Marinai

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    15.4.1943, l’affondamento del regio sommergibile Archimede

    di Antonio Cimmino


    …trascinando a fondo 41 dei 60 uomini dell’equipaggio.

    Era il 15 aprile 1943, quando l’unità subacquea, di ritorno da una crociera offensiva nei pressi di Capo San Rocco, lungo le coste del Brasile, era nelle vicinanze dell’isola di San Fernando di Noronha e fu sorvolata da un aereo americano, che lo tenne sotto controllo per tutto il giorno.
    Il regio sommergibile Archimede era impedito ad immergersi per un avaria.

     

    Il velivolo americano nel frattempo fu raggiunto ed affiancato da altri due aerei Catilina del 93° Patrol Squadron che, alle ore 21.40, bombardarono e colpirono gravemente il sommergibile italiano, comandato dal Tenente di vascello Guido Saccardo. L’aereo americano, pilotato dal Tenete G. Bradford jr., volando a bassa quota, centrò in pieno con quattro bombe il sommergibile italiano, spezzandolo in due tronconi.

    Uno dei due tronconi affondò subito, trascinando nei fondali 41 dei 60 uomini dell’equipaggio. L’altro rimase a galla permettendo ai superstiti di trasbordare sui battelli di salvataggio che andarono alla deriva nell’Oceano Atlantico per circa un mese.

    Questo articolo è dedicato a coloro che non fecero rientro alla base.
    Alla memoria del Capo Motorista di 2^classe Rocco Trentadue.

    Alla memoria del Sergente Piero Mandelli

    Dello stesso argomento sul blog:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2014/06/14-6-1943-sottocapo-nocchiere-paolo-fantasia/

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    15.4.1941, impostazione del DR 313

    di Carlo Di Nitto

    Qualche anno fa fui contattato dal signor Alvaro Bordoni che da giovane aveva navigato come marinaio “Radiotelegrafista segnalatore” sul Dragamine 313 (ex RD 313), nel periodo in cui mio padre Vincenzo (1) ne fu  l’ufficiale in seconda.  Desiderava averne notizie e dovetti dargli quella peggiore: che non era più con noi.
    Me ne parlò con affetto e nostalgia, come di un fratello maggiore, presentandomi di lui un nuovo, inedito “ritratto” che mi confermava ancora una volta le sue doti umane e marinare.
    Il buon Alvaro aveva inoltre qualcosa da farmi vedere. Poco in verità perché dopo più di sessant’anni molto era andato smarrito ma ben volentieri me ne inviò copia:

      • Una sua foto da giovane marinaio;
      • Una foto a poppa  (Alvaro è fotografato a sinistra)
      • Fotocopia del tesserino di accesso a bordo firmato da mio padre;
      • Il Dragamine 313 (*) vedi note tecniche;
      • Fotocopie di alcune pagine del suo diario, che trascrivo, riferite ad una forte tempesta incontrata dall’unità.

    Dal Diario di Alvaro Bordoni
    24 novembre 1948
    13.05 – Trav. C. Vieste
    13.50 – Trav. Torre Guainai
    15.00 – Trav. Rodi Gargano
    16.00 – Trav. Colorissa
    17.30 – Trav. P. del Diavolo (Isole Tremiti)
    19.00 – Trav. Termoli (approssimativo)
    23.00 – Trav. Ortona a Mare. Si mettono le macchine a ½ forza causa mare grosso da N – NE

