

    monumento al brigadiere Laganà - www.lavocedelmarinaio.com - copia

    Marino-Miccoli-2014-per-www.lavoce-delmarinaio.com_2Il 19 gennaio 1943, pochi minuti dopo la a mezzanotte, il Rimorchiatore-Dragamine R.D. 36 della Regia Guardia di Finanza – Mare comandato dal Maresciallo Aldo Tramonti, facente parte della flottiglia di 11 Unità comandata dal Tenente di vascello Giuseppe Di Bartolo fu affondato da due cacciatorpediniere inglesi a levante di Zuara (località situata sull’estremità occidentale della costa libica)  nel compimento di un gesto eroico che merita di essere ricordato.
    L’equipaggio di questo vetusto e piccolo dragamine costiero (dislocamento: t. 155; lunghezza: m. 35,35; larghezza: m. 5,80 armato di un unico cannone da 76/50 mm. e due mitragliere Colt), svolgeva il proprio dovere per proteggere il resto delle unità della flottiglia che stavano facendo rotta per la Sicilia. Il comandante Di Bartolo non esitò ad avventarsi contro due supercaccia britannici in procinto di attaccare il convoglio italiano, ben consapevole di avere di fronte unità inglesi veloci, molto ben armate e che sicuramente in poco tempo lo avrebbero disintegrato.
    In quell’azione non si salvò nessun componente dell’equipaggio della Regia Guardia di Finanza – Mare e analoga sorte toccò all’unità gemella “R.D. 37″.
    Sebbene anche le altre unità italiane furono affondate dal tiro micidiale e inesorabile dei cacciatorpediniere britannici, quell’azione di contrattacco consentì alle unità scortate di avvicinarsi alla costa africana e ai molti naufraghi di salvarsi, approdando sulla vicina spiaggia.
    Questi Eroi si sono sacrificati affinché le altre unità della propria flottiglia potessero trovare scampo manifestando quel coraggio e l’innato valore che i militari italiani hanno dimostrato di possedere durante l’ultimo conflitto mondiale.
    A seguito di questi fatti la Bandiera di Guerra del Regio Rimorchiatore-Dragamine “R.D. 36″ e il suo Equipaggio (che tengo a precisare erano Marinai col solino rigato di giallo) furono decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare.



    Regio-Rimorchiatore-Dragamine-www.lavocedelmanrinaio.com-foto-Marino-Miccoli
    L’EROICO EQUIPAGGIO DEL RIMORCHIATORE DRAGAMINE “R.D. 36”:
    • Maresciallo Oltramonti Aldo, Comandante;
    • Maresciallo Genna Vincenzo, Conduttore Macchine;
    • Brigadiere Laganà Pietro, Meccanico;
    • Sottobrigadiere Sanna Antonio, Nostromo;
    • Appuntato Salone Giuseppe, Fochista;

    
Regie Guardie di Finanza-Mare
    • Inzucchi Giuseppe, Cannoniere,
    • Di Sessa Costabile, Meccanico;
    • Coppola Vincenzo, Marò;
    • Balzano Domenico, Marò;
    • Rizzi Gaetano, Marò;
    • D’Aleo Giuseppe, Nocchiere;
    • Baccile Nino, Fochista;
    • Cavatorto Giovanni, Fochista,
    • Fusco Amato, Fochista;
    • Nuziale Francesco, Fochista.

    Ai lettori del blog si consiglia la seguente lettura:

    Fiamme Gialle su mare la copertina - www.lavocedelmariaio.com

  • Che cos'è la Marina Militare?,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    Gino Birindelli (Pescia, 19.1.1911 – Roma, 2.8.2008)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra



    Banca della memoria - www.lavocedelmarinaio.com

    (Pescia, 19.1.1911 – Roma, 2.8.2008)

    Quest’articolo è dedicato a colui che verrà ricordato dagli equipaggi per aver difeso, in ogni occasione, il personale della Marina Militare. Racconteremo ai posteri di quando, nel 1970, in qualità di Comandante in Capo della Squadra, in occasione della visita a bordo di Nave Garibaldi dei parlamentari dell’allora Commissione Difesa, dopo averli ricevuti con i dovuti onori li suddividesti per le varie navi (alla fonda nel porto di Cagliari) impartendo l’ordine ai Comandanti di tenerli prevalentemente nei locali macchine e caldaie.

    Oggi carissimo Ammiraglio di una volta e signore dei mari ,a così breve distanza dalla tua ultima missione, le “pagine ufficiali” si sono già dimenticate di te…forse da toscanaccio come eri dicevi le verità in faccia e non eri gradito. Non hanno avuto mai il coraggio di dedicarti una nave (ai tuoi amici tutti lo hanno fatto) ma solo una misera targhetta in un luogo nascosto ai più…

    Del resto Qualcuno disse: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua” (Matteo 13,54-58)




    La signora Birindelli attorniata da marinai di carta - www.lavocedelmarinaio.com

    Questi “…signori” dopo quattro ore di navigazione con mare forza 2/3 furono riportati su nave Garibaldi per la conferenza stampa di rito. All’arrivo dell’Ammiraglio Birindelli si inalberarono tutti per il trattamento ricevuto. L’Ammiraglio, di rimando, rispose: “queste sono le migliori condizioni in cui voi Parlamentari fate vivere i Militari in particolare i Marinai.” Da quel momento ci furono una serie di adeguamenti economici e, soprattutto, il riconoscimento di un lavoro particolare a cui bisognava e bisogna riconoscere un trattamento diverso dai pubblici dipendenti (…intelligenti pauca!).

    

