Pittori di mare

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    28.11.1520, viene scoperto lo Stretto di Magellano

    Il 28 novembre 1520 il portoghese Ferdinando Magellano raggiunse il passaggio che oggi è noto come Stretto di Magellano aprendo una nuova rotta per l’Oceano Pacifico.

    Il giorno in cui le navi europee entrarono per la prima volta nell’Oceano Pacifico il mare era calmo. Il cielo era di un blu meraviglioso, le nuvole erano sparse qua e là, le onde non erano che leggere increspature illuminate dal sole. La scena era così rassicurante che Magellano diede al Mare Meridionale di Balboa un nome nuovo e promettente: El Mar Pacifico.
    La spedizione, intrapresa tra il 10 agosto 1519 e il 6 settembre 1522 da una flotta di 5 navi al servizio della corona spagnola, fu la prima ad tentare la circumnavigazione del globo.
    Il periplo si concluse con gravi perdite; ritornarono solo due navi, la prima (Victoria) nel 1522 al comando di Juan Sebastian Elcano – uno dei sopravvissuti della spedizione – e la seconda (Trinidad), che seguì una rotta diversa senza circumnavigare il globo, solo nel 1525.
    Dei 234 tra soldati e marinai che formavano l’equipaggio iniziale, infatti, soltanto 36 si salvarono: 18 sulla Victoria e 5 sulla Trinidad, 13 finirono nelle carceri portoghesi nelle Isole di Capo Verde.
    La storia del viaggio è nota grazie agli appunti dell’uomo di fiducia e cronista di Magellano, il vicentino Antonio Pigafetta.
    Non stupisce quindi il fatto che oggi il nome di Magellano sia legato anche ai navigatori satellitari.

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    27.11.1909, a Genova varo della regia nave Alpino

    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    27.11.1909 varo regio cacciatorpediniere Alpino - www.lavocedelmarinaio.com copia

    Il regio cacciatorpediniere Alpino fu varato a Genova il 27 novembre 1909.
    Dislocamento: 415 tonn.
    Dimensioni: 66,0 m. di lunghezza – 6,1 m. di larghezza – 2,1 m. di Immersione.
    Apparato motore: 3 caldaie Thornycroft – 2 macchine alternative per una potenza di 5.000 HP – 2 eliche.
    Velocità: 28,5 nodi.
    Armamento: 4 cannoni da 76/40 mm. – 3 tubi lanciasiluri da 450 mm. – attrezzatura per 10 posamine.
    Equipaggio: 56 uomini.
    Fu radiato nel giugno del 1928.

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    La storia della prima nave militare ad elica costruita in Italia

    di Antonio Cimmino

    Da “Borbone “ a “Garibaldi”.

    Il cantiere di Castellammare verso la costruzione di  unità ad elica…
    Fosche  nubi si stavano addensando sul Regno delle Due Sicilie ma Francesco II sembrava non accorgersi; tutto continuava sulla scia di una lenta modernizzazione, specialmente delle strutture industriali.
    Il regio cantiere navale di Castellammare di Stabia lavorava alacremente e si stava già attrezzando per la costruzione di navi in ferro. Negli ultimi venti anni aveva varato diverso naviglio militare tra cui: gli avvisi Argonauta e Delfino( 26 maggio 1843), la fregata Regina (convertita a vapore, 27 settembre 1840), le pirofregate da 10 cannoni (a ruota) Ercole (24 ottobre 1843), Archimede (3 ottobre 1844), Carlo III (1845), Sannita (7 agosto 1846) ed Ettore Fieramosca (14 novembre 1850), la prima nave a possedere una macchina da 300 cavalli costruita a Pietrarsa. Il 5 giugno 1850 fu varato il vascello Monarca da 70 cannoni, la più grande nave da guerra costruita in Italia, convertita, dieci anni dopo, ad elica. Seguirono altre unità, tra cui gli avvisi Maria Teresa (18 luglio 1854) e Sirena (9 novembre 1859) rispettivamente da 4 e 6 cannoni e la fregata Torquato Tasso (10 cannoni, 28 maggio 1856). Le motrici provenivano non solo dalla Reale fabbrica di Pietrarsa, ma anche da stabilimenti privati inglesi.
    Scheda tecnico-marinaresca   del BORBONA
    Progettista: Sottodirettore del regio cantiere navale di Castellammare: Giuseppe De Luca
    Tipo di unità: Pirofregata ad elica di 1° rango
    Impostata il 1° aprile del 1857
    Scafo: in legno di quercia di Calabria con carena ramata ( l’opera viva, cioè la parte immersa dello scafo, era rivestita di lastre di rame per evitare che parassiti ed alghe intaccassero il legno).
    Ponti: due ponti, una batteria coperta ed una scoperta.
    Alberatura: tre alberi (trinchetto, maestro, mezzana)a vele quadre con rande alla mezzana e bompresso.
    Apparato motore: macchina motrice Mudslay & Field a cilindri orizzontali, 4 caldaie tubolari; una potenza di 1.041 cavalli su un’elica che dava una velocità di  circa 10 nodi. Nella stiva si potevano caricare 370 tonnellate di carbone per l’alimentazione delle caldaie.
    Dislocamento a pieno carico:3.980 tonnellate
    Dimensioni: 68,2 metri di lunghezza, 15,2  metri di larghezza e  7,1 di pescaggio.

