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    Filippo Impagliazzo (11.4.1902 – 22.8.1977)

    di Giovanni Presutti (*)

    Il cav. Filippo Impagliazzo (n.11.4.1902 – m. 22.8.1977), maddalenino (1), Capo di 1^ classe nocchiere della Marina Militare, nominato Sottotenente del C.E..M.M. nela Riserva, fu custode e cicerone del Museo Garibaldino di Caprera dal 1934 al 1972, prima da militare, poi da civile.
    Nacque da Silveria Vitiello e da Nicola, che fu sottufficiale di Marina, il quale traghettava l’Eroe dei due Mondi con una barca a vapore dalla Cala, successivamente denominata “Cala Garibaldi”, a La Maddalena e viceversa.
    Nel 1922 Impagliazzo si arruola volontario nella Regia Marina. Nel corso della sua carriera prende imbarco su diverse unità della Squadra Navale. Frequenta presso la scuola sottufficiali di Pola un corso di perfezionamento di sette mesi. Sbarcato dopo un anno dalla regia nave Mosto, viene destinato al Parco Ostruzioni Retali di Porto Palma (Caprera).
    Al complesso garibaldino di Caprera occorreva un sottufficiale Custode e Capoposto del piccolo distaccamento della Guardia d’Onore, che riscuotesse la piena fiducia di Clelia Garibaldi (1867 – 1959), ultima figlia vivente dell’Eroe dei due mondi. Clelia, che per il buon mantenimento del Museo e della Tomba di Garibaldi godeva di un occhio di riguardo presso il Ministero della Marina che aveva in custodia il Compendio Garibaldino, segnalava il bravo Capo Impagliazzo che così venne destinato al nuovo incarico.

    Si appassiona tanto al servizio di Caprera che ne fa una ragione di vita, divenendo fervido “garibaldista; di riflesso, lo diventa anche la moglie, che gli è di grande aiuto, ed insieme prendono alloggio presso il Museo Garibaldino per assicurare una presenza continua, come spesso circostanze contigenti esigono.
    Nel 1948 Capo Pagliazzo chiede di essere posto in congedo con la legge dello sfollamento. Dietro premurose insistenze di Clelia Garibaldi rimane a Caprera da civile. Ma questa posizione mal si concilia con il comando del picchetto d’onore, per cui, nel marzo 1950, sempre per il caldo interessamento della figlia di Garibaldi, Impagliazzo viene richiamato in servizio a tempo indeterminato con un decreto varato in 24 ore, e può svolgere nuovamente la funzione di Custode da militare. E’ solo un doveroso atto di rispetto nei confronti di Clelia e di una nipote che vivono nella massima ristrettezza economica con una misera pensioncina dello Stato.
    Posto in congedo per limiti di età nel 1959, l’ex sottufficiale, che comunque verrà chiamato sempre Capo Impagliazzo, continuò in veste da civile la sua insostituibile opera a Caprera, a titolo gratuito, divenendo figura emblematica dell’isola per la passione, l’impegno e le cure amorose poste nella tutela del patrimonio morale e storico del complesso garibaldino che, sotto la sua custodia, ha brillato per ordine, pulizia e decoro.
    Quanti lo hanno conosciuto a Caprera durante il suo servizio, nell’incarico di accompagnatore di ospiti illustri e di cicerone per tutti, sono rimasti impressionati per la sua profonda conoscenza della vita di Giuseppe Garibaldi, per gentilezza, garbo e riguardo che aveva nei confronti di chiunque. La gente si è portato dietro il ricordo di quest’uomo straordinario che, quasi per una misteriosa reincarnazione di Garibaldi, perpetua il fascino dell’Eroe dei due Mondi.

    Titolo: Capo Impagliazzo – Il custode di Caprera che perpetuava il fascino di Garibaldi;
    Autore Giovanni Presutti;
    Edizioni Castello Cagliari;
    Anno 1986;
    Pagine: 60 documentate con foto di pregevole valore storico.
    DI DIFFICILE REPERIMENTO

    (1) Il cognome indica chiaramente che discende da un ceppo continentale (ponzese per la precisione); fattore che si riscontra nella quasi totalità dei maddalenini. A La Maddalena, nata come centro abitato nel 1767 in conseguenza all’occupazione militare dell’isola da parte dei Sardo-Piemontesi, si è formata infatti una comunità scaturita da una mescolanza di ceppi provenienti da diverse regioni italiane al seguito delle truppe di occupazione, di pastori corsi già esistenti sul posto, di pescatori campani e specialmente ponzesi e di scalpellini, minatori e fabbri affluiti alle cave di granito di Cala Francese.

