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    27.3.2013, Giovanni Vittorio Adragna

    di Giovanni Vittorio Adragna (deceduto per asbestosi polmonare) scriveva:
    “quando lottare per la vita è un nostro diritto”.


    

Ogni anno, il 28 aprile celebriano la giornata dedicata alle vittime del “Signor Amianto”, tutti dovremmo essere vicini alle Associazioni che lottano per la difesa dei diritti delle vittime decedute perché colpite da NEUPLASIE MALIGNE (MESOTELIOMA PLEURICO – ABESTOSI POLMONARE – CARCINOMA POLMONARE), malattie correlate all’esposizione delle fibre aerodisperse del serial killer AMIANTO. 
La lotta a queste ingiustizie ci dovrebbe unire sempre di più, solo noi possiamo dare la svolta storica e decisiva, se ci uniamo saremmo sempre più forti, le Associazioni hanno delle grosse difficoltà, purtroppo quanto si parla delle NEUPLASIE MALIGNE, le Istituzioni che dovrebbero essere le prime dare gli aiuti alle famiglie colpite da questi mali, fanno orecchio da mercante rendendosi latitanti non curandosi del loro dolore, il tutto perché, le persone colpiti non abbiano alcun aiuto e nessuna assistenza e tutto possa passare inosservato, (mi riferisco all’assistenza legale, e tutta la componente relativa ad un riconoscimento della malattia, per un eventuale indennizzo). 
I politici che ci rappresentano, e che dovrebbero essere il nostro punto di riferimento, se ne lavavano le mani, come Ponzio Pilato, per non ammettere le loro colpe, molti di loro sapevano quale rischio correvano gli operai che lavoravano il “serial killer amianto” ed erano esposti alle sue fibre aerodisperse, ma non hanno fatto nulla, perché tutto finisse, interessava andare avanti, la salute degli operai era meno importante degli interessi delle aziende.
    Ora sembra, che tutto possa essere finito, ma non è così, il disinteresse totale delle persone preposte a far luce ci fa effettivamente capire, che noi piccoli, non siamo altro che carne da macello, persone che non hanno alcun diritto ma solamente dei doveri. 
Siamo nelle mani di gente che davanti agli interessi personali non si fermano, quindi mi ripeto, uniamoci, non dimenticandoci che l’unione fa la forza, la nostra forza quella di diventare dei cittadini di serie “A” e non di serie”C”. 
Abbiamo il potere in mano, utilizziamolo per come deve essere fatto, non vogliamo fare nessuna rivoluzione, ma vogliamo un cambiamento radicale del sistema soprattutto da parte di tutte quelle Istituzioni che ci rappresentano,che non sono direttamente vicini non alle persone fisiche, almeno possono contribuire aiutando le Associazioni che lottano giornalmente perché i diritti vengano almeno rispettati.

     

    Lottare è un nostro dovere ed anche un nostro diritto, l’assistenza sanitaria ci è dovuta, non possono schiacciarci come se nulla fosse, come se non esistessimo, siamo presenti e vogliamo che i nostri diritti siano rappresentati da persone che hanno a cuore le nostre problematiche, sia ben chiaro noi non ci fermeremo, giornalmente la nostra voce sarà ascoltata da coloro che debbono tutelarci, cercando di essere il più uniti possibile e molto presenti, così solo non potranno dimenticarsi di noi. 
Forza, Italiani dobbiamo dare democraticamente un segno positivo a tutto il mondo, dimostrando di essere solidali con coloro che hanno bisogno di noi, della nostra vicinanza per non sentirsi soli.


    Ai giovani eroi
    di Giovanni Vittorio Adragna

    … caduti per la pace nel mondo.

    Sei entrato nei nostri cuori,
    sei l’immagine del dovere,
    hai sacrificato la tua giovane vita,
    perché tutti i popoli possano
    essere liberati dagli oppressori,
    e per i tuoi ideali umanitari
    che si contemplano, nella
    lealtà, sincerità e amicizia,
    avresti voluto diffonderli
    a tutta l’umanità, insegnando
    i veri valori della vita e del cuore.