    Artiglieria
    L’armamento originale era costituito da:
    8 cannoni da 160 libbre con canna rigata;
    12 cannoni da 72 libbre con canna liscia;
    26 cannoni da 68 libbre con canna liscia;
    4 cannoni da 80 libbre in bronzo  a canna liscia montati su affusti.
    L’armamento nel corso degli anni subì diverse modifiche ed integrazioni.

    dal 1861:
    1 cannone a bomba in ferro  a canna liscia da 117 libbre;
    10 cannoni in ferro a canna rigata da 60 libbre in batteria;
    24 cannoni obici in ferro a canna liscia da 30 libbre in batteria;
    2 cannoni in ferro  a canna liscia  da 30 libbre in coperta;
    18 cannoni obici a canna liscia da 80 libbre in coperta:

    dal 1866:
    16 cannoni in ferro a canna liscia  da 20 cm. in batteria;
    12 cannoni in ferro a canna liscia  da 16 cm. in batteria;
    4 cannoni in ferro a canna rigata da 16 cm. in coperta;

    dal 1871:
    8 cannoni in ferro a canna rigata da 16 cm.(6 in batteria 1 in caccia e 1 in ritirata);
    4 cannoni in bronzo da 80 mm. su affusto da sbarco;
    4 cannoni in bronzo da75 mm. su affusto da sbarco

    Equipaggio
    L’equipaggio inizialmente era formato da: 1 Capitano L’equipaggio inizialmente era formato da: 1 Capitano di Vascello al comando, 1 Capitano i Fregata, 5 Tenenti di Vascello, 4 Alfieri di Vascello, 1 Contadore, 1 Cappellano, 2 Chirurghi, 2 Ufficiali cannonieri, 4 Piloti, 2 Ufficiali Real Marina, 17 Sottufficiali di  mare, 6 Timonieri, 370 Marinai, 10 Sottufficiali cannonieri, 70 Cannonieri, 10 Sottufficiali Real Marina, 86 Soldati reggimento R.M., 5 Macchinisti, 5 Alunni macchinisti, 2 Maestri d’ascia, 3 Calafati, 2 Ferrari, 1 Bottaro, 2 Armieri, 3 Velieri, 1 Maestro razione,  2 Dispensieri, 2 Cuochi, 1 Fornaro, 1 Sottonotatore, 20 Domestici.
    Dal 1870 era formato da: 23 ufficiali, 363 tra sottufficiali, marinai, fanti di marina e maestranze.

    Notizie curiosità
    Al varo parteciparono Francesco II e sua moglie Maria Sofia di Baviera. Il re festeggiava il suo genetiaco mentre nel porto di Napoli stavano ancorate diverse navi militari quali: il Bretagne, ammiraglia della flotta francese, l’Algeciras, l’Imperial; le inglesi Hannibal Agamennon ed anche il Maria Adelaide ammiraglia della flotta piemontese comandata da Carlo Pellion di Persano.

