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    2.12.1942, l’affondamento della regia nave Lupo

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra



    ALLA MEMORIA DI GIOVANNI SIGNORETTO, PIETRO BRESCIA E DEI MARINAI CHE NON FECERO PIU’ RIENTRO ALLA BASE

    Il regio torpediniere Lupo fu varato a Fiume e fu affondato in combattimento il 2.12.1942 presso le secche di Kerkennah (Canale di Sicilia). Il tragico evento è da inserire nella cosiddetta Battaglia dei Convogli.
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    Dell’equipaggio, solo 29 uomini uomini furono salvati dalla regia torpediniera Ardente, mentre scomparvero in mare il comandante Folli ed altri 134 tra ufficiali, sottufficiali e marinai.
    Nel maggio del 1941, l’allora Capitano di Corvetta Francesco Mimbelli, di scorta ad un gruppo di pescherecci carichi di truppe tedesche, attaccò una formazione inglese composta da tre incrociatori e cinque cacciatorpediniere. Dopo aver steso una cortina fumogena, per nascondere le piccole imbarcazioni, il “Lupo” attaccò da solo, con i suoi tre cannoni e col lancio di siluri. Nella mischia che ne derivò, gli inglesi si scambiarono tra di loro diverse cannonate mentre il cacciatorpediniere riuscì a fuggire, raggiungere Taranto con lo scafo sforacchiato in più punti dai colpi inglesi e mettere in salvo i feriti che trasportava. Per quell’impresa Francesco Mimbelli fu decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare.

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    Il relitto della regia nave Lupo è stato ritrovato nel dicembre 2011, ad una profondità di circa 130 metri, privo della prua e della poppa.
    Fu una piccola nave che fece grande la nostra Marina e i suoi Marinai.
    Il suo motto era “fulmineo sulla preda“…

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    Hugo Paul Hübner
    di Dr. Michael Hübner

    … riceviamo e con immenso orgoglio misto a commozione pubblichiamo certi che stiamo navigando sulla giusta rotta che ci farà approdare al porto della Misericordia Divina.

    Caro Segniore Vinciguerra,
    per favore scusa il mio cattivo italiano. Ho appena visto il tuo sito web.
    Dopo l’articolo sulla torpedinierne “Lupo” (*) voglio scriverti subito.
    Ho letto molto su questa nave e sul suo destino negli ultimi anni. Anche la scoperta del relitto da parte del tuo connazionale Mario Arena 2011.

    Mio zio Hugo è morto su questa nave il giorno dell’incidente. Probabilmente era un marinaio di segnalazione- come tedesco. Aveva 19 anni.
    Come le madri dei suoi compagni italiani, non c’era tomba dove mia nonna potesse piangere questa perdita. Il mio padre, il fratello più giovane di Hugo, che è ancora vivo oggi, si è commosso molto emotivamente quando mi è stato permesso di mostrargli il risultato della mia ricerca.

    Quindi sono molto contento che tu mantenga vivo il ricordo della nave e del suo equipaggio.
    In allegato trovate una foto di mio zio.Ti auguro tutto il meglio per il futuro
    In amicizia il tuo
    Michael Hübner
    2.9.2020

    LA MITICA REGIA TORPEDINIERA “LUPO”
    di Carlo Di Nitto

    La regia torpediniera “Lupo”, classe “Spica”, dislocava 1050 tonnellate. Costruita nei cantieri C.N. Quarnaro di Fiume, fu impostata il 7 dicembre 1936, varata il 7 novembre 1937 ed entrò in servizio il 28 febbraio 1938.
    All’inizio del secondo conflitto mondiale, facendo base a Rodi, venne impiegata con compiti di scorta al traffico mercantile fra le isole italiane del Dodecaneso. Nei mesi successivi iniziò missioni contro la Grecia. Nel dicembre 1940, ne assunse il comando il Capitano di Fregata Francesco Mimbelli.
    Il 30 gennaio 1941, la “Lupo” si rese protagonista di una prima ardita azione contro un convoglio britannico diretto verso il Pireo. Riuscendo ad eludere la vigilanza di una forte scorta avversaria, costituita da un incrociatore ausiliario e tre cacciatorpediniere, centrò con due siluri una nave cisterna carica di benzina e cherosene danneggiandola gravemente.
    Il 25 febbraio successivo cooperò fattivamente, con altre unità allo sbarco per la riconquista dell’isola di Castelrosso. Tuttavia l’azione che la rese celebre, la vide protagonista la notte tra il 21 ed il 22 maggio 1941 quando, destinata a scortare un gruppo di motovelieri con truppe germaniche dirette all’occupazione di Creta, difese arditamente il convoglio contro una forte formazione nemica che l’aveva attaccato. Nonostante il concentratissimo fuoco avversario, si lanciava all’attacco e durante una mischia vivacissima, colpiva con due siluri un incrociatore avversario. Con le sue manovre audaci condotte all’interno dello schieramento nemico, confuse a tal punto gli avversari che questi giunsero a colpirsi fra di loro. La “Lupo”, pur colpita lievemente e con due morti a bordo, riuscì ad evitare la distruzione e ad allontanarsi. Grazie all’azione della nostra torpediniera, buona parte del convoglio sfuggì all’attacco, mentre la “Lupo”, tornata più tardi sul posto dello scontro, provvide al salvataggio di numerosi naufraghi. A seguito di questo avvenimento, il comandante Mimbelli venne decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare, mentre la bandiera della “Lupo” ricevette la Medaglia d’Argento.
    Il 19 ottobre 1941, dopo aver inutilmente cercato di rimorchiare la torpediniera Altair, gravemente danneggiata da una mina, ne recuperò la maggior parte dell’equipaggio.
    Il 23 novembre 1941 nella difesa di altro convoglio, si rese ancora protagonista di una ulteriore memorabile azione in situazione di netta inferiorità di forze.
    Nel marzo 1942 il comandante Mimbelli ne lasciò il comando perché trasferito ad altra destinazione e la “Lupo” iniziò ad operare intensamente anche sulle rotte per le acque libiche, impegnata nella scorta di convogli per il fronte nord africano.

    Il 30 novembre 1942 partì da Napoli per scortare due piroscafi diretti a Tripoli.
    Il 2 dicembre successivo, a sud di Pantelleria, il convoglio subì ripetuti attacchi aerei. La “Lupo” si trattenne sul posto per recuperare naufraghi. Alle ore 23.47 venne sorpresa da una forte formazione navale nemica, (la famosa forza K) che la investì con salve di cannone e raffiche di mitragliere prima che potesse reagire. I colpi giunti a bordo ne provocarono l’affondamento in pochi minuti alle ore 24.00 del 2 dicembre 1942.
    Nell’affondamento persero la vita il comandante C.V. Giuseppe Folli ed altri 134 uomini dell’equipaggio.
    Il suo motto fu: “Fulmineo sulla preda”.
    ONORE AI CADUTI !

    Pietro Brescia
    di Cornelia Brescia

    (Monopoli (BA), 23.11.1921 – Mare, 2.12.1942)

    … riceviamo e con immensa commozione e orgoglio pubblichiamo.