    (*) Giovanni Presutti, nato a Campo di Giove, vi trascorre la prima giovinezza fino ai venti anni quando si arruola nella Marina Militare con la specializzazione di segretario.
    Ogni anno in agosto ritorna per un breve periodo alla sua casa paterna.
    Nel corso di circa quarant’anni di servizio , tra diverse destinazioni a terra e imbarchi, approda nell’isola sarda di La Maddalena, dove crea la sua nuova famiglia e vi risiede.
    In Marina frequenta corsi professionali negli Istituti militari, uno a Venezia e due a La Maddalena. Raggiunge il massimo grado di sottufficiale.
    Dedica il suo tempo libero all’approfondimento culturale e all’innata passione per le lettere. Diviene giornalista pubblicista. Ha collaborato per due anni alla pagina culturale del quotidiano “L’Isola” e a diverse riviste specializzate con articoli di critica artistica e letteraria. E’ inserito su svariate antologie e su alcuni libri di scrittori delle epopee garibaldine, del brigantaggio postunitario e di specifici episodi della Seconda Guerra Mondiale. Ha pubblicato quattordici libri. E’ Membro dell’Istituto Internazionale di Studi “G. Garibaldi”, sezione regionale Sardegna. Ha ottenuto diversi riconoscimenti e lusinghiere citazioni su quotidiani, riviste e libri. E’ stato nominato Accademico di Merito “ad honorem” dal “Centro Cultural, Literario, e Artistico” de “O Jornal de Felgueiras” (Portogallo). Nominato Accademico di Merito per meriti acquisiti nel campo delle lettere, dall’Accademia Culturale d’Europa, sezione italiana di Viterbo.

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    1941: LA MARINA DA GUERRA

    a cura Marino Miccoli (*)

    Stimato Ezio e pregiati lettori de LA VOCE DEL MARINAIO, quale definizione si dava e come era descritta la nostra Regia Marina durante la II Guerra Mondiale?
    Ho trovato le interessanti risposte ai suddetti quesiti e una bella pagina illustrata con fotografie in b/n che allego, nel 3° volume del mio “DIZIONARIO ENCICLOPEDICO MODERNO” del 1941 – XIX E.F. (Edizioni Labor – via Borgogna, 8 Milano) laddove a pag. 418 si legge: 

    MARINA DA GUERRA. Comprende le forze e i mezzi che permettono la preparazione e l’attuazione della guerra navale. Questa ha per base il potere marittimo (possibilità di usare il mare per le proprie necessità e la propria espansione, impedendone l’uso all’avversario), cioè il dominio del mare. La storia conferma questa necessità per tutti gli Stati che hanno esercitato l’imperio su parte del mondo: la Grecia, Roma, la potenza musulmana sino a Lepanto, le repubbliche marinare italiane (Genova, Venezia, Pisa, Amalfi). La Gran Bretagna negli ultimi tre secoli basò la sua potenza e il suo sviluppo sull’assoluto dominio dei mari, ed il Giappone segue ora (1941, n.d.r.) le sue orme. Nella guerra mondiale (1914-1918 n.d.r.) fu il dominio del mare che diede all’intesa il sopravvento finale. I mezzi sui quali si basa la guerra navale sono le navi e i mezzi terrestri. Le navi sono da battaglia, da crociera, da esplorazione, insidiose. Per la guerra delle armi subacquee vi sono le torpediniere, i cacciatorpediniere, i “mas”, i posamine, i dragamine. Le armi navali sono il cannone, il siluro e la mina. Grande importanza ha in guerra il traffico marittimo: la guerra navale deve quindi proporsi l’attacco e la difesa di esso. La difesa costiera è strettamente legata alle operazioni navali ed alla guerra terrestre. Nella guerra navale odierna è entrata anche l’idro-aviazione, che ha compiti di ricognizione, di vigilanza, di scorta, oltre all’azione offensiva contro navi e sommergibili. Le basi navali sono località opportunamente scelte per ubicazioni e per qualità nautiche, capaci di ricoverare al sicuro dalle offese molte unità navali, di provvedere alle riparazioni, ai vari servizi etc. Tali sono, in Italia, La Spezia, La Maddalena, Napoli, Taranto, Messina, Ancona, Venezia, Pola. L’ordinamento della M. I. comprende: gli organi del comando (Ministero della M., Capo di S.M., Comitato degli Ammiragli, Cons. sup. di M., comandi di squadra per le forze navali, comando in capo di Dipartimento maritt.); le forze navali (armate o in disponibilità, che comprendono squadre, di più divisioni, e navi ausiliarie; nel dettaglio, navi di linea, incrociatori, incroc. leggeri, esploratori, cacciatorped., torpediniere, sommergibili, navi portaerei, dragamine, “mas”); i servizi territoriali della M. (3 comandi in capo di Dipartimento marittimo ed 1 Comando autonomo dell’alto Adriatico; ed i servizi a terra: segnalaz., cartografia, capitaneria di porto, servizio sanitario, commissariato, tribunali milit. marittimi ecc.); i corpi della R. Marina (Corpo di S.M., Corpo del genio Navale, Corpo delle Armi Navali, Corpo sanitario, Corpo Commissariato, Corpo della Capitaneria, Corpo Reali equipaggi Marittimi C.R.E.M.). Gli Ufficiali della M.I. provengono dall’Accademia Nav. di Livorno (elementi combattenti) o si reclutano per concorso (servizi). 

