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    Francesco De Rizzo, l’isola di Lero e la Banca della Memoria

    Marinai di Spirito Santo

    (Schio, 15.10.1921 – Mar Mediterraneo, 5.10.1943) 

    Abbiamo ricevuto la seguente richiesta

    “Buongiorno, ho ritrovato delle vecchie lettere di mio zio marinaio caduto in battaglia; era imbarcato sul cacciatorpediniere Euro e quando fu attaccato da aerei tedeschi il primo ottobre 1943 a Lero, mio zio fu tra le vittime del bombardamento. Mio zio si chiamava Francesco De Rizzo, classe 1921, di Schio (Vi). Da una lettera in particolare, leggo di un tale sergente furiere Giovanni Ralla (*) e capisco che c’era una sentita amicizia tra i due. Sarei semplicemente curioso di sapere se questo Sergente (sopravvissuto a Lero, deportato in Germania, successivamente rientrato in Patria), è ancora in vita per chiedere notizie e foto su mio zio; qualora non lo fosse, potrei rivolgermi a degli eventuali famigliari. Vi chiedo gentilmente se voi potete aiutarmi o casomai a chi potrei rivolgermi.”
    Alberto

    Egregio sig. Alberto,
    purtroppo il tempo non gioca a nostro favore. Non sappiamo se il Sergente che Lei ha citato sia ancora in vita o se è già salpato per l’ultima destinazione; in separata sede le daremo dei consigli per la ricerca e comunque, qualora qualche familiare o conoscente ci contatti glielo faremo sapere. Dal Suo racconto e da quanto a nostra conoscenza, possiamo dare in ogni caso delle indicazioni e dei consigli.
    Come già pubblicato nel presente Blog il tutto incominciò ………..“Alle 9.05 del 26 settembre 1943 iniziò il primo attacco aereo tedesco sull’isola di Lero. Furono distrutte caserme, affondato il cacciatorpediniere greco “Principessa Olga“, dove era in visita una scolaresca locale, affondato il MAS 534, colpito un cacciatorpediniere inglese. Purtroppo senza la stazione di avvistamento verso Ovest dell’isola di Sira le batterie italiane furono colte di sorpresa e purtroppo, per i forti riverberi nella baia di Portolago, anche i radar britannici non riuscirono ad avvistare gli aerei. Il primo attacco era pienamente riuscito, non tanto per i danni materiali inflitti, quanto per le vittime di innocenti sul cacciatorpediniere greco ed i danni al cacciatorpediniere britannico.
    Nel pomeriggio furono danneggiati, ed in seguito affondarono, anche il piroscafo Prode ed il Taranrog (requisito ai Tedeschi a Rodi). Il nostro cacciatorpediniere Euro ed altri mezzi minori si salvarono diradandosi.
    Dal mattino del 26 settembre, sino a tutto il 31 ottobre 1943, l’isola subì una accanita e continua offensiva aerea.”
    1) IL CACCIATORPEDINIERE EURO E L’ISOLA DI LERO
    La sorte dell’Euro era stata solo rimandata poiché successivamente la nave fu gravemente danneggiata il 1º ottobre 1943, da alcune bombe cadute vicino allo scafo durante un attacco aereo tedesco, mentre era alla fonda nella rada di Parteni di Lero. Nuovamente colpita fu affondata nel bombardamento del successivo giorno 3. Tale ricostruzione spiega perché su alcuni testi sono riportate entrambe le date.
    Il Comandante Meneghini ed i superstiti dell’equipaggio combatterono sull’isola e furono tra gli ultimi ad arrendersi il 17/11/1943. Il comandante Meneghini venne fucilato e alla sua Memoria gli fu conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Il resto dell’equipaggio fatto prigioniero fu rinchiuso inizialmente nel piccolo aeroporto di Zerocampo e successivamente con navi ad Atene e poi con carri ferroviari fu deportato in diversi lager tedeschi o in Polonia, come quelli di Schokken in Polonia o di Vilniansk in Ucraina.
    Sul Cacciatorpediniere Euro durante la guerra ci furono in totale 29 caduti. Se togliamo quelli deceduti prima del 26 settembre 1943 ne restano 21 dei quali 15 caddero a Lero, 1 a Rodi, 4 morino in prigionia e 1 morì al suo rientro in Italia.
    Le sia da conforto sapere che per coloro che sono deceduti a Lero la funzione religiosa fu celebrata da Padre Igino Lega, “l’uomo degli altri”, un cappellano militare gesuita che fu anche deportato in diversi lager tedeschi, perché voleva seguire la sorte dei ‘suoi’ Marinai. Ne tornò con l’ultimo dei convogli, provato nel fisico e duramente ferito nell’animo. Gli venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare per il suo operato spirituale. E’ in corso il processo di beatificazione.
    A Lero i marinai italiani dimostrarono al mondo intero che l’Italia non era morta ed essi, anzi, tenendo fede al giuramento, riaffermarono con forza la piena esistenza della propria Patria, gettando così le basi della sua rinascita.

    Padre Igino Lega celebra la messa sull’isola di Lero

    2) LA SEPOLTURA
    Per quanto riguarda Francesco De Rizzo nell’Albo d’Oro della Marina Militare ed in quello di ONORCADUTI è riportata come data di morte quella del 5 ottobre 1943.
    https://www.difesa.it/Il_Ministro/CadutiInGuerra/Pagine/default.aspx

    Sul sito dello stesso ONORCADUTI in cui sono riportate invece le sepolture la data di morte è quella del 1 ottobre 1943:
    https://www.difesa.it/MINISTRO/COMMISSARIATO_GENERALE_PER_LE_ONORANZE_AI_CADUTI_IN_GUERRA/Pagine/Ricerca_sepolture.aspx