    25 novembre 1948
    Dalle 23 alle 7.30 alla cappa davanti Ortona.
    Questa qui è stata la notte più brutta che ho passato in dieci mesi che navigo a bordo di questa unità.
    Delle montagne d’acqua ci sbattevano di fianco buttandoci in aria e facendoci fortemente sbandare come fuscelli. Io ho confessato al Comandante che avevo paura; lui mi ha rassicurato, ma io ad ogni sbandata tremavo e certo sono sicuro che non ero il solo.
    Si è rotta parecchia roba, bicchieri, lampadina della radio, ventilatore, ecc. L’acqua è entrata perfino nel locale macchine. Molta gente ha raccato, ed io mi meraviglio come mai non abbia fatto lo stesso, ma forse la paura è stata più forte del mal di mare. Quasi tutte le sette ore e buona parte della navigazione sono stato nella cabina radio con la testa abbassata.
    Non avevamo nessun porto vicino ove potevamo andare; Ortona e Pescara sono bassi fondali, tornare indietro era troppo lontano, proseguire non si poteva; il porto più vicino era Ancona a parecchie ore di navigazione; la radio era scassata ed in caso di bisogno non si poteva chiamare nessuno; l’unica era di aspettare il giorno e tentare di dar fondo ad Ortona.
    7.30 – Fattosi giorno si smette di stare alla cappa e si tenta di entrare nel porto di Ortona a Mare; dopo pochi minuti nell’interno di essa la nave si mette in rotta per Ancona mentre il mare comincia a migliorare.
    9.20 – Il mare si è abbastanza calmato e si è al traverso della Terra di Silvi.
    13.05 – Trav. S. Benedetto del Tronto
    14.00 – Trav. Faro di Pedaso
    16.20 – Trav. S. Loreto
    19.00 – Si arriva ad Ancona  e si dà fondo. Vado a terra…
    Da allora non ho più ricevuto comunicazioni dal caro sig. Alvaro. Oggi è un giovanotto quasi novantaduenne. Gli dedico questa paginetta ringraziandolo per la sua testimonianza  e, sperando di riaverne presto notizie, mi auguro di poterlo conoscere personalmente per abbracciarlo e parlare con lui di mio Padre e del “313”.

    (*) note tecniche
    IL DRAGAMINE DR 313
    Ex trawler inglese T 203 “Foula”  (classe “Isles”), fu un dragamine meccanico. Dislocava 791 tonnellate a pieno carico. L’impianto di propulsione era costituito da una motrice alternativa a vapore a triplice espansione costruita dalla Amos & Smith di Hull in grado di sviluppare una potenza di  950 hp  indicati e una velocità di 12 nodi.
    Ordinato dalla Royal Navy il 16 Nov 1940, venne impostato il 15 aprile 1941 nei cantieri  Cochrane & Sons Shipbuilders Ltd. (Selby, U.K.) e, varato il 28 luglio successivo, entrò in servizio il 16 febbraio 1942.
    Intensamente utilizzato durante la guerra, il 26 gennaio 1946 venne trasferito alla Marina Italiana dove, iscritto nei quadri del Naviglio Ausiliario dello Stato, entrò in servizio il 4 febbraio seguente. Entrò ufficialmente nei quadri del Naviglio Militare soltanto il 18 dicembre 1957. Nella Marina Italiana gli vennero attribuite le sigle RDR 313, poi  DR 313 e  5313. In data 01 febbraio 1965 venne declassato a Nave Ausiliaria Costiera e utilizzato come nave bersaglio. Fu infine radiato il 01 gennaio 1965.

    (1) https://www.lavocedelmarinaio.com/2019/01/8-1-1921-nasceva-mio-padre-vincenzo-di-nitto-un-marinaio-di-lungo-corso/ 

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    Titanic, per molti la nave dei sogni

    di Manuel Muttarini (*)
    www.titaniclegend.it

    Oggi questa frase potrebbe risultare banale, ma per il 1912 era l’equivalente dell’attuale Queen Mary 2. Il Titanic come la sua gemella Olympic, e la Britannic erano state costruite dalla White Star Line per competere con la rivale, Cunard Line (altra compagnia navale). Era senza dubbio il miglior modo per fare una traversata oceanica a bordo del transatlantico più lussuoso del mondo.
    Costruito presso i cantieri di Harland and Wolff di Belfast. Il progetto era stato realizzato da Thomas Andrews e da William Pirrie. Lo sviluppò richiese dal 1909 al 1912, tantè che i passeggeri al giorno dell’imbarco sentirono persino, il “profumo” di vernice fresca.
    Il motore era composto da 29 caldaie con una propulsione a vapore, (a differenza delle altre imbarcazioni che andavano a diesel) consumavano più di 700 tonnellate di carbone al giorno e con i suoi 51.000 cavalli, era il transatlantico più veloce al mondo, capace di raggiungere i 23 nodi, all’incirca 43 km/h. Pesava 46.000 tonnellate, per un’altezza di 52 m e una larghezza di 28 m e una lunghezza di 269m.
    Il Titanic era definito “inaffondabile”, grazie alla sua chiglia dotata di un doppio fondo cellulare, inoltre lo scafo era suddiviso in 16 porte stage che potevano essere chiuse anche dalla cabina di comando, con l’utilizzo della corrente elettrica.
    Ospitava ben 2.223 persone oltre alle 900 dell’equipaggio suddivisi tra camerieri, marinai ecc.

