C'era una volta un arsenale che costruiva navi

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    11.11.1912, varo della regia nave Libia

    a cura Antonio Cimmino

    … a Genova c’era una volta un arsenale che costruiva navi, e adesso?

    Regio esploratore corazzato varato a Genova l’11 novembre 1912. Originariamente progettato per la marina dell’Impero Ottomano con il nome di Drama, il Libia fu requisito dalla Regia Marina ancora in costruzione allo scoppio della guerra italo-turca.

    Caratteristiche tecniche
    Dislocamento: 4.4460 tonnellate
    Dimensioni: 111,9 metri di lunghezza f.t. x 14,5 di larghezza e 5,5, immersione
    Velocità: 22,9 nodi
    Apparato Motore composto da due motrici alternative, 16 caldaie e 2 eliche (potenza 12.500 hp)
    Alimentazione a nafta e carbone
    Armamento: 2 pezzi da 157/50 mm.; 8 pezzi da 120/45 mm.; 2 tubi lancia siluri da 450 mm.
    Protezione: orizzontale 40 mm di spessore, alle artiglierie, 76 mm, al torrione 106 mm.

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    La nave effettuò una lunga crociera del mondo.
    Nel 1929 venne riarmata come incrociatore e l’11 marzo 1937 fu avviata alla demolizione dopo la radiazione.

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    7.11.1901, varo della regia nave Benedetto Brin

    di Antonio Cimmino
    foto di Carlo Di Nitto

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    … alla memoria di Pietro Pagni e dei Marinai della regia nave Benedetto Brin.

    bollo-postale-della-regia-nave-brin-www-lavocedelmarinaio-comL’Italia, all’inizio del secolo tentò di mettersi in carreggiata con le altre nazioni marittime costruendo nuove e grandi navi da guerra. L’Inghilterra, infatti, già possedeva 29 unità di tonnellaggio maggiore, 6 gli Stati Uniti, 4 il Giappone, 2 la Francia e 2 la Russia.
    L’avvio della costruzione delle due navi da battaglia Regina Margherita e Benedetto Brin si inseriva appunto in tale tendenza.
    La corazzata Regina Margherita, gemella della Brin, già era stata impostata nel 1898 nell’Arsenale di Spezia. Le due unità, classificate navi da battaglia, erano state elaborate dell’Ispettore del Genio Navale Benedetto Brin e, alla morte di questi, riprese con le dovute modifiche, dal Generale del Genio Navale A. Micheli.
 Le due corazzate erano ottime unità sia per la loro velocità e sia per protezione ed armamento, nonché per l’abitabilità degli alloggi per l’equipaggio.
    A causa di ritardi tecnici e burocratici, il varo si protrasse di qualche mese e la nave, sullo scalo, aumentò di peso perché i lavori continuavano. Era la prima volta che si varava una nave con un peso così grande e non poche preoccupazione sorsero tra i tecnici per la buona riuscita delle delicate operazioni di varo.
    Durante la permanenza dell’unità sullo scalo di costruzione, il Re visitò il cantiere per rendersi conto sull’andamento dei lavori e tornò successivamente l’anno dopo per la cerimonia del varo.

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    La Domenica del Corriere del 1 novembre 1900 nell’articolo “Il Re visita la “Benedetto Brin”, così scriveva:” Insieme all’ospite e cognato suo, il principe Francesco di Battenberg, martedì della settimana scorsa S.M. il Re si è recato a bordo del “Marcantonio Colonna”, da Napoli a Castellammare di Stabia, dove in quel cantiere navale procedono alacremente i lavori di costruzione della più grande corazzata che vanterà fra qualche anno la nostra Marina da guerra: la “Benedetto Brin”.

