Sommergibile Leonardo Da Vinci - Pericolo a bordo

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    Alberto Amendola

    a cura Antonio Cimmino

    Banca della memoria - www.lavocedelmarinaio.com
    Il marinaio cannoniere Alberto Amendola nasce a Castellammare di Stabia.
    Fu catturato a Messina, dopo l’8 settembre 1943, e deportato in Germania.
    Non volle aderire alla Repubblica Sociale Italiana e fu uno di quelli che non si arresero.
    Morì in prigionia il 30 maggio 1944 a seguito di bombardamento aereo.
    Sepolto nel Cimitero Militare Italiano di Amburgo …era un Italianische Militar Interniete (I.M.I.).
    Siamo alla ricerca di foto e notizie.

    Cimitero Militare Italiano di Amburgo - www.lavocedelmarinaio.com

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    Sommergibile Leonardo da Vinci – Pericolo a Bordo – Capitolo IV – L’epilogo

    di Sergio Avallone
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    Questo episodio di vita vissuta a bordo del sommergibile Leonardo Da Vinci è dedicato al marinaio Agostino Sommella.

    Capitolo IV – L’epilogo
    sergio avallone per www.lavocdelmarinaio.comDi tanto in tanto si sentivano le bombette da esercitazione che scoppiavano, ma non producevano veri scoppi, solamente il rumore come se un oggetto di metallo battesse sullo scafo.
    La navigazione in immersione procedeva lenta  e calma, senza nulla da segnalare.
    Ma il pericolo era in agguato.
    Il battello procedeva nel mare infinito e nell’incognita oscurità.
    Mentre parlavamo, una lampadina tra i due motori, si spense e Capo Zecca, mi chiese di cambiarla. Salii sulla pesante cassa, posta proprio sotto la lampadina  e, reggendomi al maniglione saldato al soffitto che serviva per sollevare le testate dei motori, presi a svitare la protezione di vetro. Svitai la lampadina fulminata, e dopo avergliela data, lui mi passò quella funzionante. Mi trovavo in  una posizione precaria e cercavo di posizionarmi meglio. Non ebbi il tempo il pensare e per mia fortuna non lasciai il maniglione. Quando il battello improvvisamente mise la prua in giù, la pesante cassa sotto i miei piedi, benché fosse appoggiata sopra un telo imbottito, scivolò via, lasciandomi sospeso in aria, a più di tre metri di altezza e,  con un’inclinazione simile e da quell’altezza, se mi fossi lasciato andare, sarei finito sulla cassa, che si era fermata contro la paratia stagna. La lampadina, mi scivolò dalle mani, e finì contro la paratia frantumandosi. Le altre casse più piccole scivolarono anch’esse via, andando ad ammassarsi su quella più grande, capovolgendosi e lasciando uscire il loro contenuto.
    Anche Capo Zecca, dovette attaccarsi ad una delle colonnine che fungevano da sostegni della pedana, e facendo forza sulle braccia, sollevò i piedi, appoggiandoli sugli avviatori ad aria  del Motore 3. Intanto le braccia, cominciavano a dolermi. Era ora che escogitassi qualcosa, mentre capo Zecca, mi urlava, di non lasciare la presa. In tutta sincerità non ne avevo nessuna intenzione, però dovevo fare qualcosa…
    Iniziai a farmi dondolare e, dopo vari tentativi, riuscii ad aggrapparmi con un piede alla ringhiera ai lati della passerella, e pian piano riuscii a mettere un piede sui collettori di scarico, del motore 4 potendo cosi, riposare le braccia.
    Mi trovavo nella stessa posizione di Capo Zecca. Eravamo l’uno di fronte all’altro, ci guardavamo senza capire cosa fosse successo. Restammo in quella posizione per circa mezzora, quando l’inclinazione, cominciò a diminuire.  Lo scafo perse un po’ della inclinazione iniziale e  noi potemmo finalmente appoggiare i piedi sulla pedana.
    Volevamo spostare la cassa grande dalla porta stagna, per facilitare il passaggio, ma era troppo pesante, e non riuscimmo a spostarla neanche di due dita. Non ci restava altro da fare che attendere il passaggio di qualcuno.
    Finalmente dalla porta stagna di poppa, che era restata chiusa per tutto il tempo, sbucò   l’elettricista Muraro, la scavalcò e la agganciò in modo semiaperta. Arrivò alla seconda, dove trovò noi, alle prese con quella pesantissima cassa.
    Ci  facemmo aiutare, il pericolo era scampato.
    Dopo che la cassa fu rimessa al suo posto, raccolsi i pezzi di vetro sparsi  alla  base della paratia e, quando finalmente tutto ritornò in ordine, andai a sedermi proprio su quella cassa anche se l’assetto non era ancora regolare e un po’ di inclinazione ci rendeva l’equilibrio precario.
    Capo Zecca, sulla cassa più piccola, con una gamba sul sedile e una a penzoloni sull’altra, aspettava che qualcuno portasse qualche informazione.
    Ero preoccupato, ma non pensavo affatto a quello che stava succedendo.
    Chiesi a capo Zecca, se potevo fumare. Lui mi rispose, che non avevano diramato nessun divieto. Mi accesi una sigaretta. Mentre tiravo la prima boccata di fumo, dalla porta stagna sbucò il  Direttore  di bordo che frettolosamente si dirigeva verso poppa. Passando mi diede un’occhiata veloce e sparì dietro la porta stagna del locale Quadri Elettrici.
    Passarono appena una manciata di minuti che lo vidi rispuntare. Era arrivato alla porta stagna che divideva la sala macchine di poppa con quella di prua. Forse ebbe un ripensamento, ritornò sui suoi passi, e si fermò di fronte a me. Io feci per alzarmi, per una forma di rispetto, ma lui mi appoggiò una mano sulla spalla, trattenendomi. Il suo viso era cereo e i suoi occhi arrossati. Capii subito che la situazione era molto seria. Il suo sguardo gelido e penetrante, mi fissava, poi urlando mi ordinò di spegnere la sigaretta mentre io, stando seduto sulla cassa, vidi le dita delle sue mani stringersi, fino a che le nocche diventarono bianche, per la stretta nervosa. Pensai che volesse colpirmi. Restò immobile, ancora qualche istante, mentre i suoi occhi continuavano a fissarmi. Poi ricomponendosi  si girò verso prua e velocemente sparì oltre la porta stagna del locale macchina di prua.
    Capo Zecca, aveva assistito alla scena muto e con gli occhi sbarrati.
    Devo confessare, che il direttore, in quei momenti mi fece paura.  Anche se  quando mi capitava di incontrarlo,  lo vedevo come un uomo molto serio, legato al suo lavoro. Forse il suo atteggiamento era dovuto alla sua grande responsabilità.
    Intanto io e capo Zecca restammo muti e ignari di quello che stava succedendo…
    Mi alzai e andai verso il portacenere. Tenni ancora la rimanenza della sigaretta tra le dita, mentre nella mia mente si faceva strada la domanda di cosa poteva essere accaduto. Certo doveva essere successo qualcosa di grave, pensai tra me. I nostri sguardi si incrociarono diverse volte, senza commentare. Sembrava che le nostre lingue, in quella strana attesa, si fossero incollate al palato. Aspettavamo qualche buona notizia…