    Buonasera Sig.Vinciguerra.
    Non ci conosciamo di persona, ma c’è probabilmente un storia del passato ci accomuna.
    Sono la nipote di Pietro Brescia nato a Monopoli (BA) il 23 novembre 1921, imbarcato sulla regia torpediniera “Lupo” affondata il 2 dicembre del 1942 nel canale di Sicilia. Di lui purtroppo ho solo memoria, perché tra i 134 morti, risultò disperso nella sciagura.
    Oggi mi sono ritrovata per caso, tra le mani, il suo certificato di morte. Mia madre figlia unica, nonché sua unica figlia, non ha mai potuto abbracciarlo perché la nonna fu lasciata incinta e nonno non tornò più.
    So che ci sono stati dei sopravvissuti forse già deceduti, ma vorrei regalare a mia madre la possibilità magari di potersi confrontare con parenti che hanno potuto sentire, dalla voce viva di un loro parente sopravvissuto, la storia tragica ma meravigliosa della regia nave Lupo.
    Confido in una sua risposta, affinché la memoria possa rimanere scolpita per sempre nei nostri cuori in onore di questi grandi uomini.
    Grazie

    Buongiorno signora Brescia,
    grazie per avermi/ci coinvolto in questa bellissima testimonianza.
    Se desidera e col suo consenso possiamo farne un articolo (a similitudine degli altri) per ricordarlo nella banca della memoria.
    Possiamo fare un appello se ci sono sopravvissuti o magari coinvolgere parenti e dicenti degli imbarcati sulla regia nave Lupo.
    Qualora decidesse per la pubblicazione mi/ci invii su questa mail foto e materiale di Pietro Brescia e qualsiasi altra cosa che voglia sia pubblicata su di Lui.
    In attesa di una risposta riceva gradito un abbraccio grande come il mare.
    Ezio

    Buonasera questo è mio nonno Pietro Brescia di Monopoli (Ba) scomparso il 2 dicembre 1942 nel golfo di Sicilia.Imbarcato sulla regia nave Lupo.
    Oggi più che mai mi manca poter portare un fiore sulla sua tomba. Per non dimenticare mai.
    Grazie. Buona serata. Cornelia

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    Presentato il libro Sarrastes a Paestum

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Nella mattinata di domenica 5 novembre a Paestum, nella luminosa Sala Velia dei padiglioni della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, è stato presentato, per la Sezione Archeoincontri, il libro “Sarrastes / Un popolo della Campania antica tra mito e storia” (D’Amico Editore), scritto dallo storico Orazio Ferrara.


    Ha preso la parola per primo il sindaco di Nocera Superiore, Giovanni Maria Cuofano, che, dopo i saluti istituzionali, si è soffermato, ricevendo in questo passaggio del suo discorso un forte e sentito applauso da parte del pubblico, sull’annosa querelle dell’uso della dicitura di “agro nocerino-sarnese” o di “agro sarnese-nocerino”, auspicando che tutti i comuni della zona, superando un ormai gretto e datato campanilismo, adottino finalmente il termine unitario di “Valle del Sarno”.
    A seguire c’è stato il succinto e pregevole intervento di Giovanni Rescigno, Presidente della Pro Loco “Urbs Nuceria”. Poi è stata la volta dell’Autore che ha illustrato al pubblico, anche con l’ausilio di diapositive, alcuni punti nodali dell’opera, che peraltro potrebbero servire da spunti per ulteriori e più approfondite ricerche da parte di giovani studiosi. Infine la brillante relazione finale di Vincenzo Salerno, stimato professore all’Università di Salerno.
    Ha moderato i lavori, con la simpatia e la verve di sempre, Domenico Barbati giornalista de Il Mattino. Presente l’editore Vincenzo D’Amico e Maria Stefania Riso assessore del comune di Nocera Superiore che, con il suo instancabile attivismo, è stata il vero deus ex machina dell’intera iniziativa.
    Tra il pubblico sono stati notati Vincenzo Cerrato Presidente della Pro Loco di Sarno e la nota archeologa Claude Albore Livadie, quest’ultima massima autorità nel campo degli studi sul villaggio fluviale protostorico  di Longola.

    I Sarrasti. Un popolo della Campania antica tra mito e storia

    Il segno impresso dal popolo dei Sarrastes nella storia della Campania antica, poi Felix, si può ritenere, senza dubbio alcuno, indelebile. Infatti la storia e i miti di questo popolo coincidono con la storia e i miti di parte rilevante di quella stessa Campania. Sono genti sarraste a contribuire alle fondazioni di città importanti quali Pompei e Nuceria Alfaterna e, prima ancora, del villaggio protostorico fluviale della Longola e delle misteriche città di Fensern, di Hyria e di Urbula.
    Dal preistorico culto delle sacre sorgenti, retaggio di una arcaica religiosità mediterranea preindoeuropea, dove s’intravedono relitti cultuali della dea Mefite, la primigenia divinità italica, venerata e invocata per dare fertilità ai campi e per concedere fecondità, e quindi il dono della maternità, alle donne, al culto, in tempi storici, del dio Sarniner, la cui effigie viene impressa sulle artistiche monete coniate dalle città e dai pagi dell’agro sarnese-nocerino, di cui è diventato ormai il dio federale. Il benefico dio fluviale che ritroviamo poi, successivamente, in tanti colorati affreschi murali della Pompei sepolta dalle ceneri del Vesuvio.
    I Sarrastes un’aristocrazia guerriera, una specie di “Nobilitas” dei signori della lancia, che domina fin dall’inizio del primo millennio avanti Cristo quella parte della Campania adiacente e limitrofa al corso del fiume Sarno. Il loro destino guerriero è cantato financo da Virgilio nella sua Eneide, quando enumera le loro schiere e i loro equipaggiamenti militari al seguito del mitico re Ebalo. Non solo leggenda, perché, in età storica, li vediamo combattere, cadendo a ranghi serrati e quindi morire alla grande, dalla parte dei romani, nella drammatica e infausta giornata di Canne.
    E Sarrastes sono in gran maggioranza i legionari delle schiere del nocerino Publio Sizio nella sua avventura nell’Africa numidica al tempo di Giulio Cesare. Come Sarrastes sono i tanti arruolati nella III Legione Augusta, che presidiano, ai tempi dell’impero, i confini dell’Africa divenuta ormai romana. A loro si deve la fondazione della città africana di Milevi, la Sarnia Milevi.

    Autore: Orazio Ferrara
    Titolo: Sarrastes. Un popolo della Campania antica tra mito e storia
    Anno: 2023
    Pagine: 142, con illustrazioni;
    Prezzo: euro 14;
    D’Amico Editore, Via Pizzone 50 – 84015
    Nocera Superiore (Sa), tel. 3498108119
    email info@damicoeditore.it 

    (*) per conoscere gli altri articoli dell’autore presenti nel blog, digita il suo nome e cognome.

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    La trasparenza dell’anima

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    La trasparenza dell’anima si può percepire negli occhi e nell’innocenza dei bambini, difficilmente negli adulti.
    Momenti di amore fanno la differenza, fra il bene e il male che è dentro di noi, un filo sottile che fa di questa nostra vita, la differenza di questa eterna lotta.
    E così ci barcameniamo, percorrendo rotte di un domani sempre più incerto, in questo attuale mare tempestoso, alla ricerca affannosa e a tutti i costi della felicità nostra soprattutto, e non fa niente se a discapito degli altri, e ci convinciamo che sia coì, ma non lo è, e lo sappiamo!