    Che il tuo coraggio sia da esempio
    e da guida a tutti coloro che rischiano
    la vita, perché il mondo sia libero
    ed indipendente, avresti voluto
    gli oppressi al tuo fianco
    trionfatori della democrazia,
    della libertà e della giustizia,
    il sacrifico della tua vita e di tutti i
    tuoi compagni non rimanga vano,
    che gli oppressi possano trionfare
    sugli oppressori e possa tornare
    la pace in questo povero mondo
    martoriato da uomini senza scrupoli.

    Tu giovane eroe del cielo e della terra,
    che sei entrato nella gloria eterna
    e divina, possa illuminare gli uomini
    al rispetto della vita, dei valori morali
    e umanitari, facendo prevalere
    la giustizia su tutto e su tutti,
    sei la guida dei nostri cuori, sei
    il destino delle nostre vite, sei
    la gioia della nostra anima stessa,
    dacci la giusta forza di poter vivere
    e poter lottare contro le ingiustizie
    nel mondo, e sorridere alla nuova vita.

    Vorremmo ricordarti dentro i nostri cuori
    per l’eroe che sei e sei sempre stato,
    addio giovane vita umana, trucidata
    dagli uomini e glorificata dal cielo e da Dio.

     

    31.8.1960, l’amicizia vera non si spezza mai
    di Gigi Gonzaga

    29 aprile 2014 – 13:42

    …anche se un amico è salpato per l’ultima missione non si spezza mai.

    Con Vittorio”Giovanni” Adragna (*) ci siamo conosciuti il 31 agosto 1960 e ci siamo sentiti, al telefono per l’ultima volta, il 25 marzo 2012, quando Vittorio era all’ospedale a Palermo.
    Pochi giorni prima mi aveva spedito questa sua poesia, che vorrei che tutti leggessero.

    (Dedicata ad un carissimo e grandissimo amico).
    Giovanni-Vittorio-Adragna-per-www.lavocedelmarinaio.com_Tu che mi sei stato prezioso nella vita, mi hai sempre aiutato con la tua presenza continua e disinteressata, sei stato l’ombra della mia persona, con i tuoi preziosi consigli hai reso il percorso della mia vita molto tranquillo,averti come amico è stato importante, con il tuo carattere solare e aperto mi hai dato quella forza necessaria a combattere e sopravvivere a tutte le problematiche della vita.
    Nei miei momenti difficili amichevolmente hai saputo essermi vicino e i tuoi preziosi consigli, mi hanno aiutato ad essere me stesso, avere un amico, nella vita è un bene prezioso, l’amicizia è un sentimento durevole se è sincera e disinteressata, vorrei dirti mio caro amico, che l’averti conosciuto mi ha fortificato il carattere rendendomi la vita serena e tranquilla, hai saputo farmi superare tutte le difficoltà della vita, la bontà del tuo animo e il tuo coraggio, sono riusciti a dare il meglio di me, non credevo che potesse accadere, ma adesso sono una persona molto felice, tutte le fragilità  e le paure che mi hanno accompagnato nella vita non esistono più, grazie amico mio per tutto quello che hai fatto per me.
    Che queste mie frasi possano riempire il tuo cuore, la mia gratitudine sarà per sempre eterna, virtualmente mi sei sempre stato vicino, il tuo carisma mi ha dato la forza di lottare nella vita per la vita.
    Ciao Gigi sei stato sempre nei miei pensieri, sei sempre stato un grande, con la tua forza e il tuo coraggio supererai anche questo grande ostacolo.
    Composta: da Giovanni Vittorio Adragna.
    Ciao Vittorio.
    (*) https://www.lavocedelmarinaio.com/2014/03/27-3-2012-luogotenente-giovanni-adragna/

    L'AMICIZIA VERA NON SI SPEZZA MAI - www.lavocedelmarinaio.com

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    Raimondo Restivo (Savona, 18.12.1948 – Moncalieri, 27.3.2019)

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

     

    Ciao Raimondo,
    con la tua amicizia e la quotidiana compagnia, i tuoi commenti sempre pertinenti, mi/ci hai insegnato che l’ascolto è come fare un viaggio in mare.
    I marinai, è risaputo, amano viaggiare, e tu che oggi salpi per la tua missione, per attraccare la barca nel porto della misericordia dell’Altissimo, ci hai spronato ad interagire con altre culture, e grazie ai tuoi suggerimenti siamo diventati più tolleranti a tutto, tranne che alle inutili tentazioni.
    Ci hai insegnato ad osservare bene, in ogni latitudine e longitudine nel mondo, i nostri difetti, affermando che non ci sarebbe più tempo per trovare quelli degli altri e che non ci sarebbe più motivo per fare le guerre.
    Hai lasciato una scia indelebile in questa navigazione terrena e noi vogliamo ricordarti in quella banca della memoria dei Marinai di una volta, dei marinai per sempre, che tu hai sempre sostenuto.