    I gradi sono: guardiamarina, sottotenente di vascello, tenente di vascello, capitano di corvetta, capitano di fregata, capitano di vascello, contrammiraglio, ammiraglio di divisione, ammiraglio di squadra, ammiraglio d’armata, grande ammiraglio. Il personale di truppa si recluta dalla leva di mare e dai volontari, ed è preparato ed istruito in varie scuole, a seconda delle specialità (Venezia, Taranto, La Spezia e Pola). Nella guerra mondiale (1914-1918 n.d.r.) fu costituita una Brigata Marina, su 4 battaglioni, che combattè a terra e che fu validissima collaboratrice dell’Esercito nelle operazioni costiere e nella difesa di Venezia. La Marina fu decorata con la medaglia d’oro al Valor Militare. Giornata celebrativa della Marina Italiana è il 10 giugno, anniversario dell’impresa di Premuda.”

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    Castellammare di Stabia, la prima vasca navale

    di Antonio Cimmino

    Per lo studio della resistenza al moto (attrito) e dei coefficienti propulsivi di una carena, si usano delle prove sperimentali su modelli di ridotte dimensioni in apposite vasche all’uopo attrezzate. I risultati così ottenuti sono trasferiti alla reale carena applicando una apposta legge studiata dall’ingegnere inglese William Froude, considerato il padre della moderna architettura navale e dell’idrodinamica sperimentale.


    La Regia Marina utilizzò per tali esperimenti la vasca navale costruita a Spezia per volere del ministro Benedetto Brin e realizzata dagli ingegneri del genio navale Nabor Soliani e Giuseppe Rota nel 1889. Tutti e tre, in epoche diverse e con diverse mansioni, sono stati nel cantiere di Castellammare.

    La vasca nell’arsenale di Spezia, fatta costruita nel 1887 da Brin, Ministro della Marina, era quella del tipo di Gosport presso l’arsenale di Portsmouth, alla quale ricorrevano, per gli esperimenti per le loro navi, i governi di Germania, Austria-Ungheria e Portogallo. La vasca era lunga metri 146, larga 6 e con la massima profondità di 8 metri. Prima della realizzazione della vasca a Spezia, però, gli esperimenti di Froude furono compiuti proprio nel cantiere navale stabiese.