    Si racconta che un personaggio del seguito reale, in considerazione degli avvenimenti politici che stavano susseguendosi  disse sommessamente ad un amico: “ Chi sa quale bandiera porterà questa nave!”. Un cronista dell’epoca così racconta il varo della fregata: “Compiuto in tutte le sue parti il rito religioso, cominciarono le operazioni del varo sotto il comando del chiarissimo direttore del Genio Marittimo, maresciallo onorario Cav. Sabatelli. Nella esecuzione di ogni cenno, in ogni manovra furono encomiabili la regolarità, l’energia, la prontezza, gli armoniosi movimenti. In tutto scorgansi gli effetti di un’alta disciplina, di una sagace attitudine rispondente allo zelo illimitato con cui secondo la sapienza del sovrano il Real Vice Ammiraglio Principe D. Luigi, ornamento eccelso ed anima della Real Marina”.

    La nave, costata 2.363,000 lire italiane,  aveva due unità gemelle, tutte costruite nel regio cantiere navale di Castellammare e cioè: il Gaeta – varato nel 1860 – ed il Farnese ( successivamente denominato Italia)  impostato nel 1857 e varato il 6 aprile 1861. Al momento del varo, le pirofregate erano le migliori del Mediterraneo ma, furono presto, soppiantate dalle nascenti navi corazzate.
    I cilindri orizzontali  faceva sì che la macchina alternativa non ingombrasse il ponte di coperta e  quindi le manovre veliche.
    Per facilitare la navigazione a vela, l’elica era sollevabile e sul ponte il fumaiolo era abbattibile (dai disegni e dalla foto si nota come il fumaiolo sia addossato all’albero di trinchetto, che è il primo albero da prora, avendo a disposizione lo spazio sul ponte per il suo abbattimento verso poppa e cioè verso l’albero di maestra, onde facilitare la manovre delle vele dei due alberi in questione).
    Generalmente il nome della nave viene scritto Borbone, ma alcune fonti le nominano Borbona.
    Nello schizzo della nave vista di prora, si notano le due “gru di capone” che servivano a salpare le ancore che servivano anche da supporto per i venti del bompresso. Alle estremità delle due gru, infatti, vi erano due gole a simulare le pulegge per lo scorrimento delle cime.