    Adesso sono certo che ti incontrerai con tu zio Raimondo (*) e da lassù pregherete e veglierete su noi.
    Riposa in pace fra i flutti dell’Altissimo. Sentite condoglianze alla Famiglia.
    Ezio

    Messa di suffragio
    Chiesa S. Vincenzo Ferreri,
    V. Juglaris 1 Moncalieri

    (*) Raimondo Restivo, mio zio (Savona, 30.3.1922 – giugno 1943)
    di Raimondo Restivo


    …riceviamo e con immenso orgoglio e grande commozione pubblichiamo.

    Ciao Ezio,
    Raimondo Restivo, mio zio, era nato a Savona il 30 marzo 1922. Di lui sappiamo che è stato imbarcato sul regio sommergibile Barbarigo  in qualità di radiotelegrafista. Dopo varie missioni, perdeva la vita con il resto dell’equipaggio nel 1943 a causa dell’affondamento da parte di unità della marina britannica. 
    Caro Ezio ho omesso altre informazioni di carattere personale perché penso che siano comuni a molti giovani di quel periodo …fammi sapere se va bene.

    Ciao Raimondo carissimo e stimatissimo,
    innanzitutto grazie per averci reso partecipe di questa commozione “comune a molti giovani di quel periodo” ma che noi non dimentichiamo e li celebriamo nella banca della memoria per non dimenticare il loro sacrificio.
    Grazie anche per il tuo impavido e misericordioso cuore fraterno di Marinaio per sempre.
    Ezio


    Il regio sommergibile Barbarigo
    a cura Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    Sul tragico destino del regio sommergibile Barbarigo ci sono ancora tante cose da scrivere, che non si conoscono, che pongono quesiti…
    L’unica certezza è che con il sommergibile scomparvero il comandante De Julio, 6 altri ufficiali e 52 fra sottufficiali e marinai.
    Costruito presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone, fu impostato il 6 febbraio 1937, varato il 12 giugno 1938 e consegnato il 19 settembre dello stesso anno
    Il Barbarigo faceva parte del secondo gruppo di battelli destinati al Giappone unitamente ai regi sommergibili Torelli e Cagni. Salpò il 16 giugno 1943 con a bordo tre militari italiani destinati alla base in estremo oriente, e 130 tonnellate di materiale bellico. Al ritorno, il carico avrebbe incluso 110 tonnellate di gomma e 35 tonnellate di stagno, costringendo il battello al rifornimento di carburante in mare.
    Alla fine della navigazione lungo la rotta di sicurezza in compagnia del Torelli, i due battelli si separarono. Il Barbarigo non diede più notizie e si può desumere che sia andato perduto a causa d’avaria, mina o forse azione bellica nemica, anche se quest’ultima ipotesi non può essere confermata dalla documentazione alleata.
    Terminò così la vita operativa di uno dei più famosi, anche se controversi battelli della flotta atlantica. (BETASOM).
    In base agli accordi con la Marina germanica, il Barbarigo fu destinato, nella primavera del 1943, ad essere trasformato in unita trasporto materiali strategici. Ultimata la trasformazione e al comando del tenente di vascello Umberto De Julio, il 16 giugno salpò da Bordeaux per Singapore con 130 tonnellate di materiali e 5 miliardi di Lire. Dopo la partenza, non diede più sue notizie. Si ritiene che l’unità sia affondata tra il 16 ed il 24 giugno, in un punto sconosciuto dell’Atlantico, per cause ignote. Non ci furono superstiti.
    E’ stato verosimilmente affondato il 19 giugno 1943 da aerei dell’USAAF.
    Fu radiato il 18 ottobre 1946.