    (*) Manuel Muttarini è da sempre un appassionato del Titanic. Fin dalla tenera età ad oggi, ha letto diversi libri sia Italiani che Inglesi. Con l’avvento di Internet è riuscito a colmare il suo interesse, scoprendo numerosi documenti inerenti al naufragio. Oltre al Titanic, Manuel Muttarini è un grande appassionato di videogiochi. Ha condotto un’intera stagione del programma televisivo “Futur@”;, assieme a Massimo Carboni e Noemi Giunta nel 2000. Dal 2000 al 2002 si è occupato della sezione “Games” di oltreilgol.it
    Ha collaborato con altri siti, tra cui Internet-television.it di Giorgio Cajati. Scrive sul sito www.ayrion.it nella sezione “Games”, collaborando con il suo amico Massimo Carboni e, da oggi, anche su lavocedelmarinaio.com

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    Le superstizioni dei marinai

    di Antonio Cimmino

    Le superstizioni dei marinai
    di Pancrazio “Ezio” Vinciguerra

    …a Donato e Claudio per il prezioso suggerimento e per la profonda stima e amicizia.

    Ma i marinai sono superstiziosi? Proverbialmente sembra proprio di si e per menzionare tutte le loro superstizioni bisognerebbe scrivere un’enciclopedia. La storia della marineria è intrisa di riti scaramantici ancora oggi diffusi.

    Stregonerie, esorcismi, rituali pagani e religiosi erano e sono il pane quotidiano di capitani e marinai sempre attenti a non sfidare le regole della fortuna e ingraziarsi, con riti propiziatori, la benevolenza degli elementi naturali. Di natura irrazionale, le superstizioni possono influire sul pensiero e sulla condotta di vita delle persone che le fanno proprie. Il credere che gli eventi futuri siano influenzati da particolari comportamenti, senza che vi sia una relazione casuale, vengono da molto lontano. La paura dell’ignoto e dell’immensità degli oceani ha generato sin dagli albori della navigazione una fitta serie di credenze. Per secoli miti e leggende sono stati tramandati a colmare col soprannaturale, quel vuoto che la razionalità ancora non riusciva a riempire. In Grecia, per esempio, si compivano sacrifici umani per assicurarsi il favore degli dei. Così Agamennone, re di Argo, fece immolare sua figlia Ifigenia per ottenere nuovi venti  per le navi che dovevano lasciare Troia. I vichinghi invece versavano il sangue degli schiavi sgozzati in segno di benedizione prima del varo di una nave o prima di intraprendere la navigazione. I miti e le leggende che si narravano intorno al mare e alle terribili creature che lo abitavano assunsero tinte ancora più fosche con il diffondersi del cristianesimo, quando a fare degli oceani campi di battaglia, non furono più dei capricciosi spiriti malvagi, ma santi e satanassi. Alle tempeste opera del diavolo venivano contrapposti ed invocati i santi (tutt’ora i marinai invocano per esempio Santa Barbara durante i forti temporali). Sempre durante il cristianesimo non si potevano mollare gli ormeggi il primo lunedì del mese di aprile perché coincideva con il giorno in cui Caino uccise Abele oppure il secondo lunedì di agosto era meglio restare in porto: in quel giorno Sodoma e Gomorra furono distrutte; partire poi il 31 dicembre era altrettanto di cattivo auspicio perché era il giorno in cui Giuda Iscariota si impiccò.