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    Il silenzio regnava sovrano e il cuore cominciava a battere con un ritmo più veloce.
    Io ero arrabbiato e ripensando all’episodio avvenuto, mi domandavo cosa aveva reso così iroso il Direttore.
    Era a causa della sigaretta accesa, oppure per la mia indifferenza per quello che stava succedendo. Non mi sentivo in colpa, ero solo uno spettatore che aspettava la risoluzione del caso.
    Il  silenzio plumbeo  ci dominava.
    Andai in direzione del portacenere contenente dell’acqua e  con rabbia vi buttai  dentro il mozzicone della sigaretta, mentre capo Zecca osservava silenziosamente.
    In quei brevi momenti, quando ormai la rabbia stava impossessandosi anche di me, mi vennero in mente le parole di mio padre, quando prima di partire mi raccomandò di non scegliere reparti pericolosi. Ma era tardi per i ripensamenti, oramai mi trovavo ad un passo dal baratro più profondo del nulla. Cosa fare?  Mi dissociai dai miei pensieri più oscuri e ritornai a riconquistare la calma perduta. In quei pochi ma lunghissimi e tragici momenti,  pensavo egoisticamente e solamente che  non potevo finire i miei giorni, in un modo così banale. Cercai di scrollarmi di dosso la paura, pensando  ad altro.
    Cercavo di  scrollarmi di dosso quelle stupidaggini a cui, nella mia giovane esistenza, non avevo mai dato importanza…
    Intanto sentii la  pedana vibrare e benché  i miei piedi poggiavano  su quel telo imbottito,  percepii un fremito. Anche capo Zecca lo avvertì e si girò subito a fissarmi. I nostri sguardi si incrociarono nuovamente senza parole.
    La poppa si alzò di nuovo e noi due dovemmo aggrapparci nuovamente per non cadere nel vuoto che si era creato,  come era successo qualche attimo prima.
    Le casse scivolarono nuovamente via,  terminando la loro corsa contro la stessa  paratia, con un tonfo sordo e, dopo un secondo le casse più piccole rotolarono e finirono sopra quella più grossa, ostruendo la base della porta stagna.