    La lunga attività operativa
    Entrata in esercizio, l’unità, durante  lo sbarco di Garibaldi a Marsala, era addetta alla crociera di vigilanza delle navi della Marina napoletana ancora fedeli ai Borboni, nella zona tra Messina e Punta Faro. La nave ebbe un primo scontro a fuoco con la batteria di Punta Faro e con la corvetta a ruoteTurkory ( ex Veloce che il comandante Anguissolaaveva consegnato a Garibaldi). Durante il bombardamento un colpo di cannone aprì una falla al galleggiamento, costringendola a riparare a Siracusa. Riparata, si riunì il 4 settembre alla Squadra davanti a Salerno e, il 7 settembre, all’ingresso di Garibaldi a Napoli, ammainava la vecchia bandiera per issare sul pennone il vessillo tricolore.
    Con decreto di Garibaldi del 7 settembre  1860, tutte le navi e gli arsenali della ex marina borbonica venivano incorporate nella marina del Re d’Italia e due giorni dopo l’unità entrata a far parte della Marina del Regno di Sardegna  veniva ribattezzata Giuseppe Garibaldi e posta al comando del Capitano di Vascello Antonio Barone. Ma il giorno 17 dello stesso mese l’equipaggio rimasto fedele alla dinastia borbonica, si sollevò tentando di impadronirsi della nave per portarla a Gaeta nell’ultima resistenza con Francesco II. Subito, ripresa in mano la situazione, fu necessario sbarcare gli ammutinati e sostituirli con gli equipaggi delle due navi trasporto garibaldine Franklin e Oregon, insufficienti e non addestrati ad armare una nave da guerra di tale grandezza. Partecipò poi 1861, all’assedio di Gaeta al comando di Eduardo D’Amico ( successivamente deputato e cittadino onorario di Castellammare di Stabia).
    Il 2 gennaio 1861 il Garibaldi giunse con la Squadra nelle acque di Gaeta, ancorando tra Mola di Gaeta e Castellone. Partecipò al fuoco del 22 gennaio contro le batterie di Ponente e di punta Stendardo. La notte tra il 5 ed il 6 febbraio bombardò la breccia provocata nelle mura della fortezza dall’esplosione della polveriera S.Antonio.
    Per tali operazioni, così motivate: “Per essersi distinto durante il blocco e l’assedio della fortezza di Gaeta”, furono premiati con Medaglia d’Argento al Valor Militare i seguenti componenti l’equipaggio dell’unità: Sottotenente di Vascello Giovanni Cafora,Guardiamarina Giulio Coscia, Sott.te Fanteria Real Marina   Emilio DaneoLuog.te di Vascello di 2a classe Giovanni Degli Uberti, Guardiamarina Roberto De LucaGuardiamarina.Francesco GrenetSottotenente di Vascello Federico GuariniGuardiamarina di 1a  classe Teodoro MilonSottotenente di Vascello Giuseppe Palombo, Guardiamarina Luigi Palumbo, Sottotenente di Vascello Cesare Romano, Luog.te di Vascello di 2a classe Cesare Sanfelice2° Macchinista Luigi Stammati, Pilota di 2a classe Raffaele Trapani, 1°  Macchinista Edoardo VallaceLuog.te di Vascello di 2a classe Ernesto Viterbo.
    A bordo della nave si era imbarcato, con il grado di Luogotenente di Vascello, Ruggero Emerich Acton che, per il suo eroico comportamento tenuto nell’azione condotta dall’unità contro il Torrione francese della fortezza di Gaeta, fu insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia.
    Nella difesa della fortezza di  Gaeta si distinse per il suo coraggio la regina diciannovenne Maria Sofia che sugli spalti, mentre la flotta piemontese vomitava migliaia di colpi da mare e da terra, non esitò a sostituire un artigliere morto sul suo pezzo. Marcel Proust, nella sua opera la Prisonniére scrisse:” Femme hèroique qui, reine soldat, avait fait elle meme son coup de feu sur les remparts de Gaete”.
    Durante il lungo assedio, la piazzaforte di Gaeta venne fornita di vettovagliamento dalle imbarcazioni.
    Solo 17 marzo del 1861 il Garibaldi entrò a far parte della Regia Marina. Tentò, in oltre,  senza riuscirvi il recupero del vapore Etna, affondato durante il bombardamento del 22 gennaio 1861.
    La nave partecipò successivamente – febbraio 1861 – all’assedio di Ancona ove furono conferite Medaglie di Bronzo al Valor Militare per “ Per essersi distinto durante le operazioni del blocco di assedio della fortezza di Ancona” ai Soldati del  ReggimentoReal Navi Giò Maria Fossi e Giò Battista Gajone.
    Ancona era rimasta l’ultimo caposaldo dei pontifici ed austriaci.  Lì si recò la flotta sarda comandata dall’ammiraglio Persano. La flotta bombardò la fortezza fino alla capitolazione dell’intera guarnigione. Caddero in mano all’esercito regio 4 navi da guerra a vapore e 6 da trasporto.
    Nel 1862, dopo alcuni lavori, il Garibaldi passò alla Squadra d’Evoluzione e destinato alla crociera di vigilanza intorno alla Sicilia. Ironia della sorte, durante la sortita che GiuseppeGaribaldi fece per liberare Roma, sbarcando in Calabria con un migliaio di uomini, la nave combatté contro il generale che portava il suo nome. Il generale Garibaldi fu imprigionato sulla pirofregata Duca di Genova e portato al forte di Varignano alla Spezia, mentre la nave Garibaldi, trasportò i garibaldini prigionieri sul piroscafo Italia e lo rimorchiò da Gaeta a  La Spezia.
    Il  Garibaldi nel 1864 venne inviata a Tunisi per proteggere i nostri connazionali.
    Nel 1866 prese parte al bombardamento di Porto San Giorgio e partecipò alla battaglia di Lissa; qui dopo aver sparato 46 colpi di cannone, raggiunse Ancona per poi essere inviata a Palermo a causa dei moti sediziosi scoppiati in quella città, poi rientrò a Napoli e da qui al cantiere di Castellammare. Qui rimase per quasi sei anni, durante i quali fu sottoposta ad importanti lavori di rimodernamento.
    Tuttavia, nel 1870, dato l’alto costo che comportavano questi lavori, si pensò di  radiarla. Ma, ciò non avvenne, considerando che la flotta italiana si era ridotta di numero dopo la battaglia di Lissa.
    La vecchia pirofregata venne però sottoposta a drastiche modifiche della velatura e dell’armamento, ottenendo in questo modo una la riduzione dell’equipaggio e quindi dei costi di esercizio.
    Dopo essere stata messa in disarmo, quindi, fu trasformato in corvetta veloce ed attrezzato per effettuare un viaggio di circumnavigazione del globo.
    Partita da Napoli nell’ottobre del 1872, al comando del Capitano di Vascello. Andrea Del Santo e con a bordo il Guardiamarina Tommaso di Savoia, duca di Genova,  toccò Gibilterra, Rio de Janerio, doppiò il Capo di Buona Speranza, raggiunse l’Australia, le Fiji e il Giappone nell’agosto del 1873. Dopo circa due mesi, partì per raggiungere San Francisco e da lì i porti del Messico e dell’America Centrale. Fu a Callao, a Valparaiso, doppiò il Capo Horn e fece sosta a Montevideo, da lì salpò per l’Italia, raggiungendo La Spezia il 22 ottobre 1874. Percorse 55.875 miglia di cui 53.183 a vela.
    Nel 1877 venne riclassificata corvetta e nel 1878 vennero sostituite le caldaie.
    Dal 1879 al 1882, al comando del C.V. Costantino Morin, salpando da Napoli, effettuò una seconda circumnavigazione, durante la quale partecipò ad azioni di difesa delle comunità italiane nell’America Latina, dette asilo alla colonia italiana ed austriaca di Suez e, nonostante la navigazione nel canale fosse sospesa, lo attraversò ugualmente seguita da navi di varia nazionalità. Rientrò l’8 agosto 1882 dopo aver percorso 42.000 miglia. A bordo vi era il Guardiamarina Paolo Thaon di Revel, futuro ammiraglio e senatore.
    Nel 1883 subì importanti modifiche e fu assegnata alla Forza Navale del Mar Rosso, partecipando alla difesa di Massaua.
    Il 19 gennaio 1885 il Garibaldi al comando del Capitano di Vascello  Federico Bertone diSambuy, salpò da Napoli unitamente alla nave ammiraglia corazzata  Principe Amedeo, agli incrociatori Vespucci Castelfidardo ed alle torpediniere Messaggero e Vedetta. Vennero  imbarcati 800 uomini, quattro compagnie di bersaglieri, una di artiglieria, zappatori e sussistenza. Tutti i soldati erano uomini di leva, siciliani e calabresi, e furono sistemati sul Garibaldi. L’intera spedizione era al comando del Colonnello Tancredi Saletta e giunse a Massaua il successivo 4 febbraio. La città, già dominio dei turchi dal 1557 e passata agli egiziani, venne occupata senza colpo ferire, i 400 egiziani della guarnizione si arresero e sul palazzo del governatore sventolò il tricolore.