GINO BIRINDELLI
    Gino Birindelli (www.lavocedelmarinaio.com)Nasce a Pescia (Pistoia) il 19 gennaio 1911. Nel 1925, appena quattordicenne, lascia il Collegio degli Scolopi di Firenze ed entra nella Regia Accademia Navale di Livorno, da cui esce con il grado di Guardiamarina del Corpo di Stato Maggiore nel 1930. Inizia così una lunga e brillante carriera che lo porta ad essere imbarcato su varie unità di superficie e sommergibili della Regia Marina, tra cui si ricordano l’incrociatore “Ancona”, la corazzata “Andrea Doria”, i cacciatorpediniere “Quintino Sella”, “Confienza”, “Monzambano” e “Giovanni Nicotera” e i sommergibili “Santarosa”, “Naiade”, “Foca” e “Domenico Millelire”. Promosso Sottotenente di Vascello nel 1931 e Tenente di Vascello nel 1935 assunse successivamente, nel 1939, il comando dei sommergibili “Dessié” prima e “Rubino” poi. L’intensa attività conseguente ai propri impegni marinari non gli impedisce di dedicarsi comunque allo studio: nel 1937, infatti, si laurea in Ingegneria Civile presso l’Università di Pisa. Nel settembre 1939 viene destinato a La Spezia alla Squadriglia MAS per iniziare l’addestramento sui mezzi d’assalto insieme ad altri famosi personaggi quali Teseo Tesei, Elios Toschi e Luigi Durand de la Penne, tanto per citarne alcuni. Inizia così a manifestarsi quella tempra eccezionale di uomo e combattente che lo ha contraddistinto per l’intero arco della sua vita fino a fargli assumere i contorni dell’eroe. L’intensa attività portata avanti alla Bocca del Serchio, luogo deputato a tale tipo di operazioni, gli causa anche problemi fisici: l’ossigeno dei respiratori gli brucia infatti un polmone nel corso degli allenamenti, ragion per cui viene ricoverato nell’ospedale di Massa, da dove peraltro scappa per rientrare subito a Bocca del Serchio, riuscendo a convincere il Comandante, Ajmone di Savoia, a mantenerlo in servizio. Prende parte attivamente alla prima spedizione dei Mezzi d’Assalto contro la base inglese di Alessandria (Operazione G.A.B1) nella quale viene decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare “sul campo” per il comportamento dimostrato a bordo del sommergibile “Iride” sottoposto ad attacco aereo nel Golfo di Bomba.
    Nell’occasione si tuffava per cinque volte consecutive per portare in salvo un marinaio di leva dell’equipaggio del sommergibile intrappolato nel battello in fase di affondamento. Rientrato in Patria prende parte alla prima e alla seconda spedizione dei Mezzi d’Assalto contro la base inglese di Gibilterra (Operazioni B.G. 1 e B.G. 2); nel corso della seconda spedizione, a causa dell’avaria al proprio mezzo, è costretto ad affondarlo, venendo successivamente catturato e fatto prigioniero dagli inglesi. Per questa azione viene decorato Medaglia d’Oro al Valor Militare. Nei venti mesi successivi rimane prigioniero negli ospedali inglesi ed americani finché, alla fine del 1943, dopo l’armistizio, il Governo Italiano di Badoglio lo fa rimpatriare.
    Birindelli Gino Ammiraglio e Signore dei mari - www.lavocedelmarinaio.comNel 1944 viene promosso Capitano di Fregata ed assume l’incarico di Sottocapo di Stato Maggiore dell’Ispettorato Generale MAS, partecipando alla Guerra di Liberazione con mezzi di superficie lungo le coste albanesi ed jugoslave. Le proprie condizioni di salute, però, lo costringono nuovamente ad un lungo ricovero in ospedale. Al termine delle ostilità assume il Comando del Battaglione San Marco e, successivamente, gli viene assegnato l’incarico di Comandante in Seconda della corazzata “Italia”, durante il periodo di internamento ai Laghi Amari in Egitto. Successivamente viene assegnato al Centro Subacquei, gruppo composto per la massima parte da sommozzatori già facenti parte dei mezzi d’assalto, con l’incarico di procedere allo sminamento dell’Alto Adriatico. Proseguendo in carriera frequenta l’Istituto di Guerra Marittima e successivamente assume il Comando prima della 3^ Squadriglia Corvette poi della 3^ Squadriglia Torpediniere. Promosso Capitano di Vascello nel 1952 assume incarichi prestigiosi, tra i quali si ricordano il Comando del Centro Subacquei ed Incursori del Varignano a La Spezia ed il Comando dell’incrociatore Raimondo Montecuccoli con il quale, dal settembre 1956 al marzo 1957, effettua una crociera di circumnavigazione del globo che lo porta a toccare 34 porti di quattro continenti. Viene promosso Contrammiraglio nel 1959, nel cui grado viene prima destinato presso il Centro Alti Studi Militari, assumendo poi nel tempo gli incarichi di Capo di Stato Maggiore Aggiunto del Comando della Squadra Navale e di rappresentante del Comando delle Forze Alleate del Mediterraneo presso il Comando delle Forze Aeree Terrestri del Sud Europa, venendo infine destinato presso lo Stato Maggiore della Difesa. Nel 1962 viene promosso Ammiraglio di Divisione, nel cui grado comanda la 1^ Divisione Navale, nel 1966, promosso Ammiraglio di Squadra, viene chiamato a ricoprire i prestigiosi incarichi di Direttore Generale del Personale della Marina, di Comandante in Capo della Squadra Navale ed infine di Comandante Navale Alleato del Sud Europa, prima a Malta e poi a Napoli. Viene eletto Deputato al Parlamento nella VI Legislatura, dal 1972 al 1976, ed il 15 dicembre 1973 si congeda dalla Marina, circondato dall’affetto e dall’ammirazione di tanta gente, ma soprattutto di coloro, in Marina, per i quali si è sempre battuto. Gli vengono attribuiti riconoscimenti prestigiosi tra i quali, recentemente, l’intitolazione alla sua persona di un padiglione al Museo di Eden Camp, in Inghilterra, ove è posto un esemplare di “Siluro a lenta corsa”, quel maiale con il quale aveva tanto combattuto e tanto si era distinto proprio contro gli inglesi nella Seconda Guerra Mondiale. E’ Morto al policlinico militare del Celio, a Roma, il 2 agosto 2008.
    I funerali si sono svolti, presso la caserma Grazioli Lante, il 5 agosto 2008.

    Lungo fiume Gino Birindelli a Pescia - www.lavocedelmarinaio.com

    ONORIFICENZE

    Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al “Merito della Repubblica Italiana”;
    Medaglia d’Oro al Valor Militare;
Medaglia d’Argento al Valor Militare;
    Croce al merito di Guerra;
Campagna di Guerra 1940-44 e 1945;
    Medaglia Commemorativa per i volontari della seconda guerra mondiale;
    Nastrino di Guerra 1940/43 con numero uno stelletta;
    Nastrino di Guerra 1943/45 con numero due stellette;
    Ufficiale dell’Ordine della “Corona d’Italia”;
    Medaglia Mauriziana al “Merito di dieci lustri di carriera militare”;
    Medaglia d’Oro per “Lunga Navigazione nella Marina Militare” (20 anni);
    Croce d’Oro con stelletta per “Anzianità di servizio” (40 anni);
    Commandeur dell’Ordine di Dannebrog conferitagli da S.M. il Re di Danimarca;
Distintivo per il personale dei Reparti d’Assalto;
    Distintivo d’Onore per il personale già destinato presso COMSUBIN;
 Distintivo d’onore di ferito in Guerra.

    IL SUO TESTAMENTO SPIRITUALE
    Il giorno dei funerali di Gino Birindelli - www.lavocedelmarinaio.comPrima e più che da un volo in altri cieli. L’immortalità dell’anima è costituita dalla risonanza che, a somiglianza delle onde create dalla pietra gettata nell’acqua ferma del lago, “l’elevato sentire” genera e che, a differenza di quelle, dura sempre. A me che fui il primo diretto comandante di quel pugno di uomini, e che presi parte alle tante discussioni, non risulta difficile indicarne i punti salienti:
- Lo scopo della vita è creare, fare, dare. L’azione è gioia dello spirito.

    – Non chiedere mai alcunché ad alcuno se non a te stesso. Chiedi al tuo Dio solo e sempre la forza di “non chiedere”, ma ringrazialo continuamente per ciò che sei stato capace di fare.

- La forza più grande dell’uomo è la volontà, quella che permette di “strappare le stelle dal cielo”, di porre “il cielo come solo limite alle proprie capacità ed aspirazioni”, quella che spinge l’handicappato a cimentarsi nell’agone sportivo, a rendersi autosufficiente con il lavoro.

    – Assisiti senza fine chi si impegna con perseverante sacrificio all’elevazione materiale e spirituale propria ed altrui. Ogni atto di solidarietà che proponi sia, prima di tutto ed in buona misura, a tuo carico.

    – Una più grande Famiglia donataci da Dio. Questa è la patria e ad essa – come tale – si devono dedizione e devozione assolute.

    – La Civiltà è il rispetto si se stessi, degli altri, delle altrui opinioni. La Cultura ha lo scopo precipuo di incrementare il grado di Civiltà degli individui.

    – La Libertà e la Pace sono – solo e sempre – il prodotto dell’impegno duro, indefesso, doloroso degli uomini di buona volontà. La costruzione umana su cui si poggia la Pace ha, come chiave di volta, la Giustizia; quella su cui poggia la Libertà ha il Coraggio.

    – Il coraggio vero, quello che conta, è il Coraggio Morale. Esso deriva dall’onestà, dal senso del dovere, dall’impegno con se stesso a tutelare i diritti umani di tutti.

    – La forza dell’Amore è immensa ed immensamente benefica se ogni suo atto è ispirato e strettamente legato al rispetto della Legge degli uomini onde esso non degeneri in mollezza o, addirittura, in acquiescenza alla sua violazione. Tutto ciò che, nell’empito di Amore, viene dato a qualcuno in termini di tolleranza o perdono è, infatti, sottratto surrettiziamente e definitivamente alla cogenza della norma su cui si basa l’ordinata convivenza della società civile.

    – “In medio stat virtus” è saggia norma di vita ma la realizzazione della “medianità virtuosa” si deve ottenere solo e sempre attraverso la pratica del precetto si-si/no-no, del confronto con l’opposto, della competizione, mai con il compromesso. La competizione leale consente infatti di evitare lo scontro crudele; impedisce che la Pace degradi nel nirvana.