    510 sommergibile L. Da Vinci - www.lavocedelmarinaio.com

    Io ero aggrappato ad una delle colonnine di sostegno della pedana e fortunatamente questa volta accorgendomi del nuovo cambio di assetto, cercai di appoggiare i piedi su una delle testate del motore 4, restando in piedi, anche se in un equilibrio precario.
    Capo Zecca avrebbe potuto lasciarsi scivolare sulla pedana, ma preferì restare dove si trovava. Dopo interminabili minuti, il battello si raddrizzò e, mentre cercavo di rimettermi sulla pedana, mi sembrò di capire che stessimo galleggiando. Sentivo il dolce dondolio sull’acqua, o forse non era così.
    Non mi ero sbagliato. Capo Zecca, mi si avvicinò e sorridendo, mi abbracciò dicendomi:
    – “ Siamo fuori!”.
    Poco dopo udimmo la voce del Comandante dall’interfono, raccontando quello che era accaduto all’equipaggio…
    Siamo nei pressi di una foce di un fiume, e per nostra iellata sorte, essendo l’acqua dolce più pesante di quella salata, l’assetto del battello è cambiato. Si è appesantito ed ha cominciato ad affondare. Per fortuna abbiamo trovato delle colline di fango altrimenti avremmo picchiato di prua sul fondale, con chi lo sa quali risultati. Abbiamo provato con i Motori elettrici, ma senza risultato. Abbiamo svuotate le casse  di assetto e di immersione, ma senza esito. Alla fine abbiamo provato a mandare aria dai tubi lancia siluri. In questo modo il fango si è sfaldato e il battello, si è liberato, emergendo di poppa”.
    Poi come, ultima notizia che fu quella che ci rese felici, disse:
    – “E  adesso rientriamo agli ormeggi”.
    La voce del comandante si interruppe e il telefono interno fece risentire quel suo suono che sembrava l’abbaiare di un cucciolo di cane. Capo Zecca rispose e quando riagganciò la cornetta, mi impartì l’ordine, di avviare i motori, 3 e 4.
    I motori ripresero a  farci sentire il loro amato rombo e aumentarono i giri, mentre il battello, con una piccola vibrazione, si mosse.
    Rientrammo ad Augusta.

    modellino sommergibile Da Vinci (f.p.g.c. Sergio Avallone a www.lavocedelmarinaio.com
    Durante le operazione di routine, notai Capo Zecca che mi guardava in un modo strano. Nella mente mi passò un pesante pensiero. Intuii che dietro di me ci fosse qualcuno e, di istinto, mi voltai.  Quando vidi chi era, ebbi un tonfo al cuore. Era il direttore. In quel momento era l’ultima persona che avrei voluto avere davanti. I miei occhi si incontrarono con i suoi e non fu una bella vista. Stavo gelando per il timore di quello che mi sarebbe capitato.
    Però notai subito che i suoi occhi non erano più arrossati, ma brillavano. Non capivo il perché di quella presenza. Forse era ritornato per infliggermi una punizione, o chi lo sa cosa altro. Scattai sull’attenti  e attesi la mia sorte.
    Il direttore, si limitò solo a guardarmi poi, con uno scatto si girò verso poppa, andò oltre, verso la sala quadri.
    Io mi rasserenai anche perché il mio pensiero volò verso casa mia, esattamente a mio Padre, ed ero contento per due ragioni:
    – la prima perché avevamo scampato il pericolo;
    – l’altra perché  mio Padre, non avrebbe avuto modo di dire “Io lo avevo detto”.
    Il Direttore si ripresentò davanti a me, abbozzò un sorriso e proseguì verso la camera manovra, dove lui operava. Io, quasi soggiogato nella mente, continuai a tenere lo sguardo su di lui, intanto  che oltrepassava la porta stagna della sala Macchine di prua fino in mensa.
    Capo Zecca era ritornato a sedersi e, mentre mi guardava, sorrideva.
    Io ritornai a svolgere il mio compito, mi venne da sorridere.
    Capo Zecca allegro mi disse:
    – “Dai, dai, non darti troppe arie!” e ci rise sopra.
    Arrivammo all’interno del porto.
    Dall’interfono venne dichiarato “POSTO DI MANOVRA; POSTO DI MANOVRA”.
    Nei locali ci fu come sempre il solito via vai, mentre io mi sedetti al mio posto, alla cuffia, e risposi. “LOCALE MACCHINA ADDIETRO, RICEVUTO. Dopo di me dalla sala macchine di prua, sentii la voce di Agostino che dava il (RICEVUTO).
    Alle 22.00 il posto di manovra terminò. Fermammo i motori e alla spicciolata, ognuno uscì dai portelli, avviandosi alla passerella.
    Mi arrampicai sulla scaletta del portello  della sala macchine e fui all’aperto.
    La brezza fresca mi fece rabbrividire. Il cielo era sereno e pieno di stelle. Per un momento guardai il cielo e,  tra me e me, ringraziai Dio, di poterlo osservare ancora quel cielo trapunto di stelle. Poi scrollai le spalle e sospirando, mi dissi. “E questa é la vita del sommergibilista.”
    Scesi a terra, raggiunsi Agostino e Ruggiero, che mi stavano aspettando, e insieme ci avviammo verso la caserma. Eravamo lieti di  poter respirare l’aria fresca della sera, e di avere un’avventura in più, da  poter raccontare.
    FINE