    Brin, infatti, durante la costruzione della corazzata Duilio, fece approntare in cantiere una specie di vasca navale, lunga circa 45 metri, collegando tra loro due vasche utilizzate per la conservazione del legname. I lavori eseguiti dall’ingegnere del genio Alfredo Lettieri, permisero di calcolare, secondo il metodo Froude, su un modello di carena del Duilio, gli elementi per le alette di rollio. L’esperimento fu fatto utilizzando modelli di legno foderati di stagnola. Giuseppe Rota nel volume “Esperienze di architettura navale nel R. arsenale di Spezia” edito dal Ministero della Marina nel 1898, così descrisse l’esperimento:
    Apparecchio per la trazione dei modelli, formato da un cilindro C formato di lamiere sottile, il quale può ruotare intorno al suo asse. Nell’interno del cilindro vi è un adeguato sostegno per una puleggia V, sulla cui gola si abbraccia un cavo di piccolo diametro che sorregge un piattello S, fornito di una matita z, la quale mantenendosi sempre a contatto col cilindro C. L’altro capo della piccola fune viene fissati al tamburo t, dopo che si è avvolta una lunghezza m-n della fune stessa.
    Il tamburo t è girevole intorno allo stesso asse della puleggia R, con la quale fa corpo, e su di essa si avvolge la piccola fune f, che al suo estremo tiene legato il modello. Sul cilindro C si segnano le circonferenze r,r’,r” a distanze eguali in altezza. Sovra ognuna di esse si traccia la scala del tempo. Infine la parte inferiore del cilindro C si ingrana con l’altra ruota T ad asse orizzontale, calettata al tamburo V, il quale, abbracciata da una cinghia, serve a trasmettere il movimento. Tale in succinto il meccanismo. Per farsi un’idea del funzionamento dell’apparato, supponiamo che nel piattello s vi sia un peso P, e supponiamo all’estremità della piccola fune flegato il modello, il quale sia tenuto nella posizione di partenza da un ritegno r. Si metta in moto la trasmissione: allora il cilindro girerà e la punta z segnerà una circonferenza. All’istante cui lo zero passa nuovamente per la posizione della matita si lasci libero il modello.
    Per effetto del peso P il piattello discenderà e svolgendosi la fune già avviluppata al tamburo t,si avvolgerà l’altra fune f sulla puleggia R, cosicché il modello inizierà il suo movimento. Nello stesso tempo, per effetto del moto combinato del piattello e del cilindro, la matita z segnerà su quello una curva la quale sarà un’elica allorché, stabilitosi l’equilibrio dinamico, il modello acquisterò moto uniforme.

    Con questo apparecchio si aveva la possibilità di ricavare con qualche approssimazione le resistenze dei modelli a diverse velocità di trascinamento.

    Si effettuarono così alcune esperienze col modello della corazzata Duilio, in quell’epoca in costruzione nel cantiere di Castellammare di Stabia, determinando gli elementi delle chiglie laterali di rollio”. 

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    18-19.8.1860, Garibaldi in Sicilia fa l’americano

    di Antonio Cimmino

    La notte tra il 18 e il 19 agosto 1860 Giuseppe Garibaldi e circa 3200/3500 Camicie Rosse, a distribuiti a bordo dei piroscafi Torino e Franklin, salpò da Giardini Naxos seguendo una rotta di attraversamento dello stretto più lunga ed indiretta al fine di eludere il pattugliamento della flotta borbonica.
    Garibaldi era imbarcato sul Franklin con 1200 uomini, mentre Nino Bixio con circa 3000 uomini era imbarcato sul piroscafo Torino.
    I due piroscafi vennero intercettati da due fregate borboniche, ma non furono attaccate perché Garibaldi diede ordine di issare la bandiera americana.

    (Joseph Gary Baldwin)

    Note
    Le navi della Marina Dittatoriale Siciliana, incorporate poi nella Marina Sarda e successivamente nella Regia Marina erano:
    – pirofregata Tukert;
    – pirotrasporto Washington;
    – nave Lombardo;
    – avviso Ferruccio;
    – avviso Calatafimi;
    – nave Vittoria;
    – nave Cambria;
    – nave Conte di Cavour;
    – nave Tanaro;
    – nave Oregon;
    – nave Beniamino Franklin;
    – nave Rosolino Pilo;
    – nave Plebiscito;
    – nave Benvenuto;
    – nave Elba;
    – nave Duca di Calbria;
    – piroscafi Weasel.

