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    Angelo Pastrello (Venezia, 15.8.1917- 23.4.1942)

    segnalato da Paolo G. Vivian

    (Venezia, 15.8.1917- 23.4.1942)

    Qualche nota sulla Piazza Pastrello di Favaro Veneto.
    Prima della Seconda Guerra Mondiale era intitolata  Umberto 1°.
    Dopo  il Referendum, con la vittoria della Repubblica sulla Monarchia,  si decretò il cambio di nome della piazza dedicandola ad Angelo Pastrello.
    Ma chi era Angelo Pastrello (Venezia, 15 agosto 1917- 23 aprile 1942)?

    Era un marinaio fuochista imbarcato sul regio cacciatorpediniere Perseo, durante la Seconda Guerra Mondiale, diretto da Messina a Tripoli e perse la vita per salvare quella dell’amico Sante Guarnieri.
    (fonte: L.Scaramuzza, Foglie, 2019)

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    Emilio Ramognini (Sassello (SV), 17.3. 1923 – Cengio (SV), 15.8.2014)

    a cura di Renato Ruffino

    (Sassello (SV), 17.3. 1923 – Cengio (SV), 15.8.2014)

    Ripensando ad “Emma” – Ricordi di Emilio Ramognini

    Sono stato arruolato nel Corpo Degli Equipaggi della Marina Militare (anche se avevo a carico due fratelli minori e la mamma vedova) il 4 febbraio 1942 per la ferma di mesi 28 dal consiglio di leva di Savona come Marinaio e lasciato in congedo illimitato in attesa del’avviamento alle armi.
    Lasciato il lavoro, giunsi alle armi il 10 novembre 1942 al deposito C.E.M.M. La Spezia dove sono stato inviato all’ospedale di Marina di Massa per accertamenti medici, rientrato a Maridepocar La Spezia il giorno 17 novembre 1942, sono stato classificato definitivamente Marò. Appositamente vestito e armato con un moschetto, feci molti turni di guardia, per questo mi diedero in dotazione anche un binocolo che portai sempre con me. Appassionato di musica comprai una chitarra, mancava un parte, ma suonava ugualmente; i marinai anziani me la sequestrarono, come pure un cavatappi e la coperta che poi rivendettero a 500 lire, essere reclute voleva dire anche questo. Ma passare per allocchi non andava bene. Insieme a tutte quelle reclute a cui era stato sottratto qualche oggetto, escogitammo un piano. Organizzammo una sortita per impadronirci delle cose sottratte ingiustamente; salimmo nelle camerate degli anziani e fu razzia di coperte, questa volta ci lasciarono in pace, forse intimiditi del nostro folto gruppo che era di gran lunga superiore al loro.
    Giorni dopo mi mandarono a Migliarino alla 10° squadriglia MAS in attesa di imbarco, li trasferimmo tutti i nostri bagagli, bauli con effetti personali, biancheria e divise, in tutto questo via vai di gente, le donne locali che incontravamo ci dicevano: “poveri ragazzi andate contro a morte certa”, subito non realizzai, ma quella frase si rivelò profetica, infatti dopo pochi giorni in un tragico evento bellico, solo io mi salvai, fu un miracolo, senz’altro qualcuno avrà pregato per me in modo che io tornassi a casa.

    Nel porto c’era l’incrociatore “’Attilio Regolo” la sua costruzione avvenne nel Cantiere navale OTO di Livorno dove il suo scafo impostato il 29.9.1939, fu varato il 28.8.1940. Era entrato in servizio il 14.5.1942, il successivo 7 novembre, al rientro da una missione di posa di mine, fu colpito da un siluro dal sommergibile inglese Unruffled che gli asportò completamente la prora. Dopo essere riuscito a raggiungere Messina venne rimorchiato fino al La Spezia, dove gli venne applicata la prora del Caio Mario ancora in costruzione.

    Il 9 dicembre imbarcai sulla motonave “Emma” che si trovava nei cantieri del Muggiano, una nave da trasporto armata con un cannone da 120mm, 7931 tonnellate di stazza, classe Liberty, una nave lenta, un sicuro bersaglio per il nemico che ci attendeva al largo.
    I soldati tedeschi installarono quattro mitragliatrici antiaereo a quattro canne su dei palchi in legno precedentemente costruiti da noi marinai, in seguito uno di questi legni mi fu provvidenziale nel momento in cui mi trovavo naufrago in mezzo alle onde.
    Il Natale lo passammo in navigazione, la rotta era La Spezia-Napoli sottocosta, imbarco di armi e mezzi di trasporto a Napoli e partenza con destinazione Biserta (la rotta della morte) per effettuare il rifornimento ai nostri soldati in Africa.