    Bibliografia consigliata
    – I sommergibili negli Oceani, Ufficio Storico della Marina Militare – Roma 2002.
    – I sommergibili italiani, Ufficio Storico della Marina Militare – Roma 1963.
    – La Marina e l’8 settembre, Ufficio Storico della Marina Italiana – Roma 2002.
    – Storia della Marina – Fabbri Editore Milano 1978.

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    Piroscafi di una volta e ‘mbracàta di omini e di fimmìni

    di Orazio Ferrara (*)

    Per tutto il Novecento fino agli anni Cinquanta le navi, che arrivavano a Pantelleria, dovevano necessariamente gettare l’ancora in rada e aspettare l’arrivo di una barca (poi motolancia, famosa quella dell’Agenzia Rizzo-Busetta) su cui trasbordare merci e passeggeri. Quest’ultimi scendevano sulla barca o motolancia tramite una scaletta volante, predisposta al momento lateralmente al fianco della nave. Si capisce che bastava un mare leggermente mosso per rendere il tutto difficoltoso e laborioso, oltreché estremamente pauroso per i malcapitati che non sapessero nuotare (problema che non si poneva affatto per i Panteschi).

    Invece nell’Ottocento i piroscafi, che si fermavano in rada a Pantelleria, erano del tutto sprovvisti di qualsivoglia scaletta volante, che, seppure malagevole, rappresentava pur sempre una comodità, soprattutto per i passeggeri di sesso femminile. Si ricorreva allora alla famigerata imbragata (in dialetto ‘mbracàta) per sbarcare o imbarcare i passeggeri. Operazione che dir pittoresca è dir poco.
    Nel linguaggio marinaresco e portuale l’imbragata era l’insieme di colli merci o persone o anche singolo animale, che si manovravano da bordo di una nave con un mezzo di sollevamento (il bigo di carico, una specie di gru) per sbarcarli o imbarcarli.
    Questa operazione richiedeva particolare esperienza e abilità per chi era addetto alle relative manovre volanti, in quanto un errore poteva far andare a sbattere l’imbragata di merci o peggio di passeggeri contro la fiancata della nave, con conseguenze disastrose che è facile immaginare.

    L’imbragata consisteva in un grosso sacco cilindrico di tela o di iuta molto resistente, a volte con un fondo di assi di legno, nel predetto sacco trovavano posto di norma quattro o cinque persone, poi tramite le funi del bigo di carico esso, allo sbarco, veniva calato lentamente sulla piccola imbarcazione affiancata alla nave. Logicamente si effettuava l’operazione inversa nel caso d’imbarco.
    Il rigido moralismo dei costumi di quel tempo non permetteva assolutamente che potessero essere presenti nel sacco dell’imbragata allo stesso momento uomini e donne frammischiati, in quanto durante le manovre il sacco tendeva a stringersi e i corpi venivano schiacciati l’uno contro l’altro. La cosa era stata risolta facendo carichi dello stesso sesso ovvero una ‘mbracàta di omini o una ‘mbracàta di fimmìni.
    Dell’arrivo di un piroscafo nella rada di Pantelleria sul finire dell’Ottocento (agosto 1896) abbiamo un resoconto di un inviato de L’Illustrazione Italiana. Il piroscafo è il “Principe Oddone”, proveniente da Marsala e prima ancora da Palermo. Purtroppo dell’imbragata non vi è cenno alcuno, sebbene sia stata sicuramente effettuata in quanto si parla di imbarco di emigranti e asinelli locali (assai richiesti per la loro resistenza in Tunisia). Comunque riportiamo il brano per la particolare atmosfera di un’epoca ormai andata.