    Nave Ospedale
    Trasformata successivamente in nave ospedale, nel 1894 fu ceduta all’amministrazione dell’Eritrea assumendo il nome di Saati (con D.M del 6 agosto 1893 cambiò il suo nome  per cedere quello originario ad un nuovo incrociatore corazzato allora in costruzione).
    Le fu assegnato il nuovo nome a ricordo dell’eroica resistenza opposta dall’avamposto di Saati, località vicino a Dogali, ove sei anni prima due compagnie di fanteria, integrate da circa 300 indigeni, avevano respinto 10.000 guerrieri guidati dal ras Alula.
    Per la sua attività di  nave ospedale stazionario a Massaua ed ad Assab , fu sbarcato l’armamento, il ponte fu ricoperto con una struttura di protezione, gli ambienti interni furono adattati a locali di ricovero, con circa 200 posti letto, ambulatori, attrezzature ospedaliere, comprensive di un laboratorio di analisi.  Utilissima per il ricovero dei numerosi soldati colpiti da malattie tropicali, la nave si rivelò essenziale come punto di riferimento, specialmente chirurgico, al momento della sfortunata battaglia di Adua che vide affluire a Massaua un elevato numero di combattenti feriti. Direttore sanitario dell’Ospedale galleggiante era il Medico Capo di Prima Classe Salvatore Scrofani con il ruolo anche di Responsabile sanitario di tutto il Corpo di Spedizione. Successivamente lo Scrofani fu promosso Ispettore Generale del Corpo Sanitario della Regia Marina, il grado più elevato nel Corpo sanitario presso il Ministero della Marina.
    Il 16 febbraio 1894 la nave venne ceduta all’Amministrazione dell’Eritrea e radiata dal quadro del Naviglio dello Stato.
    La nave fu messa definitivamente in disarmo nel 1899 e demolita.