    Attraccati nel porto di Napoli, vedevamo il Castello Angioino bello e imponente, non molto distante la nave “Lombardia” fungeva da prigione, e se alzavi il naso si vedeva il sonnacchioso Vesuvio che a buon ragione temevo, infatti nel 1944 mentre mi trovavo al centro ortopedico di Bologna, il 18 marzo eruttò, provocando la morte di 26 persone nell’area interessata dalla caduta di ceneri a causa dei crolli dei tetti e delle abitazioni stesse, 2 centri abitati furono in parte distrutti dalle colate laviche, e si persero ben 3 anni di raccolti nelle aree interessate dalla caduta delle ceneri.
    Le operazioni di carico armi, venivano effettuate di notte, le munizioni venivano stivate all’interno della nave in gran segreto, tant’è vero che io non vidi mai nulla, I camion invece erano sistemati in coperta. Insieme al carico di munizioni e ai mezzi di trasporto, partirono con noi una compagnia di soldati tedeschi che andavano in Africa a rimpiazzare morti e i feriti, aggregati a loro una trentina di prigionieri Siberiani guardati a vista.
    Essendo Marò adibito a servizi vari, a bordo ricoprivo le mansioni di cambusiere e quelle di cameriere, il mangiare era sempre abbondante, la pasta non mancava mai, e quando avanzava la portavo ai prigionieri Siberiani che mi ringraziavano sempre, mentre i tedeschi erano sempre scontrosi e maleducati.
    La sera del 15 gennaio alle ore 17.00, partimmo da Napoli con 300 tonnellate di munizioni (una vera polveriera viaggiante), i soldati tedeschi, alcuni soldati italiani; i membri dell’equipaggio non superavano la quarantina (i comandanti erano due, uno militare e l’altro un civile militarizzato), la torpediniera “Clio” ci faceva da scorta. Salii subito di guardia in plancia, ma non c’erano ordini, scesi nelle stanze dove alloggiavano i soldati tedeschi perché avevo notato una fisarmonica; preso dalla voglia di suonare qualche nota chiesi il permesso di usufruirne, ma il proprietario si arrabbiò, così me ne ritornai in plancia a scrutare il mare con il mio binocolo. A 10 miglia da Ischia, con mare grosso da maestro alle ore 20.00 il sommergibile Britannico “P228 Splendid” che era in agguato, lanciò un siluro che ci colpì nelle sala macchine immobilizzando la nave. La torpediniera “Clio” si affiancò per soccorrerci, ma la violenza delle onde la sbatterono contro la fiancata del nostro mercantile subendo gravissimi danni, tanto da dover rientrare a Napoli senza poter trarre nessuno in salvo.
    Quella notte ero agitato, dalle stive non usciva nessuno, si sentivano delle grida, forse c’erano le scale impraticabili, non lo so, ma sentivo che qualche cosa d’altro doveva ancora succedere. Fu una notte d’inferno e da incubo, la luna ogni tanto spariva lasciando il buio più nero del nero, quando riappariva le ombre riflettevano sul mare la tragedia che si stava consumando, eravamo in balia delle onde, il vento e le onde sferzavano il mio volto, solo all’alba arrivarono due rimorchiatori d’altura partiti dal porto di Napoli con lo scopo di rimorchiarci fino alla nostra base di partenza, le operazioni di aggancio erano difficoltose per le brutte condizioni del mare, quando a un tratto mi accorsi della scia di due siluri.
    Erano le ore 8.00, senza pensarci due volte, mi lanciai in mare senza salvagente, dalla parte opposta la direzione dei siluri. Non so se ero già in acqua o ancora in volo, quando un boato spezzò l’aria, un siluro centrò la Santa Barbara e la nave saltò letteralmente in aria con un boato immenso, ancora oggi a distanza di quasi 70 anni lo sento presente nelle mie orecchie, nella caduta persi il binocolo da cui non mi separavo mai. Da un altezza approssimativa di 20 metri, mi lanciai a soldatino, ovvero con i piedi all’ingiù, e sprofondai nel mare, nella caduta il piede sinistro colpì qualche detrito e mi ferii, poi riemersi a galla, ero vivo, era avvenuto un miracolo. Vidi un cadavere galleggiare con il salvagente, mi avvicinai per prenderlo, ma mi accorsi che era decapitato, e senza un braccio, preso dallo sgomento mi allontanai, vidi i tronchi usati per fare la base delle mitragliatrici antiaerea, galleggiare intorno a me, anche se sapevo nuotare benissimo, mi aggrappai ad uno di essi e non lo mollai più.
    Le onde alte sembrava giocassero all’altalena, in un primo momento sembrava che il mare ti inghiottisse, poi venivi rilanciato in alto tra la schiuma spumeggiante e subito dopo ti sentivi ancora inghiottire, la paura era tanta, l’acqua era fredda, ma non la sentivi nemmeno, devo ricordare che eravamo nel mese di gennaio, inspiegabilmente non presi nemmeno il raffreddore. Un aereo italiano segnalava ai rimorchiatori dove si trovavano i naufraghi, rimasi in acqua forse un ora, o forse meno, non so…in quei momenti il tempo sembra non passare mai, ogni tanto riaffioravano i detriti della nave esplosa, copertoni, legni, casse ecc., poi finalmente mi issarono a bordo, mi adagiarono su una coperta e con una sciarpa mi fasciarono il piede per fermare momentaneamente il sangue che perdevo copiosamente, nel frattempo un cagnolino mi leccava le orecchie.
    La mente tornò a quei bravi ragazzi scomparsi con la nave, erano tanto giovani e pieni di vita, ricordo un marò quasi senza denti e un testicolo, un giorno gli chiesi perché non avesse provato a far domanda di esonero, ma a quel tempo arruolavano tutti, c’era bisogno di personale, ricordo un altro marò di Milano con i baffetti, faceva il panettiere con suo padre, ricordo anche un maresciallo cannoniere veneto tanto bravo … adesso erano tutti morti.