    E allora navighiamo fra i miasmi delle nostre stesse feci, delle nostre umane nefandezze, nel peccato.
    E con l’età avanzata impariamo a sopportare il dolore, e il fetore del male, che sentiamo e avvertiamo, che ci si appiccica addosso, convinti sempre di essere davvero forti, dalla parte giusta, mai nel torto.Ma quella sottile differenza, quella lotta fra il bene e il male, è l’amletica condizione dell’esistenza umana, soprattutto la tua, la nostra…

    Spero di essere sufficientemente compreso e non frainteso, ma la scelta della via è sempre più stretta e ardua!

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    Riccardo Grazioli Lante della Rovere (Roma, 21.4.1887 – 28.10.1911)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra, Antonio Cimmino e Giorgio Gianoncelli

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    (Roma 21.4.1887 – 28.10.1911)

    Nasce a Roma il 21 aprile 1887, dopo aver conseguito la maturità classica, a soli 17 anni entrava nell’Accademia Navale di Livorno, uscendone con il grado di Guardiamarina nel 1907 e conseguendo poi la promozione a Sottotenente di Vascello
il 15 maggio 1910.
    Da allievo dell’Accademia prese imbarco, per le crociere d’istruzione, sulle navi scuola “Vespucci” ed “Etna”, navigando nel Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico, dove ebbe modo di visitare l’Irlanda e la Scozia, e quindi nel Mar del Nord fino al Baltico.
Già nelle sue prime destinazioni d’imbarco, dopo l’Accademia (nave Regina Margherita e nave Vesuvio), il Sottotenente di Vascello Grazioli ebbe modo di distinguersi per il suo carattere pieno di entusiasmo e di coraggio.

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    Nel 1909 prese imbarco sull’incrociatore “Puglia” destinato ad una crociera in estrema Oriente. Con tale nave risalì il fiume Yan-se-Kiang sino ad Han Kew e Nan Kim, poi visitò le coste fino a Sakaline e Shan-Hai-Kwan, dove era un distaccamento di marinai italiani.
 Nel 1910, sbarco dal “Puglia” e venne destinato al Distaccamento Marina di Pechino, posto a difesa della Legazione Italiana in Cina, restando presso quel Comando per oltre 18 mesi.
 Appassionato rocciatore ed esploratore, durante la permanenza a Pechino, il Grazioli effettuò un viaggio nella Mongolia Meridionale (Manciuria) e con la sola compagnia di guide locali visitò il bosco sacro, presso le tombe imperiali Tum-Ling, ancora non conosciuto dagli europei; al rientro riportò una mappa del percorso ricca di dati ed appunti.
    Il 7 luglio fece rientro in Italia e a fine settembre prese imbarco sulla Regia Nave “Marco Polo” con la quale si doveva trovare, il mese successivo, impegnato nelle operazioni militari per l’occupazione di Homs (Libia), nel conflitto italo – turco del 1911 – 1912.
    Il 23 ottobre 1911, in vista di una offensiva delle truppe italiane sul Magreb, ricevette l’ordine di recarsi a terra con l’incarico di verificare le posizioni assunte dai reparti da sbarco e dai bersaglieri e ricavarne dati utili per il tiro delle artiglierie di bordo. Eseguì prontamente e brillantemente l’ordine e, rientrato a bordo con le notizie richieste, chiese ed ottenne di ritornare a terra per meglio stabilire i collegamenti tra le truppe combattenti a terre e le unità navali. Nel corso di questa seconda missione, saputo che il suo collega Corradini era stato costretto ad abbandonare il comando della batteria di Marina colà operante poiché ferito, corse a sostituirlo, riuscendo a riorganizzare ed a motivare quel nucleo di marinai scossi per le gravi perdite ed esauriti per i continui attacchi e gli ininterrotti combattimenti. Sotto la sua guida l’intera batteria rientrò dietro le linee italiane e nei giorni seguenti si riorganizzò a difesa del settore assegnato.
    Il giorno 28 ottobre la batteria fu nuovamente e ripetutamente attaccata da soverchianti forze arabo-turche costituite da due reparti, di circa 500 armati ciascuno, convergenti sulla batteria da direttrici diverse. Verso le 11,30 l’attacco delle forze avversarie, strenuamente contrastato dalla batteria di Marina e da una un plotone di bersaglieri al comando del Tenente Martini, raggiunse il massimo della intensità. Quando il Martini cadde mortalmente ferito alla tempia da una pallottola di fucile, Grazioli Lante assunse il comando anche di quel reparto, esponendosi ove maggiore era il pericolo, per rincuorare i combattenti e meglio incitarli a contrastare il nemico avanzante.
    Cadde al proprio posto di comando colpito mortalmente alla testa da tre pallottole nemiche.
    Il 30 ottobre il feretro del valoroso ufficiale, sul quale era stata posta una corona di palme a simbolo di gloria e di dolore per la Marina tutta, ricevuti gli onori militari solenni sotto bordo della nave “Marco Polo” veniva imbarcato sulla nave ospedale “Regina Margherita” dell’Associazione Cavalieri Italiani del S.O.M. di Malta.
    A Tripoli la salma fu poi trasbordata sul piroscafo “Enrichetta” ed il 2 novembre sbarcata a Napoli, e da questa città trasferita a Roma dove, alla presenza del Ministro della Guerra, del Ministro della Marina, di rappresentanti di Casa Savoia, delle massime autorità politico-militari della capitale e con la partecipazione di un reparto di bersaglieri combattenti ad Homs, si svolse la maestosa cerimonia dei funerali dell’Eroe. Il feretro, avvolto dalla bandiera della nave “Marco Polo”, venne sepolto al cimitero del Verano a Roma, nella cappella di famiglia.
    La sua morte fu pianta da tutta l’Italia e numerosi poeti, come Guido Mazzoni, Fausto Salvadori e Alfredo Baccelli scrissero odi in memoria di questo purissimo eroe. Lo stesso Gabriele D’Annunzio, nella sua famosa composizione poetica “La canzone dei trofei”, piange la morte di Riccardo Grazioli Lante della Rovere.
    Onorificenze
    Medaglia d’Oro al Valor Militare (alla memoria)
 concessa con la seguente motivazione:
    Il 23 ottobre ad Homs, dopo aver compiuto arditamente una prima missione a terra sul terreno battuto dal fuoco nemico, sbarcato una seconda volta per raccogliere notizie, affidò ad altri l’incarico avuto di portarle a bordo e di propria iniziativa accorse a sostituire il Comandante la batteria da sbarco rimasto ferito. 
Rianimò ed infuse nuovo ardimento negli uomini esausti per le perdite subite, le fatiche e il digiuno; provvide a raccogliere il materiale gravemente danneggiato e, malgrado l’oscurità della notte e il non interrotto fuoco nemico, attraverso gravi difficoltà del terreno, ricondusse la batteria al completo dei trinceramenti.
 Il 28 ottobre pure ad Homs, esempio ai suoi di eroica fermezza, comandò la batteria da sbarco della sua nave esponendosi arditamente al fuoco nemico per dirigere il tiro, finché cadde mortalmente ferito”. 
(Homs, 23 – 28 ottobre 1991)
 R.D. 27 novembre 1912.

    In suo onore la città di Roma, in ricordo dell’eroico suo cittadino, volle intitolargli una via cittadina e, nel quartiere Pianciano in via Tevere, anche una scuola elementare.