    Mistero dell’informatica o mancato incrocio dei dati? In realtà una spiegazione può essere data, fermo restando il mancato incrocio dei dati, possiamo condividere che suo zio è morto l’1 ottobre e sepolto a Lero cosa che è stata registrata da ONORCADUTI solo dopo il rientro dei resti da Lero leggendo il verbale R.O. 738. In particolare, i caduti di Grecia ed Albania della 2 guerra mondiale sono stati tumulati nel Sacrario Militare d’Oltremare di Bari a meno di quelli i cui parenti hanno chiesto di seppellirli vicino alla propria famiglia. Per avere conferma basta richiedere ad ONORCADUTI se possono dare copia del già citato verbale R.O. oppure avere un estratto delle notizie relative a suo zio in esso contenute.
    Veniamo ora al Sacrario di Schio. Confermo che nell’elenco del Sacrario è riportato il nominativo “De Rizzo Francesco”. Il nominativo è riportato in colore blu e in fondo all’elenco è scritto che in blu sono indicati i civili e militari morti a Schio causa incursioni aeree (sepolti all’interno della Chiesetta). Questo chiaramente non torna. Cosa fare? Semplice, telefonare al sacrario e fare presente/correggere l’anomalia chiedendo, eventualmente, una diversa collocazione della salma. Può contattare il Sacrario al tel. 0424.463088 oppure inviare una e-mail al seguente link: asiago@onorcaduti.difesa.it. Qualora, invece, volesse andare di persona il Sacrario è aperto i giorni feriali, escluso il lunedì, dalle ore 09.00 alle ore 12.00 e dalle ore 14.00 alle ore 16.30, e nei giorni festivi dalle ore 09.00 alle ore 13.00.

    3) COME CERCARE ULTERIORI NOTIZIE
    Innanzitutto deve sapere che l’Associazione Marinai di Foligno è intitolata in ricordo della Medaglia d’Oro Vittorio Meneghini loro concittadino allora comandante del Cacciatorpediniere nave Euro. Non posso escludere che possano darle una mano nella ricerca (0742 344717). Infine può rivolgersi ai seguenti Enti:

    a) per richiedere una eventuale copia del Verbale R.O.738
    Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra
    Inviando una email al seguente indirizzo: onorcaduti@onorcaduti.difesa.it  
    oppure tramite posta ordinaria al seguente indirizzo:
    Ministero della Difesa
    Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra
    Direzione Storico Statistica
    Via XX Settembre, 123/a – 00187 ROMA
    Può anche rivolgersi ai seguenti numeri telefonici: +390647355135 +390647354990.

    b) per lo stato di servizio
    Ministero della Difesa
    Direzione Generale per il Personale Militare V Reparto
    viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma;

    c) per il foglio matricolare
    Centro Documentale (ex Distretti Militari) e/o all’Archivio di Stato competente per territorio, in base alla provincia di nascita del Caduto;

    d) per la documentazione anagrafica (atto di nascita, atto di morte, ecc..):
    al Comune di nascita del Caduto;

    e) per le notizie/documenti relative alla definizione dello “staus giuridico matricolare” di Caduto/Disperso in guerra e relativo inserimento nell’Albo d’Oro:
    Ministero della Difesa
    Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento al Lavoro dei Volontari Congedati – III Reparto – 10^ Divisione Albo d’Oro
    viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma;

    f) per le vicende storiche del reparto/unità di appartenenza del Caduto:
    agli Uffici Storici dell’Esercito, della Marina Militare, dell’Aeronautica Militare e dell’Arma dei Carabinieri, i cui recapiti potranno essere reperiti sui rispettivi siti internet (normalmente non fanno ricerche per conto terzi per cui occorre andare di persona. Deve prima contatttarli);

    g) per le onorificenze e le decorazioni relative al Caduto:
    Ministero della Difesa
    Direzione Generale per il Personale Militare
    V Reparto – 10^ Divisione Ricompense ed Onorificenze
    viale dell’Esercito, 186 – 00143 Roma.

    h) Sacrario di Schio
    Può contattare il Sacrario al tel. 0424.463088 oppure inviare una e-mail al seguente link: asiago@onorcaduti.difesa.it

    4) RIFERIMENTI
    Maggiori notizie sul Cacciatorpediniere Euro e sull’isola di Lero può trovarle ai seguenti link e sui seguenti documenti:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2017/10/il-valoroso-regio-cacciatorpediniere-euro-2/
    https://it.wikipedia.org/wiki/Euro_(cacciatorpediniere_1927)
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2018/03/23-3-1951-in-ricordo-di-padre-igino-lega/
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2017/09/giacomo-corti-deceduto-nel-2003-e-lero-lisola-degli-eroi/
    http://www.leros.org/lerostouristhttp/wwiileros_video_books.htm
    https://www.youtube.com/watch?v=QZSDtGVjxXw
    https://www.limoney.it/projects/7-la-storia-di-leros-l-isola-dimenticata-andrea-villa

    • “Lero” di Virgilio Spigai – Editore: Società Editrice Tirrena Livorno Ed. 1949
    • “Una sigaretta sotto il temporale (storia di una fuga dall’isola di Leros)” di Angelo Martinelli – Editore: Marino Solfanelli Editore Chieti Ed. 1988
    • “Lero Eroica (dagli scritti di Padre Igino lega S.J.)” a cura del Centro Veritas et Amor – Editore: Editrice Italica Pescara Ed. 1974
    • “Avvenimenti in Egeo dopo l’Armistizio Vol. XVI” – Editore: Ufficio Storico della Marina Militare Ed. 1972
    • “La Marina Militare nella seconda Guerra Mondiale. Tomo II – Navi Mercantili” Ufficio Storico della Marina Militare ed. 1952
    • “The Aegean Mission” di Jeffrey Holland – Editore: Greewood Press Ed. 1988
    • “Diario dall’Egeo” di Giuseppe Corrado Teatini – Editore: Mursia Ed. 1990
    • “P. Jgino Lega” di A. Scurani S.J. – Editore: Selecta Ed. 1958
    • “De Vecchi, Bastico, Campioni (ultimi Governatori dell’Egeo)” di Ruggero Fanizza – Stabilimento Tipografico Valbonesi Forlì Ed. 1947
    • “Il Poema di Lero” di Umberto Galeota – Editore: ALA Napoli Ed. 1952.
    •  “Guerra in Egeo (1940-1945) – Un marinaio racconta…” di Domenico Pischedda della Casa editrice Antonio Lalli Editore.

    (*) Non abbiamo trovato notizie sul sergente furiere Giovanni Ralla.