    Comandati:

    10.7.1860 – 6.8 1860 C.V.  Napoleone Scrugli

    6.8.1860 –  7.9.1860 C.V. Carlo Flores (C.F. Ferdinando Acton “ad interim”)

    8.9.1860 – 17. 9. 1860  C.V. Carlo Alfonso Barone

    20.9.1860 – 24 .11. 1860 C.V. Giuseppe Piola

    24.11.1860 – 1.5.1861 C.V. Eduardo d’Amico

    1.5.1861 – 12.5.1862 C.V. Enrico di Brocchetti

    12.5.1862 – 3.2.1863 C.V. Evaristo del Carretto

    16.3.1863 – 3.8.1863 C.V. Guglielmo Acton

    3.8.1863 – 23.3.1864 C.V. Emilio Fàà di Bruno

    16.4.1864 – 25.11.1864 C.V. Guglielmo Acton

    1.4.1866 – 21.12.1866 C.V. Ruggiero Vitagliano

    30.10.1872 – 1.11.1874 C.F. Andrea del Santo

    1.6.1877 -15.1.1878 C.V. Augusto Conti

    15.4.1879 – 8.8.1882 C.V. Enrico Costantino Morin

    30.7.1884 – 14.12. 1884 C.F. Secondo  Guglielminetti

    14.12. 1884 – 24.12.1885 C.V. Federico Bertone di Sambuy

    24.12.1885 – 13.5.1886 C.V. Francesco Chigi

    13.5.1886 –    ……….     C.V.Secondo Guglielminetti

    ……….. –    …………   C.V. Carlo Grillo

    ………- 14.7.1889  C.F. Napoleone Coltelletti

    14.7.1889 – 4.10.1889 C.F. Emanuele Giustini

    Fonti:
    AA.VV., Gaeta e l’Assedio del 1861-Nascita della Marina Militare Italiana,in digilander.libero.it/carandin/assedio1861.htm
    AA.VV.,
     Decorati di Marina al Valor Militare-Assedio di Gaeta 1860-1861, in    digilander.libero.it/carandin/decorati1861.htm – 89k
    AA.VV., pirofregata ad elica Garibaldi,  in www.agenziabozzo.it.
    AA.VV. Navi e Marinai, ed. Compagnia Generale Editoriale, Milano, Vol I, pag.5
    Attonito S., Marina borbonica, in www.quicampania.it/ilregno/marina-borbonica.html
    Donato A., La Pirofregata Borbone, in zancleweb.wordpress.com/201/
    Grasso A., Il cantiere navale di Castellammare di Stabia, da ilportaledelsud.org, dicembre 2004 in http://www.ilportaledelsud.org/castellammare.htm
    Palumbo M., Stabiae e Castellammare di Stabia, Aldo Fiory, Napoli, 1972
    Radogna L., op. cit. pagg. 137-148
    Sirago M., Addio vapore, arrivano le regine del mare, in www.larivistadelmare.it
    Sirago M., 
    Nuove tecnologie nautiche: dal vascello alla nave a vapore, in   www.aising.it/docs/atticonvegno/p693-702

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    L’antico rito marinaresco di tagliare le trombe marine

    di Orazio Ferrara (*)