    Dei 350 uomini imbarcati che io sappia ci siamo salvati solo in quattro (i libri dicono sette, ma forse tre erano tedeschi ed erano stati ricoverati in un altro ospedale), io sono l’unico marinaio superstite, un sergente dell’esercito, un maresciallo dei carabinieri, e un autiere dell’esercito, era lo scarso elenco dei sopravvissuti.

    Portato a Napoli all’ospedale di Piedigrotta della Marina Militare (Il complesso, noto come Basilica di Santa Maria di Piedigrotta, è un importante riferimento turistico e culturale per le opere d’arte del periodo Barocco in esso custoditi. Edificata nel Trecento e intitolata a Santa Maria dell’Idria, a cui il culto era votato; culto che si riallaccia a quello pagano della Dea Hodigidria (in greco colei che conduce), molto diffuso nelle colonie della Magna Grecia e quindi anche a Napoli, devozione che rivive ogni 8 settembre con la Festa di Piedigrotta, manifestazione anche di profondo significato folkloristico se la si collega a quella “Piedigrotta” che ha coinciso a lungo con il lancio delle più note e belle canzoni napoletane. Nella facciata si notano l’immagine della Madonna di Piedigrotta tra re Alfonso d’Aragona, Papa Niccolò V e Sant’Agostino. L’interno, molto ricco e decorato, custodisce la trecentesca statua della Madonna col Bambino, affreschi di Belisario Corenzio e una tavola cinquecentesca di stile fiammingo. Il chiostro è attualmente occupato dall’Ospedale della Marina Militare), dove arrivai la sera stessa, mi operarono al piede sinistro per esiti di ferita da scheggia, e lesione dei tendini, una suora infermiera prima di addormentarmi con l’etere mi disse”adesso vai in paradiso”. Mi sveglia con la gamba interamente ingessata fino alla coscia che tenni per quattro mesi, inutile dire che mi si atrofizzò. Mi salvarono il piede ma non l’articolazione. Siccome avevo perso tutti i miei beni nell’affondamento della nave, e al momento del ricovero indossavo solo degli abiti laceri e sporchi, il professore che mi operò mi regalò 50 lire e il capo sala 25, poca cosa, ma in quel momento erano tanti, la vita ricominciava.
    Venne a trovarmi la fidanzata di un maresciallo segnalatore disperso in mare, mi disse che dalla partenza della nave aveva pregato finché la vide, inoltre, continuò, presto si sarebbero dovuti sposare; sapendo benissimo che i soli sopravvissuti eravamo in quattro, per sdrammatizzare, e uscire fuori da quella brutta situazione, dissi che forse era stato salvato da qualche altra nave.
    Un giorno mentre camminavo con le stampelle incontrai una compagnia di soldati tedeschi, indossavo i tipici pantaloni alla marinara larghi in fondo a zampa di elefante e il piede era nascosto dentro, senz’ altro pensarono che fossi un amputato perché si misero tutti sull’attenti e mi salutarono con tutti gli onori. Ricordo che quando sabotarono ed esplose la motonave “Caterina Costa” di 8.060 tonnellate, ormeggiata nel porto di Napoli, carica di rifornimenti ed armamenti (1.000 tonnellate di benzina; 900 di esplosivi; carri armati ed altro) da trasportare a Biserta in Africa.
    Il 28.3.1943 vi scoppiò un incendio a bordo, forse doloso, divenuto incontrollabile, raggiunse la stiva e ne provocò l’esplosione, la deflagrazione fu devastante: il molo sprofondò e tutt’intorno un gran numero di edifici venne distrutto o gravemente danneggiato. Alcune navi vicine si incendiarono e affondarono mentre parti roventi di nave e di carri armati furono scagliate a grande distanza, finendo in via Atri e piazza Carlo III. Altri frammenti raggiunsero piazza Mercato e il Vomero ed altri ancora (comprese le ancore) incendiarono la stazione ferroviaria Centrale, un Ammiraglio lo trovarono sul tetto di un palazzo; gli oltre 600 morti e gli oltre 3.000 feriti riempirono letteralmente le strade, io ero seduto al tavolo con la suora e altri feriti, intenti nel recitare il Santo Rosario, lo spostamento d’aria ci fece cadere a terra,… i giornali tacquero! Per portare via i morti fu necessario usare i camion.