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    Luigi Scarciglia

    di Marino Miccoli

    Buongiorno Ezio,
    ritorno con piacere a te, dopo un po’ di tempo con un accorato scritto che riguarda un carissimo amico di mio padre, il Cannoniere Luigi Scarciglia, persona degna di ogni rispetto che ho avuto l’onore di conoscere personalmente quando ero ragazzo.
    Da alcuni anni Luigi è nel mondo dei più con mio Padre.
    Ti abbraccio forte e ti auguro buon fine settimana.

    Luigi Scarciglia è il marinaio d’altri tempi che vediamo raffigurato in questa vecchia quanto bella fotografia che ho estratto dall’album di mio padre Antonio (*); ho il piacere di farlo conoscere agli amici di questo nostro meritevole sito web.
    La fotografia fu donata da Luigi stesso a mio padre con i saluti autografi scritti sul retro; un tempo questa cortesia avveniva non di rado tra militari, e anche mia madre mi conferma che era in uso scambiarsi le fotografie tra commilitoni.
    Il nostro “Cannoniere” si arruolò in Marina quando questa era Regia per assolvere all’obbligo del servizio di leva che allora durava 4 anni. Classe 1910 (conterraneo di mio padre Antonio che invece nel 1929 ma scelse la Marina per carriera divenendo successivamente Capo Cannoniere), originario di Spongano, una piccola cittadina del Salento, aveva frequentato l’apposito corso di qualificazione presso le rinomate Scuole del C.R.E.M.M. di Pola (Istria Italiana).
    A tal proposito consiglio la lettura di un altro mio interessante scritto che troverete qui: https://www.lavocedelmarinaio.com/2010/06/le-scuole-c-r-e-m-di-pola-istria-italiana/
    Richiamato poi per la guerra d’Africa (1935-36), e ancora nel 1940 per l’entrata in guerra dell’Italia nella II G.M., Luigi Scarciglia svolse sempre egregiamente e con onore, sui diversi fronti bellici, il suo ruolo di cannoniere, fino a congedarsi con il grado di Sottocapo.
    Ritornò nella vita civile a svolgere con passione il lavoro di sempre: il maestro di potatura e d’innesto degli alberi da frutto.
    Persona schietta e genuina, dotata di una praticità innata, di Lui mi piace ricordare la passione con cui narrava le sue vicissitudini vissute negli anni durante i quali indossava la bella uniforme della Marina.
    Nel ricordare e celebrare Luigi mi ritorna in mente quando una volta gli domandai quale fosse la funzione del “cordone bianco”, ovvero se questo non fosse soltanto qualcosa di decorativo sulla divisa dei nostri Marinai; ebbene mi rispose che serviva non soltanto a stringere il fazzoletto nero (che rappresentava il lutto per la morte del Conte Camillo Benso di Cavour) ma anche per motivi pratici, in particolare:
    – nel caso di risse era usato per ammanettare gli arrestati;
    – idem come sopra ma anche per legare i polsi ai nemici fatti prigionieri in tempo di guerra.
    A Luigi Scarciglia e a tutti quei Marinai che come Lui, con passione, dedizione e sacrificio, hanno reso grande la nostra Marina, oggi rivolgo il mio deferente pensiero e ne onoro la memoria.

    (*) N.d.R. si consiglia all’argomento:
    – digitare sul motore di ricerca del blog Antonio Miccoli;
    – https://www.lavocedelmarinaio.com/2014/09/a-proposito-di-fazzoletto-nero-sulla-divisa-dei-marinai/

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    4 ottobre San Francesco Patrono d’Italia

    a cura Marinaio di Spirito Santo

    Dolce è sentireCome nel mio cuoreOra umilmenteSta nascendo amore
    Dolce è capireChe non son più soloMa che son parteDi un’immensa vita
    Che generosaRisplende intorno a meDono di LuiDel suo immenso amor
    Dono di LuiDel suo immenso amorDono di LuiDel suo immenso amor
    Sia laudatoNostro SignoreChe ha creatoL’universo intero
    Sia laudatoNostro SignoreNoi tutti siamoSue creature
    Dono di LuiDel Suo immenso amoreBeato chi Lo serve in umiltà
    FILM COMPLETO
    San Francesco 
    Guarda San Francesco
    Sul suo cammino
    A piedi nudi
    Il poverino
    Dorme la notte
    Presso il mulino
    Divide il pane
    Col contadino
    Guarda San Francesco
    Che va bel bello
    E non ha niente
    Nel suo fardello
    Saluta il vento
    Buon giorno amico
    E dice al fuoco
    Sei mio fratello
    Guarda San Francesco
    Sul suo cammino
    Che porta in braccio
    Gesù Cristino
    Inventa giochi per il Bambino
    Racconta favole all’uccellino
    Guarda San Francesco
    Sul suo cammino
    Guarda San Francesco
    Guarda San Francesco Francesco
    Guarda San Francesco
    Guarda San Francesco
    Sul suo cammino
    Vinicius De Moraes Sergio Endrigo Sergio Bardotti
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    4.10.1917, la vera storia del piroscafo Città di Bari

    Segnalato da Nico Vernì

    Prof. Giovanni Vernì – LA VERA STORIA
    del triste epilogo del piroscafo “Città di Bari”, silurato dal SMG tedesco UB48.

    PORTO DI TARANTO – MAR PICCOLO, Giovedì 4 ottobre 1917.