    Gli agenti atmosferici come i “fuochi di Sant’Elmo” o come il passaggio di una cometa erano presagi buoni o cattivi a seconda dell’interpretazione che se ne dava; mentre una tromba d’aria in avvicinamento all’orizzonte poteva essere “tagliata” con una spada e deviata recitando una preghiera o una formula magica; le onde si placavano mettendo in mostra i seni nudi di una polena, o facendo scoccare in acqua dal più giovane dei marinai una freccia magica.

    Anche gli animali non erano (…sono) immuni dai preconcetti scaramantici. Il gatto, malgrado ami poco il contatto dell’acqua, ha trovato un posto di tutto rispetto sui vascelli. La ragione della sua presenza a bordo si collega alla sua naturale propensione a scovare i roditori ed era anche ritenuto capace di prevedere eventi climatici: se soffiava significava che stava per piovere, se stava sdraiato sulla schiena c’era da aspettarsi una bonaccia, se era allegro e baldanzoso il vento stava per arrivare; se un gatto inoltre andava incontro un marinaio sul molo era segno di buona fortuna, se gli tagliava la strada il contrario (oggi per alcuni se un gatto nero ti attraversa la strada è presagio di brutte notizie); se si fermava a metà strada c’era da aspettarsi invece qualcosa di sgradevole. Si riteneva infine che i gatti potessero invocare una tempesta grazie al potere magico delle loro unghie. Per questa ragione a bordo si faceva sempre in modo che fossero ben nutriti e coccolati. Tra gli uccelli gabbiani e albatros erano l’incarnazione dei marinai morti in mare e portatori di tempeste. Peggio ancora se un cormorano si posava sul ponte di una nave e scuoteva le ali, guai a fargli del male si era posato per rubare l’anima di qualcuno e avrebbe significato naufragio sicuro. Così se tre uccelli si trovavano a volare sopra la nave in direzione della prua, l’equipaggio si disperava per l’imminente disgrazia da questi annunciata. Se uno squalo per esempio seguiva la scia di una nave era di cattivo auspicio perché si credeva fosse in grado di fiutare l’odore della morte. Diversamente i delfini e le rondini erano di buon augurio.

    Ma le superstizioni colpiscono anche le persone e allora: “occhio, malocchio prezzemolo e finocchio” (come avrebbe recitato il principe De Curtis).

    Gli avvocati (categoria particolarmente detestata dai marinai inglesi che li apostrofano spregevolmente squali di terra) e i preti (averli a bordo rappresentava una aperta sfida a Satana) portavano male (…avvocati, preti e polli non sono mai satolli). Stessa sorte per la donna averla in barca portava male (ora non si dice più, forse per la parità dei sessi). Secondo alcune tradizioni però una donna nuda, o incinta poteva placare anche la più terribile delle tempeste. Poi non ci poteva essere cosa peggiore, prima di salpare, di incontrare una persona con i capelli rossi, con gli occhi storti o con i piedi piatti (…rosso malpelo sprizza veleno). L’unica modo per salvarsi in questo caso era parlargli per prima.

    C’erano e ci sono usanze che i marinai cercano assolutamente di evitare a bordo: indossare abiti di un altro marinaio, soprattutto se morto nel corso dello stesso viaggio; evitare di fare cadere fuori bordo un bugliolo o una scopa; imbarcare un ombrello, bagagli di colore nero, fiori e guardare alle proprie spalle quando si salpa); salire a bordo della nave con il piede sinistro; poggiare una bandiera sui pioli di una scala o ricucirla sul cassero di poppa (attualmente i marinai italiani nel ripiegare la bandiera lasciano il colore verde fuori in segno di speranza); lasciare le scarpe con la suola verso l’alto (presagio di nave capovolta); accendere una sigaretta da una candela (significava condannare un marinaio a morte); evitare il suono prodotto dallo sfregamento del bordo di un bicchiere o di una tazza; il rintocco della campana di bordo se non mossa dal rollio; pronunciare le parole: verde, maiale, uovo, tredici, coniglio; parlare di una nave affondata o di qualcuno morto annegato; indossare le magliette fornite dall’organizzazione di una regata; capi di abbigliamento nuovi; cambiare nome a una barca o battezzarla con un nome che finisce con la lettera “a”(in passato è stata sempre una eresia, soprattutto in Italia è ancora fonte di numerosi scrupoli. I francesi hanno risolto il problema cambiando il nome a ferragosto e mettendo in atto questo rituale: procedendo di bolina la barca deve compiere sei brevi virate e poi scendere in poppa piena tagliando in questo modo la sua stessa scia. In questo modo, secondo alcuni, si disegnerebbe un serpente che si morde la coda scongiurando la iella. Solo a questo punto la barca sarà pronta a un nuovo nome ) e tantissime altre superstizioni.