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    La Marina nel giugno 1912, per meglio ricordare ai posteri la figura dell’eroico ufficiale, nell’isola di Ajo Kyriaky-Stampalia (Dodecanneso – Mar Egeo), costruì ed armò una batteria navale, con annessa caserma, che intitolò a questa fulgida figura di eroe.
    Successivamente, nel 1921, il rimorchiatore d’altura “Falco” dopo essere stato trasformato in cannoniera di scorta, assumeva la nuova denominazione “ Grazioli Lante Riccardo”. L’unità costruita presso i cantieri navali inglesi di Aberdeen, venne varata nel 1912 ed entrata in servizio nel 1915. Dopo la trasformazione in cannoniera venne aggregata alle Forze Navali del Basso Adriatico e Mar Jonio fino al 1936.
    Dal 1936 al 1938 fu impiegata come “Nave Servizio Fari” e nel 1939 quale dragamine alle dipendenze del Comando Marina della Libia Orientale. Per il primo semestre del 1940 l’unità riprese la propria attività di cannoniera di scorta, operando alle dipendenze del Comando in Capo del Dipartimento M.M. di Taranto per passare poi nuovamente alle dipendenze del Gruppo N.U.L. di Taranto, ad operare quale nave servizio fari. La nave Grazioli Lante fu definitivamente radiata alla fine del 1941.

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    Breve storia della caserma Grazioli Lante a Roma
    Con il trasferimento della capitale d’Italia da Firenze a Roma, avvenuto il 20 settembre 1870, il Ministero della Marina trovò la sua sede provvisoria presso il convento di Sant’Agostino, in via della Scrofa, mentre il personale militare alloggiò presso il convento francescano di via Sant’Andrea delle Fratte, requisito per l’esigenza.
    Risolto il grave problema della nuova sede ministeriale con la costruzione di Palazzo Marina, la cui inaugurazione ufficiale avvenne il 28 ottobre 1928, lo Stato Maggiore rivolse la propria attenzione al grave problema del personale militare accasermato in modo non adeguato nell’ex-convento. Venne allora prospettata l’idea di costruire una caserma all’interno dei giardini di Palazzo Marina, ma la ferma e tenace presa di posizione dell’architetto Magni ne fece decadere il progetto perché la realizzazione avrebbe rovinato, in modo irrecuperabile, l’estetica del Palazzo senza peraltro raggiungere lo scopo prefissato. Si dovette pertanto procedere alla ricerca di un sito idoneo, vicino al Ministero, cu cui poter realizzare una struttura capace di accogliere sia il numeroso personale in servizio presso il Ministero, sia quello destinato ai servizi generali e logistici della sede.
    L’area venne individuata nella zona del nuovo Quartiere della Vittoria, che si stava allora sviluppando sull’opposta sponda del Tevere, a poca distanza da Palazzo Marina. Dopo le necessarie pratiche burocratiche nel 1930 venne posta la “prima pietra”, e nel 1932 un primo lotto – del padiglione dell’ex Autoreparto – venne consegnato alla Marina.
    I lavori per il completamento dell’intero corpo edilizio proseguirono più o meno celermente, venendo anche interrotti per una vasta inondazione della zona a causa dell’eccezionale piena del Tevere nell’inverno del 1937. L’intera opera, fu ultimata nell’ottobre del 1938 e costituì, per l’epoca, un esempio di moderna funzionalità, capace di ospitare un migliaio di marinai.
    Il 28 ottobre, ricorrendo l’anniversario della morte del S.T.V. Grazioli Lante, con solenne cerimonia ufficiale alla quale parteciparono autorità militari, civili e religiose, la caserma venne intitolata all’eroe, e vi prese quindi sede il Distaccamento della M.M. di Roma.
 Dall’8 settembre 1943 al giugno 1944, con il trasferimento da Brindisi del Ministero della Marina, l’edificio venne occupato da vari reparti italiani e tedeschi.
    Alla liberazione di Roma, nel giugno del 1944, l’edificio venne occupato dalle truppe americane che vi installarono un Alto Comando ed, in parte, lo trasformarono in un attrezzato ospedale militare. Di conseguenza, il Ministero Marina, ritornato nella sua sede naturale, dovette provvedere a risistemare il proprio personale altrove. Così il personale militare dei servizi venne accasermato nella Scuola Media Statale di via Monte Zebio, nel requisito Albergo Clodio ed alcuni marinai furono ospitati presso la Caserma dei Granatieri di via Ferrari.
    Quando nel giugno del 1945 gl americani restituirono l’edificio alle autorità militari italiane, vi ritrovò immediata sede il Comando Marina e poi, dopo essere stati eseguiti alcuni lavori di predisposizione, il centro raccolta di militari sbandati e l’ufficio Stralcio per le pratiche di discriminazione del personale sbandato dopo l’8 settembre o aderente alla Repubblica Sociale Italiana. Soltanto nei primi mesi del 1947 venne ricostituito il Distaccamento, con il rientro di tutto il personale temporaneamente accasermato in precedenza presso le strutture citate in precedenza.
    Nel ventennio successivo l’edificio subì lavori di ampliamenti e di sopraelevazione per far fronte alle sempre crescenti esigenze di alloggiamento del personale.
Nel dicembre 1962, l’infermeria di corpo vene ampliata e dotata di idonee attrezzature e macchinari specialistici.
    Attualmente nella caserma Grazioli Lante hanno sede il Comando Militare Autonomo Marittimo della Capitale (istituito il 1° gennaio 2001); il Comando Distaccamento Marina Militare; un ridimensionato Servizio Sanitario (infermeria) con la 2^ sezione della Commissione Medica Ospedaliera di Taranto; l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia ed altri enti a scopi sociali e, naturalmente gli alloggi del personale.

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    La regia nave Marco Polo nella guerra italo-turca e la morte di Grazioli Lante

    di Antonio Cimmino

    antonio-cimmino-per-www-lavocedelmarinaio-com_1Nel 1911 la regia nave Marco Polo era inquadrata nell’Ispettorato Silurante, squadra formata dalla nave appoggio sommergibili Lombardia, l’incrociatore torpediniere Minerva, la corazzata Saint Bon, l’incrociatore corazzato Vettor Pisani, la 3° squadriglia cacciatorpediniere, la 1° sezione della 4° squadriglia cacciatorpediniere e altre siluranti dislocate nel Mar Adriatico.
    Dopo alcuni interventi davanti alle coste albanesi. La nave (al comando del Capitano di vascello Maffeo Scarpis), il 12 ottobre 1911, scortò a Tripoli – unitamente alla corazzata Saint Bon e le unità della 2° Divisione della II Squadra – un convoglio di 19 piroscafo con a bordo il Corpo di spedizione del Regio Esercito al comando del Generale Carlo Caneva.

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    Il Marco Polo, assieme alle unità della Divisione Navi Scuola della II Squadra Navale, fu destinato a proteggere lo sbarco di uomini e mezzi del corpo di spedizione in Tripolitania e di occupare le località costiere, nonché di mantenere le comunicazioni.
    Il 17 ottobre la nave, insieme all’incrociatore corazzato Varese, fu inviata a bombardare la zona di Homs, nonché fornì una batteria da 72 mm, completa di marinai da sbarco, da sistemare sulle alture allo scopo di proteggere i soldati che, verso ovest, si accingevano ad occupare il Margheb. La batteria ed il contingente da sbarco era comandata dal sottotenente di vascello Corrado Corradini Bartoli, successivamente decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Dopo aver tenuto lodevolissimo contegno nelle operazioni della forza da sbarco a Tripoli, il 23 ottobre 1911, ad Homs, dirigendo un reparto di artiglieria da sbarco, dimostrò calma e coraggio sotto il violento fuoco dei turco-arabi, mantenendo la sua serenità anche dopo essere stato ferito alla testa da un proiettile nemico”.