    “Alle due e mezza (pomeridiane, ndr) vediamo appressarsi un’isola; il Principe Oddone getta finalmente l’ancora ed eccoci davanti alla Pantelleria, da dove ci giungono a bordo asinelli e pecore numerose, e dove la nostra ora di fermata in alto mare passa fugace nel modo più lieto, al parapetto del vapore, a vedere il tirar su e giù con una corda, dai viaggiatori e dalle eleganti viaggiatrici italiane e straniere che venivano in Tunisia, i canestri d’uva carnosa, splendida, dagli acini grossi come prune, uva di cui tutti noi – viaggiatori di prima e di seconda – si fece una vera scorpacciata!
    Alle tre e mezza il vapore toglie l’ancora – dopo aver caricato ivi altri emigranti ed asinelli famosi di Pantelleria – e dopo aver viaggiato, con un mare il più tranquillo, ancora altre dodici ore, alle due di notte il piroscafo s’arresta. Molti escono dalle cabine, salgono in coperta sotto un cielo splendidamente stellato. Ed in mezzo al silenzio della notte, lontano scorgiamo una miriade di fiammelle rifrangentisi nel mare calmo. Siamo davanti alla Goletta…”.

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    Luigi Fusco (Sepino (CB), 26.3.1924 – Mare, 22.9.1943)

    di Vincenzo Campese (*)

    (Sepino (CB), 26.3.1924 – Mare, 22.9.1943)

    S.O.S. RICHIESTA FOTO E ULTERIORI NOTIZIE

    Una vicenda che vede coinvolto il Marinaio Luigi Fusco nato a Sepino (CB) il 26 marzo 1924 – In servizio presso il Porto di Taranto – morto il 22 settembre 1943 a seguito dell’affondamento del rimorchiatore Sperone della Regia Marina saltato su una mina tedesca.
    L’8 settembre 1943, giorno della proclamazione dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati, nella rada del Mar Piccolo di Taranto, si trovavano due motosiluranti tedesche la S 54 e la S 61. Vi era poi la motozattera MFP 478 comandata anch’essa da un sottufficiale, che aveva da poco sbarcato le sue ventidue mine tipo TMA/B al deposito di Buffoluto.

    Il Comandante tedesco della S 54 K-D Schmidt, alle ore 21:28 aveva ricevuto dal comandante della 3ª Flottiglia,  l’ordine di lasciare al più presto il porto di Taranto, poco prima della mezzanotte chiese all’ammiraglio di squadra Bruto Brivonesi, comandante del Dipartimento marittimo Jonio e Basso Adriatico, l’autorizzazione a far partire le tre navi in ore notturne per un porto della Grecia, motivandolo con il timore di trovare all’alba unità navali britanniche in prossimità della base.
    Richiese anche il permesso di spostare le due motosiluranti dal Seno di Levante del Mar Piccolo, ove si trovavano decentrate, “a San Pietro per distruggere i congegni di accensione delle torpedini elettriche depositate in detta isola” dalla marina germanica. Schmidt assicurò che le motosiluranti «non avrebbero compiuto atti ostili entro le acque territoriali italiane», al che Brivonesi acconsentì alle sue richieste, facendo però accompagnare le due motosiluranti tedesche da due motoscafi italiani.
    Quella stessa notte arrivò una telefonata dal deposito munizioni di Buffoluto, in cui si domandava come comportarsi nei riguardi della motozattera germanica che con minacce pretendeva di reimbarcare le sue mine. L’ammiraglio Brivonesi capo del Dipartimento o un suo subalterno rispose: “È roba loro dategliele”.