    Nella camerata, eravamo in sette o forse otto, un marinaio tutto bruciato gridava mamma…mamma…mamma! Era imbarcato su di una motozattera con alcuni fusti di benzina vicino, un giorno durante un incursione aerea britannica, presero fuoco provocando morte e distruzione, lui rimase gravemente ustionato in tutte le parti del corpo e nella notte morì, lo portarono via dentro un lenzuolo bianco. Come cura dovevo assumere dei solfamidici, ma i farmaci mi bloccavano lo stomaco, erano micidiali, non potevo mangiare. C’era un infermiere, un certo Fumagalli, un marinaio alto quasi due metri che aveva sempre una gran fame, escogitai un compromesso: non potendo mangiare, inevitabilmente, mi avanzava sempre del cibo, così proposi lo scambio del mio cibo, con la distruzione di una parte dei farmaci che dovevo ingerire gettandoli nel bagno, diventammo amici e mi accompagnò al centro ortopedico Putti di Bologna il 4 aprile 1943, (centro ortopedico specializzato per la cura e la riabilitazione dei traumatizzati per cause belliche nei locali del seminario arcivescovile di Villa Revedin a San Michele in Bosco. Dipendente dall’Ospedale militare dell’Abbadia, il Centro Mutilati Putti ospita anche un grande orto di guerra, una stalla con mucche e maiali, un forno e una distilleria. Nel luglio 1944 passa sotto la supervisione della Sanità militare tedesca. Il 29 novembre il Centro è accerchiato dalle SS e dalle Brigate nere, alla ricerca di partigiani. Il direttore prof. Oscar Scaglietti è arrestato e interrogato nella sede della Gestapo in via Santa Chiara). Con grande sorpresa, quando arrivai, per prima cosa mi tagliarono le crucce (le stampelle), e le gettarono via, non capii e chiesi il perché. Per risposta mi dissero che se avessi continuato a camminare con le crucce, presto avrei avuto la gobba e la schiena si sarebbe andata a far benedire, in cambio mi diedero due bastoni fatti a T fasciati nella parte superiore con delle bende, che funzionavano da ammortizzatore, in tal modo avrei anche rinforzato le braccia, se proprio non avessi avuto modo di camminare con i bastoni, avrei potuto usufruire della carrozzella.
    Debbo dire ad ogni modo che fui trattato benissimo, e non mi posso lamentare. I medici hanno sempre operato con professionalità maestra, ricordo che un marinaio che aveva le mani bruciate gliele impiantarono nel ventre e quando la carne ricrebbe le separarono nuovamente con un ottimo risultato, ad un altro ricostruirono la vescica, ad un altro ricostruirono il naso, asportato da un colpo di fucile, ad un altro ancora ricostruirono il calcagno salvandogli la gamba, tutte queste operazioni oltre ad avere lo scopo di rendere la vita di questi poveri sventurati il più normale possibile, avevano anche lo scopo di erogare il meno possibile pensioni di invalidità. Rioperato al piede sinistro che non si era saldato bene, incominciai a soffrire di osteomielite, un male tremendo che non mi lasciava quiete, un giorno la suora vedendomi così addolorato, mi diede una pastiglia bianca che estrasse da un botticino che teneva sempre al collo, non seppi mai cosa fosse, ma in compenso dormii più di 24 ore e ne trassi un grande beneficio, mi ripresi presto.