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    Nel frattempo il contingente dei bersaglieri, spingendosi troppo in territorio nemico, stava per soccombere. Il comandate del Marco Polo inviò a terra il sottotenente di vascello Grazioli Lante per avere la posizione delle truppe nemiche onde poter cannoneggiarle e permettere lo sganciamento dei soldati italiani. Con coraggio il sottendente, procuratosi un cavallo, si avventurò verso il Margheb e, tornato alla neve, fornì le coordinate necessarie per il cannoneggiamento di sgancio.
    Grazioli Lante tornò una seconda volta a terra il 28 ottobre per comandare la batteria dopo che il collega Corradini era stato ferito, lasciando un suo sottufficiale al comando dei pezzi.
    Nell’azione di difesa delle postazioni terrestri fu validamente collaborato dal 2° Capo cannoniere Emilio Signanini, anch’egli decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
    Destinato alla batteria da sbarco coadiuvava in modo lodevolissimo il proprio ufficiale. Caduto il Comandante della batteria ne assunse per qualche tempo il comando dirigendo il fuoco con calma e bravura sotto il fuoco nemico”.

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    Altri due cannonieri furono decorati con Medaglia d’Argento al Valor Militare.
    Il 2° Capo Meloni Michele (23 ottobre) con la seguente motivazione:
    Destinato alla batteria da sbarco coadiuvava con calma e coraggio l’ufficiale che la comandava sotto il violento fuoco nemico, rimanendo gravemente ferito al petto”.
    Il Sottocapo Orazietti Giulio (28 ottobre) con la seguente motivazione:
    …quantunque ferito ed invitato a ritirarsi, rimase fermo al suo posto di puntatore continuando il suo tiro sotto il fuoco del nemico”.

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    Durante i ripetuti attacchi dei turchi, fu ucciso anche il Tenente Luigi De Martini che, in trincea, comandava un plotone di bersaglieri. Grazioli Lante assunse anche il comando dei soldati.
    Circondante da preponderanti truppe nemiche ingrossate da centinaia di indigeni, inviò questo messaggio al comando dei bersaglieri:
    “Colonnello Maggiotto, Tenente De Martini ucciso sulla mia trincea. Ho preso la direzione del suo plotone. La pregherei, se possibile inviarmi qualche uomo sulle ali e possibilmente un ufficiale. Ho sospeso il fuoco per risparmiare munizioni. Grazioli”.
    Alla testa dei marinai e bersaglieri si battè valorosamente ma fu colpito mortalmente da tre pallottole in testa. Gli fu conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
    “Il 23 ottobre ad Homs, dopo aver compiuto arditamente una missione a terra sul terreno battuto dal fuoco nemico, sbarcato una seconda volta per raccogliere notizie, affidò ad altri l’incarico avuto di portarle a bordo e di propria iniziativa accorse a sostituire il comandante della batteria da sbarco rimasto ferito. Rianimò ed infuse nuovo ardimento negli uomini esausti per le perdite subite, le fatiche ed il digiuno; provvide a raccogliere il materiale gravemente danneggiato e, malgrado l’oscurità della notte e il non interrotto fuoco nemico, attraverso gravi difficoltà del terreno, ricondusse la batteria al completo nei trinceramenti. Il 28 ottobre, pure ad Homs, esempio ai suoi di eroica fermezza, comandò la batteria da sbarco della sua nave esponendosi arditamente al fuoco nemico per dirigere il tiro, finché cadde mortalmente ferito”.
    In una copia della Rivista Marittima dell’epoca, così viene descritta la morte del giovane ufficiale:


“Riccardo Grazioli non ha tempo di compiangere: ha visto morire il suo amico, ma pensa soltanto alla necessità del dovere. Scrive in fretta e manda come può un biglietto al colonnello Maggiotto avvertendolo della perdita di De Martino, e intanto assume prontamente il comando anche del plotone dei bersaglieri. E con una tranquillità di spirito incredibile attende alla batteria e al plotone insieme, alternando ordini e monti a quello e a questo, intento allo svolgersi dell’azione e sollecito a secondarla o combatterla come meglio convenga. Ma a lui pure, fiore purissimo dell’eroismo italiano, è prefissa una sorte non diversa da quella del suo nuovo commilitone. Egli si leva un momento sopra il muretto che maschera la batteria per guardare col binocolo l’effetto del tiro di questa, poi volge il capo per ordinare alcunché al plotone dei bersaglieri …. Una pallottola gli fora la tempia, lo fa stramazzare, folgorato, sulla terrazza.”

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    La famiglia Grazioli Lante della Rovere
    Saggio storico di Giorgio Gianoncelli (*)

    …dalle stelle del cielo della Valtellina al profumo di pane nelle scuderie del Vaticano alla gloria eterna.