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    (…) l’accennata visita del Re al cantiere di Castellammare fu pretesto d’una entusiastica dimostrazione da parte di tutti gli operai addetti alla costruzione della corazzata. Essi accolsero e seguirono nel suo giro il giovane Re con interminabili applausi.
La Tribuna Illustrata della Domenica del 17 novembre 1901, in occasione del varo, scriveva:” La nostra industria navale ha celebrato un nuovo e splendido trionfo: dal cantiere di Castellammare, alla presenza dei Sovrani, la corazzata di prima classe Benedetto Brin è stata felicemente varata il 7 del corrente mese, e ora lo scafo immenso galleggia; maestoso gigante, sulle onde in attesa che l’allestimento venga a completare l’opera e dotare la flotta italiana di una nuova e potente unità.
(…) il piano della nave è dovuto all’ispettore del genio navale comm. A. Micheli; iniziato dapprima secondo le idee del compianto ministro Brin, poco tempo prima della perdita del valoroso ingegnere, dovette in seguito essere radicalmente modificato dall’autore, sotto il ministro Palumbo. (…) La nave in carico normale porta una provvista di combustibile di 1000 tonnellate, colla quale provvista ha un raggio d’azione di circa 5000 miglia alla velocità economica di 10 miglia per ora. È capace però di portare altre 1000 tonnellate di carbone di riserva, raddoppiando allora il suo raggio d’azione. I carbonili sono disposti in modo che il combustibile concorra alla protezione delle parti vitali della nave. Lo scafo è costruito interamente in acciaio dolce Martin-Siemens …; è suddiviso internamente con numerose paratie longitudinali e trasversali; è munito di doppio fondo esteso per tutto il tratto occupato dall’apparato motore e dai depositi di munizioni. (…) L’uso del legno, in vista del pericolo d’incendio in combattimento è stato del tutto escluso, rimanendo solo lo sfasciamento del ponte di coperta, che non implica sotto questo riguardo pericolo di sorta”. 
La Domenica del Corriere del 17 novembre 1901 così scriveva:” Della grande corazzata Benedetto Brin, che fu varata giovedì della settimana scorsa. A Castellammare, abbiamo parlato in precedenza…

    regia-nave-brin-adaggiata-sul-fondo-www-lavocedelmarinaio-comAbbiamo riprodotto una fotografia che mostrava la Brin su lo scalo, pronta ormai per essere lanciata in mare. Ora godiamo annunciare che il varo è avvenuto senza che si producesse il più lieve inconveniente. I differenti lavori necessari a liberare l’immane scafo durarono meno di mezz’ora; e dal taglio delle cosiddette trinche, che dopo abbattuti i puntelli costituiscono l’unico ed ultimo ritegno alla immersione in mare non passarono che due minuti. Le notizie relative al varo della Benedetto Brin erano stavolta attese con una certa trepidazione, perché occorre sapere che nessuna altra nave da guerra aveva mai prestato sin qui tanto rischio.
Al momento del varo la Benedetto Brin spostava infatti oltre settemila tonnellate, mentre la Dandolo fu varata con 4100 tonnellate di materiale, la Lepanto con 4200, la Umberto I con 4400 e la Regina Margherita, gemella della Brin e scesa in mare nella primavera scorsa, con 6000, questa differenza di peso dipese dal fatto che essendosi ritardato per diverse ragioni il varo, i lavori a bordo seguitarono senza tregua rendendo così più pesante lo scafo al momento del varo“.
 Sempre dalla Tribuna Illustrata del 17 novembre si legge: Riguardo alla protezione di corazza, la nave si può definire come una nave a cintura completa e cittadella centrale corazzata, con ponte cellulare di protezione corazzato ai fianchi, con ridotti circolari e cupole pei cannoni da 305, con casematte pei cannoni da 203. La protezione è completata da strati orizzontali di lamiera di acciaio duro speciale ricoprenti dal di sopra tutte le parti protette da corazze verticali. Le corazze della cintura hanno la grossezza di 15 cent. ridotta a 10 soltanto verso le estremità; eguale grossezza di 15 cent si ha per le murate della cittadella (corridoio e batteria) e per le pareti esterne delle casematte, laddove le traverse a maggiore difesa contro i tiri d’infilata, hanno la grossezza di 20 cent. Hanno pure la grossezza di 20 cent le corazze dei ridotti circolari. Le parti inclinate del ponte di protezione sono coperte da piastre della grossezza di 8 cent., mentre la parte piatta centrale è coperta da grosse lamiere di acciaio duro. Al di sotto della cintura di corazza è stato studiato ed applicato un sistema speciale di struttura rinforzata a difesa contro le armi subacquee…”

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    Caratteristiche ed attività
    In pochi anni la propulsione a vapore era passata da 2 cilindri posti in posizione orizzontale a tre verticali che meglio potevano utilizzare il vapore a pressione maggiore prodotte dalle caldaie. Sul Brin erano stati montati due motori alternativi a vapore a triplice espansione con cilindri ad alta, media e bassa pressione, alimentati da ben 28 caldaie. La potenza complessiva delle motrici era trasmessa, attraverso due linee d’assi, alle due eliche propulsive.
    Benedetto Brin progettista dell’unità varata dopo la sua morte, aveva sacrificato la corazzatura protettiva a favore della velocità che poteva raggiungere i 20 nodi. Più che una corazzata da battaglia, la si poteva considerare come un incrociatore corazzato. La corazza verticale della cintura, inoltre, era perforabile da un colpo di cannone da 305 mm sparato da una distanza di 15-20 chilometri oppure da 10 chilometri con un angolo di impatto di 40°. Cannoni di calibro minore la potevano perforare con tiro perpendicolare da 10 chilometri per un pezzo di 203 mm e 5 chilometri per uno da 152 mm.
    L’armamento del Brin era composto principalmente da tre tipo di cannoni di grosso-medio calibro.
    Quattro cannoni da 305 mm erano in due torri binate, poste una in caccia e l’altra in ritirata, con una cadenza di colpi di 1 al minuto. Il proiettile pesava 417 chili e con una velocità di 780 metri l secondo. I pezzi da 203/45 mm erano posti in coperta ed alloggiati in casematte, mentre i cannoni da 152 mm erano sistemati 6 per lato in appositi ridotti. Altri 24 pezzi di calibro minore più 2 mitraglie in funzione antitorpediniere, erano distribuiti in vari punti della nave. I tubi lanciasiluri erano sistemati 2 sotto la linea di galleggiamento e 2 sopra.