    Sergio Avallome e i ragazzi del sommergibile Da vinci - www.lavocedelmarinaio.com
    PER I LETTORI DE LAVOCEDELMARINAIO.COM
    Nella speranza che il mio racconto sia stato gradito, approfitto per mandare a te carissimo Ezio e alla redazione, i miei più sinceri saluti. Permettimi di aggiungere che sono stato felice di avere calpestato le pedane del sommergibile Da Vinci, regalandomi così una parte di quei ricordi, che avevo lasciato a riposare nel tempo ormai passato.
    Volevo sottolineare che nel lontano 67/68, mentre camminavo per la strada, fui fermato da un ragazzo di Gaeta, la mia città, che non conoscevo e che mi domandò:
    – “Sei tu Avallone  Sergio?”.
    – “Si” risposi. Scusami ma quale è il motivo?” Gli domandai.
    Lui sorrise, e poi mi disse.
    “Sono imbarcato sul sommergibile Leonardo Da Vinci, e datosi che sono motorista, un giorno scendendo in sentina per controllare il pozzetto dell’olio, sul motore elettrico di destra, sotto il motore numero tre, ho visto scritto il tuo nome e cognome, e la città”.
    Aggiungo un caldo saluto, e un augurio di buon proseguimento di vita.
    Sergio Avallone
    Via Monte  Rosa 7
    04024 GAETA ( LT)

    Sergio Avallone per www.lavocedelmarinaio.com (f.p.g.c. autore)

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    Sommergibile Leonardo da Vinci – Pericolo a Bordo Capitolo III – Cambio comando e cambio capo destinazione

    di Sergio Avallone
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    Questo episodio di vita vissuta a bordo del sommergibile Leonardo Da Vinci è dedicato Capo Sabatino.

    Capitolo III
    – Cambio comando e cambio capo destinazione

    sergio avallone per www.lavocdelmarinaio.comLe settimane si susseguivano lentamente, tra un’uscita in mare e l’altra…
    Capo Sabatino riferì al comandante della necessità di revisionare i motori 3 e 4. Ne fu chiesta l’autorizzazione all’Alto Comando  e attendevamo la riposta che arrivò, qualche  giorno dopo, con il fonogramma prioritario.
    Lasciammo Augusta, per fare ritorno nell’arsenale di Taranto, dove sarebbero iniziati i lavori di manutenzione. Oltre alla revisione dei motori, il sommergibile necessitava di lavori in altri reparti, compresa la verniciatura, di cui ve ne era sempre bisogno…
    Quei giorni, all’interno dello scafo, era un via vai di personale e manutentori che si alternavano senza tregua, senza risparmiarsi.
    Dietro l’occhio vigile di capo Sabatino iniziammo a montare le testate, con le valvole già smerigliate da me e da Agostino. Speravamo che tutto andasse per il verso giusto perché eravamo a conoscenza che se qualche valvola soffiava erano guai e Capo Sabatino ci avrebbe mangiati vivi.
    La mattina seguente procedemmo a mettere in funzione i motori e Capo Sabatino diede, a noi due novellini, il compito  di avviare ognuno il proprio motore.
    Le gambe mi tremavano mentre i  motori prendevano velocità, poi il rombo finale fece battere le mani ai presenti . Avevamo superato la prova.
    Una decina di  giorni dopo, il Da Vinci, era pronto a riprendere il mare e gli abissi.
    Quella mattina, quando il cielo era ancora trapunto di stelle e noi ancora assonnati, ci dirigemmo a bordo pronti a muovere.
    Il posto di manovra terminò appena oltrepassammo il ponte girevole, navigavamo in Mar Grande,  fuori dal golfo di Taranto, in rotta per  Augusta.
    Arrivammo  ad Augusta il giorno seguente, era  l’anno 1964, non ricordo il mese.
    Il Comandante  Filippo Ruggiero sbarcò lasciando il comando del battello al capitano di Corvetta Dario Pozzi. Il comandante in seconda, era sempre il Tenente di Vascello Nicola Ricciardi.
    Riprendemmo la nostra routine quotidiana, i soliti incarichi, le solite raccomandazioni in assemblea ma Capo Sabatino quel giorno si presentò in divisa ordinaria, tutto acchittato. Mi meravigliai, era un fatto insolito, capii il motivo quando il Comandante diede la notizia che Capo Sabatino doveva sbarcare per recarsi all’isola della Maddalena a frequentare il corso di perfezionamento  che gli avrebbe fatto conseguire  i gradi da  Maresciallo di terza classe e qualche lira in più.
    Al termine dell’assemblea Capo Sabatino salutò tutti e quando mi si posizionò davanti esclamò:
    – “Avallone! Non dimenticare quello che hai imparato, e ricordati sempre i miei consigli. Ti auguro una buona permanenza a bordo, e buona fortuna nella vita”.
    Quelle, furono le sue ultime parole, e poi si allontanò, senza girarsi indietro.
    Fu l’ultima volta che vidi quell’uomo che sembrava tanto severo e che invece era tanto umano e altruista.
    Venne sostituito da Capo Zecca, un uomo molto calmo, paziente, tranquillo, ma non aveva il temperamento, di Capo Sabatino però anche lui era un ottimo Motorista.
    Trascorse qualche settimana prima che mi adattassi al  nuovo comando ma non dimenticai mai l’insegnamento ricevuto e, se di tanto in tanto mi ricordavo di lui,  dovetti rassegnarmi che Capo Sabatino non era più al nostro fianco.
    Una sera, al rientro dalla franchigia, appesa alla colonna principale della camerata c’era il foglio delle consegne con il PRONTI A MUOVERE ORE 06.00 per il giorno successivo, e anche specificati i relativi turni di guardia in navigazione.
    All’alba, dalla Caserma Farinati, ci recammo a bordo, sotto una debole pioggia e una leggera brezza.  Sostammo in banchina e, dopo aver dato una mano a caricare i viveri, salimmo a bordo.
    Iniziò il posto di manovra. I marinai addetti in coperta, indossarono le incerate, con i cappucci, mentre tutti gli altri presero parte al posto di manovra nell’interno dello scafo. Io dovevo fare il primo turno di guardia al Motore  3 e Agostino al 4 addietro, cioè di poppa, insieme a capo Zecca e altri due marinai. I restanti motoristi occuparono la sala macchine di prua, ai motori 1 e 2.