    Solo là dove ogni atto è ispirato a vivo senso di responsabilità ci può essere ordine e democrazia.

    Ma quando sarà dedicata una nave a Gino Birindelli?
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Mi sono sempre chiesto e chiedo anche a Voi che leggete: perché a Gino Birindelli non è stata mai dedicata una nave della flotta della nostra Marina Militare?
    Chissà se risponderete e, soprattutto, se risponderanno i responsabili dello Stato Maggiore Marina a questo quesito…
    A molti di noi marinai piacerebbe leggere il nome “Birindelli” sul fianco della nave, Lui è fra i Marinai leggendari che non può e non deve essere sottaciuto per le sue eroiche imprese, per l’intensa attività svolta, per la volontà, per la dedizione e l’attaccamento alla Patria (anche dopo la sua collocazione a riposo) e non per ultimo per la ricostruzione della Marina stessa dopo la Seconda Guerra Mondiale.
    Fregata-FREMMMolti altri eroi Marinai (pluridecorati e non) sono stati onorati con la titolazione della nave per esempio Luigi Rizzo con una fregata rimasta storica per essere stata la prima ad imbarcare un nucleo elicotteri e quindi dando la nascita all’aviazione di marina e gli stessi Durand de la Penne, Mimbelli, Martellotta, Rossetti e Paolucci hanno avuto titolato unità navali che riportano rispettivamente i loro nomi. Nave Birindelli perché no?

    A-Gino-Birindelli-Ezio-Pancrazio-Vinciguerra-per-www.lavocedelmarinaio.com_

    A proposito di Gino Birindelli
    di Claudio Confessore e Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    …riceviamo e pubblichiamo. Se avete cose da aggiungere noi, per adesso, siamo qui.

    Nulla da dire sull’Ufficiale di Marina e sull’Eroe ma dobbiamo evidenziare che sicuramente era un uomo con un carattere difficile, toscanaccio ed irruento, sulla cui carriera finale – nonostante i meriti di Guerra – ha influito il caso sollevato dal governo maltese quando lo dichiarò “persona non gradita” a seguito della sua nomina a COMNAVSOUTH (il Comando fu successivamente spostato da Malta a Napoli).
    Se si tiene conto che erano gli anni 70 periodo delle stragi, del terrorismo ovvero anni drammatici, appare evidente che all’epoca il personaggio fosse scomodo, non tanto per i militari quanto per i politici (anche del suo stesso partito, il M.S.I., che lasciò dopo circa due anni dopo aver ricoperto la carica di Presidente). Peraltro la sua appartenenza alla P2 (da lui stesso confermata) complicò notevolmente le cose.
    Per quanto riguarda l’episodio del febbraio 1970 con cui denunciò lo stato di malessere della Marina ritengo utile, senza togliere nulla alla sua meritoria azione, ricordare che gli aumenti furono opera “diplomatica” dell’Ammiraglio Spigai, Capo di Stato Maggiore della Marina, a cui le esternazioni di Birindelli furono sicuramente utili. Visto che ho citato Spigai evidenzio anche che fu lui ad iniziare a parlare e scrivere della necessità di una legge navale, poi continuò Rosselli Lorenzini ma fu l’abilità dall’Ammiraglio Gino De Giorgi a dare i risultati sperati con la pubblicazione anche del famoso “Libro Bianco”.
    Comunque i tempi sono cambiati e forse dare il suo nome ad una futura nave non sarebbe cosa impossibile.
    Distinti saluti
    Claudio Confessore

    Buongiorno Claudio Confessore, grazie per questa sua disamina come dire pacata e allo stesso tempo molto esaustiva.

    Col suo consenso la pubblicherei a forma di articolo per spronare tutti i Marinai a quell’unità, tanto evocata quanto vituperata, che può sensibilizzare gli attuali vertici della Marina, in particolare dell’ammiraglio De Giorgi figlio, in vista di quelle prospettive e orientamenti di massima della nostra amata Forza Armata. Se buon sangue non mente (ma è un banale modo di dire) l’attuale Capo di adesso e speriamo il prossimo (profondo conoscitore dei meandri dai tempi di Ulisse) possono raddrizzare la rotta lievemente sotto l’allineamento.
    Concordo con Lei che i tempi erano altri (’70 e 80) e qualche volta il politico di turno nazionale è stato anche lungimirante.
    Nelle “scelte” che per noi Marinai e Militi sono tradotti in “ordini” (giuste o sbagliate dei politici e anche degli alti consiglieri al comando) siamo esecutori e parzialmente responsabili mentre i mandanti risponderanno alla loro coscienza (Dio) e anche ai posteri (Cesare).
    Per questo reitero e ribadisco quell’unità (oggi forse più allargata…).
    “Soli si perde”
    Questa è la storia di quattro persone chiamate Ognuno, Qualcuno, Chiunque e Nessuno (proprio come le FF.AA.).
    C’era un importante lavoro da fare e OGNUNO era sicuro che QUALCUNO l’avrebbe fatto!
    CHIUNQUE avrebbe potuto farlo ma NESSUNO lo fece.
    Qualcuno si arrabbiò perché era compito di OGNUNO.
    OGNUNO pensò che CHIUNQUE poteva farlo.
    Andò a finire che OGNUNO incolpò QUALCUNO quando NESSUNO fece ciò che CHIUNQUE avrebbe potuto fare.
    Ergo, il tiro al piccione agli ammiragli, alle carriere, ai 2 marò, ai combattenti visibili ed invisibili, ecc. ecc. che hanno eseguito ma non sono mai stati giustiziati (colpevoli o innocenti) da qualcuno preposto alla giustizia ma dai media, da noi …non proprio come la Sua divina storia che fu invece lapidato dai cattivi “Consigliori” che non erano neanche al Potere.
    LA FORZA E’ NEL GRUPPO (che non è un opuscolo di testo del compianto ammiraglio Mario Lucidi o edito per gli istituti di formazione) E UN POPOLO CHE NON ARROSSISCE ALLA VERGOGNA E’ DESTINATO A SOCCOMBERE.
    Mi perdoni se inconsapevolmente lo abbia turbato ma è il mio modus vivendi.
    P.s. Non mi risulta che ci sia stata una “Norimberga italiana” e neanche processi che abbiano stabilito almeno la verità processuale in chi, consapevolmente o inconsapevolmente, ha sbagliato dal 9 settembre 1943 ad oggi (eccezion fatta per Bettino Craxi).
    Sono certo che comprenderà lo sfogo di questo suo subalterno che ancora oggi si ostina a credere in Patria e Onore e che è convinto che bisognerebbe invece Giurare, con le medesime modalità, per l’Europa prima (ma non c’è ancora un esercito europeo) e forse, ancor prima e di più per la NATO … a tutti coloro che decidono di intraprendere questa navigazione.
    Un abbraccio grande come il mare e il cuore dei Marinai dentro…
    Ezio

    Buongiorno sig. Ezio, puoi pubblicare tutto quello che vuoi nella forma da te ritenuta più utile. Non vorrei passare per estremo difensore della categoria degli Ammiragli ma i coloro che hanno caratteri difficili o le mele marce (o le pecore nere) si trovano a tutti i livelli.
    La stragrande maggioranza dei marinai è sempre stata corretta e disciplinata, senza che questo vuol dire subire passivamente.
    Claudio Confessore