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    La Marina fra le Alpi

    di Guglielmo Evangelista (*)

    Forze navali e marina commerciale della Svizzera

    MARINA MILITARE
    Anche se è dal mare che deriva il nome “Marina”, è ovvio che si naviga dovunque ci sia uno specchio d’acqua, sia un lago che un fiume. Si tratta di esperienze diverse, ma gli ingredienti ci sono quasi tutti: tempeste e correnti, secche e scogli, lontananza da casa e, naturalmente, anche sulle acque interne non si sono risparmiati gli abbordaggi e le cannonate.
    D’altra parte nei tempi meno recenti, dato che mancavano le strade, come era possibile gli eserciti ricorrevano al trasporto fluviale e lacuale. Era il modo più rapido per spostare truppe e rifornimenti e, quando la strategia lo richiedeva, in tutte queste zone si svolgevano su larga scala operazioni anfibie.
    Quindi anche la Svizzera, ricca di laghi e di fiumi, ha la sua storia navale che è ricca di avvenimenti bellici che risalgono specialmente ai tempi in cui la neutralità della Confederazione non era stata ancora proclamata ed era un continuo azzuffarsi dei Cantoni fra loro e con gli stati confinanti.
    La storia registra fatti d’arme navali durante la guerra Zurigo (1440-1450) sull’omonimo lago e sul lago di Neuchatel durante la guerra di Borgogna combattuta pochi decenni dopo.
    Merita anche essere ricordata l’attività di Simone da Locarno (anche se all’epoca il Canton Ticino non era ancora un territorio svizzero) che nel XIII secolo fu Capitano Generale della flotta Viscontea sul lago Maggiore e che nelle contese contro i Torriani comandò numerose azioni ad Arona e nel nord del Verbano, conseguendo anche una brillantissima vittoria navale a Germignaga.
    Spesso venivano impiegate barche mercantili requisite oppure semplici zattere, ma furono in servizio anche vere e proprie navi da guerra: sul lago Maggiore i visconti impiegavano le ganzerre, unità sottili a remi adatte al pattugliamento ed alla scorta dei convogli mentre brigantini e galere armate dai Cantoni di Ginevra e Berna presidiavano il lago di Ginevra per fronteggiare la flottiglia che il Duca di Savoia teneva a Thonon e a Villeneuve.
    A fine ‘700 era comandante in capo della marina bernese il colonnello Auguste de Croisaz ma nel 1793, qualche anno prima dell’invasione napoleonica, tutte le armate lacuali vennero disarmate e per oltre un secolo non si parlò più di flotte, grandi o piccole che fossero.
    Anche quando la Svizzera entrò in possesso nel 1859 delle tre cannoniere austriache del lago Maggiore, internate a Magadino dopo l’avanzata franco-piemontese, ritenne superfluo usarle per pattugliare e tanto meno difendere la sua piccola porzione di lago così che le rivendette all’Italia.
    Da allora fino ad oggi le uniche navi militari che si sono viste sui laghi svizzeri sono state imbarcazioni di limitate dimensioni e con armamento leggero appartenenti alle varie forze e corpi armati della Confederazione  destinate a compiti di pattugliamento e sorveglianza: va però notato che questi compiti sono tutt’altro che sinecure se si considera l’eterna lotta anticontrabbando e tanto meno lo furono durante le due guerre mondiali quando la Svizzera si trovò completamente accerchiata dalle potenze belligeranti e non sempre ben intenzionate riguardo alla sua neutralità.
    Durante la prima guerra mondiale, nel 1917, entrò in servizio una nutrita flottiglia di motoscafi militari poi dismessi dopo il conflitto.
    Accenna ad essi indirettamente Ernst Hemingway nel suo “Addio alle armi” nel capitolo in cui il protagonista, dopo aver disertato, raggiunge la Svizzera con la sua compagna su una barca a remi:

    …Poi udimmo un’altro ronzio di motore, ma anche questa volta, fermo sui remi, sentii il rumore svanire sull’acqua.

    – Credo che siamo in Svizzera, Cat. – Dissi

    – Proprio?

    – Ma non è certo finché non vedremo i soldati svizzeri

    – O la flotta svizzera?

    – La flotta svizzera non è una fiaba per noi. L’ultimo battello doveva essere proprio la flotta svizzera.