    Aria serena. Giornata mite e piena di sole, che fa ben sperare; una bella giornata ottobrina.
    Il solito movimento del tempo di guerra, piuttosto ordinato e circospetto; il solito andirivieni tra le banchine del gran porto tarantino.
    Navi alla fonda, navi che vanno, navi che vengono; mercantili o da guerra. Ultimi controlli per i passeggeri pronti all’imbarco.
    Attorno ad una, in particolare, ferve sin dal mattino un’insolita attività: si stanno mettendo a punto le ultime cose: fra le quali il funzionamento di un cannoncino da 76 m/m, di cui essa è stata dotata da poco; si stanno caricando le poche mercanzie, imbarcando, alla spicciolata, senza fretta alcuna, i pochi passeggeri, tutti militari, per la vicina Macedonia, via Grecia.
    E’ il piroscafo “Città di Bari”.
    Lo comanda un giovane ma esperto lupo di mare, un barese doc, credo, probabilmente parente stretto del defunto Pantaleo Castellano, un coraggioso di poche parole, concreto, essenziale, il capitano L.Castellano, coadiuvato da un eccellente equipaggio, composto, in gran parte, di pugliesi, se non di baresi – i Violante, p.e., i De Santis, i De Tullio, i Cassano, gli Introna, i Bottalico, i Bellomo, per dirne qualcuno. Chi ne volesse conoscere tutti i nomi, uno per uno, può scorrerne gli elenchi che noi alleghiamo in questo volume, sez. Documenti.
    Prima dello scoppio della “Grande Guerra” il “Città di Bari” aveva solcato con dignità e onore l’Adriatico e lo Jonio, soprattutto, attivamente partecipando ai traffici commerciali che si svolgevano nei due mari e tenendo ben collegate tra di loro le sponde che ne erano bagnate.
    Con l’entrata in guerra del nostro Paese, era stato requisito e, armato di cannone, dopo aver partecipato alle operazioni di salvataggio, da parte della Regia marina, dell’esercito Serbo-Montenegrino e di trasporto, da S.Giovanni di Medua a Brindisi, dei membri del governo slavo e del tesoro statale (come provano e documentano fonti italiane e britanniche pubblicate dalla Rivista Marittima del gennaio 2003, che qui di seguito vi mostriamo), veniva adibito ad “ausiliario” della Regia Marina Militare, nel servizio-postale e passeggeri, con partenza da Taranto, al giovedì, sulla linea Taranto – Gallipoli – Corfù – Patrasso.
    E qui, proprio qui, su questo tratto, la malasorte volle che, nel viaggio che stiamo per raccontare, si compisse il suo tragico destino.

    IL FATTO
    La partenza del “Città di Bari” da Taranto. L’arrivo e la sosta a Gallipoli. L’imbarco di civili greci. Il primo siluramento. Il secondo siluramento. L’ammutinamento dei greci. Il cannoneggiamento da parte del sommergibile siluratore. L’affondamento del piroscafo. La scomparsa del capitano comandante. Lo sbandamento dei naufraghi.
    Lasciata Taranto nel pomeriggio di giovedì 4 ottobre, il “Città di Bari” giunse a Gallipoli (l’antica KalhpoliV, o “Città Bella”, fiorente centro commerciale affacciato sullo Jonio, a 38,5 Km. da Lecce), nelle prime ore della sera dello stesso giorno.
    Era solo, senza scorta, avendo a bordo, oltre all’equipaggio civile composto di 40 persone e all’equipaggio militare di 11, soltanto 37 (o 35?) passeggeri militari del Regio Esercito (c’era tra questi il padre di chi scrive, Pasquale, soldato del “271° Btg. Milizia Territoriale”, dislocato sul fronte Macedone, al quale faceva ritorno dalla licenza) e della Regia Marina ed un carico di 130 tonn. di viveri e materiali vari .
    “Quando il “Città di Bari” giunse a Gallipoli – narra nel suo interrogatorio l’Ufficiale di Porto – mi recai a bordo della nave, e il Capitano di questa, Luigi Castellano, mi chiese se il Piroscafo “Imera”, silurato due giorni prima, avesse avuto la scorta. Alla mia risposta negativa disse: “Chissà se per noi vi sarà la scorta”. Risposi che non sapevo, ma che però non lo credevo e, quindi, lo informai che i passeggeri da imbarcare superavano le cento unità.
    Al mattino seguente informai il Comandante di Spiaggia delle parole scambiate col Capitano a riguardo della scorta. Il Comandante Stranges mi rispose di non avere facoltà di dare la scorta, ma che, se il Capitano l’avesse ufficialmente richiesta, avrebbe telegrafato a Taranto per l’autorizzazione. Mi recai nuovamente a bordo e riferii quanto sopra al Capitano, ma questi mi rispose che non voleva chiedere scorta per non far credere di avere paura. Se queste non furono le sue precise parole, certo il senso ne era equivalente.
    Rimasi a bordo del Piroscafo tutto il pomeriggio e verificai se tutti avessero il salvagente e se lance e zattere fossero a posto, libere da impedimenti ed in numero sufficiente, del che ebbi anche assicurazione dal Capitano.
    Non mi occupai, perché non di mia competenza, del ritiro delle armi dei passeggeri; per quanto mi consta, ciò non fu fatto né dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, né da quella di bordo, né dagli Agenti della Regia Dogana.
    Ritornai a terra mezz’ora prima della partenza e riferii al Comandante di Spiaggia che il Capitano non aveva creduto di chiedere la scorta.
    Il “Città di Bari” partì regolarmente alle 18h,30m. A tenore delle norme vigenti, non feci alcun telegramma di partenza, però, in vista del rilevante numero di passeggeri, telegrafai subito ai Servizi Logistici che il Piroscafo era partito con 400 passeggeri”.
    “Imbarcati, dunque, 405 passeggeri e come merci del vino e dei tessuti di cotone – scrive il Contrammiraglio Paladini – il Piroscafo lasciava, alle ore 18.30 del 5 ottobre, il porto di Gallipoli…