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    16.1.1890, entra in servizio la nave cisterna Tronto

    di Claudio Confessore e Guglielmo Evangelista

    Unità che hanno portato il nome Tronto
    di Claudio Confessore
    La prima unità a portare il nome Tronto fu un brigantino a vela di terza classe di 414 tonnellate della Marina borbonica adibito a trasporto materiali e costruito nei cantieri di Castellammare di Stabia varato nel 1828 e radiato nel 1864.
    Il Tronto è un fiume lungo 115 Km che scorre nella maggior parte del suo percorso nella Regione Marche. Nasce al confine fra Abruzzo e Lazio dai monti della Laga nei pressi del comune di Amatrice e dopo aver percorso le provincie di Rieti e Perugia, lambisce Ascoli Piceno, segna il confine anche fra Abruzzo e Marche e sfocia in Adriatico fra i comuni di San Benedetto del Tronto e Martinsicuro.
    Dopo l’Unità d’Italia la spesa media annua per la Regia Marina passa da 35,8 milioni del decennio 1870-79 a 82 milioni del periodo 1880-89 a 105,4 milioni tra il 1890 e il 1899. I cantieri genovesi usufruiscono di tali stanziamenti ed incominciano a costruire navi di maggiore tonnellaggio rispetto a quelle sino ad allora commissionate dal nuovo Regno d’Italia. In particolare, con il potenziamento proposto da Benedetto Brin, furono avviati rilevanti programmi di ammodernamento della flotta. L’incremento delle commesse militari consentirono anche un netto sviluppo tecnologico nelle costruzioni e le nuove unità si iniziò a venderle anche all’estero.
    In tale programma di sviluppo venne costruita anche una seconda unità a cui fu assegnato il nome Tronto. Era una cisterna porta acqua della classe Ticino di 200 tonnellate realizzata nei cantieri Odero di Genova, entrata in servizio nella Regia Marina Italiana il 16 gennaio 1890 fu radiata l’1 maggio 1968 (ben 78 anni dopo).

    SIAMO ALLA RICERCA DI TESTIMONIANZE, FOTO E DI ULTERIORI NOTIZIE DI NAVE TRONTO

    Chiacchiere di navi
    di Guglielmo Evangelista

    Quando la piccola nave cisterna, appena uscita dal cantiere, arrivò nel grande arsenale, rimase stupita dall’animazione che vi regnava: qua, sotto una cappa di fumo, si stendevano sterminate officine, là, lungo le banchine, erano in continuo movimento di treni e le gru a vapore. E poi, naturalmente, le navi: le grandi corazzate, i modernissimi incrociatori, le agili torpediniere. 
La navicella, mentre raggiungeva il suo ormeggio, cercò di entrare in confidenza con le altre unità che incontrava (perché le navi hanno una coscienza e parlano fra loro, anche se – a parte qualche privilegiato marinaio – noi non le possiamo sentire). Ricevette però solo poche risposte distratte e un po’ offensive: 
- Chi mi chiama? Sei così piccola che non riesco neppure a vederti – Disse la grande corazzata. 
- Stai andando come una lumaca, non sai fare le cose più in fretta? – Le chiese, sbarazzina, una veloce torpediniera che, mentre le passava accanto, la riempì di spruzzi. 
- Se porti cinquanta tonnellate d’acqua è tanto. Guarda me: ho armi e munizioni per una divisione! – Le disse un panciuto trasporto. 
- Lasciatela stare, non vedete che riesce a malapena a portare in giro sé stessa? – Si aggiunse ironicamente al coro un potente rimorchiatore. 
C’era però una nave che non disse nulla. Era una vecchia fregata, carica di anni, di quelle con le grandi ruote laterali, con lo scafo in legno, che portavano ancora le vele. Ormai decrepita e in disarmo, si era ritirata in disparte, lungo una banchina isolata: si ricordava ancora di quando, prima del tricolore, portava una bianca bandiera gigliata, si ricordava di quando, bruciando il suo carbone, si lasciava indietro i maestosi velieri fra lo stupore dei loro equipaggi, si ricordava della grande tragedia del 1866, quando a Lissa navi ben più belle e potenti di lei erano state dilaniate dalle cannonate. Insomma, era una nave di grande esperienza: una nave antica e saggia. 
Guardò la piccola cisterna, ne valutò le buone chiodature delle scafo in ferro, ne ascoltò il regolare pulsare della macchina alternativa, guardò come la sua piccola prua fendeva l’acqua con sicurezza. Rimase silenziosa, ma concluse che era robusta e ben costruita. Gli uomini l’avrebbero apprezzata. 

Il giudizio iniziale che le altre navi avevano dato alla cisterna cambiò poi in meglio, ma non troppo. Si abituarono infatti ai rifornimenti di acqua che, regolarmente, somministrava loro. Arrivarono a considerarla utile, in qualche caso indispensabile, ma la trattavano come una persona di servizio e continuarono a non darle confidenza: al massimo un ringraziamento frettoloso quando la manichetta sgocciolante veniva staccata. 
Lei era un po’ delusa della sua vita ma, tutto sommato, si accontentava, e sapeva bene che con quelle navi grigie, bellissime e armate fino ai denti, lei non poteva competere. Per qualche anno trovò una maestra e una confidente nella vecchia fregata poi, dopo che questa morì (gli uomini la chiamano più prosaicamente demolizione), strinse amicizia con una locomotiva che manovrava lungo la sua banchina: era una strana combinazione fra chi si muoveva con le ruote e chi con l’elica, ma dopo che scoprirono che entrambe montavano una caldaia fabbricata dello stesso costruttore, entrarono in confidenza, sentendosi quasi parenti. 
- Io non ho tante pretese, lo so che sono solo una cisterna, ma vorrei essere trattata meglio! – Disse in un giorno di cattivo umore la nave alla locomotiva. 
La macchina le rispose: – Ti sei mai guardata? Quanti cannoni hai?
- Beh, veramente, nessuno. 
- Quanto è spessa la tua corazza?
- Corazza? Ma se sui miei fianchi c’è solo un po’ di latta!
- Ti comanda un ufficiale superiore? 
- Non ho mai visto a bordo un ufficiale. 
- E allora, che pretendi? Sei l’ultima delle navi di questa base, e l’ultima resterai – Poi la voce della locomotiva si addolcì. 
- Però ogni medaglia ha il suo rovescio. Guarda quelle navi, gli uomini le hanno costruite per applicare su di esse le loro idee: idonee ad installare le più moderne artiglierie, veloci per obbedire alle nuova strategie, grandi per soddisfare le mire della politica. Per te non hanno pensato a tutto questo, ma ti hanno voluto perché servi: non solo oggi, ma anche domani e dopodomani, forse per sempre. La politica cambierà, le continue invenzioni faranno sembrare vecchio quello che oggi è nuovo, ma i marinai avranno sempre bisogno della tua acqua, e di qualcuno che gliela porti. Vedi, è stato lo stesso per me: ero una macchina brutta goffa, destinata alle manovre: non dico poter trainare il treno reale, non dico un diretto, ma almeno un accelerato….e invece niente. E nel deposito quelle grandi locomotive, tutte bielle e ruote, mi prendevano in giro…ma oggi ci sono nuove macchine, che non si alimentano di carbone, ma di elettricità. E adesso, mentre quelle vanno in fonderia, io sono ancora qui, vado e vengo e per chissà quanto tempo mi lasceranno fare il mio lavoro. Sarà così anche per te.

Fu una profezia indovinata. Un giorno una grande corazzata, attorniata dalle altre navi, che la ascoltavano rispettosamente, esclamò con stizza: 
- Io sono stata la prima nave moderna! Ho le più grandi artiglierie della squadra! E ora? Hanno deciso che non servo più, mi mandano in disarmo! – E concluse sbuffando vapore da tutti i fumaioli. 
- Anche noi, anche noi! – Esclamarono querule le torpediniere – oggi i siluri li lanciano da sott’acqua, ci sono i sommergibili e ci mandano in fonderia.
La cisterna, che ormai stava avvicinandosi agli anni della maturità, pensò alla lunga lista dei servizi che l’aspettavano: andare là a caricare, poi a rifornire quella divisione, poi a portare l’acqua a… Lei aveva ancora un futuro: concluse che queste elucubrazioni non la interessavano. Era viva, e nessuno pensava di poter fare a meno di lei. 