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    Il capo macchina ci ordinò di avviare i motori e cosi facemmo. Quando il rombo si stabilizzò, dall’interfono si sentì la voce che veniva dalla camera manovra, che diceva:
    – “… AZZERARE GLI ALTIMETRI – AZZERARE GLI ALTIMETRI!”.
    Intanto la manovra dei motori veniva passata alla sala quadri (reparto elettricisti) che rispondevano ai comandi impartiti dalla camera manovra. Il nostro compito a questo punto era quello del controllo e dell’andamento dei motori.
    Il battello, con un leggero sussulto, si mosse allontanatosi dalla banchina. Il posto di manovra terminò. I marinai addetti in coperta rientrarono e chi era libero dal turno di guardia potè andare a riposare in branda o recarsi in mensa per trascorrere il tempo a disposizione prima di effettuare il proprio di turno:
    Nel frattempo il sommergibile Da Vinci, a lento moto, guadagnò l’uscita del porto.
    Quel giorno il mare era calmo, nonostante quel leggero vento. Navigammo per un paio di ore, fino a quando arrivammo al posto assegnato dalla Scuola Comando.
    Dalla camera manovra, arrivò l’ordine:
    – ”QUOTA  SNORKEL, QUOTA SNORKEL”.
    Aprimmo le valvole e il battello, si inclinò con la prua in basso, e pochi minuti dopo, riprese il suo assetto normale.
    Poco più tardi, l’interfono gracchiò di nuovo,  e la voce, impartì:
    – “CESSA SNORKEL, CESSA SNORKEL”.
    Una corsa a chiudere i Flapp di ventilazione che mettevano in comunicazione un locale con un altro e la consueta operazione che terminava con la frenetica girandola per chiudere i grossi  valvoloni dei gas di scarico dei motori.
    Il battello dolcemente si inclinò di nuovo e scese nelle incognite profondità, riprendendo l’assetto normale. Intanto, il silenzio dominava la sala Macchine. La calma si era ristabilita. L’interfono però gracchiò di nuovo:
    – ”SI PUO FUMARE, SI PUO FUMARE”.
    Io e Capo Zecca, dopo esserci accesi una sigaretta, iniziammo a socializzare, a conoscerci scambiando quattro chiacchiere sulla nostra vita da borghesi. Fu quello il primo contatto diretto tra di noi.

    Sergio Avallone e Agostino Sommella (f.p.g.c. Sergio Avallone a www.lavocedelmarinaio.com

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    Sommergibile Leonardo da Vinci – Pericolo a Bordo – Capitolo II – Il battesimo nell’immenso blu

    di Sergio Avallone
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    Questo episodio di vita vissuta a bordo del sommergibile Leonardo Da Vinci è dedicato Capo Sabatino.