    …La partenza del Piroscafo fu telegrafata al Ministero, al Dipartimento di Taranto ed al Comando in Capo dell’Armata di Taranto, con queste parole: “Piroscafo «Città di Bari» mare” – Nessun telegramma fu fatto invece ai Comandi Navali di Brindisi, Valona e Corfù”, perché, – si giustifica lo Stranges nel suo interrogatorio – nessun ordine di tale specie avevo per quanto riguarda la partenza per Corfù”. E nessuna scorta fu data al Piroscafo, perché, – sempre a dire dello Stranges – non avevo alcuna istruzione di fornire scorta per interi viaggi, perché il Città di Bari è partito dopo il tramonto, ma, soprattutto, perché il Capitano del Piroscafo si diceva riluttante a dar mostra di temere il pericolo”.
    Trascorsero tranquille – scrive sempre il Paladini – le prime ore della notte”: notte di luna – ricordano i superstiti -; aria fosca; forte vento di E-NE che rendeva il mare agitato; visibilità scarsa.
    Ma, attorno alla mezzanotte, tra le 23h,45m e le 24h, il marinaio Albano – che era di guardia al cannone, e qualche altro, videro passare di poppa la scia di un siluro. Avvisato, il Capitano della nave, si portò immediatamente sul posto, ma, non trovando conferma del lancio prospettatogli e non scorgendo alcun segno della presenza del sommergibile siluratore – (probabilmente perché questo si é affrettato a far perdere traccia di sé) – credette ad un abbaglio e tutto finì lì.
    Invece abbaglio non era e l’Albano e gli altri avevano visto giusto.
    E la conferma ce la dà il sopravvissuto – italiano o straniero? membro dell’equipaggio del «Città di Bari» o anonimo passeggero? – fatto prigioniero e condotto poi a Pola, del quale, però, la fonte austriaca non rivela il nome per ragioni di riservatezza .
    Alle Autorità di marina che lo interrogavano, il sopravvissuto anonimo raccontò che quel primo lancio il sommergibile siluratore lo effettuò esattamente alle 2h,30m del mattino del 6 ottobre. (“Am 6 Oktober um 2 Uhr 30′ a.m.”, è scritto nel documento precitato) e che il “Città di Bari” rispose all’attacco sparando alcuni colpi di cannone – (“Antwortete mit seinen Kanonen”).
    Veri o falsi, in tutto o in parte, questi particolari, sta di fatto che un primo siluro fu effettivamente lanciato contro il piroscafo italiano e che, probabilmente, l’U boot tedesco, andato a vuoto quel suo primo tentativo di siluramento, temendo la reazione del “Città di Bari”, sospese momentaneamente l’attacco per riprenderlo più tardi.
    L’allarme, perciò, rientrò; la calma ritornò a bordo e tutti tirarono un sospiro di sollievo.

    “L’aria era fosca ed un forte vento di E, NE rendeva il mare agitato. Le 4 erano passate da circa un quarto d’ora – racconta il 2° Ufficiale del Piroscafo – e mi trovavo in sala nautica allorché udii lo scoppio…
    “Il tempo era quasi nuvoloso, tirava un vento moderato da scirocco ed il mare era mosso. Si diceva anche che era possibile qualche sorpresa all’alba. Alle 4h,10m circa, udimmo una forte esplosione”…- ricorda il 1° Ufficiale .
    “Mi trovavo sul primo cassero, – narra a sua volta il direttore di macchina – passeggiavo tra l’osterigio di macchina e la sala nautica; erano passate da poco le 4h,00m allorché udii un colpo metallico fortissimo e vidi sollevarsi dall’osterigio di macchina un’alta colonna di acqua e vapore. Il siluro aveva colpito il bastimento proprio fra la caldaia e le macchine, che si fermarono immediatamente, insieme naturalmente alle due dinamo. Il bastimento rimase all’oscuro”.
    “Svegliato dall’esplosione, – racconta, tra l’altro, Luigi Aleotti per prima cosa corsi abbasso nella stazione R.T. che si trovava proprio nel corridoio che univa la prima con la seconda classe: vidi tutti gli strumenti per terra e capii che la stazione non poteva più funzionare. In coperta la gente si agglomerava intorno alle sei imbarcazioni. Vi erano anche molte zattere, circa 16 in legno e sei od otto in ferro.
    Il Comandante era sulla dritta e il capo timoniere sulla sinistra; ambedue cercavano di ottenere un po’ di calma, per effettuare ordinatamente il salvataggio, ma questo non fu possibile, data la resistenza armata dei Greci: gettavano gli zatteroni a mare senza ritenuta, facevano capovolgere le lance, venivano alle mani…”
    “Intanto il bastimento si sbandò un poco a dritta, molto a sinistra, e quindi si immerse per circa due metri, rimanendo orizzontale. Una ventina di minuti dopo il siluramento – ricorda ancora il 2° Ufficiale -, arrivò la prima granata che cadde una ventina di metri a sinistra del bastimento. La seconda, credo colpisse il cannone di poppa. Seguirono altri colpi. Appena cominciato il fuoco, non fu possibile impedire alla gente di gettarsi a mare raggiungendo le zattere che, filate e senza ritenute, s’allontanavano dal bordo.”
    “Svegliato dall’esplosione, – riferisce a sua volta il sottocapo cannoniere – corsi subito vicino al pezzo, ma non vidi nulla. Dopo un po’ scesi dalla tuga per cercare il capo timoniere ed il Comandante. Trovato il capo timoniere, andai con lui ad aiutare a mettere le zattere in mare.
    Mentre facevo questa operazione, ho udito il primo colpo di cannone e visto il sommergibile al traverso a sinistra. Corsi subito a poppa, ma fui fermato dai Greci che non volevano si sparasse, temendo che il sommergibile, per rappresaglia, sparasse sulla gente a mare…