    Duca di Magliano Vincenzo Grazioli di Cadelsasso (Sondrio, 22 settembre 1770 – Roma, 27 aprile 1857, progenitore del Conte Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere, Medaglia d’Oro al Valor Militare.
    Giovanni e Vincenzo Grazioli sono fratelli e nell’anno 1779, assieme al padre Lorenzo, partono da Cadelsasso, piccolo borgo nel comune di Civo sulla costiera dei Cek,   di fronte al grosso borgo di Morbegno, per raggiungere la città di Roma. Vincenzo ha solamente nove anni (1).
    Fin dai secoli precedenti l’emigrazione valtellinese nello Stato Pontificio, in particolare nella città di Roma, è favorita dall’alto Clero, che ha destinato loro una compagnia dell’annonaria. Poco o niente scolarizzati i valtellinesi, sono impiegati come macinatori di granaglie, facchini, misuratori con staio (2) per il grano e brente (3) per il vino.
    Vincenzo è il minore dei due fratelli. Il padre Lorenzo è il tipico rappresentante del genere di mercante/contadino dell’epoca, comunemente chiamati Mercanti di Vacche, perché sempre presenti sui mercati di bestiame, pronti a intermediare tra un venditore e un compratore, spesso, anche con qualche imbroglio.
    Vincenzo cresce nella Roma papalina, tra lavoro giovanile nelle botteghe di ogni genere e nella grande città, trova anche l’opportunità di scolarizzarsi e col tempo giusto entra nel turbine degli affari commerciali, con la praticità tipica dei valtellinesi operatori della terra e nello stesso tempo, mercanti/promotori del loro prodotto.
    Vincenzo non impiega molto a sviluppare i suoi commerci. I grandi latifondisti, tutti dell’area nobiliare intorno all’albero parassitario vaticano, cercano affittuari per i loro sterminati poderi e soldi a volontà per le dionisiache feste capitoline.
    Nel 1793 il padre rientra in Valtellina e lascia a Vincenzo la bottega di granarolo e lui non spreca il tempo. Sposa Maria Maddalena Miller, figlia di tedeschi panettieri nel rione Trevi e si trasferisce nella bottega dei suoceri dopo aver affittato la sua di granarolo. Da qui comincia l’ascesa commerciale di Vincenzo che incrementa il giro d’affari della bottega dei suoceri e avvia l’attività di mugnaio con dei mulini affittati, mossi dalle acque del fiume Tevere e al fratello Giovanni, affida la gestione della oramai ben avviata panetteria.
    Nell’anno 1802 in modo prematuro muore la moglie Maria, per Vincenzo è un duro colpo ma l’ottimo rapporto con i suoceri, oramai avanti con l’età, gli consente di continuare nella sua attività di oculato imprenditore annonario e nonostante il dolore per la perdita della consorte, Vincenzo non demorde dai suoi commerci e affari. Nello stesso anno prende in affitto una grossa tenuta agricola nell’agro romano, che lo inserisce tra i dignitari dei mercanti di campagna.
    Nel primo decennio dell’800 con Napoleone Bonaparte a Roma, Vincenzo Grazioli conclude un contratto per la fornitura di foraggio e paglia alle formazioni militari francesi. Questo contratto arricchisce in modo straordinario la cassaforte di Vincenzo Grazioli ma soprattutto è introdotto nelle stanze del Vaticano, dove viene a contatto con dignitari e Cardinali che contano.
    Per quanto il ricordo della prima compagna di vita sia importante, un giovane uomo senza la presenza dell’anima gemella è un po’ perso e allora, nell’anno 1806, Vincenzo, sposa Anna Londei, di 19 anni più giovane di lui che appartiene a una famiglia agiata di Ancona, il cui genitore, da ricco mercante di stoffe è anche il fondatore di una Banca di depositi e prestiti nella città di Roma.
    Vincenzo Grazioli è talmente attivo negli affari dell’agricoltura e delle sue dinamiche del periodo che sulla piazza romana pare non abbia rivali ed è addirittura inserito nel consiglio della Banca fondata dal suocero e governata da un cognato proprio per la sua caratteristica principale, quella del contadino/imprenditore e nell’anno 1814, con altri due funzionari della stessa banca, assume l’appalto della dogana della fida delle pecore per tutto l’agro pontificio, che mantengono per un decennio.
    Nell’anno 1823, dopo 17 anni di matrimonio, Vincenzo e Anna, danno alla luce il primogenito che chiamano Pio, naturalmente in onore ai nomi papalini di cui la famigliola gode di favori e dignità.
    Le notevoli disponibilità economiche di Vincenzo Grazioli, derivanti da tanta attività economico-finanziaria, gli consentono di costituire un notevole patrimonio immobiliare formato di beni rustici e urbani. Tra gli acquisti più espressivi c’è la tenuta di Castel Porziano nel settembre 1823, venduta poi nell’anno 1872 alla Casa Reale, oggi patrimonio della Presidenza della Repubblica Italiana.
    Per Vincenzo Grazioli è un susseguirsi da appalti e affari, da solo oppure in società con altri. Nell’anno 1831 si aggiudica l’appalto per la vendita della neve e del ghiaccio sia nella città di Roma sia nel circondario. Sempre nello stesso anno l’appalto per la fornitura del foraggio e la paglia per i cavalli dell’Esercito pontificio.
    Gli acquisti della tenuta di Castel Porziano e del ducato di Santa Croce di Corchiano, aprono al Grazioli le porte della nobiltà romana. Nel gennaio dell’anno 1836 dal papa Gregorio XVI, Vincenzo Grazioli, è elevato al rango di Barone; nel settembre 1851 il re delle Due Sicilie, Ferdinando II, conferisce al Grazioli il titolo di Duca, trasmissibile agli eredi e nell’anno successivo, Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti di Senigallia (Ancona), gli riconosce lo stesso titolo per i territori pontifici.
    Nell’anno 1833 il Duca Vincenzo Grazioli di Cadelsasso in Valtellina, nato contadino, lavoratore instancabile fin dalla tenera età, poco scolarizzato, nella sua capacità intellettiva con l’interpretare il valore della terra e l’esaltazione della fatica dell’operatore agricolo, raggiunge l’apice tra i ranghi della nobiltà romana, e il Duca Vincenzo Grazioli, chiude il cerchio con l’acquisto di Palazzo Gottifredi, in via del Plebiscito nella città di Roma, che dopo un opportuno restauro, nell’anno 1835 diventa la residenza della famiglia Grazioli (4).
    Vincenzo Grazioli nello Stato del Vaticano è oramai uomo/imprenditore a tutto campo, non esiste  settore operativo in cui non appare la sua presenza, alla bella età di anni 81, in società con altri ottiene dal governo Vaticano la concessione per la bonifica di terre paludose nelle Valli di Comacchio.
    Vincenzo Grazioli muore nella sua residenza di via del Plebiscito il 27 aprile 1857 ed è sepolto accanto alla moglie Anna, nella cappella gentilizia di Santa Maria sopra Minerva.
    Persona di grande intraprendenza, valtellinese tenace come le rocce della valle, non troviamo nessun segno nella provincia di Sondrio per questa dignità raggiunta da un conterraneo di origini contadine. Il suo dinamismo affaristico gli ha fatto perdere le umili origini, senza rendersi conto che la base dei suoi successi, forse, li deve al carattere formativo di quando, bambino ancora, accudiva ai piccoli greggi di capre e pecore sui brik della costa dei Cek.

    Duca Pio Grazioli Lante della Rovere (Roma 1823 – Roma 1884)
    Con la scomparsa di Vincenzo Grazioli, Duca di Santa Croce di Corchiano, l’unico figlio nato nell’anno 1823 cui è imposto il nome Pio, eredita l’enorme patrimonio costruito negli anni dal padre.
    Nell’aprile dell’anno 1874 Pio Grazioli sposa donna Caterina Lante Montefeltro della Rovere, figlia di Giulio e di donna Maria Colonna e da quel momento la famiglia assume il nome di Grazioli Lante Della Rovere. Gli sposi danno alla luce quattro figli, Mario, Giulio, Riccardo e Maria.
    La famiglia per censo e per ricchezza è tra le prime nello Stato del Vaticano, oltre a vivere di mondanità e feste di rango, Pio Grazioli, sempre fedele e vicino al papa, fa ricostruire a sua totale spesa, la chiesa di San Giovanni della Malva in Trastevere.
    Alla morte del padre la famiglia non si disunisce ma continua con pari dignità e fastosità. I fratelli tutti trovano moglie e la sorella marito, sempre oramai nell’ambito delle famiglie blasonate.  Giulio, il secondogenito sposa la marchesa Maria Laveggi e come il nonno Vincenzo, ha un solo erede maschio che chiama Riccardo.

    Riccardo Grazioli Lante della Rovere (Roma, 21.4.1887 – Homs (Libia), 28.10.1911)
    E’ la personalità che assieme al bisnonno Vincenzo esalta l’interesse storico della provincia di Sondrio.
    Unico figlio maschio di Giulio Grazioli e di Maria Lavaggi, Riccardo, fin da ragazzo sogna di diventare uomo di mare e senza mezzi termini ai genitori, esprime l’agognato desiderio, che da studente, con determinazione, ripete; Ho deciso: io andrò per mare. Così, nell’anno 1904, all’età di 17 anni, Riccardo Grazioli Lante della Rovere entra in Accademia Navale nella città di Livorno per iniziare i corsi di studio per Ufficiali del Corpo di Stato Maggiore della Regia Marina Militare.
    Con pieno titolo e ottimi voti, l’Aspirante Guardiamarina Riccardo Grazioli Lante della Rovere, esce dall’Accademia Navale il mese di novembre dell’anno 1907, destinato su Nave Regina Margherita per il tirocinio pratico e l’avanzamento del grado.
    È questo il periodo in cui la Regia Marina di Guerra è impegnata con la delegazione militare italiana in Cina e il giovane ufficiale il mese di aprile 1908 è imbarcato sulla Torpediniera Vesuvio destinata a quella Delegazione.