    Quindi, le due motosiluranti tedesche S-Boote e la motozattera MFP, salparono alle 2.30 dal Mar Piccolo, passarono il canale navigabile e – nonostante che il CinC avesse disposto di tenerle sotto sorveglianza fino al passaggio delle ostruzioni esterne del Mar Grande, la MFP, contravvenendo all’impegno preso, disseminò tranquillamente le sue 24 mine nel Mar Grande tra le 3:15 e le 4:00 di quella notte senza che nessuno se ne accorgesse, e senza che nessuno notasse al passaggio delle ostruzioni esterne che non aveva più le mine sul ponte.
    L’operazione di posa mine, iniziata a poche centinaia di metri dall’imboccatura del canale navigabile, e proseguita nel Mar Grande con le navi che continuavano a procedere in linea di fila, anche per non fornire sospetti.
    Il 9 Settembre, ad iniziare dalle ore 17:00, gli incrociatori britannici cominciarono ad entrare nel Mar Grande e, mentre si portavano all’attracco nel porto mercantile per iniziare lo sbarco delle truppe, furono seguiti dalle corazzate che si ancorarono in rada. Verso le ore 24:00, mentre l’operazione per mettere a terra soldati era in pieno svolgimento, il posamine veloce Abdiel, che si era ancorato nel Mar Grande a circa 700 metri per sud-sudovest dal castello aragonese e quindi all’entrata del canale che porta al Mar Piccolo, ruotando sull’ancora finì su una delle mine magnetiche tedesche, posate nella notte precedente. In quel momento (erano le 00:15 del 10 settembre), l’Abdiel stava sbarcando i suoi quattrocento soldati del 6º battaglione paracadutisti (Royal Welsh).
    L’esplosione della mina TMA/B, fortissima, fu udita in ogni angolo del porto, ed il posamine, con le paratie dello scafo squarciate, si spezzò in due tronconi e affondò in soli due minuti.  Con l’Abdiel si persero 48 uomini dell’equipaggio, 6 ufficiali, e 101 soldati. I feriti furono 126, tra cui 6 marinai, e 150 le tonnellate di materiale perduto, sotto forma di armi ed equipaggiamenti per le truppe, incluse 8 Jeep, 76 cannoni controcarro e munizioni. Le perdite umane potevano essere molte di più se gli uomini della nave non si fossero trovati in coperta a causa del caldo opprimente nei locali inferiori.

    L’affondamento del rimorchiatore Sperone nel Porto di Taranto
    Le perdite causate dalle mine magnetiche tedesche non furono limitate a quella del solo Abdiel, dal momento che alle ore 13:50 del 22 settembre, durante un normale spostamento all’interno del Mar Grande, si verificò un’esplosione che determinò l’affondamento del rimorchiatore italiano Sperone (86 tsl) dopo aver urtato una mina tedesca.  Il rimorchiatore, al comando del 2° capo nocchiere Elio Cesari, effettuava il consueto servizio di trasporto viveri e merci varie per gli insediamenti militari sulle Isole Cheradi (San Pietro e San Paolo). In poco tempo l’imbarcazione si inabissò. A bordo c’erano 148 uomini, tra equipaggio, personale di passaggio e militari che si recavano in libera uscita dall’Isola di San Pietro a Taranto. Di questi, 51 furono i feriti, 97 le vittime. Tra le vittime anche il marinaio molisano Luigi Fusco.
    Ciò avvenne mentre dragamine italiani e Alleati stavano lavorando in un’opera di bonifica nel Mar Grande che, in una quindicina di giorni portò alla distruzione di ventuno mine.
    Il tragico affondamento dello Sperone è ricordato con una targa in marmo posta su un edificio dell’Isola di San Pietro

    Dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2019/09/22-9-1943-regio-rimorchiatore-sperone/

    (*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

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    Giuseppe Tumminia, (26.3.1922 – 25.10.2011)

    di Antonino Tumminia

    (26.3.1922 – 25.10.2011)

    … riceviamo e con infinito immenso orgoglio pubblichiamo.

    Mio padre, Giuseppe Tumminia, siciliano, era uno dei Cannonieri della Giovanni dalle Bande Nere, quel 1° aprile del 1942, ( sic proprio una pesce d’aprile), era fra i naufraghi. Mi raccontava che si era salvato con altri 40 marinari sopra un pezzo di sughero che galleggiava, e rimasti per 4 ore in quel mare gelido, in attesta di essere ripescato con gli altri sopravvissuti. Sul ponte della nave che li salvò (non ricordo il nome della nave), c’erano tutti i suoi compagni morti, distesi in fila sul ponte. Le macchie di petrolio o nafta che avevano bruciato i suoi piedi rimasero lì per parecchio tempo. Quanto io, a 18 anni partii militare, mi ritrovai marinaio e fui destinato al Ministero della Difesa, a Roma, lavoravo negli uffici del Ministero, segretario dattilografo, nell’ufficio di una sezione (che ometto) con un Tenente Colonnello, un Maresciallo, un Tenente, con il loro aiuto riuscii a fare avere a mio padre la Croce di Guerra che meritava e che il Ministero non aveva mai rilasciata, forse perché mio padre non sapeva cosa fare per ottenerla, assieme a quell’attestato gli spedii una foto della “Bande Nere”; venni a sapere dopo, che pianse tanto nel rivederla, pensando ai suoi amici morti.Mio padre ormai non c’è più, ma sulla stanza dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, c’è ancora in cornice la sua Croce di Guerra, con la sua foto di allora e la Giovanni dalle Bande Nere, che mi rendono orgoglioso di mio padre, per l’uomo e il marinaio che è stato.
    Antonino Tumminia