    La guerra è una cosa orribile, ho visto le atrocità più terribili, c’era un ragazzo che avrà avuto 22 anni, aveva perso entrambe le gambe, le braccia, un occhio e un orecchio, a vederlo era un vero strazio, un altro ufficiale era privo delle mani e degli occhi, a chi era stata amputata solo una gamba era da ritenersi fortunato. Un ufficiale medico, un giorno mi disse se potevo aiutarlo, dovevo tenere fermo un marinaio con una gamba amputata e il moncone era pieno di pus, aveva l’infezione e la febbre alta, con il bisturi incise, e il sangue schizzò ovunque, andai a lavarmi nella vasca da bagno, ma mi accorsi che dentro c’era una ragazza morta. Nel bombardamento precedente, i morti li avevano portati anche all’ospedale perché non sapevano più dove metterli. Ai momenti in cui tutto era tragico, si alternavano i momenti allegorici, a vent’anni la goliardia è cosa normale, una sera decideremmo di fare un gavettone a Calderoli, un ragazzo ferito ad un braccio, ma che usciva tutte le sere, inaspettatamente entrò il Prete e l’acqua piazzata sulla porta si rovesciò sul capo del malcapitato, scappò un imprecazione per il bagno imprevisto ma si dimostrò compiaciuto nel saperci in allegria, ci scusammo per l’accaduto e spiegammo che lo scherzo non era indirizzato a lui ma bensì al nostro amico Calderoli. Tanto per far capire come lo spirito dei vent’anni era così bello e pieno di vita, ricordo che due marinai a cui mancava un braccio ciascuno ad uno il sinistro e l’altro il destro, legati vicino, suonavano la fisarmonica, uno i bassi e l’altro alle voci, era tutto uno spettacolo, un terzo marinaio senza una gamba suonava il mandolino, a vederla era un orchestra un po’ anomala ma la musica era ottima, il Professor Scaglietti era contentissimo perché vedeva il nostro il morale rimanere alto.
    Un giorno venne mia madre a trovarmi, ero impossibilitato ad uscire in quanto il piede mi faceva sempre male, c’era un marinaio senza le due gambe seduto sulla carrozzella, lo prese gentilmente e lo sedette sulla finestra, sbalordito chiesi cosa stesse facendo, se forse non avesse visto che lui era senza le gambe, e che la carrozzella serviva esclusivamente a lui e non a me, ma irremovibile disse che avremmo fatto solo un breve giretto in giardino e poi l’avrebbe restituita, e così fu.
    L’otto settembre 1943 ero a casa in convalescenza, avevo una licenza tedesca per cui non ebbi problemi nel mio continuo peregrinare nell’andare avanti e indietro da Bologna a Camerana luogo di mia residenza. A Bologna c’era una contessa che aveva delle piantagioni di frutta, e quando era stagione di raccolta provvedeva per tutto il centro, una volta mi regalò persino un bel bastone da passeggio. Essendo la guerra ancora in atto, non poterono congedarmi anticipatamente per inabilità, dovevo concludere la ferma di mesi 28, così mi inviarono all’ospedale Regina Margherita di Castelfranco Emilia, in attesa dello scadere dei termini. Un giorno venne a farci visita la Principessa del Piemonte Maria Josè, colti di sorpresa, per far prima ci mettemmo a letto con le scarpe, poi arrivò accompagnata da Ammiragli, Generali, Ufficiali e da tutto il seguito, attenta e scrupolosa annotava tutto, si dimostrò molto generosa, per esempio ad un marinaio senza una gamba diede 1.000 lire, poi venendo da me e saputo che ero capo famiglia con due fratelli minori a carico, la mamma vedova e in più il piede malridotto, mi diete 500 lire e la foto dei suoi figli che conservo tuttora, era veramente una principessa e soprattutto non voleva la guerra.
    Il 16 febbraio 1945, a Torino fui sottoposto a visita collegiale e proposto per la settima categoria di pensione quale invalido di guerra. Un Guardia Marina saputo che mi ero salvato dall’esplosione di nave “Emma” mi disse di fare un quadro alla madonna (ex voto) per la grazia ricevuta.
    Fui congedato definitivamente Il 5 dicembre 1945.
    Di quelli che si salvarono con me quella tragica notte non ricordo più il nome, ma nemmeno ho saputo più nulla.

    P.s. Mi chiamavo Emilio Ramognini ero nato il 17 marzo 1923 a Sassello (SV) e sono deceduto a Cengio (SV) il 15.8.2014.

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    15.8.1944, viene recuperata la regia corvetta FR 53

    di Carlo Di Nitto

    La regia corvetta FR 53 (ex francese “Chamois”- A 34) dislocava 630 tonnellate (895 a pieno carico). Era una unità della classe omonima, una serie di 24 navi cacciamine francesi (Avisos dragueurs de mines) commissionate tra il 1935 e il 1939. Erano classificate come “dragamine”, ma in realtà erano unità anti-sommergibile e scorta convogli.
    La “Chamois” (A34) fu varata il 29 aprile 1938 presso l’Arsenal de Lorient, ed entrò in servizio alla fine del 1939. Servì come scorta di convogli fino alla caduta della Francia, nel maggio 1940. Fu autoaffondata a Tolone il 27 novembre 1942. Recuperata il 7 marzo 1943, venne assegnata alla Regia Marina italiana, riclassificata “Corvetta antisom” e denominata FR53. Non riuscì ad entrare nuovamente in servizio in quanto, trovandosi ai lavori di ripristino a Tolone, il 9 settembre 1943, in seguito all’armistizio, venne catturata dai tedeschi. Fu affondata da bombardamenti alleati il 24 novembre 1943. Il 15 agosto 1944 fu di nuovo recuperata e rimorchiata a Brégaillon (zona cantieristica di Tolone), dove venne demolita dopo la fine della guerra.

    In questa foto, la regia Corvetta FR 53 è ripresa quando navigava sotto la bandiera della Marine Nationale francese.