    E’ invece di buon augurio per un marinaio avere un tatuaggio; lanciare un paio di scarpe fuori bordo immediatamente dopo il varo di una nave, indossare un orecchino d’oro (usanza antica che serviva a coprire le spese di sepoltura qualora il marinaio fosse deceduto); toccare il solino o la schiena di un marinaio; dipingere occhi sul moscone delle barche.

    Oggi quando si vara una nave ci si limita a versare dello champagne sul ponte. Più raramente si lancia contro lo scafo l’intera bottiglia del prezioso vino: se questa si rompe è di buona sorte, altrimenti sono dolori.

    Il pallino della superstizione di chi va per mare non accenna a svanire neppure oggi e, se non è superstizione, è certamente scaramanzia. E’ bene ricordare a tutti che qualunque marinaio prima di salpare, come nella vita di tutti i giorni, non accetta di buon grado gli “auguri” o i “buona fortuna”. Meglio porgergli in “bocca al lupo” o “in culo alla balena”.

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    Cosa significa essere sensibili?

    di Francesco Paolo Disegni

    … ricevo e con infinita commozione mista ad orgoglio pubblico:

    Riporto di seguito dal post precedente condiviso:
    << … È anche il momento di capire che essere sensibili vuol dire semplicemente che si è connessi in modo attivo e produttivo con se stessi.
    Quando siamo sensibili alle emozioni altrui, l’intensità diventa la migliore amica di tutte le emozioni: l’amore, il dolore, la delusione e l’allegria.
    La verità esiste per il saggio; la bellezza, per il cuore sensibile.
    Friedrich Schiller …
     >>

    Ora vi dico cosa significa per me.
    Ho il Diabete dal 1992, mi è scoppiato per lo stress a bordo di nave Libeccio esattamente dopo il rientro “Display Determination” una esercitazione N.A.T.O., sorvolo sulle cause che sono top secret 😎 fatto sta che il 4 luglio 1992 l’Asl di La Spezia mi comunica di avere un inizio di diabete, a pensare che imbarcai che ero sano come un pesce, subito dopo aver fatto le visita annuale per il rinnovo e mantenimento del brevetto di volo, presso l’Istituto Medico Legale dell’Aeronautica che superai brillantemente.
    Ebbene, da quel 1992, quando andavo in casa di amici e parenti, ho sempre detto di avere il diabete, nonostante ciò, mi venivano sempre offerti, con molta semplicità, pasticcini e bevande dolci che io naturalmente consumavo, sia per non offendere con un rifiuto, sia perché il diabete porta all’assunzione di zuccheri del quale se ne avverte una perenne mancanza, per cui è difficile resistere a tale impulso.
    Mi domandavo sempre perché amici e parenti, nonostante sapessero che avevo il diabete, mi offrissero con estrema disinvoltura e insistenza dei dolci, che mi facevano solo male eppure, secondo i dettami di quell’Uomo di 2000 anni fa l’ospite è sacro, credo che tutti loro avessero le idee confuse riguardo questa raccomandazione, per cui probabilmente pensavano di farmi cosa gradita e non del male.