    Gent.mo Sig. Vinciguerra
    Ringrazio Lei, per il suo interessamento per mio padre Giuseppe. E’ nato a Palermo il 26.3.1922 e nel 2011 è partito per il suo ultimo viaggio. Purtroppo io non mi trovo a Palermo perché dal 1975 mi sono trasferito nel Modenese dove attualmente risiedo, a Palermo è rimasto uno dei miei fratelli, al quale chiederò di inviarmi la foto dell’attestato della Marina Militare e una foto ritratto di mio padre di allora. Appena riceverò questo materiale sarà mia cura farle pervenire. Pere ciò che riguarda eventuale missione non ricordo nulla in merito, da quello che mi raccontava, stavano per andare per riparazioni, quando i due colpi di siluro del Surge, affondarono la Bande Nere, mio padre fortunatamente si trovava sul ponte ed è riuscito a tuffarsi appena in tempo, proprio mentre la nave si spaccava in due tronconi e affondava verticalmente. Mi ha raccontato molte cose della sua vita militare e di quando è stato prigioniero dei francesi e delle umiliazioni subite da lui e dagli altri italiani, ma ho vergogna a raccontarle degli sputi ricevuti dai francesi  mentre, prigionieri, in corteo, sfilavano  per le vie e dai balconi i nostri cugini francesi gli sputavano addosso, al punto che arrivati a destinazione erano proprio bagnati. Riguardo stazionamenti o trasferimenti non so dirle nulla, per certo so che stava a Messina, perchè mi raccontava che scaricavano i bossoli dalla nave sul molo a Messina (dove c’è ancora oggi la base navale, Martello Rosso o qualcosa di simile… dove anch’io sono stato solo per 15 giorni prima del mio congedo) Il suo imbarco è stato il primo ed unico,  con la categoria  di Cannoniere, appena in tempo per  imparare a sparare,  …con la bocca aperta per non farsi saltare i denti daii contraccolpi delle cannonate.Appena possibile le invierò i materiali.
    Un Cordiale saluto. Antonino TUMMINIA.

    Gent.mo Sig. Vinciguerra,.
    Spesso mi rivedo accanto a  mio padre, ad ascoltare i suoi racconti di guerra,  della sua prigionia, e dei posti visitati, e non ricordo tante cose, ma alcune mi sono rimaste impresse nella mente, magari sono dei flash, ma sono immagini che ancora navigano nella mia mente. Ricordi di umanità,  anche di sorrisi, d sofferenze e di furbizie per sopravvivere in campi di prigionia. Credo che lo shock di quel naufragio se le portato addosso come un vestito nero, come un lutto perenne, per la sua bella nave e l’umanità dei suoi compagni. Ironia della vita, l’ultima notte della sua vita, trascorsa in ospedale,  passata a raccontare, al dottore di turno, storie di marinaio della Bande Nere, il dottore stesso, meravigliato della sua improvvisa dipartita, ci raccontò, che  trascorse molto tempo a parlare della guerra, all’alba, si è imbarcato per l’ultimo viaggio, questa volta non doveva stare ai cannoni e non doveva sparare, viaggiava verso l’amore e la luce, dove troviamo tutti quelli che ci hanno amato e una schiera di amici, in parata militare, che lo aspettano a bordo di una anima d’amore.                                                                                                                                                                          Antonino Tumminia 

    Caro Ezio, un anno il 2020 purtroppo con un mare agitato, sperando che questo mare si calmi lasciandoci navigare con serenità, colgo l’occasione  di inviarti i più sinceri.
    Ti allego un’illustrazione che ho realizzato modificando un disegno del Bande Nere, che come tu sai ci sono legato per mio padre che era cannoniere su questo incrociatore. Un abbraccio e cari saluti e auguri per tutti i tuoi lettori della Voce del Marinaio da  Antonino Tumminia.