Passarono molte primavere, quando il verde tenero delle gemme degli alberi dava un tocco gentile agli austeri edifici militari. 
Passarono molte estati, quando il solleone arroventava le lamiere e i marinai si aggiravano nelle loro bianche uniformi. 
Passarono molti autunni, quando bassi nuvoloni carichi di pioggia rendevano indistinto il confine fra il mare e il cielo. 
Passarono molti inverni, quando ogni tanto un manto candido ricopriva le banchine e i marinai, con la spensieratezza dei loro vent’anni, si tiravano palle di neve. 
Insomma, passarono gli anni, cambiarono le navi. La città, alle spalle dell’arsenale, cresceva sempre di più. Sui moli facevano capolino le automobili, il cielo era solcato dagli aeroplani.
    Anche gli uomini erano cambiati e non portavano più la marsina e il cilindro. 
Perfino per la piccola cisterna qualche cosa non era più la stessa: ora, rispetto a lei, tutte le altre navi erano più giovani, anche se irte di cannoni e di strane e sempre più moderne apparecchiature; ma solo lei conosceva tutti i segreti del porto, e a lei non mancavano di chiedere consiglio. Quanto al suo lavoro era sempre rimasto lo stesso: avanti e indietro con il suo carico fra l’arsenale e la rada: tante volte nel suo quotidiano andirivieni si trovava ad accompagnare qualche altre unità fino alla soglia del mare aperto, e si incantava a guardarla sparire all’orizzonte, al di là del quale c’era un mondo favoloso che a lei era precluso e che conosceva solo dai racconti delle navi che, quando ritornavano, parlavano volentieri delle loro esperienze: 
- L’America! La Cina! Il Mar Rosso!
- Gli allievi dell’Accademia mi hanno strapazzata per due mesi, ma che crociera! 
-Due settimane di esercitazione, mai un giorno di tregua!
E lei ascoltava pazientemente, sognando quello che non poteva avere, lei che non aveva mai lasciato neppure per una notte il suo posto in banchina. Così continuò ad accompagnare le navi che partivano e ad accogliere quelle che tornavano. 
Poi, venne un giorno in cui le navi partirono, ma non tornarono. C’era la guerra. La cisterna ne aveva già passate parecchie, ma questa fu la più feroce di tutte e, per la prima volta, anche l’arsenale e la città furono devastate: la nostra nave, sgusciando fra bomba e bomba, sopravvisse. 
Era ormai sola e le sue compagne di un tempo giacevano in fondo al mare, ma la vita, ancora una volta, ricominciò. Lentamente nel grande porto tornarono a fare capolino le navi superstiti: poche e malandate, ma vive. E le raccontarono le loro storie. La piccola e vecchia nave ascoltava, ascoltava ancora. 
Passarono altri anni: tanti. Le navi che aveva visto nascere, con cui aveva condiviso la tragedia della guerra, pian piano scomparvero, altre navi sempre più moderne arrivavano e, quando le rivolgevano la parola, premettevano sempre: – Tu che sai tutto…
Allora si rese conto di quale, fin dall’inizio, doveva essere il suo destino: RICORDARE. Lei e soltanto lei era il filo di unione fra il passato e il futuro, fra il mondo della vela e l’era atomica: tutto era passato, lei no. Molte grandi e orgogliose navi che avevano scandito la storia erano ormai rottami o tombe in fondo al mare, mentre lei era ancora lì: era quello il suo ruolo e, nello stesso tempo, la sua ricompensa. 
Un giorno però seppe che anche il suo destino era segnato: l’aveva già capito da qualche indizio: il suo cuoricino d’acciaio perdeva colpi, le bielle si muovevano con fatica, gli strati di vernice non riuscivano più a mascherare la ruggine che la mangiava. 
In una sera tranquilla, senza le cerimonie che in queste occasioni si facevano per le grandi navi, due marinai le ammainarono la bandiera, che fu ripiegata e fatta sparire.
    Tutto era finito.
    Soltanto un vecchio nostromo, con i capelli bianchi, il volto segnato dagli anni e una fila di nastrini sul petto, per un attimo indugiò pensoso ad accarezzare con mano leggera le malconce lamiere. 
La nave non provò né sorpresa né delusione perché sapeva che tutte le cose avevano una fine: se era così per gli uomini, doveva essere così anche per le macchine. 
Semmai provava un po’ di curiosità: si domandò se quel Dio che tanto avevano invocato i marinai di Lepanto, di Lissa, di Matapan, esistesse anche per le navi: forse sì. In fondo le navi erano i loro occhi, la loro difesa, spesso la loro salvezza. 
La piccola nave emise un ultimo sbuffo di vapore che si disperse nel cielo dorato del tramonto.

    P.S. Scusatemi, ho dimenticato di dire il nome della protagonista di questo racconto: è la regia pirocisterna Tronto, costruita nel 1889. Prestò servizio fino al 1968.

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    Gennaro Castagna (Casamicciola Terme, 15.1.1920 – Mare, 15.6.1942)

    di Angelo Castagna

    (Casamicciola Terme, 15.1.1920 – Mare, 15.6.1942)

    Gennaro Castagna, marinaio cannoniere addetto alla torretta rialzata di prua, corso C.R.E.M. per artiglieri a Pola nel 1939, perì assieme alla sua nave, il regio incrociatore Trento, nella “Battaglia di mezzo giugno”, 15.06.1942.

    … riceviamo e con immenso orgoglio e commozione pubblichiamo.

    Buonasera Ezio,
    ti do del tu scusami ma mi viene spontaneo.
    Zio Gennaro era fratello maggiore di mio padre Aniello Castagna, motorista navale, deceduto nel 2015.
    Mio zio nacque a Casamicciola Terme il 15.01.1920, perì sull’incrociatore Trento nella battaglia di mezzo giugno il 15.06.1942 (ufficialmente disperso), il suo ruolo era quello di marinaio cannoniere. È anch’esso citato nel mio libro perché abitava affianco alla casa di mio nonno materno e si conoscevano bene, la figlia di mio nonno (cioè mia mamma), sposò poi il fratello di Gennaro ( mio padre).
    Per qualsiasi altra informazione, chiedi puree e ti ringrazio per l’interesse mostrato per questa storia davvero particolare e per tutto ciò che fai in memoria dei tanti Caduti, radice del nostro passato, seme del nostro futuro.
    Sono pienamente in sintonia sul filo logico del pensiero che lega gli uomini di mare di ieri, di oggi e di domani.
    Ti confesso che provengo da una famiglia profondamente legata al mare, il mio bisnonno era sottocapo durante la Grande Guerra, mio nonno e mio zio durante la seconda guerra, mio padre motorista navale dagli anni 50 fino al 96, mio fratello, attualmente primo ufficiale su navi mercantili…
    Essendo nato su un’isola, il mio mondo è il mare in tutte le sue sfumature e la mia curiosità sulle storie marinare di uomini e navi non ha confini. Sono un appassionato di storia e pur svolgendo un lavoro che mi tiene lontano dal mare, sento di appartenervi profondamente. Sono davvero felice di omaggiarti di una copia pre stampa del mio libro (*), spero lo riterrai interessante e apprezzerei eventuali critiche che servono solo a crescere e migliorare. Purtroppo ho dovuto stampare in self publishing, perché non ho riferimenti nel campo. Il libro ha suscitato molta curiosità negli innumerevoli gruppi social a cui sono iscritto. Ho ricevuto molto materiale inedito da alcune persone i cui parenti erano imbarcati con mio nonno in quel periodo. Sto pensando ad una seconda edizione aggiornata ma da solo non ce la farei. Il mio sogno è che un giorno, per caso, qualcuno si interessi a questa storia e gli dia il giusto risalto, in memoria di mio nonno e di tantissime altre anime che nel silenzio più assordante, hanno contribuito da eroi a rendere la nostra Patria quello che oggi è!