    Fu così che un giorno, tra i tanti amici e parenti che mi venivano a trovare e che accoglievo con rispetto e un lauto pranzo, secondo i dettami di quell’Uomo, mi venne a trovare un caro amico con sua moglie che sapevo essere diabetico come me.
    Ebbene nel preparare l’accoglienza stavo per fare lo stesso errore degli amici e parenti che mi offrivano dolci ma, subito mi son ripreso e sono uscito a comprare prodotti adatti che non facessero male al mio ospite, caviale, salmone, mozzarella, pomodori e crostini integrali e preparai degli stuzzichini senza un solo dolce e vino bianco secco e acqua.
    Domanda: cosa mi ha reso differente da tutti gli altri?
    Risposta essere SENSIBILE VERSO GLI ALTRI!
    Non so se ho reso chiaro di cosa significa essere sensibili, scrive bene l’amico fraterno Ezio Pancrazio Vinciguerra:
    <<il nostro amore per gli altri deve essere così raffinato che non sia necessario che questi ci dicano di cosa hanno di bisogno, perché l’amore è intuitivo e si anticipa ai bisogni del prossimo facendoci assumere i desideri degli altri come i nostri. >>

    Quanta Verità c’è in questo pensiero, che denota un animo gentile, sensibile, da sincero e devoto cristiano. Un caro abbraccio Ezio, che il Signore sia sempre con te e i tuoi cari tutti per il tuo essere un “Giusto” su questa terra. ❤️

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    Giovanni Presutti, di porto in porto con i sogni nel cuore

    di Giovanni Presutti (*)

    Il Marinaio, a un certo momento della vita, dismetterà la Divisa ma il suo cuore, quello se non altro non potrà che rimanere Marinaio … per sempre!

    In sintonia con la mia vita trascorsa nella Marina militare, con queste mie ispirazioni poetiche mi sono idealmente reimbarcato per una crociera che vuole rivisitare percorsi e approdi giovanili e della maturità.
    Non poteva mancare il ricordo nostalgico al mio paese natale, Campo di Giove, che ho portato pudicamente sempre nel cuore nelle mie peregrinazioni di porto in porto. Dalla lontana isola della Maddalena, osservando il suggestivo tramonto del mare, mi sono tornate tante e tante volte alla mente certe notti serene, senza luna, del mio paese. Quando contemplavo la volta celeste e rimanevo incantato dal fitto scintillio di miriadi di stelle o dal rinnovato sorgere della luna piena sulla Majella, proprio sopra la mia testa. Col naso all’insù, a bocca aperta come un bambino, ero affascinato dalla luminosità del disco lunare che, per uno strano effetto ottico, mi appariva più grande che altrove.
    Il presente volumetto cuore avere anche la pretesa, spero non del tutto vana, di lasciare per le nuove generazioni almeno qualche vaga orma del mio cammino di vita.


    Contattatemi per i miei libri sulla mia pagina Facebook
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    (*) per saperne di pIù sull’autore, digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

    Giovanni Presutti, nato a Campo di Giove, vi trascorre la prima giovinezza fino ai venti anni quando si arruola nella Marina Militare con la specializzazione di segretario.
    Ogni anno in agosto ritorna per un breve periodo alla sua casa paterna.
    Nel corso di circa quarant’anni di servizio , tra diverse destinazioni a terra e imbarchi, approda nell’isola sarda di La Maddalena, dove crea la sua nuova famiglia e vi risiede.
    In Marina frequenta corsi professionali negli Istituti militari, uno a Venezia e due a La Maddalena. Raggiunge il massimo grado di sottufficiale.
    Dedica il suo tempo libero all’approfondimento culturale e all’innata passione per le lettere. Diviene giornalista pubblicista. Ha collaborato per due anni alla pagina culturale del quotidiano “L’Isola” e a diverse riviste specializzate con articoli di critica artistica e letteraria. E’ inserito su svariate antologie e su alcuni libri di scrittori delle epopee garibaldine, del brigantaggio postunitario e di specifici episodi della Seconda Guerra Mondiale. Ha pubblicato quattordici libri. E’ Membro dell’Istituto Internazionale di Studi “G. Garibaldi”, sezione regionale Sardegna. Ha ottenuto diversi riconoscimenti e lusinghiere citazioni su quotidiani, riviste e libri. E’ stato nominato Accademico di Merito “ad honorem” dal “Centro Cultural, Literario, e Artistico” de “O Jornal de Felgueiras” (Portogallo). Nominato Accademico di Merito per meriti acquisiti nel campo delle lettere, dall’Accademia Culturale d’Europa, sezione italiana di Viterbo.