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    15.8.1906, disarmo della regia nave Euridice

    di Carlo Di Nitto

    Il regio incrociatore torpediniere Euridice, classe “Partenope” (otto unità), dislocava 1011 tonnellate a pieno carico. Fu varato il 22 giugno 1890 presso i Cantieri di Castellammare di Stabia ed entrò in servizio il 1° maggio 1891.
    Inizialmente questa unità, come le consorelle, disponeva di armamento velico ausiliario a due alberi con vele auriche ed era stata progettata per appoggiare le azioni delle torpediniere in alto mare. Successivamente subì lavori di trasformazione e di modifica nell’armamento che ne mutarono l’aspetto iniziale. Subito dopo l’entrata in servizio, partecipò all’intensa attività addestrativa della flotta impegnata quasi totalmente in cicli di esercitazioni in acque nazionali e in crociere nel Mediterraneo di levante, come nave stazionaria. Rientrata in Italia, passata in disponibilità a Taranto, dal 1° ottobre 1901 al 30 giugno 1903 fu sottoposta a profondi lavori di ammodernamento. Rientrata in linea, venne nuovamente destinata nelle acque del Levante e successivamente, trasferita come stazionaria in Sicilia per effettuare servizio di vigilanza pesca sui banchi di spugne e coralliferi di Sciacca e Lampedusa. Nello stesso periodo visitò il porto tunisino di Sfax per accompagnare una importante spedizione scientifica internazionale.
    Il 20 marzo 1906 prestò soccorso ai terremotati dell’isola di Ustica ed il 15 maggio successivo fu trasferita a Cagliari per servizio di ordine pubblico. Il 21 maggio tornò a Napoli, impiegata come nave ammiraglia. Il 26 giugno dello stesso anno, valutata non più efficiente, passò in disponibilità e il 15 agosto fu posta in disarmo.
    Il 10 marzo 1907 venne radiata dai quadri del Regio naviglio e nel 1911 lo scafo fu venduto a privati per la demolizione.

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    Gaetano Arezzo della Targia (Siracusa, 31.7.1911 – 15.8.1942)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra


    …destino volle che la vita di Gaetano Arezzo della Targia fosse strettamente legata al destino del sommergibile Uarsciek e dell’equipaggio di cui ne  fu l’eroico Comandante.

    (Siracusa, 31.7.1911 – 15.8.1942)

    Il sommergibile Uarsciek
    Il sommergibile Uarsciek appartenente alla classe “600” (“Adua”) nota anche come “Africana”, unitamente ad altri 17 esemplari, fu il primo battello ad essere impostato sugli scali. Fu costruito presso il cantiere Tosi di Taranto, varato il 19 settembre del 1937 e consegnato alla Regia Marina nel dicembre dello stesso anno con la grafia Uarsheich successivamente corretta in Uarsciek. Ascritto alla sede di Taranto, nel giugno del 1938 partecipò ad una crociera nell’Egeo, facendo base a Lero e il successivo anno fu destinato a Tobruch per una crociera fra i porti libici. Allo scoppio della guerra fu assegnato alla 46^ squadriglia presso il IV Gruppo Sommergibili di Taranto.
    Venne impiegato in agguati offensivi lungo le linee di maggior traffico avversario nel Mediterraneo centrale e orientale e, in un secondo momento tra il 1942 e il 1943, prevalentemente nel Mediterraneo occidentale come sbarramento da azioni di unità di superficie e aeree.
    Allo scoppio della guerra il battello era comandato dal tenente di vascello Carlo Zanchi. L’equipaggio era composto da 47 uomini (6 ufficiali, 9 sottufficiali e 32 sottocapi e comuni di varie categorie). Nel 1941 l’Uarsciek eseguì i lavori di manutenzione nei cantieri di Pola per poi essere destinato a Messina e a Cagliari al fine di operare contro il traffico di rifornimento di Malta proveniente da Gibilterra.
    Partecipò alle battaglie di mezzo giugno e di mezzo agosto del 1942 dove si ritiene colpì la portaerei inglese “Fourious”. Per questa azione e soprattutto per lo spirito aggressivo col quale aveva condotto l’unità all’attacco del convoglio britannico, il nuovo comandante, tenente di vascello Gaetano Arezzo della Targia, imbarcato il 21 giugno, fu decorato con la medaglia d’argento al valor militare.
    Durante la penultima missione nei primi di novembre, la sedicesima, il sommergibile trasportò a Tobruch 19 tonnellate di munizionamento proseguendo il pattugliamento lungo le coste egiziane. In questo periodo un’avaria lo costrinse a rimanere ai lavori in un primo momento a Tripoli e poi rientrare a Messina per il ripristino dell’efficienza. L’Uarsciek sarebbe dovuto entrare ai lavori di grande manutenzione a febbraio del 1943 (benché nei primi mesi del 1947 la Commissione d’Inchiesta Speciale, lo valutò all’atto della sua ultima missione “in buone condizioni di efficienza” .
    Nei primi di dicembre il sommergibile riprese il mare alle dipendenze del X Gruppo Sommergibili di Augusta in attesa di ordini che arrivarono l’11 dicembre1942 . L’Uarsciek unitamente al sommergibile Topazio erano pronti a muovere col compito offensivo esplorativo totale e protezione di un convoglio importante (Motonave Foscolo) previsto in transito nel Mediterraneo Centrale e diretto a Tripoli. La situazione del fronte Africa settentrionale era in fase di progressivo deterioramento per le forze italo – tedesche incalzate dalle avanguardie dell’8^ armata britannica dopo il favorevole esito dell’offensiva lanciata ad El Alamein.
    Ma torniamo a quel venerdì 11 dicembre 1942. Alle 17.25 il sommergibile salpa da Augusta verso sud. Va tenuto presente che:

    (1) al sommergibile, di costruzione pre-bellica, per essere reso più idoneo alla guerra subacquea e ridurre i tempi di immersione, era stata ridotta la dimensione della falsa torre ed erano stai effettuati lavori ai macchinari di bordo per renderli più silenziosi e, in precedenza, erano state eliminate alcune deficienze di funzionamento dei motori termici che si erano manifestati nel corso delle battaglie di mezz’agosto;

    (2) doveva essere sottoposto a turnazione e quindi al fermo per la “grande manutenzione”  a breve (febbraio del 1943);

    (3) il comandante Arezzo della Targia al momento dell’uscita in mare era febbricitante, in non buone condizioni fisiche;

    (4) il direttore di macchina, a bordo da due mesi circa, era stato in precedenza sbarcato dalla stessa unità per grave esaurimento nervoso.

    (5) l’equipaggio era composto per circa il 30% da personale che aveva partecipato alle precedenti missioni sullo stesso battello, il 15% da personale di leva al primo imbarco ed il restante personale avvicendato in imbarchi su altri sommergibili.

    L’Uarsciek entra nella zona di agguato alle ore 05.00 di domenica 13 dicembre 1942.
    Alle ore 03.00 di martedì 15 dicembre 1942 l’Uarsciek viene avvistato dai caccia britannici “Petard” e “Queen Olga” (non si ha certezza della presenza di una terza unità inglese) in trasferimento da Bengasi a Malta su rotte dirette, lungo le quali era previsto l’incontro con il sommergibile britannico “Ultimatum” in fase di rientro da una missione nel Mediterraneo centrale. L’avvistamento fu reciproco e istantaneo  (sebbene gli inglesi in un primo momento erano convinti di aver intercettato il loro sommergibile). Il comandante Arezzo della Targia non ha esitazione, essendo in posizione favorevole effettuò subito il lancio di due siluri poppieri, che non hanno buon esito, disimpegnandosi quindi in immersione. Venivano udite dall’equipaggio dell’Uarsciek due forti esplosioni, probabile indice di scoppio delle armi. Precipitato a quota profonda nel corso della rapida immersione, il sommergibile viene riportato rapidamente in superficie dando aria ad un doppiofondo. Nella manovra affiorò con tutta la torretta e ciò che lo fece individuare dalle unità leggere di scorta inglesi che lo sottoposero immediatamente a violenta caccia. Appena affiorato, il sommergibile venne inquadrato dai fasci dei proiettori dei due caccia nemici e fatto segno a violento e intenso fuoco di mitragliere che spazzarono la coperta e la torretta uccidendo quasi istantaneamente il Comandante Arezzo, l’ufficiale in 2^ e il nostromo e ferirono mortalmente altri marinai.
    Dall’ufficiale di rotta viene dato l’ordine di aprire i portelli per autoaffondarsi ed abbandonare l’unità. La situazione era andata fuori controllo, sia per la persistenza del fuoco nemico, sia per l’assenza di qualsivoglia forma di comando che rese così problematico l’autoaffondamento.
    La resa, episodio finale dell’azione, è stata vissuta con la disperazione di chi lucidamente realizza mancanza di alternative ma che fino a quel momento ha reagito all’evento con razionale determinazione, all’unisono con il comandante. La sopraffazione fisica e psicologica hanno poi piegato la volontà dell’equipaggio e il “si salvi chi può” ordine dato da chi assume il comando, a seguito della certezza dell’inefficienza bellica, trova giustificazione nella volontà di salvare l’equipaggio eseguito contemporaneamente alle manovre di autoaffondamento del sommergibile per non farlo cadere in mano al nemico.
    I superstiti dell’Uarshiek (4 ufficiali, 4 sottufficiali, 22 sottocapi e comuni) vennero raccolti e trasferiti sulle due unità inglesi nel contempo il “Petard prendeva a rimorchio il nostro sommergibile e si dirigeva verso Malta ma spezzatosi il cavo di traino, l’Uarsciek affondò rapidamente di poppa (35°40’ N, 14°32’ E alle 11.33 GMT del 15 dicembre 1942 come riportato nella relazione della commissione britannica).