    Nella seconda guerra mondiale il problema si ripresentò, aggravato dal fatto che ora i tedeschi occupavano anche tutto il tratto francese del lago di Ginevra.
    Si ebbe anche qualche sparatoria fra i militari svizzeri e “sconosciuti”, in pratica degli infiltrati che cercavano di entrare nel paese con sbarchi notturni per evitare i canali ufficiali con lo scopo di controllare qualcuno dei tanti avversari politici rifugiatisi nella confederazione oppure di saggiarne la vigilanza e le difese.
    Nel 1942 furono costruiti dei piccoli pattugliatori, leggeri ma veloci e armati con un cannoncino da 20 mm che furono messi a capo di flottiglie di imbarcazioni requisite usate sui laghi di frontiera e organizzati su nove compagnie che nel dopoguerra furono ridotte ad una sola, ma successivamente tre di esse furono ricostituite.
    Queste motovedette ebbero vita piuttosto lunga e nel 1980 vennero sostituite da dieci nuove unità distribuite fra i laghi di Ginevra, di Costanza, di Lugano e il lago Maggiore.
    L’attività navale oggi è inquadrata nella specialità del Genio Salvataggio dell’esercito svizzero: in guerra, in operazioni di pace o in caso di interventi per calamità naturali questa specialità deve essere in grado di offrire un supporto multiforme e versatile e dispone di un elevato numero di esperti soldati che sono volontari in servizio permanente a differenza della massa dell’esercito che si vale di militari di leva, istruiti e poi periodicamente richiamati per brevi periodi.
    Le competenze affidate al Corpo impongono che esso sia rapidamente disponibile in qualsiasi luogo sia richiesto il suo intervento e, di conseguenza, un teatro operativo che non può mancare è quello dei corsi d’acqua. Per questo esiste la Compagnia Motoscafi per la vigilanza dall’acqua di installazioni militari, per interventi di soccorso o per il pattugliamento dei confini assieme alle altre forze di polizia o per l’appoggio alle operazioni dei sommozzatori dell’esercito.
    Il personale può assumere la qualifica di “fuciliere di bordo”.
    Le unità in servizio sono armate con mitragliere da 12,7 millimetri e 16 nuovi pattugliatori sono in programma.
    Ad ogni modo non esiste nell’ambito delle forze armate una Marina Militare intesa come specialità autonoma.

     

    MARINA MERCANTILE
    Più recente e per certi aspetti più prestigiosa è la storia della marina mercantile.
    In primo luogo bisogna ricordare che, sui laghi e sui fiumi, in particolare il Reno che raggiunge Basilea dove si trova un grande porto, esiste tutta una serie di imbarcazioni fluviali (chiatte, rimorchiatori, battelli turistici ecc.) non diversi da quelli in attività su tutte le acque interne europee e che ben conosce chiunque abbia viaggiato in quei paesi.
    Nonostante se ne parli da quasi due secoli non è stato mai attivato un servizio fra l’Adriatico e la Svizzera attraverso il Po e il lago Maggiore; ci sono stati molti esperimenti e più di una volta alcune piccole navi sono riuscite a percorre l’itinerario da Venezia a Magadino, ma le condizioni di navigabilità del Po impediscono qualsiasi ipotesi di sviluppo commerciale.
    Il primo piroscafo svizzero apparve sul lago di Ginevra nel 1823 con il nome di Guglielmo Tell. Seguì tre anni dopo il Verbano sul lago Maggiore.
    E’ da ricordare che la marina fluviale svizzera, fra le due guerre, gestì una scuola nautica per i futuri marinai del Reno. Era ispirata alla nave Garaventa di Genova in quanto gli allievi vivevano a bordo della chiatta Levantina opportunamente adattata ormeggiata nel porto di Basilea, erano sottoposti ad una disciplina di tipo militare e portavano una l’uniforme. Oggi in Svizzera esiste una cinquantina di scuole nautiche e corsi professionali per costruttori.