    La preziosa testimonianza di Angelo è dunque il nitido pezzo di un mosaico davvero eterogeneo, i cui dettagli spesso sfuggono. Ecco dunque che “Perso nella guerra” ci consente di scrivere – ed in qualche caso riscrivere – ulteriori pagine di una storia che, proprio perché tanto vicina, è ancora tremendamente remota.
    Si rivela quindi la duplice natura di “Perso nella guerra”: lo storico amplierà le sue conoscenze vista la cura del grande la- voro di ricerca, il lettore “semplice” vi troverà svago in virtù della prosa davvero encomiabile. Ma veramente utile sarà a quei lettori che si siederanno a gambe incrociate ad ascoltare Pietro Castaldi raccontare, nella consapevolezza che quel rac- conto ci permetterà di vivere un’altra vita, onde meglio coltivare la nostra, di esistenza.
    Forse, la mancanza di umanità deriva anche dal non aver sperimentato altre vite se non la propria: dal non essere stati con il sergente nelle steppe asiatiche, o con Primo nel campo di concentramento. O con Castaldi a bordo del Beatrice. Grazie ad Angelo, ci si offre una occasione. Perché non coglierla?
    Daniele Fumagalli

    DAL CAP. 7 – I SEI MESI PIÙ DURI
    Nel tardo pomeriggio, arrivarono anche i vicini e si unirono al banchetto, dopo quasi un anno di assenza, scoprì che anche il figlio del mio dirimpettaio, Gennaro, si era imbarcato come cannoniere sull’incrociatore Trento, purtroppo, ancora ventenne, vi avrebbe trovato la morte nella battaglia di “mezzo giugno”, di lì a qualche mese. Al momento nessuno temeva di ricevere una notizia del genere per cui continuammo a far baldoria fino a tarda notte. Questa licenza volli godermela appieno poiché di quello che sarebbe successo in futuro non ne avevo la più pallida idea. Avevo imparato a vivere l’istante, perché i progetti o le speranze verso una qualsiasi ipotesi di futuro, in quella situazione, non avevano ragione d’essere.

    Perso nella guerra
    di Angelo Castagna

    … riceviamo e con immensa gioia e orgoglio pubblichiamo.

    Buongiorno sig. Vinciguerra,
    mi chiamo Angelo Castagna e sono il nipote del capo segnalatore Pietro Castaldi, classe 1913.
    Dopo 10 anni di lavoro, sono riuscito a ricostruire la sua storia militare e l’ho racchiusa in un libro di memorie assieme a tanti aneddoti.
    Nasce così “Perso nella Guerra”, edito da youcanprint nel Marzo del 2022. Tutti i fatti e le circostanze raccontate, sono state verificate facendo ricorso a numerosi archivi storici, ad innumerevoli testi scritti da autorevoli conoscitori della materia (Giorgio Giorgerini, Aldo Fraccaroli, Erminio Bagnasco ecc.) e ai riscontri oggettivi offerti da alcuni commilitoni, non per ultimo Sergio Denti nella sua biografia raccolta da Enrico Nistri (l’ultimo assaltatore).
    Il testo, rivela la personalità e le gesta di un uomo semplice ed umile, orfano di guerra che non si sottrasse mai al suo dovere e non voltò mai le spalle al nemico. Protagonista di episodi singolari e particolari, si trovò spesso al centro di fatti di indubbia rilevanza storica. Fu tra l’altro l’ultimo responsabile del vecchio faro di Fiumara Grande prima che i tedeschi lo distruggessero durante la loro ritirata. Il suo contributo fu riconosciuto con 2 encomi solenni, due croci di guerra e una promozione sul campo. E’ un racconto della guerra secondo il punto di vista di uno dei tanti attori dell’epoca.
    Sento il bisogno di condividere questa esperienza perché è forte in me il desiderio di non dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Un futuro senza memoria storica  risulta spaventosamente vuoto e pericolosamente alla deriva come purtroppo i fatti del momento ci stanno evidenziando. Gli esempi di quanto siano state belle e allo stesso tempo dure le pagine scritte dagli uomini della nostra marineria, costituiscono un patrimonio sempre vivo da custodire e ampliare affinché i figli non dimentichino mai i sacrifici compiuti dai loro padri.
    Se può interessare, le allego una sintesi della sua biografia e la copertina del libro.
    Cordialmente
    Angelo Castagna

    Editore: Youcanprint
    Codice: EAN 9791220389907
    Anno: 2022 – Febbraio
    Pagine: 116

    Pietro Castaldi
    di Angelo Castagna

    (Lacco Ameno (Ischia), 21.12.1913 – Casamicciola Terme (Ischia), 13.8.2005)

    Scrivendo del passato, si ricordano navi e uomini, oggi vorrei dedicarvi la storia di uno qualunque…

    Capo segnalatore Pietro Castaldi nato a Lacco Ameno (Ischia) il 21 dicembre 1913. Orfano di guerra non conobbe mai il padre
    Nel 1929, a 16 anni, partecipò ad un concorso della regia Marina e frequentò la scuola CREM prima a Varignano, poi a Pola e ancora a Varignano dove ottenne la qualifica di segnalatore.
    A 18 anni entrò in ferma quadriennale e fu trasferito nella categoria segnalatori. Fu assegnato ai fari di punta Imperatore, (Forio d’Ischia), poi all’isola di Ponza (dove conobbe vari esiliati politici tra cui: Giorgio Amendola, Pietro Secchia, Giuseppe Romita, Pietro Nenni).
    Destinato dopo pochi mesi alla scuola avieri di Lacco Ameno (Ischia) insegnava fari e fanali.
    Nel 1932 fu promosso sottocapo e prese posto al distretto MARIZONA di Napoli come segretario del capo dipartimento.
    Nel 1934 fu confermato nella ferma biennale e imbarcato sul cacciatorpediniere Saetta.
    Nel 1937 al comando del capitano di corvetta Giulio Cerrina Feroni, partecipò al blocco navale del Canale di Sicilia, allorquando affondarono la nave cisterna El Campeador (primo atto ostile della Regia Marina contro una nazione non belligerante). Nello stesso anno fu confermato nella ferma sessennale e promosso 2° capo.
    Nel Maggio 1938 partecipò sulla stessa nave alla rivista in onore di Hitler.
    Dal Novembre 38 ritornò alle sue mansioni stavolta presso il distretto MARIPERS di Napoli fino al 1941.
    Nel 1941 fu imbarcato sulla motonave requisita Beatrice che nel giugno dello stesso anno faceva parte del convoglio “Aquitania” in rotta verso l’Africa, quando fu affondata a seguito di un attacco aerosilurante nemico (gravemente danneggiata fu finita il giorno dopo dal Camicie Nere) sulle secche di Kerkennah. Si salvò restando sei ore in acqua prima di essere recuperato dall’equipaggio del regio cacciatorpediniere Camicie Nere, riportando la perforazione permanente del timpano destro. Nella stessa azione, fu affondato anche il piroscafo Montello che non ebbe sopravvissuti.
    Nel novembre del 41, su sua richiesta fu imbarcato sulla torpediniera Orsa una delle 4 unità provviste di ecogoniometro in quel periodo, dove rimase fino a dicembre del 42. Operò sotto il comando dei pluridecorati tenente di vascello E.Henke (di cui divenne amico personale) e poi del capitano di corvetta Enrico Bucci e fu commilitone tra gli altri, del marò torpediniere anch’esso pluridecorato Sergio Denti (poi assaltatore della X M.A.S. che danneggiò gravemente con un barchino esplosivo, l’ultima nave nemica della 2° guerra mondiale, il cacciatorpediniere francese Trombe).