    Si racconta che i capitani marini ovvero i patruni dei velieri dell’isola di Pantelleria fossero i più bravi e “sperti” nell’eseguire l’antico rito marinaresco del taglio della tromba marina, che, quando improvvisamente compariva sul mare, rappresentava un vero e proprio pericolo mortale per i fragili legni dell’epoca. In tempi più recenti i marinai panteschi chiamavano la tromba marina kuda d’arja, mentre per il passato la chiamavano draunara (dragunera) al pari di quelli di Mazara del Vallo e di Lampedusa, quest’ultimi la usano ancora oggigiorno.
    La tromba marina, dovuta ad un cumulo con forti correnti ascensionali, è un fenomeno atmosferico che si sviluppa e si muove rapidamente sul mare, spazzandone la superficie e procurando a volte danni alle eventuali navi che incappano in essa. Per il passato questi danni potevano essere fatali trattandosi allora di velieri con estesa alberatura.
    Sempre per il passato si credeva (per la verità si crede tuttora, in quanto i marinai sono tra la gente più corriva alla superstizione nelle cose di mare) che la dragunera fosse opera malvagia del demonio (il dragone di tante raffigurazioni religiose) ed ecco la ragione di quel nome. Si credeva altresì che essa poteva essere esorcizzata e fatta sparire  attraverso un ancestrale rito di parole e di gesti ai confini tra la magia bianca e quella nera. Questo rito era assai antico nel mondo marinaresco, tanto che venne praticato persino da Cristoforo Colombo nel suo ultimo viaggio nelle Americhe, esattamente il martedì del 13 dicembre 1502.


    E veniamo al rito di tagghiari a Dragunera ovvero la coda del drago. Allorquando da una nave o da un veliero veniva avvistato l’avvicinarsi di una tromba marina, il capitano (se invece si trattava di una barca, il marinaio più anziano), rigorosamente a capo scoperto, si metteva di fronte al fenomeno marino, impugnando con la mano sinistra un coltello e con la destra libera o impugnante con quest’ultima un crocifisso  o una spada in verticale (come nel caso di Colombo o di capitani di vascelli militari).
    Poi il capitano recitava ad alta voce il “Padrenostro Verde”, una specie di preghiera capovolta infarcita di orribili bestemmie, che serviva ad ingannare il diavolo, a ingraziarselo e a tenerlo buono per alcuni istanti. Dopodiché il capitano subitaneamente, guardando sempre fisso la coda della tromba marina, con la sinistra armata di coltello fendeva, verso quella direzione, l’aria in orizzontale per tre volte (il numero della potenza della Trinità) e con la destra segnava nell’aria un triplice segno di croce. Nel contempo doveva recitare le parole dello scongiuro (ripetuto anch’esso tre volte).
    Queste parole, per i capitani panteschi e quelli del Canale di Sicilia (Trapani, Mazara), erano le seguenti:
    Nniputenza di lu Patri,
    Sapienza di lu Figghiiu,
    pi virtù di lu Spiritu Santu
    e pi nnomu di Maria
    sta cuda tagghiata sia
    (Onnipotenza del Padre / Sapienza del Figlio / per virtù dello Spirito Santo / e per il nome di Maria / questa coda sia tagliata).

    Qualcuno, sempre dell’area marinaresca sopra indicata, usava quest’altro scongiuro peraltro simile nella parte finale:
    Lùniri santu, Màrtiri santu
    Mèrcuri santu, Iòviri santu
    Vènnari santu, Sàbbatu santu
    Duminica di Pasqua
    sta cuda a mmari casca
    e pi lu nnomu di Maria
    sta cuda tagghiata sia

    (Lunedì Santo, Martedì Santo / Mercoledì Santo, Giovedì Santo / Venerdì Santo, Sabato Santo / Domenica di Pasqua / questa coda cada a mare / e per il nome di Maria / questa coda sia tagliata).

    I pescatori mazaresi, dalle loro barche incappate in una tromba marina, usavano quest’altro scongiuro, che riportiamo per la curiosità dei nostri lettori:
    Menzu lu mari c’è un sirpenti
    c’havi la cuda, la testa e li denti
    e pi lu nomu di Diu Onniputenti
    ti tagghiu la cuda, la testa, li denti

    (In mezzo al mare c’è un serpente / che ha la coda, la testa e i denti / e in nome di Dio Onnipotente / ti taglio la coda, la testa, i denti).