    Riccardo Grazioli Lante della Rovere, in tempi diversi e attività differenti, mostra lo stesso determinato temperamento del bisnonno Vincenzo, super attivo in tutto e per tutto, mai domo di conoscere e sapere, parla correttamente le tre lingue europee francese, inglese e tedesco, studia gli l’idiomi cinese e Russo.
    Con l’avvicinarsi del periodo di rientro in Patria per il normale avvicendamento, il giovane Guardiamarina, non esita a recarsi a piedi presso il Comando della Delegazione, lontano 30 km., per chiedere di poter rimanere in Cina. Ottenuta l’autorizzazione, è destinato alla Guardia della Legazione Italiana e in questo periodo, visita la Manciuria, completa gli studi della lingua russa e quella cinese. Promosso sottotenente di vascello il mese di maggio 1911, è richiamato in patria.
    Dopo la regolare licenza di rientro in Patria, il Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli è destinato sull’ariete corazzato Marco Polo, assegnato all’Ispettorato Siluranti e nel settembre 1911, partecipa al conflitto armato contro l’Impero Ottomano. La guerra, chiamata Italo – Turca inizia il 29 settembre 1911.
    Il 12 ottobre 1911 l’ariete corazzato Marco Polo è assegnato alla Divisione Navi Scuola della Seconda Squadra Navale, con base a Tripoli. I compiti affidati alla divisione prevedono le operazioni di sbarco delle truppe, dei servizi e dei materiali, la protezione del corpo di occupazione in Tripolitania, il mantenimento delle comunicazioni con l’Italia, e l’occupazione di altre località costiere, secondo le disposizioni del comandante supremo delle forze italiane in Tripolitania.
    Il 17 ottobre, il Marco Polo è inviato a cooperare con l’incrociatore corazzato Varese e la torpediniera d’alto mare Arpia nel bombardamento di Homs, iniziato il giorno prima a seguito della mancata accettazione della resa delle autorità ottomane. All’alba del 18 il Marco Polo arriva davanti Homs, e secondo le direttive  inizia il bombardamento delle postazioni nemiche, che continua, a intervalli, fino alle ore 18,00, quando inizia a sventolare una bandiera bianca.
    Durante il combattimento del 23 Ottobre, i bersaglieri sono molto avanti e fanno fuoco in varie direzioni. Il Comandante del Marco Polo, privo d’informazioni, incarica il Sottotenente di Vascello Grazioli, di recarsi a terra per chiedere informazioni sulla posizione occupata dal nemico, non visibile da bordo.
    Riccardo Grazioli con un cavallo attraversa la linea di fuoco, osserva le posizioni nemiche e ritorna a bordo con le dovute informazioni. Vista l’attenta osservazione del Sottotenente, il Comando di bordo lo rimanda a terra per avere costanti e utili informazioni.
    Le notizie sulle posizioni relative delle forze italiane e nemiche permettono al Marco Polo di riprendere il fuoco con efficacia, consentendo ai reparti di poter rientrare nelle proprie linee di difesa attorno a Homs, senza subire gravi danni.


    Per la seconda volta a terra, il Signor Grazioli, è informato che il Comandante di una batteria della Regia Marina è ferito e trasportato all’Ospedale. Riccardo Grazioli affida la missione ricevuta all’aspirante guardiamarina di comandata sulla barca a vapore e con un cavallo dei carabinieri, parte per rimpiazzare il collega ferito, raggiunge la batteria ai piedi del Mergheb, quando comincia a imbrunire.
    Il personale della batteria è stremato dalle fatiche e dal digiuno, anche un po’ disorientato per la mancanza del Comandante e del capo-pezzo anch’egli ferito. Grazioli incontra gli uomini della batteria che stanno ripiegando su Homs; dopo averli rincuorati, si accorge che non tutti i pezzi sono stati portati via dalla postazione sull’altura. Con alcuni uomini, ritorna sul Mergheb e recupera il materiale. Raggiunge poi gli uomini della batteria, sotto il fuoco nemico.
    Il terreno, oltremodo accidentato, rende difficile il trasporto pesante carico. La batteria rientra presso la città di Homs completa, con tutti gli accessori. L’energia e la volontà del Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli, riorganizza la batteria nella stessa trincea dove è sistemata un’altra  batteria della Marina con un plotone di bersaglieri al comando del tenente Luigi De Martini.
    Il 28 ottobre le forze turche e indigene attaccano le postazioni italiane, durante la sparatoria, De Martini è colpito a morte, e Riccardo Grazioli assume il comando anche del plotone di Bersaglieri e invia un biglietto, scritto a matita, al colonnello Maggiotto:
    “Colonnello Maggiotto, Tenente Martini ucciso sulla mia trincea. Ho preso la direzione del suo plotone. La pregherei , se possibile, inviarmi qualche uomo sulle ali e possibilmente un ufficiale. Ho sospeso il fuoco per risparmiare munizioni”.
    L’attacco del nemico continua: Riccardo Grazioli, nel cercare d’individuare meglio dove indirizzare i tiri della batteria, si espone alla fucileria nemica, e, mentre sta impartendo ordini, è colpito mortalmente alla testa da tre pallottole.
    Di quei pochi giorni che il Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere svolge le mansioni di comandante di batteria, il 2° Capo cannoniere Emilio Signanini, scrive una lettera al padre duca Giulio: Allora come sempre, lo abbiamo visto più che ordinare, lavorare per noi, Il vederlo affabile, sempre buono, non dormire nella notte per vegliare alla nostra difesa, il vederlo dividere con noi il suo vitto, sempre interessandosi del nostro benessere, ha fatto di lui per noi, che abbiamo visto in quei giorni, una persona sacra per cui tutti avremmo dato la vita. Il signor Grazioli è morto. Non abbiamo pianto: gli eroi non si piangono, non si piange chi come il nostro ufficiale muore sul campo dell’onore per la gloria d’Italia. È il 28 ottobre 1911.

    Dalle stelle del cielo della Valtellina al profumo di pane nelle scuderie del Vaticanoalla gloria eterna
    Le famiglie si compongono e si scompongono, gli avvenimenti si susseguono in apparenza lenti ma in realtà anche rapidi, e la vita degli umani è talmente corta che genera elementi di rapida trasformazione, sia in positivo sia in negativo. Come valtellinesi, di questa famiglia abbiamo avuto aspetti positivi: la forza dei contadini della montagna con la determinazione all’ascesa ai vertici della vita socio-economica della nascente nazione italiana, la caparbietà psicofisica del contadino Vincenzo Grazioli nato sotto le stelle della costiera dei Cek e il carattere, patriottico e altruistico del pronipote Riccardo, nato nella neo-capitale d’Italia che dona la vita  per la tutela della sua Nazione.
    Nonno Vincenzo lascia l’aspetto del suo cospicuo lavoro con il palazzo di via Plebiscito nella Capitale d’Italia e il giovane Riccardo, con una targa di bronzo, che ricorda il sacrificio della sua breve esistenza al mondo.
    La facciata del palazzo è decorata con pilastri portanti e capitelli. Al centro si apre il portone fiancheggiato da due colonne di ordine dorico di granito grigio e sormontato da un balcone e la targa in marmo e bronzo con il ritratto della Gloria commemora l’impresa del Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere,romano per nascita, con una lunga radice e il cuore valtellinese, medaglia d’oro al valor militare, caduto ad Homs (oggi Al Khums), in Libia, il 28 ottobre1911 durante la Guerra Italo – Turca.