    Missioni più importanti
    Nel Gennaio 42, trasportarono in solitaria, 20.000 litri di carburante stivati sulla coperta. Operazione talmente rischiosa che fu emanato un ordine con deferimento alla corte marziale e conseguente pena di morte per chiunque avesse acceso anche solo un fiammifero o avesse proceduto a preparare pasti durante la traversata.
    Il 5 Aprile 1942 (comandante Henke) durante una caccia antisommergibile nel canale di Cerigo, individuate le scie di due siluri lanciati da unità ostile, in condizioni meteo proibitive riuscirono ad ingaggiare il nemico che dopo una severa lotta fu affondato (sommergibile inglese Triumph). L’azione venne riconosciuta con l’attribuzione della prima croce di guerra e promozione sul campo.
    Al 22 di Maggio durante una missione antisommergibile al largo di Lecce, fu ingaggiato un bersaglio subacqueo. Dopo il lancio di una serie di bombe di profondità, Henke ritenne di aver affondato un sommergibile nemico, per l’azione Capo Castaldi ricevette un encomio solenne. Più tardi si scoprì che il bersaglio era il relitto dell’incrociatore ausiliario Deffenu affondato precedentemente e di cui l’equipaggio non aveva avuto comunicazione.
    Al 24 Luglio 1942, di scorta alla motonave Vettor Pisani assieme alla regia torpediniera Calliope, subirono un attacco multiplo ad opera di aerei nemici. Riuscirono ad abbattere tre aerei ma la motonave colpita e danneggiata fu rimorchiata a traino dall’Orsa fino al porto di Luxuri (GRECIA) dove fu salvato una parte del carico e l’equipaggio. Capo Castaldi ricevette un encomio solenne.
    Sottufficiale segnalatore ricopriva alternandosi con i suoi parigrado diverse mansioni tra cui addetto alle coordinate di tiro e infermiere di bordo, fu tra i primi a soccorrere il comandante Bucci ferito alla testa dopo una epica battaglia tra le isole del Dodecaneso 8/11 settembre 1942 al termine della quale entrarono nel mar piccolo di Taranto issando 4 bandierine per aver affondato due sommergibili e due aerei nemici, azione per la quale ricevette la sua seconda croce di guerra ( citata nei bollettini di guerra 835 e 838).
    Partecipò a bordo della regia torpediniera Orsa a circa 42 missioni nel corso di 13 mesi (scorta convogli, caccia antisommergibile, trasporto carburante).
    Nel gennaio del 1943 fu reimbarcato sul r.c.t. Saetta che poi affondò urtando una mina al largo della Tunisia il mese seguente, quando era al comando il capitano di corvetta Enea Picchio. L’episodio non fu riportato sull’estratto matricolare in quanto il suo imbarco (urgente per sostituzione) non fu registrato. Infatti in quel periodo era stato destinato a Sapri in qualità di capoposto del presidio ma non ci arrivò mai. Rimase in acqua per due giorni assieme a 38 superstiti prima dell’arrivo dei soccorsi.
    Nel marzo del 1943, destinato al faro di Fiumara Grande come capo vedetta, fu sorpreso dai tedeschi alla sera del 13 settembre subito dopo la proclamazione dell’armistizio. Catturato assieme a due commilitoni riuscì a sfuggire miracolosamente al suo destino aggredendo e disarmando una guardia quando era già sul camion che li stava traducendo ai campi di concentramento del nord Italia. Passò oltre tre mesi a girovagare nelle campagne laziali e campane nascondendosi dal nemico che operava numerosi rastrellamenti, patendo fame, freddo e procurandosi numerose ferite, fino al primo gennaio del 44 quando riuscì, adempiendo agli ordini, a ritornare presso il distretto di appartenenza. Arrestato e accusato di diserzione e collaborazione con gli occupanti, nonostante le precarissime condizioni di salute, fu trattenuto in prigione per diversi giorni assieme ai suoi due compagni di fuga e subì molti interrogatori. Posto in convalescenza per tre mesi, fu successivamente sottoposto a processo e poi definitivamente riabilitato nel grado e nelle mansioni fino al termine del servizio.
    Nel 1948 lasciò il servizio attivo e posto in riserva fino al 1956 quando con successiva promozione andò in pensione.
    Dal 1962 fu comandante dei vigili urbani del comune di Casamicciola Terme e prestò opera di volontariato fino al 1976 presso il Pio Monte della Misericordia nello stesso comune.
    Nel 1990 dopo che Giulio Andreotti rivelò l’esistenza di GLADIO poi confermata anche da Francesco Cossiga, Pietro Castaldi sciolto il vincolo di segretezza, rivelò alla famiglia di esser stato reclutato negli anni 50 e di aver avuto ruolo attivo fino al 1965. Mia nonna ricordava che si recava in Sardegna per esercitazioni una volta l’anno…ma era già pensionato!
    Deceduto a Casamicciola Terme (Ischia) il 13 agosto del 2005 all’età di 92 anni.

    Della sua storia si interessò un famoso giornalista storico verso l’inizio degli anni 80 al quale si rifiutò di rilasciare alcuna intervista.
    Era mio nonno uno dei tanti di cui non si è mai parlato e le sue memorie le ho raccolte nel libro “Perso nella guerra” perché gli eroi non erano solo i comandanti ma spesso anche i sottoposti…

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Pittori di mare,  Recensioni,  Storia

    13.1.1924, radiazione del regio monitore Faà di Bruno

    di Carlo Di Nitto

    Il regio monitore “Faà di Bruno” fu un grosso pontone armato semovente. Dislocava 2854 tonnellate e derivava dalla modifica di un ex pontone gru della Regia Marina (il G.A. 43).
    Impostato il 10.10.1915, presso i Cantieri dell’Arsenale Marina Militare di Venezia, fu varato il 30.3.1916 ed entrò in servizio il 01.4.1917.
    Potentemente armato con due cannoni da 381/40, quattro da 76/40 e due mitragliere da 40 mm., aveva un equipaggio composto di 45 uomini tra ufficiali, sottufficiali e marinai. Due motrici alternative gli consentivano una velocità di tre nodi. Come altre unità similari, era stato realizzato per affiancare l’esercito appoggiando, per quanto possibile, le operazioni sul fronte terrestre e le difese costiere.
    Il suo primo impiego operativo avvenne il 18 agosto 1917 bombardando le posizione austriache durante l’undicesima battaglia dell’Isonzo.
    A seguito dei fatti di Caporetto si dispose il suo trasferimento ad Ancona insieme al quasi gemello “Cappellini”. Purtroppo, il 18 novembre 1917, furono sorpresi da una violenta tempesta. Il “Cappellini” si capovolse ed affondò con la perdita di oltre 60 uomini mentre il “Faà di Bruno”, spezzati anch’esso i cavi di rimorchio, grazie all’azione del suo comandante, Capitano di Corvetta Ildebrando Goiran, fu portato ad incagliare nei pressi del borgo di Marotta (Pesaro). L’equipaggio rimasto a bordo fu aiutato in quel frangente, nonostante la tempesta in corso, da undici coraggiose ragazze che postesi ai remi di un palischermo raggiunsero l’unità e la rifornirono di viveri, frutta e alcune damigiane accompagnate da un biglietto che diceva:
    – “Le spose di Marotta offrono ai Marinai d’Italia un bicchiere di vino”.
    Una di esse poi, gettatasi arditamente a nuoto, riuscì a svolgere fino alla riva una sagola che consenti di filare dei cavi d’ormeggio per impedire che l’unità venisse trascinata nuovamente al largo.
    Dopo la guerra, il 24 agosto 1919, le undici eroiche ragazze furono decorate con la Medaglia di bronzo al Valor Marina. I loro nomi: ai remi Giustina Francesconi, Silvia Ginestra, Teresa Isotti, Edda Paolini, Arduina Portavia, Emilia Portavia, Emilia Portavia di Nicola, Maria Portavia, Nella Portavia, Erinna Simoncelli, e l’undicesima, la giovanissima sposa Zampa Maria, alla barra del timone.

    Riclassificato “Cannoniera” l’1/7/1921, Il “Faà di Bruno” venne radiato il 13/1/1924 ma fu rimesso in servizio all’inizio della seconda guerra mondiale come batteria galleggiante GM 194 a difesa delle città di Genova e Savona dove fu affondato nel 1945 dai tedeschi in ritirata. Fu recuperato a pezzi negli anni successivi.