    …Prima di buttarmi a mare – a bordo eravamo rimasti solo io e il sottocapo francese AUGER Renè – vidi i Greci che facevano segno al sottomarino con una camicia, affinché non sparasse più. Mi precipitai addosso e strappai loro la camicia…
    All’ultimo momento i Greci ammainarono pure la bandiera italiana”.
    “Restai a bordo fin quasi all’ultimo – ricorda VALENZO Pietro. Vidi all’inizio del bombardamento che dei Greci facevano segnale al sommergibile gridando: “Costantino” .
    “Dopo una mezz’ora – racconta il marinaio cannoniere FAVAZZA Salvatore – il sommergibile emerse a circa 200 metri dalla poppa e cominciò a bombardare. Due colpi raggiunsero il fumaiolo ed uno colpì in prossimità della stiva prodiera. Durante il bombardamento (a base di granate incendiarie) solo io rimasi in prossimità del cannone. Poco dopo, però, me ne andai per mettermi al riparo. Il sottomarino, allora, si affiancò a dieci o quindici metri di distanza e mi si domandò in buon italiano dov’era il Comandante. Gli risposi che non c’era…”
    “Nel frattempo il sommergibile si era avvicinato al Piroscafo e aveva sbarcato il radiotelegrafista dell’IMERA su una zattera – riferisce il 2° Ufficiale-. Tirò una cannonata sulla prua del Piroscafo al galleggiamento determinando l’affondamento”.
    Colpito a morte, senza preavviso, da quindici granate incendiarie, l’ultima delle quali al bagnasciuga, tutte sparate tranne l’ultima, mentre la gente era ancora a bordo e cercava in tutti i modi e con tutti i mezzi di convincere gli artiglieri di bordo a non sparare contro il sommergibile e, alzando bandiera bianca e ammainando la bandiera italiana, quelli del sommergibile a non sparare sui passeggeri ancora presenti sulla nave, il “CITTA’ DI BARI”, lentamente affondò in fiamme – “…endlich sank das schiff in flammen”.
    Trascinando con sé, in fondo al mare, uomini e cose e inabissandosi a 39° 20′ Lat.N., 19° 23′ Long.E. – rotta 107° magnetico da un punto 15 miglia a sud di S.Maria di Leuca – al largo dell’isoletta di Paxòs o Paxì, a sud di Corfù, nel mentre in cielo e sul mare già albeggiava e si scatenava un furioso temporale che durò tutta la notte.
    Sfasciate le imbarcazioni per l’imperizia dei Greci che se n’erano impadroniti e che pagarono con la vita l’atto precipitoso, le zattere di bordo raccolsero i rimanenti passeggeri e affrontarono il viaggio della salvezza, che per i più non giunse mai.
    Ma, quasi a rendere più intricata e drammatica la fase finale di questa angosciosa vicenda, ecco, fosco ed oscuro, il dramma personale del coraggioso sfortunato Capitano: non é presente fisicamente, come noi ci aspetteremmo, alla morte della sua nave.
    Eppure, subito dopo l’esplosione del secondo siluro, molti lo hanno visto, lo hanno notato, mentre…
    …si precipitava fuori (della cabina di comando) gridando: “Salvagenti a posto”! – deposizione del secondo ufficiale -;
    …cercava di organizzare il salvataggio e infondere un po’ di calma” -(direttore di macchina)-;
    …sulla dritta cercava di ottenere un po’ di calma per effettuare ordinatamente il salvataggio…, ma questo non fu possibile, data la resistenza armata dei greci –
    …diceva all’artigliere: “Sono Capitano e la mia nave è stata già silurata. Non faccia fuoco, altrimenti sparano contro le zattere!” – (primo timoniere) -;…
    …vedendo la nave sbandare a dritta in modo che giudicò pericoloso, ordinava: “Gente in riga e zattere e lance a mare!” – (primo ufficiale) -;…
    Dopo tutto questo, il Capitano non si vede più, esce di scena, scomparendo proprio mentre ci si aspettava di vederlo, nel solco della tradizione marinara, fermo al suo posto di comando, andare coraggiosamente a fondo e morire insieme con la sua nave.
    Secondo un testimone oculare, egli si gettò a mare. Infatti, il primo cameriere testimoniò: “Mi gettai a mare dopo il Comandante dal boccaporto n.2″.
    Allora, gettatosi a mare, è per caso affogato? o, piuttosto, è sembrato gettarsi a mare, mentre, invece, vi cadeva accidentalmente probabilmente ferito a morte da…”quel colpo di rivoltella sparatogli contro dal basso da uno sconosciuto?”, come racconta nella sua deposizione il 2° Capo timoniere?.
    Non lo sapeva chi gli stava dattorno, non lo sappiamo nemmeno noi.
    Se, però, dobbiamo dar credito alla fonte austriaca, il capitano Castellano sarebbe morto di morte violenta, ucciso, con altri, durante la sommossa scoppiata a bordo del piroscafo in seguito alle prime cannonate sparate dal sommergibile.
    Vera o falsa, questa versione, verosimili o inventati questi particolari, il mistero resta e ci è difficile svelarlo.
    Quando, verso le ore 5.30 del mattino, la luce del giorno scese a illuminare questa parte del Mar Jonio, sulla scena del disastro non c’era più nulla ormai: non la snella mole della bella nave barese, sprofondata con tutto il suo carico negli abissi; non la sagoma scura del sommergibile tedesco, apparentemente assente, ma, di fatto, aggirantesi ancora minaccioso in quei paraggi; non le scialuppe di salvataggio, che, pur stracariche di naufraghi, vagavano sempre più lontane, alla deriva, facile preda delle onde, delle correnti e della forza dei venti.