    Caratteristiche Tecniche (*)
    Cantiere: O.T.O.- La Spezia
    Impostato: 02-12-1936
    Varato:19-09-1937
    Consegnato: 04-12-1937
    Affondato: 15-12-1942
    Radiato: 18-10-1946
    Dislocamento
    Sup. 697,254 t.
    Imm. 856,397
    Dimensioni
    Lungh. 60,18 m.
    Largh. Max 6,45 m.
    Motori
    2 motori diesel TOSI +2 motori elettrici Marelli
    1 batteria di accumulatori al piombo composta da 104 elementi.
    Potenza complessiva:
    motori a scoppio 1400 hp.
    Motori elettrici 800 hp.
    Velocità max in superficie: 14 knt.
    Velocità max in immersione: 7,5 knt
    Autonomia in superficie: 2200 nm. a 14 knt. – 3180 nm. a 10, 5 knt.
    Autonomia in immersione: 7,5 nm. a 7,5 knt. – 74 nm a 4 knt.
    Armamento
    4 tubi lanciasiluri AV da 533 mm.
    2 tubi lanciasiluri AD da 533 mm.
    6 siluri da 533 mm.
    1 cannone da 100/47 mm.
    2 mitragliere singole da 13, 2 mm.
    152 proiettili per il cannone
    Equipaggio
    4 ufficiali, 32 tra sottufficiali e marinai
    Profondità di collaudo:80 m.

    Coefficiente di sicurezza relativo alla sollecitazione massima riferito al limite di elasticità del materiale: 3

    (*) Fonte “Sommergibili italiani” di A.Turrini e O.Miozzi – U.S.M.M.

    Gaetano Arezzo della Targia
    Il Tenente di Vascello Gaetano Arezzo della Targia, nacque a Siracusa il 31.7.1911, discendente da nobile stirpe.
    Venne ammesso alla frequenza della 1^ classe della Regia Accademia Navale di Livorno (d.p. 7 luglio 1927) nel corpo dello Stato Maggiore.
    Concluso il corso venne nominato Sottotenente di Vascello e quattro anni dopo Tenente di Vascello.
    Imbarcato sul sommergibile Medusa, allora unità addestrativa della Scuola Sommergibili di Pola, in qualità di comandate – allievo fino a quando l’unità venne affondata il 30 gennaio 1942 al largo di Capo Promontore (Istria) da siluro del sommergibile britannico Thorn. L’ufficiale, uno dei due superstiti del battello, partecipò con slancio e spirito di sacrificio ai tentativi di salvataggio degli uomini del Medusa, affondato in bassi fondali. Per questo motivo gli fu tributato una ricompensa al valor militare con la seguente motivazione:
    Ufficiale Comandante che in menomate condizioni di salute e febbricitante, ha dimostrato alto senso del dovere e spirito aggressivo, attaccando una forza navale nemica e lanciando due siluri contro unità nemica con probabile risultato positivo e cadendo al suo posto di dovere, ha confermato le doti di slancio e dedizione dimostrate in precedente circostanza dalla perdita del sommergibile Medusa”.

    Onorificenze
    Medaglia d’Argento al Valor Militare
    “Comandante di sommergibile di elevate capacità professionali, partecipava con sereno ardimento e indomito spirito aggressivo alla battaglia mediterranea di mezz’agosto, attaccando decisamente un numeroso convoglio nemico potentemente scortato da forze navali ed aeree.
    Col tempestivo ed efficace lancio dei siluri, infliggeva sicure perdite alla formazione avversaria, provocando l’affondamento ed il siluramento di unità a guerra e mercantili.
    Dimostrava nell’ardua brillante azione elette virtù militari e tenace volontà di vittoria”
    (Sommergibile Uarsciek – Mediterraneo Centrale, 15 agosto 1942) – (R.D. 17 dicembre 1942).

    Alla memoria
    “Valente comandante di sommergibile nel corso di ardua missione di guerra, avvista tata nottetempo una formazione navale avversaria, muoveva in superficie arditamente all’attacco. Nonostante il sommergibile fosse stato scoperto, riusciva con abile manovra a silurare un incrociatore avversario. Sottoposto a violenta caccia da parte di tre siluranti nemiche, nella impossibilità di resistere più a lungo in immersione per i notevoli danni riportati, emergeva nell’intento di affrontare in superficie le preponderanti forze avversarie.
    Nell’ardito tentativo, mentre raggiungeva il proprio posto di combattimento in torretta, cadeva colpito a morte da raffica nemica”.
    (Sommergibile Uarsciek – Mar Mediterraneo 15 dicembre 1942) – (D.P. 18 dicembre 1951).
    Morì il, come sopra evidenziato, il 15 agosto 1942 conscio di aver servito fino all’estremo sacrificio e con onore, la sua Patria.

    Ringrazio Franco Prosperini (autore de “L’affondamento del Regio sommergibile Uarsciek nel corso di azione del Mediterraneo Centrale” – edito dall’Ufficio Storico della Marina Militare (B.A. giugno 2006), Paolo Alberini e Giuliano Manzari, per i preziosi suggerimenti e per aver stuzzicato in me, come sempre, la curiosità, la voglia di conoscere ed approfondire il mio background  storico – marinaro.

    Questo articolo è dedicato a Lilly Arezzo della Targia.