    Il suo motto fu: “ Nec ferro nec igne” (né ferro né fuoco possono offendermi).
    ONORE AI CADUTI E ALLE “RAGAZZE DI MAROTTA”.
    Dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2019/11/18-11-1917-marotta-e-le-undici-eroine-del-faa-di-bruno/

  • Marinai,  Marinai di una volta,  Racconti,  Storia

    Michele Casolino (Termoli (CB), 13.1.1933 – 15.7.2012)

    di Vincenzo Campese

    (Termoli (CB), 13.1.1933 – 15.7.2012)

    Il marinaio che salvò i macchinisti del Lecce Milano
    Termoli 25-26  febbraio 1955

    Il bravo marinaio, autore dell’eroico salvataggio del macchinista del direttissimo 450 che ha deragliato domenica notte dopo Ortona, gettandosi in mare, e raggiungendo la locomotiva andata per un cento metri in mare, dalla quale ha salvato, assieme ad un’altro marinaio, nativo dell’Aquila, il macchinista ed il fuochista, è stato dal nostro corrispondente di Termoli rintracciato. Egli è il marinaio di leva Casolino Michele di Mercurio, di anni 22, nativo di Termoli (Campobasso) ed in forza presso il distaccamento di Marina di Roma, dove rientrava appunto col direttissimo 450 dopo una licenza. E’ un ragazzo bruno, di media statura, che ha raccontato ancora eccitato l’avventura di cui è stato protagonista e con tanta modestia, come se il gesto eroico fosse stata la cosa più naturale di questo mondo, incurante dei suoi 22 anni che non aveva esitato a rischiare in un mare burrascoso e sotto il diluviare del temporale, dopo le prime emozioni brusche e terribili ricevute, appena ha intuito che il suo vagone, il primo subito dopo la locomotiva, sobbalzava sulle traverse, dopo un violento scossone, per un cento metri rovesciandosi di sbieco sul terreno franoso improvvisamente scosceso e determinando la definitiva fermata del convoglio già prontamente frenato dal macchinista Osvaldo De Fanis, anch’egli oriundo da Termoli. Gettandosi dal vagone raggiungeva col capotreno la testata del treno, ma con sorpresa non vi vedevano la macchina, che avvistavano per un cento metri infilata in mare con la testa verso Nord.Intuito il pericolo in cui giaceva il personale di macchina, il marinaio si gettava nel mare agitatissimo assieme ad un collega proveniente da Taranto e che andava in licenza a l’Aquila, raggiungevano la locomotiva e tiravano in salvamento il macchinista De Fanis ed il fuochista Leonardo Brenta.

    A colloquio con il valoroso marinaio del direttissimo Lecce – Milano
    Solo più tardi il marò Michele Casolino si convinse che aveva compiuto un po’ più del suo dovere.
    La mattina di domenica 26 Febbraio 1955 il marinaio Michele Casolino non si presentò al distaccamento della Marina in Roma, di ritorno dalla licenza trascorsa a Termoli Imerese (n.d.r. errore del giornalista che equivocò con Termini Imerese in Sicilia) in quel di Campobasso. ma prima ancora che il suo insolito ritardo fosse notato, giunsero, come ogni mattina, nella bella caserma “Grazioli Lante” i giornali domenicali con le ampie cronache in quei giorni di moda sulle prime pagine; neve, strade bloccate, frane, allagamenti, ecc. Era appunto sui titoli di una di queste cronache che si parlava del valoroso marinaio Michele Casolino in servizio al Ministero Difesa Marina che in piena notte, sotto una bufera di acqua e vento, si era gettato in mare dalla scarpate ferroviaria dopo la galleria di Ortona per trarre in salvo il macchinista ed il fuochista della locomotiva del direttissimo Lecce-Milano investita da una frana e precipitata in mare proprio nel tratto tra Ortona e Pescara. Per due giorni del marinaio Casolino nessuna notizia al distaccamento di Roma dove molti lo attendevano, dopo tanto rumore di stampa, una telefonata euforica di Michele Casolino dalla stazione Termini per preannunciare il ritorno trionfale in caserma.Invece è arrivato alla chetichella tre giorni dopo, presentando al sottufficiale all’ingresso un certificato del sanitario del suo paese che dopo quel po’ di sfacchinata e di bagno in mare in piena notte di bufera, gli aveva ordinato due giorni di riposo.

    Il marò Casolino Michele di 23 anni, figlio di marinaio e primogenito di 6 figli, è un timido e mite ragazzo che arrossisce davanti all’obiettivo del fotografo. Nel circolo del distaccamento lo abbiamo pregato di raccontarci la scena di quella notte, dopo le versioni drammatiche che la stampa ne ha fornito. E altro se si tratto di dramma! un miracolo anzi se il dramma non diventò tragedia in quell’inferno di acqua e di terra che rotolò dalla collina sulla linea ferrata! Accade – sentiamo l’ottimo Casolino che sembra rivivere quei momenti angosciosi – accadde alle 23,40 della notte tra il 25 ed il 26 Febbraio, pioveva a dirotto da molte ore. Egli, il marò Casolino, era salito sul direttissimo dal quale sarebbe sceso a Pescara per prendere il primo treno per Roma e rientrare puntuale dalla licenza. Al termine della seconda galleria dopo la stazione di Ortona, il convoglio sembrava procedere proprio nel mare in tempesta, tra la furia delle onde che due metri più sotto la scarpate arrivavano fino ai binari e il torrente fangoso che sulla destra precipitava dalla collina alta una ventina di metri sui binari.Il nostro marinaio era sulla prima vettura dopo la locomotiva e il tender.Uno schianto, uno sferragliare cupo nella notte, un sobbalzar improvviso ” come quando si và in bicicletta sui selciato sconnessi “; e poi ancora e soltanto la furia delle onde e della pioggia.Il marò d’un balzo fu allo sportello e si trovò per primo sulla scarpata, subito seguito dal capotreno il quale correndo avanti verso la locomotiva, gettò un urlo di terrore: “La macchina in mare”. Era infatti accaduto che la grossa frana, staccatasi proprio all’arrivo del treno, aveva investito in pieno la macchina, facendola deragliare e spingendola nelle sottostanti onde. La prima vettura si era miracolosamente sganciata dal ” tender ” quando era già uscita dai binari spingendosi verso il mare.Solo che la frana avesse investito il centro del lungo convoglio, le conseguenze sarebbero state terrificanti per i settecento passeggeri che, si calcola, si trovavano nelle sei vetture.Il convoglio si era arrestato dopo qualche decina di metri si che la macchina si trovava ora tra le onde quasi alla metà del convoglio. Da laggiù intanto, dal nero infuriare del mare, giunsero all’orecchio del marò le grida di soccorso del macchinista e del fuochista. Scese a precipizio la scarpata, si trovò in mare, arrancò tra gli scogli, raggiunse i corpi dei due, immobili sopra le onde, aggrappati agli scogli.Altri scesero in mare accanto a lui, si caricarono i corpi dei due che furono adagiati in un vagone di prima classe.Era il macchinista il ferito più grave con un piede penzoloni.Accanto al marinaio Casolino accorse anche un’altro marinaio, il sottocapo Romeo Pacitti in servizio sul cacciatorpediniere ” Grecale ” che proveniva da Taranto ed era diretto all’Aquila. Con il cordone dell’uniforme e le cinghie, i due cercarono arginare la forte emorragia della gamba dello sventurato, e portare la prima assistenza ai due feriti.Un medico di Bari, tra i viaggiatori, recò ai due infortunati le prime cure. In un sedile di prima classe, egli recise al disgraziato macchinista, i tenui lembi di carne e di pelle che ancora congiungevano il piede alla gamba.Poco più tardi, un carrello inviato a tutta velocità raggiungeva il luogo dell’incidente.I passeggeri intanto si erano calmati dopo il panico determinato dal brusco arresto del convoglio e dallo spettacolo della locomotiva in mare. Con le vetture di coda rimaste sulla linea, due ore più tardi i passeggeri ritornavano ad Ortona.E fu qui, alla stazione di Ortona, che il nostro Casolino, al quale qualcuno all’arrivo aveva con insistenza chiesto nome e cognome, dopo le sue reticenze della notte prima dopo il salvamento, si senti chiamare a gran voce da un carabiniere. Uscì dalla sala d’aspetto e con sorpresa si trovò dinanzi ad un signore che si presentò come Prefetto di Chieti il quale teneva per primo a compiacersi con lui per il suo coraggio e la sua abnegazione.Fù cosi, che il bravo e modesto marò Casolino seppe che aveva compiuto qualcosa di insolito. Un qualcosa che oggi gli procura l’affetto e l’ammirazione dei suoi superiori e dei compagni d’arme che lo considerano un marinaio veramente degno della gloriosa uniforme dal solino blu.