    La Caserma/Distaccamento “STV Riccardo Grazioli Lante della Rovere” della Marina Militare in Roma
    Tra gli anni 1937/38 la Regia Marina Militare costruisce la Caserma/Distaccamento nella città di Roma a fianco del Palazzo della Marina e il 28 ottobre 1938 è inaugurata e intestata a perenne ricordo del Sottotenente di Vascello Riccardo Grazioli Lante della Rovere.
    Riccardo Grazioli Lante della Rovere, Ufficiale della Regia Marina di Guerra, patrimonio valoriale della storia e della gloria della Marina Militare e della Nazione è anche, per origini paterna, da considerare tra i Marinai delle Alpi Centrali, un valore a pieno titolo della Lunga linea blu della provincia di Sondrio.

    Note
    (*) 
    digita sul motore di ricerca del blog il nome e cognome dell’autore per conoscere gli altri suoi scritti. 
    (1) Vincenzo nasce il 22 settembre 1770 da Lorenzo e Maddalena Lombardini.
    (2) Staio: recipiente cilindrico in legno con un contenuto preciso di 5,00 Kg. di grano.
    (3) Grosso recipiente conico da spalla, con capienza di circa 60/65 litri di prodotto liquido, con un segno fisso alla misura di litri 50,00.
    (4) Dal 1989 una parte del  palazzo è concesso dal duca Giulio Grazioli Lante della Rovere, in affitto a Silvio Berlusconi, che lo ha eletto a propria residenza romana.

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    La preghiera del marinaio di Luciana Villotti

    di Luciana Villotti
    segnalata da Franco La Rosa (*)

    La preghiera del marinaio di
    Luciana Villotti

    Fammi arrivare in porto

    mio Signore,

    c’è mamma che m’aspetta

    sennò je spezzo er core.

    Io sono la sua vita,

    la gioia del tramonto,

    il suo sostegno

    la sua compagnia.

    Salvami Signore,

    fallo per mamma mia.

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

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    Eugenio Ghersi (Oneglia, 14.7.1904 – La Spezia, 13.10.1997)

    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra e Flavio Serafini

    (Oneglia, 14.7.1904 – La Spezia, 13.10.1997)

    Eugenio Ghersi nasce ad Oneglia il 14 luglio del 1904, il padre è farmacista, si iscrive a Medicina alla Regia Università di Torino e nel 1928 consegue la laurea. Ha tre passioni l’alpinismo, la fotografia e la voglia di conoscere il mondo. Frequenta il corso per Tenente medico all’Accademia Navale di Livorno e la Scuola di Sanità a Napoli e dopo l’imbarco sulla regia nave da battaglia Caio Duilio e sulla regia nave scuola Cristoforo Colombo, siamo nel 1931, è destinato sulla regia cannoniera Carlotto che si trovava in Cina e pattugliava il medio corso del fiume Yang-Tze-Kiang, il fiume Azzurro da Shangai alle gole del Yichang. A bordo oltre alla macchina fotografica ha una cinepresa con cui realizza apprezzati filmini.
    Rientra in Patria nel 1932. Ghersi ha un amico e collega di Stato Maggiore cugino di Giuseppe Tucci e spesso i loro discorsi cadono sui viaggi del grande orientalista maceratese e sul prossimo obiettivo il Tibet occidentale. Incontrerà così Tucci, il colloquio è breve ma positivo “Si tenga pronto a partire, capitano Ghersi, presto, molto presto.” Dopo il viaggio in Tibet è destinato all’Ospedale Principale Marina Militare di La Spezia, poi nel 1935 il nuovo viaggio con Tucci nel Tibet.

    Nel 1937 è destinato presso il Comando Superiore A.O.I. con incarichi presso l’Ambasciata Italiana a Gedda.
    Nel 1941 è imbarcato sulla regia nave ospedale Virgilio:
    Dopo l’8 settembre 1943 è destinato all’Ospedale Marina Militare di Venezia, nel 1953 è promosso colonnello. Dirigerà poi l’Ospedale Militare di La Spezia e lascerà, col grado di Maggior Generale, il servizio attivo nel 1967.
    Si spegne a La Spezia il 13 ottobre del 1997. Sulla lapide tombale oltre al nome e alle date di nascita e di morte ha voluto che si incidesse in caratteri tibetani la scritta: “OM MANI PADME HUM” formula sacra, usata comunemente nel Tibet occidentale, si tratta di un mantra correlato a Avalokitesvara, il Bodhisattva dio della compassione.
    (tratto da Eugenio Ghersi nel Regno di Guge – Storia della Medicina Militare di Vincenzo Martines)

    Eugenio Ghersi – Un medico di Marina sulle vie del mondo
    di Flavio Serafini (*)

    La storiografia militare si è recentemente occupata di Eugenio Ghersi in due volumi: “La storia e gli uomini del Corpo Sanitario della Marina Militare” (Ispettorato di Sanità della M.M. 2000) e “Gli uomini della Marina” (Ufficio Storico Marna Militare 2015). Quasi contemporaneamente, in ambito universitario, sono apparsi: “Eugenio Ghersi, un marinaio ligure in Tibet” (Sagep 2008) e “Eugenio Ghersi sull’Altipiano dell’Io Sottile” (Montura Editing 2016). Numerose le citazioni ed i riferimenti nelle opere del grande orientalista e tibetologo Giuseppe Tucci, degli studiosi del Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma e di ricercatori italiani e stranieri. In precedenza in ne, altre menzioni si scoprono nelle tre opere appassionate del Col. Medico Achille Talarico sulla storia della Sanità Marittima. Mancava sul personaggio una biografia più articolata ed approfondita che potesse scandire la vita e la carriera dell’Ammiraglio Medico (“Generale”, come egli preferiva definirsi).
    Tale lacuna, sulla scorta della documentazione ancora disponibile, è stata in parte colmata dall’autore Flavio Serafini, suo conterraneo che ha avuto anche il privilegio di godere della sua amicizia e stima e di frequentarlo al tramonto della sua lunga esistenza.
    Raramente nella figura di un ufficiale di Marina si possono annoverare tante professionalità come quelle espresse da Eugenio Ghersi nella sua quarantennale carriera di uomo di mare e di medico.
    In pace ed in guerra, negli angoli più estremi e sperduti del mondo, Eugenio Ghersi ha onorato la Marina e l’Italia.
    Un volume appassionante e raffinato che troverà assolutamente lo spazio che merita nei lettori, un saggio che intende onorare la memoria.

    Autore: Flavio Serafini
    Titolo: Eugenio Ghersi
    Sottotitolo: Un medico di Marina sulle vie del mondo.
    Editore: CLD Libri – Pisa
    Anno: 2019
    Pagine: 207 Illustrazioni in B/N
    ISBN 978-88-7399-373-5
    Prezzo: € 35,00

    (*) Il Comandante Flavio Serafini, fondatore del Museo Navale Internazionale di Imperia, nonché autore di numerosi volumi legati alla storia della marineria, ha già offerto incassato pagine di grande bellezza fra cui Ponte di Comando (1995) e Musei Navali e collezioni marittime nel mondo (2005).