    “Nelle zattere si trovarono mescolati italiani e greci, che, numerosi, usarono soprusi e violenze, pestando coi piedi e ferendo di coltello e rasoio i nostri connazionali ed altri che si affollavano intorno alle già gremite imbarcazioni .”
    Dura, lunga e faticosa fu la lotta dei naufraghi in una situazione oltremodo loro avversa, folle e vana la speranza di veder arrivare da un momento all’altro il soccorso liberatore: Corfù non sapeva; Taranto nemmeno. Finché, poi, qualcuno non darà l’allarme.
    Nella notte, ad appena poche ore dall’affondamento, qualcuna delle zattere giunse anche a vedere in lontananza la terra della salvezza, …”ma il forte mare ci impedì assolutamente di avvicinarci a Fano, racconta un sopravvissuto.

    EPILOGO
    I soccorsi. Il recupero e il ricovero dei naufraghi superstiti negli ospedali di Gallipoli e di Corfù. L’inchiesta. L’amaro bilancio. Considerazioni finali.
    Nessun mezzo di soccorso videro i naufraghi durante tutto il giorno 6.
    “Verso il mezzogiorno del 7 – appena due ore prima che fossero scoperti e tratti in salvo – calmatosi ormai il mare, abbiamo visto una leggera imbarcazione, una specie di caicco, contenente un greco. Un greco che era con noi allora abbandonò la nostra zattera e andò a parlare con quello. Ritornò poco dopo dicendo che quella imbarcazione non poteva salvarci ” .
    “ Verso le prime ore del pomeriggio (del 7) apparve l’ESPERO ”.
    “ Potevano essere le 2.00 del pomeriggio, allorché avvistammo un caccia ed un rimorchiatore”…credo che la nostra zattera sia stata l’ultima ad essere recuperata dall’ESPERO ”.
    “ Alle 01.30 del giorno 7 – racconta il Comandante della Settima Squadriglia – ricevetti a Taranto un fonogramma che mi ordinava di accendere i fuochi per eseguire una missione.
    Ricevetti solo verso le 3.00 le istruzioni scritte che dicevano:
    di percorrere la rotta del Città di Bari che non era ancora giunto a Corfù. Dovevo continuare le ricerche fino al tramonto e passare la notte a Gallipoli.
    Partii alle 3.30 da Taranto con una velocità di 20 miglia e seguii la rotta ordinatami… Avvistai la prima zattera verso le 2.05 / 2.10 del pomeriggio.
    Questa conteneva tre o quattro uomini tra cui il 2° Ufficiale… Siccome sapevo che pure alla ricerca dei naufraghi si trovavano i C.T. “Pilo” e “Bronzetti”, feci loro un radiotelegramma, comunicandogli le coordinate geografiche del luogo ove mi trovavo. Infatti, dopo appena un quarto d’ora, essi arrivarono. Vennero altri due idrovolanti francesi che indicavano la posizione delle zattere. Continuai il salvataggio sino alle 16.45, raccogliendo ben 98 persone. Tra i salvati ve n’erano 97 della Città di Bari e uno R.T. dell’ “IMERA”. Avendo visto che vi erano dei feriti da coltello, ordinai il disarmo generale. Un greco, DEMETRE PRIFTIS, consegnò un rasoio insanguinato. A Gallipoli tutti i naufraghi ebbero assistenza.”
    A loro volta, il “Pilo” e il “Bronzetti”, ne recuperarono altri 58 che provvidero a trasportare all’ospedale di Corfù.
    “Di 493 persone che erano a bordo al momento della partenza da Gallipoli, – conclude malinconicamente nella sua relazione il Comandante della Divisione Base di Taranto – solo 156 si erano salvate e pure é certo che lo scoppio non può aver ucciso che, al massimo, una diecina di persone e che qualche altro può aver trovato la morte per aver battuto qualche forte colpo nel gettarsi in mare, forse tra questi ultimi il Capitano del piroscafo, del quale non si riuscì ad avere alcuna notizia dopo l’affondamento.”
    Dunque, terminate le operazioni di ricerca e fatta la conta dei superstiti, all’appello risposero soltanto 156 persone – (160, secondo la fonte austriaca).
    E le altre 337 o 368 o 560, o forse più? (se dobbiamo credere alla predetta fonte straniera).
    Disperse. Morte. Tutte morte. Tutte finite in fondo al mare. Precipitatevi, non dalla nave che le trasportava, ma dalle scialuppe di salvataggio, in cui erano riuscite, bene o male, a trovar posto, prima che il “ Città di Bari ” affondasse. Precipitatevi da sole. Lasciatevisi andare così, con semplicità, quasi con un dolce senso di abbandono e di rassegnazione nel proprio destino. Uccise dagli stenti, dal maltempo, dalla violenza di prepotenti compagni di viaggio, dagli scoraggiamenti, dalla lunga attesa e permanenza in mare – durata, è incredibile, un giorno e mezzo! –
    Ce ne parlano diffusamente, nelle loro deposizioni, i pochi fortunati superstiti. Basti leggere, come ha fatto l’orfano che scrive, – “ un groppo alla gola, l’occhio inumidito di pianto, il cuore in subbuglio ” – gli scioccanti racconti che i superstiti fanno alle autorità giudiziarie.
    Vi trovi tutto:
    La logica perversa della guerra;
    L’imponderabilità;
    L’imprevedibilità, l’inevitabilità, la fatalità, – come si usa dire in certi casi – degli eventi;
    L’impotenza dell’uomo nella lotta contro le forze scatenate della natura;
    L’insano egoismo, che spesso scaccia vincendolo l’altruismo, e sempre alberga nel cuore dell’uomo – come inorridisce tutta quella violenza! come suonano male tutti quei “mors tua, vita mea”, lanciati dal fratello contro l’altro fratello, al momento del pericolo!;
    L’irresponsabilità, o la totale mancanza di senso di responsabilità, la superficialità, la leggerezza nel governare talune contingenze;
    La temerarietà di qualcuno – che – si badi – non è coraggio, ma audacia eccessiva, sconsiderata, irragionevole;
    L’incapacità, l’apatía o mancanza di “páthos”, in alcuni, la negligenza « nell’adempimento dei doveri del proprio ufficio », in altri: (“non si manda una nave allo sbaraglio, stracarica di passeggeri, sola, senza scorta, non ce se ne lava le mani, non la si lascia partire, ci si oppone, se non si vuole andare incontro a disastro sicuro…; bisognava riflettere, pensarci due volte, prima di…obbedire almeno alla legge del…buon senso; non….”).
    Tutte cause o incidenze gravi, che hanno avuto un peso non indifferente nella dinamica dei fatti. Ove fosse stato possibile ridurne il malefico influsso, si sarebbe potuto almeno contenere, limitare, ridurre al minimo, le proporzioni di una “catastrofe annunciata”, che invece ebbe a costare la vita a un gran numero di persone.
    Oltre 400, certamente. Forse 500. Forse anche di più.
    La violenza, spesso senza volto e senza perché, era così diffusa, allora e dappertutto, che nessuno sapeva rinunciarci; e se ne ebbero i risultati!
    Un vero disastro, torniamo a ripetere, una sciagura immensa, incredibile…
    Non delle stesse proporzioni di quello lamentato nell’affondamento del “TITANIC” (1912), certo, o del “LUSITANIA”, il cui inabissamento, nel 1915, suscitò lo sdegno dell’opinione pubblica americana e contribuì ad orientarla in favore dell’entrata in guerra (nel 1917) degli Stati Uniti a favore dell’Intesa, ma pur sempre, enorme, raccapricciante, impressionante, che aveva chiaramente colpe ben definite.
    Un disastro, nel vero senso della parola. Una strage, o carneficina se preferite.
    Una tragedia che si poteva contenere, ridurre al minimo. Ma mancò l’impegno, la volontà di obbedire in pienezza di spirito e di partecipe generosità ai doveri precisi dello stato di ciascuno degli…addetti ai lavori.
    Colpa anche della propaganda insidiosa che tanto male stava predicando ed inculcando, anche nei soldati di prima linea, forse! -. Mancò, infine quello spirito di solidarietà che fa grande un fratello al momento del bisogno.
    E di scalpore e di impressione ne fece veramente tanta il malaugurato evento che ne rimasero giustamente preoccupati politici e militari, considerato anche e soprattutto, il grave momento in cui esso avveniva – si era, infatti, in un mese “caldissimo” della guerra in atto: nel fatale ottobre ‘17 -.
    E, per far piena luce e chiarezza sulla triste vicenda e tacitare le coscienze turbate, usando prudenza, cautela e circospezione, il Ministero della Marina, aprì in tutta fretta un’ampia inchiesta: furono sentiti, in primo luogo i sopravvissuti (italiani e stranieri): i membri dell’equipaggio, gli artiglieri, i radiotelegrafisti, i passeggeri imbarcati, tutti i veri protagonisti insomma della vicenda. Furono ascoltati inoltre, come parte in causa, indiziati di reato, il Comandante in Capo del Dipartimento Militare Marittimo di Taranto, il Comandante in Capo dell’Armata R.N. “ Trinacria ”, il Comandante della Divisione Base di Taranto, il Comandante della Divisione Navale dello Jonio R.N. “ Città di Catania ”, il Comandante di Spiaggia di Gallipoli, il Commissario militare del piroscafo “ Città di Bari ”.
    E, dopo due mesi circa di minuziose indagini, acclarata ogni cosa e individuati i veri responsabili del disastro, il Tribunale Militare emanò la sua sentenza: inflisse le pene che ciascuno si meritava, ma con mitezza, senza infierire contro nessuno.
    Le sanzioni e i provvedimenti presi restarono però nel chiuso degli uffici, ammantati di discrezione e di riservatezza, mai svelati. Solo pochi conobbero le conclusioni della Giustizia. Esse non furono mai rese pubbliche “ per l’impressione ” si disse. Come non venne mai reso pubblico il numero preciso delle persone scomparse, tutte insieme, in uno stretto braccio di mare:
    morte,
    a due passi dalla salvezza, pensate!
    Sotto i nostri stessi occhi.
    Con la nostra stessa complicità.
    Come non pensare che essi, i morti, tutti quei morti, pesino, ancora oggi, sulla comune coscienza?
    Le colpe, le responsabilità, stavano là e parlavano da sole e chiedevano giustizia, non vendetta, ma neppure dimenticanza.