    Molto più interessante è però la flotta oceanica che è piuttosto numerosa, attrezzata e moderna ma che, ovviamente, non ha mai toccato la madrepatria e vi si avvicina, al massimo, quando fa scalo al porto di Genova.
    La prima nave, appartenente ad un americano oriundo svizzero, fu il Guglielmo Tell che, dietro regolare autorizzazione del governo di Berna, a metà ‘800 inalberò la bandiera della Confederazione sui mari degli Stati Uniti.
    A questa seguirono altre navi ma benché fossero di proprietà svizzera portavano le bandiere di altri stati e comunque solo occasionalmente facevano servizio per la Confederazione.
    La Svizzera  sentì necessità di una propria flotta mercantile solo quando dopo il 1940, completamente isolata, anche economicamente, dal resto del mondo dalle potenze dell’Asse, cercò di approvvigionarsi di materie prime provenienti dai paesi extraueopei, pur con tutte le difficoltà connesse al fatto che le merci portate dalle navi, giunte a Genova o a Rotterdam, dovevano essere trasbordate su chiatte o per ferrovia valendosi della benevolenza e delle sempre più precarie comunicazioni interne dei belligeranti.

    La prima unità risale al 1941 e portava il nome di Calanda, inaugurando la tradizione che vuole, quasi per contrappunto, che la maggior parte delle navi porti il nome di montagne. Era stata costruita in Inghilterra nel 1913 e al momento dell’acquisto jnalberava la bandiera panamense.
    I danni subiti dalla flotta durante la guerra furono gravi: il Mount Lycabettus scomparve nel 1942 in Atlantico, forse silurata da un sommergibile tedesco e il Generoso (altro nome di una montagna) nel 1944 affondò per una mina a Marsiglia, mentre il Maloja fu affondato al largo della Corsica da un aereo rimasto sconosciuto ed altre subirono pesanti mitragliamenti.
    Durante il conflitto si arrivò ad avere una cinquantina di unità fra navi di proprietà e navi noleggiate.

    Come abbiamo appena visto la famosa neutralità svizzera, ampiamente conclamata e pur quasi sempre rispettata non fu talvolta sufficiente a mettere al riparo le sue navi dai guai, come non lo fu per le navi svedesi, quelle spagnole e portoghesi nonostante tutte avessero enormi bandiere nazionali verniciate su ogni superficie utilizzabile e di notte viaggiassero illuminate come alberi di Natale.
    Oggi esistono sei compagnie armatrici. Le navi in servizio sono 46, per circa un milione e mezzo di tonnellate, immatricolate formalmente nel porto di Basilea ed appartengono di tutti i tipi: portarifunsa, chimichiere, portacontainer, cisterne…
    Le modernissime Tzoumaz, Diavolezza, Bregaglia, con le loro 87000 tonnellate, possono competere con tutte le migliori unità dei paesi marittimi.
    Fino al momento attuale hanno inalberato la bandiera svizzera 221 navi, da un dislocamento di 440 tonnellate in su.
    Una delle più recenti unità è il veliero Salomon usato per il recupero di giovani disadattati ed infine esistono quasi duemila unità private fra yacht e piccole imbarcazioni autorizzate, a determinate condizioni, a portare la bandiera crociata.
    Se la flotta è abbastanza numerosa tanto da porre la Svizzera al 59° posto nella classifica mondiale, non altrettanto si può dire per gli equipaggi che sono in massima parte provenienti dal sud est asiatico: d’altra parte il cittadino svizzero, per l’ambiente in cui nasce e vive, non è particolarmente sensibile al richiamo del mare, vacanze balneari a parte.

    I marinai svizzeri si contano –letteralmente- sulle dita delle mani e il loro numero è diminuito radicalmente specialmente dopo che il Governo ha rinunciato a integrare i loro stipendi.
    Infatti gli emolumenti ricevuti dai contratti armatoriali, peraltro molto spesso più sostanziosi di quelli dei lavoratori terrestri, italiani compresi, non erano e non sono tali da essere competitivi con quelli svizzeri.

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  • C'era una volta un arsenale che costruiva navi,  Curiosità,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Recensioni,  Storia

    Varo vascello Partenope

    di Antonio Cimmino

    Zatterone con sistema verricello/argano usato nel Real Arsenale, sistemato a sinistra ed a dritta della linea di varo, per movimentare successivamente il bastimento dell’ormeggio alla banchina allestimento. La forza motrice era ottenuta da due ruote cave con gradini interni mosse dai galeotti del bagno penale, chiamati “scoiattoli rossi” oppure compagni. 

    Le due zattere erano elementi necessari nelle operazioni di varo fino all’introduzione del vapore.

    (Particolare del quadro di Philipp Hacket che rappresenta il varo del vascello Partenope avvenuto il 16 agosto 1786 nel Real Arsenale di Castellammare di Stabia).