    – Capitolo II –  
    Il battesimo nell’immenso blu

    sergio avallone per www.lavocdelmarinaio.comUna mattina di dicembre, scrosci di pioggia, cadevano spinti da un vento gelido, che non prometteva niente di buono.
    Uscimmo in mare verso le sei, per incontrarci con le corvette della Scuola Comando, per esercitazione, nella ricerca Antisom (le corvette, dovevano individuare il sommergibile e affondarlo (naturalmente un affondamento simulato).
    Appena fuori dalle ostruzioni del porto di Augusta, il battello cominciò a rollare e beccheggiare, rendendo molto precario, il nostro equilibrio e il mio in particolare.
    Dall’interfono la solita voce ci avvertì che avevamo un mare di prua, forza nove in aumento.
    Poi l’interfono tacque, e ognuno riprese le proprie attività.
    Ero di guardia ai motori, reggendomi alla ringhiera, osservavo il via vai di tutti quelli che passavano da prua a poppa e viceversa. Sembravano delle marionette, sballottati dai fili del burattinaio, per via del dondolio del battello.

    510 sommergibile L. Da Vinci - www.lavocedelmarinaio.com
    Capo Sabatino mi lasciò unico responsabile di guardia, e andò in mensa a fare colazione. Al suo ritorno mi disse:
    – “Avallone vai anche tu a fare colazione, ma vedi di fare presto”.
    Al rientro in sala macchina, il rombo dei due motori  sembrava più fragoroso delle altre volte.  Ma sapevo che era soltanto una mia impressione. Ritornai al mio posto, e anche se capo Sabatino era li, seduto sul suo solito sedile di guardia, diedi un’occhiata veloce agli strumenti e mi accorsi che la temperatura dell’acqua del motore 4 era un po’ alta. Senza dire niente, mi precipitai in sentina. Azionai la maniglia, che comandava il flusso d’acqua di raffreddamento e risalii.
    Ritornai al mio posto per controllare se la temperatura si fosse ristabilita.
    Capo Sabatino, dopo aver osservato tutti i miei movimenti, mi disse.
    – “Bravo! I miei motoristi, devono essere così. Attenti e attivi”.
    Non aggiunse altro. Io registrai l’accaduto sul brogliaccio e iniziai a controllare le pressioni ai cilindri., che doveva essere fatta ogni ora. Più tardi mi confidò che i motori 3 e 4 necessitavano di una revisione e che si doveva intervenire al più presto.
    All’improvviso il suono stridente della sirena mi fece sobbalzare. Per tre volte fece sentire il suo gracchiare. Era l’allarme, dell’immersione rapida.
    Anche Capo Sabatino scattò in piedi, fermò il primo motore e poi andò a chiudere il valvolone  di scarico del motore N° 3.  Altrettanto feci io al motore N°4. Quando il motore si fermò, mi precipitai a chiudere quel grosso valvolone di scarico. La ruota di bronzo, dal peso di almeno venti chili, aveva una maniglia apposita che  più facevo girare e più prendeva  velocità e,  per inerzia, continuava a girare, fino a quando si bloccò completamente.

    modellino sommergibile Da Vinci (f.p.g.c. Sergio Avallone a www.lavocedelmarinaio.com
    Il battello, cominciò a inabissarsi. La forza del mare diminuiva gradualmente ad ogni metro di profondità. La sala macchina era diventata un’oasi di silenzio e di pace.
    Eravamo a settanta metri sotto e dall’ interfono venivano impartite le operazioni atte a completare la compensazione per l’assetto del battello.
    La navigazione continuò così, fino a sera.
    Alle 19.00 circa le esercitazioni Antisom si conclusero. Due colpi di sirena ci avvertirono che stavamo emergendo. Mi precipitai a mettere in moto il motore 3 mentre Capo Sabatino provvedeva all’apertura dei flapp. Percepii nuovamente il forte rullio del battello, quel dondolio mi fece capire che eravamo in superficie e fuori, mentre i motori ripresero a ruggire, facemmo  la rotta del rientro.
    Le condizioni meteorologiche non promettevano per niente bene e comunque avevo completato il turno di guardia, e andai in cuccetta a riposare.
    Fui svegliato dalla voce gracchiante che usciva dall’interfono:
    –  POSTO DI MANOVRA; POSTO DI MANOVRA!
    Saltai giù dalla brandina e corsi al mio ruolo di bordo.
    Arrivammo per l’ormeggio una ventina di minuti più tardi.
    Completate le operazioni del posto di manovra e di rassetto e pulizia, rientrammo in caserma che erano le 22,00 e, dopo una doccia che mi tolse quello sgradevole odore di unto e non potendo uscire in franchigia (la libera uscita di noi marinai), mi infilai sotto le gelide e umide coperte. Lontano da casa, lontano dai miei cari, lontano dai miei affetti, lontano dalla mia morosa, lontano dai miei amici ma vicino ai ricordi più belli, Morfeo mi prese subito fra le sue braccia.
    Ero stanco e sfinito ma soddisfatto del mio battesimo nell’immenso profondo blu degli abissi.