    Giunse sì la giustizia, e anche presto; arrivarono le conclusioni del Tribunale, puntuali, rapide, immediate, ma non proprio eque, cioè giuste, commisurate alla gravità o levità dei reati realmente commessi, non proprio riparatrici, accompagnate, vorremmo dire, da giusto rigore morale e giuridico.
    Sapevano, esse, troppo di affrettato, di condizionato, di biasimevole, di ovattato, forse di vergognoso da nascondere ad ogni costo, chiusi a doppia mandata nei ferrei cassetti degli archivi di Stato, insieme con la verità.
    E le lacrime non furono mai asciugate!
    Sicché, una tragedia sì grande e sì grave, lentamente, fatalmente, scivolò nel dimenticatoio. Con tutti i suoi ricordi dolceamari.
    Che tristezza!
    Questi i fatti, nudi e crudi. Queste le dure verità. Queste le colpe e le responsabilità acclarate dalla Magistratura, quali ci rivengono dalla lettura “a caldo” dei documenti dianzi citati e riportati. Non li ho certo inventati io e neppure manipolati o adulterati. Li ho soltanto “raccontati” in tutta la loro rapida successione, ruvida asprezza, estrema angosciosità.
    Certo con la morte nel cuore per quello che stava succedendo al mio papà. Con l’animo straziato dal dolore. Con rabbia impotente. Con intensa passione e partecipazione.
    Non mi si farà poi colpa grave, se, talvolta, mi è capitato di condirli, senza volerlo, con un pizzico di amara insoddisfazione, dettata, peraltro, dal mio stato di “dolente parte in causa”.
    A mente fredda, invece, a mente libera dal velo della passione, questi stessi fatti, questi stessi comportamenti umani, riconsiderati più attentamente e visti alla luce di una più approfondita riflessione, assumono, possono assumere, come in un processo di decantazione, un aspetto nuovo; offrono, possono offrire una diversa valutazione e interpretazione dell’accaduto. Secondo la quale il personale della Marina Militare Italiana dislocato nel Basso Adriatico e nello Jonio, dall’ufficiale più elevato in grado al semplice marinaio, non avrebbe nulla da rimproverarsi nella triste “Historia” del “Città di Bari” e che, nel disimpegno delle proprie specifiche mansioni, tutti avrebbero operato “in assoluta buona fede” per il buon fine del pericoloso viaggio intrapreso dalla nave barese. E che, se dei responsabili del disastro c’erano, essi sarebbero da ricercare non tanto fra gli equivoci e i malintesi, fra le carenze e le omissioni lamentate o fra gli “sfilacciamenti” e le inadempienze di questo o di quello, quanto piuttosto nel “virus della discordia e della disobbedienza”, nei “veleni” della contrapposizione e della divisione, dell’odio e della violenza, che, penetrando nell’animo umano e stringendo nella morsa del contagio, tutti e ciascuno, avrebbe sconvolto anche le coscienze corazzate, le difese resistenti dei marinai italiani impegnati nella guerra.
    Analisi precisa, argomentazioni giuste, verità palesi, indiscutibili, che, però non hanno la forza e il potere di dimostrare l’infondatezza delle accuse mosse e comprovate in sede di inchiesta giudiziaria; di mandare assolti i presunti responsabili della sciagura, di rendere meno gravi e dolorose le proporzioni del disastro.
    Di un “caso” sì grave riesce veramente difficile, se non impossibile, diluirne nella verità il pianto ed il rimpianto di ciò che si è responsabilmente o irresponsabilmente perduto.
    «Per il dono del tuo Spirito, Signore, fa che ogni condizione di paura si apra alla fiducia, ogni situazione di dolore sia illuminata dalla speranza della pasqua, ogni atteggiamento di egoismo o d’indifferenza si converta nella gioia della condivisione e del servizio verso il fratello».
    «Ma, di questa immensa tragedia – si domanda a questo punto l’uomo della strada -, di tutte queste vittime innocenti dell’umana follia, che cosa ricorda oggi la memoria storica? che cosa resta di bello e di buono e di moralmente utile alla società odierna?».

    Note fotografia di famiglia

    Era mio padre, orfano di guerra dall’età di 2 anni. Su quella nave c’era mio nonno Pasquale. Mio padre è deceduto il 6 gennaio 2014 all’età di 98 anni. Da lassù, ringrazia il direttore pro-tempore dell’Ufficio Storico della MMI, amm. Buracchia. Grazie.
    (In foto mio padre è il primo a sx; io sono quello accovacciato).