    Se il rito era stato ben fatto e le parole dette giuste immancabilmente la coda della dragunera ovvero della tromba marina era stata tagliata e si sollevava lentamente dal mare al cielo fino a sparire del tutta, lasciando solo un leggero alito di vento. A quel punto il capitano recitava il “Padrenostro Cristiano”  per ringraziare Nostro Signore per il grave pericolo scampato e ad estrema beffa e insulto per il demone maligno.

    All’inizio abbiamo accennato come i marinai panteschi fossero in Sicilia tra i più “sperti” in questo rito, uguagliati soltanto da quelli delle isole Eolie. Il segreto stava nell’utilizzare, per tagliare la coda della Dragunera, un coltellino di pura ossidiana nera, ritenuto lo strumento magico per eccellenza per una buona e perfetta riuscita. I Panteschi si servivano dell’ossidiana di Salto La Vecchia (non a caso luogo dalle coordinate magiche), mentre gli Eoliani dell’ossidiana dell’isola di Lipari. Le altre marinerie, quali la palermitana, la trapanese e la mazarese, per ovviare alla mancanza dell’ossidiana si servivano di un coltello dal manico rigorosamente nero.

    La formula dello scongiuro era lecito trasmetterla e tramandarla oralmente, dai marinai più anziani a quelli più giovani, soltanto nella notte del Santo Natale. Solo in questa notte l’adepto, imparandola a memoria, aveva la facoltà di renderla efficace. Chi la trasmetteva poteva recitarla una sola volta e chi non riusciva a memorizzarla e a recitarla in quella stessa notte doveva aspettare e riprovare il Natale dell’anno prossimo. Si credeva che tutto ciò ricadesse, per antica consuetudine, nell’ordine immutabile del sapere tradizionale trasmesso oralmente.
    Sempre quella stessa notte di Natale i marinai più anziani, per scaramanzia e fede (non c’era alcuna contraddizione per quelle menti semplici), immergevano con devozione le mani nell’acquasantiera, affidandosi allo Spirito Santo per non avere “morte per acqua” ovvero di non morire in un naufragio della propria imbarcazione.
    Termino riportando le strofe finali della poesia “Il miracolo di Colombo” di Giovanni Papini, quando il grande navigatore ha ormai sconfitto la Dragunera:

    Dopo che il portator di Cristo tutto
    ebbe scandito il prologo a gran voce,
    alzò la spada sull’enorme flutto
    e per tre volte lo segnò di croce.
    Subitamente la colonna nera
    al triplice baleno
    e incalzato da un vento di preghiera
    verso ponente il gran nembo piegò.

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  • Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Per Grazia Ricevuta,  Pittori di mare,  Recensioni,  Storia,  Velieri

    24.11.1869, Luigi Vassallo superstite da naufragio

    a cura Sergio Pagni

    PER GRAZIA RICEVUTA

    sergio-pagni-per-www-lavocedelmarinaio-comArtistico ex voto conservato nel santuario-basilica Nostra Signora del Monte di Genova.
    E’ dedicato alla Vergine dal marinaio Luigi Vassallo che corse il pericolo di morire fra i flutti mentre navigava a bordo del suo bastimento nelle acque in tempesta del canale di Messina il 24 novembre 1869.

    24-11-1869-vassallo-luigi-p-g-r-www-lavocedelmarinaio-com

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    24-25.11.18(?), il brigantino San Pasquale

    a cura Sergio Pagni

    PER GRAZIA RICEVUTA

    sergio-pagni-per-www-lavocedelmarinaio-comEx voto di proprietà del Museo storico navale di Venezia proveniente dalla Chiesa della Madonna del Carmine di Torre del Greco, presso Napoli.
    Si tratta di un olio su cartone che misura c. 36 x 43 e reca questa scritta:
    Pe grazia ricevuta il brigantino San Pasquale, capitano Salvatore Mazzella, ritrovandosi assaliti da fiera tempesta esso e tutto l’equipaggio ne restorno salvi per prodigio divino. Il mercoledì 24 al giovedì 25 novembre 18(?) nel punto di mezzanotte del Canale di Stromboli nella latitudine 38,45 e longitudine 12,25 est da Parigi”.

    24-25-11-18-pergrazia-ricevuta-brigantino-san-pasquale-www-lavocedelmarinaio-com