    Sergio Avallone per www.lavocedelmarinaio.com (f.p.g.c. autore)

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    Sommergibile Leonardo da Vinci – Pericolo a Bordo – Capitolo I “Arrivo a destinazione”

    di Sergio Avallone (*)

    Questo episodio di vita vissuta a bordo del sommergibile Leonardo Da Vinci, è dedicato ad Agostino Sommella (ex commilitone e poi amico) deceduto tre anni fa  e che mi ha lasciato un triste peso nel cuore e a Capo Sabatino.

    – Capitolo I –
    Arrivo a destinazione
    sergio avallone per www.lavocdelmarinaio.comIl permesso di “Cinque più Due” che mi venne concesso, dopo  aver terminato il tirocinio alla caserma Farinati di Taranto, finì ed io dovevo recarmi ad Augusta per imbarcare sul sommergibile Da Vinci.  Con tristezza, dopo aver salutato i miei familiari, avevo preso la corriera che andava da Gaeta alla stazione di  Formia.
    Dal marciapiedi del binario tre, intorno alle 22.00, salii pigramente sul convoglio locale che stava partendo alla volta di Napoli, dove avrei preso un altro treno per Augusta. Stavo per salire a bordo, quando dal televisore del bar, mi giunse la melodiosa  voce di Mario Del Monaco che cantava “Voce e Notte”.
    Malinconicamente salii, richiusi lo sportello  e il treno  si mosse, mentre le parole della canzone scemavano. Restai incollato al finestrino del corridoio, a guardare le luci di Gaeta che si allontanavano sempre più, fino a quando sparirono dietro la vegetazione che costeggiava la strada ferrata.
    Arrivai intorno alle 23.15 in stazione e, mentre attendevo l’ora della partenza, notai sulla panchina un marinaio, che avevo conosciuto al tirocinio per sommergibilisti da Motoristi Navali a La  Maddalena, era Sommella. Anche lui doveva imbarcare sul Sommergibile Leonardo Da Vinci.
    Conversammo diversi minuti e quando ormai non pensavo più alla partenza, solo il fischio del capo treno, ci riportò alla realtà. Guardai l’ora sul grosso orologio della ferrovia, segnava l’una meno un quarto, e per la seconda volta udii il fischio, eravamo partiti.
    Dopo una notte di viaggio, e mentre il sole stava per sorgere, il treno fu imbarcato sul traghetto che collega Villa San Giovanni a Messina e poi, quando fu rimesso sui binari, proseguì la sua corsa verso la mia destinazione.
    Arrivammo dopo due ore circa nella stazione di Augusta, poi il treno ripartì e sul marciapiedi rimanemmo in due, io e Sommella.
    Facendoci carico dei nostri pesanti zaini, gonfi di vestiario fino a scoppiare, ci dirigemmo verso l’uscita, quando un marinaio con il camisaccio da lavoro e il basco blu, si avvicinò e domandò:
    – “Sommergibile Da Vinci?”
    – Rispondemmo insieme: “Si”.
    – “Venite con me.”
    Era l’autista della corriera, che doveva accompagnarci all’arsenale.
    Fuori dalla stazione, una piccola corriera, con il muso allungato, di quelle che ne esistevano pochi esemplari, o se forse era l’unica,  ci attendeva. Sul quel mezzo, durante il tragitto, io e Sommella discutevamo su come sarebbe stato il nostro primo imbarco.
    Dopo aver percorso le strade del centro storico di Augusta la rombante corriera, con la marmitta sfondata, imboccò una discesa, per poi passare tra le colonne di un’enorme cancello. Al suo interno era posizionata una garitta di guardia, con dentro un marinaio armato. L’autista doveva essere conosciuto dalla guardia e non si fermò per il riconoscimento ma ci depositò nei pressi dell’ormeggio del  sommergibile.
    Ancora prima di scendere dalla corriera, vidi la sagoma scura del battello, immobile sull’acqua limpida e calma, mentre un leggero brivido mi percorse la schiena.

    Sommergibile Leonardo Da Vinci - www.lavocedelmarinaio.com
    La corriera si fermò e noi scendemmo.
    Poco distanti da noi, fermi in assemblea, erano inquadrati ufficiali sottufficiali e marinai, d’avanti a un uomo che sicuramente doveva essere il comandante. Accortosi di noi, ci fece cenno di avvicinarci e comandò al nostromo di farci prendere posto accanto agli altri marinai arrivati la sera prima, e che come noi due dovevano imbarcare. Si avvicinò a noi e si presentò, come il capitano di corvetta, Filippo Ruggiero. Ci domandò come ci chiamavano, ci diede il benvenuto e ci augurò una buona permanenza a bordo. La nostra avventura come sommergibilisti ebbe inizio…
    L’assemblea si sciolse. Dopo che tutti furono saliti a bordo, venne il nostro turno. Il Nostromo, ci fece portare gli zaini, verso il battello e ci ordinò di lasciarli a terra accanto alla passerella. Ci invitò a salire sul natante. Ma prima che mettessimo un piede sulla passerella, ci bloccò dicendo:
    – ” Quando sarete alla fine della passerella, dovete mettervi sull’attenti e fare il saluto alla bandiera.  Ogni qual volta, che salite o scendete”.
    Posammo i  nostri piedi per la prima volta sulla coperta del Da Vinci. Il sottocapo che era di guardia  a poppa, si scostò dalla passerella e ci lasciò passare. Guardandoci restò in silenzio, ma abbozzò un sorriso. Chissà cosa pensava…
    Incurante di quel primo approccio di bordo, seguimmo il nostromo che ci guidò fino ad un portello aperto. Quando fummo sull’orlo, un profumo di cioccolato, mi indusse a respirare a pieni polmoni.
    Scesi per la prima volta, lungo la scaletta che accedeva in mensa e provai una sensazione di stupore: era la sensazione che si provava ad essere nella pancia di un sommergibile.
    Finalmente avevo appagato il mio desiderio, contrario a quello di mio Padre.

    510 sommergibile L. Da Vinci - www.lavocedelmarinaio.com
    Il Nostromo, da provetto Cicerone, ci fece visitare l’interno. Notai sin da subito che le scritture, erano tutte in inglese. Domandai il motivo, e il Nostromo, mi rispose, che era un’ex battello statunitense, in dotazione all’Italia. Finito il giro esplorativo,  stavamo ritornando verso la mensa. Quel buon odore di cioccolato, stava mettendo a dura prova il nostro famelico appetito, aumentato da lunghe ore di viaggio…
    Il nostromo ci portò in mensa, dicendoci che il comandante aveva dato ordine di preparare una buona colazione per i nuovi arrivati e, dopo averci dato il buon proseguimento di permanenza, si dileguò verso prua.
    La colazione fu ottima e abbondante, poi fummo chiamati in sala Macchine.
    Insieme a Sommella, superammo due porte stagne, dove sostavano circa dieci marinai tra cui quattro sottufficiali e un ufficiale, più quattro marinai, due sottocapi, e due scelti. Facemmo la conoscenza di tutti membri della sala Macchine, compreso il direttore di macchina, il tenente di vascello, Scotto. Fummo presentati al capo motorista Sabatino, il  vice capo sergente, Zecca, vice capo sergente Valentino, e infine il sottufficiale più giovane, il sergente Turco e gli altri marinai dell’equipaggio.
    Dopo questi approcci ci lasciarono liberi di andare in caserma e sistemarci. A terra, sulla banchina, l’autista stava ancora aspettando e quando ci vide uscire dal portello, mise subito in moto la corriera. Poco dopo entrammo in caserma dove ci accolse la guardia in camerone, che ci fece scegliere i letti, gli armadietti e finalmente ci potemmo riposare.
    Il giorno seguente uscimmo in mare, per la prima volta, ricevendo così il battesimo del mare. In sala macchina il rumore era assordante, l’aspirazione dei motori creavano un forte risucchio  d’aria e, ogni qualvolta che qualcuno  apriva la porta stagna per passare da un locale all’altro, quel risucchio si ripresentava puntualmente. Io e Sommella eravamo come due pesci fuor d’acqua, all’oscuro anche delle più basilari nozioni ma di tempo per imparare ne avremmo avuto a sufficienza…
    Fui assegnato a fare  la guardia ai due MM.TT.PP. 3 e 4, in coppia con Capo Sabatino che era un uomo di poche parole, ferreo nel mestiere e anche molto preciso.  A dire il vero, mentre svolgevo i compiti che mi venivano assegnati da lui, sentivo il suo sguardo sulle mie spalle. Non potevo fare altro che stare al suo gioco. Lui si limitava ad osservarmi per poi trovare qualcosa da chiedermi. Durante le ore di guardia, essendo nuovo a questa esperienza, tutto mi incuriosiva e mi appassionava sempre di più, volevo conoscere tutti i meccanismi che funzionavano intorno ai motori. Benché avessi ricevuto un’ottima preparazione scolastica, non era pari a quello che avevo davanti e spesso ponevo  a Capo Sabatino diverse domande. La prima domanda che gli feci fu:
    – ”Capo che motori sono?“
    Lui mostrando una certa sicurezza, mi rispose:
    “Sono GENERAL  MOTORS 12 cilindri a V.”
    Insomma la mia curiosità voleva soddisfazione, e senza preoccuparmi troppo della sua disponibilità le mie domande, erano come una raffica di mitra. Quando però mi rendevo conto che potevo dargli fastidio, limitavo le domande e le mie curiosità. Lui, di buon grado, rispondeva con gentilezza, ed era sempre ligio nelle  risposte, con buone ed esaustive spiegazioni in merito.
    Ero entrato nelle sue grazie e, tutto sommato, non mi dispiaceva affatto fare la guardia sotto il suo comando, perché avevo trovato in quell’uomo un secondo padre.

    Sergio Avallone e Agostino Sommella (f.p.g.c. Sergio Avallone a www.lavocedelmarinaio.com

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