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    La nave, completata il 1° settembre 1905, entrò in servizio il 1° aprile 1906 ed a Spezia ricevette la bandiera di combattimento.
    Partecipò alla guerra italo-turca. Il 19 aprile del 1912, unitamente alle navi Saint Bon, Filiberto, Regina Margherita ed agli incrociatori Ferruccio, Amalfi e Pisa bombardò gli Stretti dei Dardanelli; il 24 dello stesso mese fornì un contingente di marinai per occupare l’isola di Rodi.
    Inquadrata nella II Divisione, I Squadra formata dalla unità gemella Regina Margherita e dalle navi Filiberto e Saint Bon, nonché da un gruppo di siluranti, scortò un convoglio di navi che trasportava armi e soldati ( piroscafi Sannio, Europa, Verona, Toscana, Bulgaria, Cavour e Valparaiso) e partecipò al bombardamento di Tobruch ed alla sua occupazione, nonché alle operazioni contro Bengasi e la Cirenaica.
    Lunedì 27 novembre 1915 ad appena quattro mesi dall’inizio delle ostilità, alle ore 8,00 si udì un violentissimo boato e la nave, ormeggiata nel porto medio in prossimità della spiaggia di Marimist, si inabissò lentamente per lo scoppio della santa barbara.
    Uno spettacolo spaventoso di presentò agli occhi dei presenti. La torre poppiera fu scagliata in aria, mentre il fumaiolo e l’albero di poppa, frantumati in piccoli pezzi ricadeva in mare attorno al colosso agonizzante.
    In considerazione dell’ora della tragedia, tutto l’equipaggio si trovava a bordo e dei 943 uomini che in quel momento erano imbarcati, ne morirono 456 dilaniati dagli scoppi, schiacciati dai crolli dei ponti e delle paratie, inabissati con la nave. Trovarono la morte anche l’Ammiraglio di Divisione Ernesto Rubin de Cevin ed il Comandante della nave Capitano di Vascello Gino Fara Forni.

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    Fausto Leva, un testimone oculare così descrisse la catastrofe:” …nel fumo denso si distinse per un momento la massa d’acciaio della torre poppiera dei cannoni da 305 mm., che lanciata in aria dalla forza dell’esplosione fino a metà della colonna, ricadde poi violentemente in mare, sul fianco sinistro. Pochi momenti dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della B.Brin fu veduto appoggiarsi senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente, formandosi un letto nel fango molle. Mentre la prora poco danneggiata si nascondeva sotto l’acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152 della batteria, la parte poppiera completamente sommersa appariva sconvolta e ridotta ad un ammasso di rottami. Caduto il fumaiolo e l’albero di poppa, si erge ancora dritto e verticale l’albero di trinchetto” (Teodoro G. Andriani, La base navale di Brindisi durante la grande guerra, 1993).
    La folla muta assistette al recupero dei corpi dilaniati e a dei superstiti che furono raccolti dalle imbarcazioni delle altre navi, italiane e francesi presenti nel porto, e portati nelle loro infermerie, nell’ospedale della Croce Rossa e nell’Albergo Internazione, subito adibito ad infermeria d’emergenza.
    La Marina emanò un comunicato nel quale si asseriva che la nave era affondata per lo scoppio del deposito munizioni. Furono ipotizzate varie ipotesi da una apposta Commissione d’inchiesta:
    – il lancio di un siluro da parte di un sommergibile austriaco (subito scartato in quanto l’ingresso del porto mera protetto da rete antisommergibile);
    – la santa Barbara, non adeguatamente coibentata, era troppo vicino alla sala macchine e la paratia stagna poppiera non era stata in grado di fermare il calore che non veniva adeguatamente disperso dai ventilatori, provocando lo scoppio, per autocombustione della balistite, un potente esplosivo che esplodeva senza produrre fumo (nei giorni seguenti tutta la balistite fu sbarcata dalle altre navi);
    – un sabotaggio da parte di traditori italiani ed elementi del servizio segreto austriaco.

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    Si optò per la terza ipotesi in quanto nel corso dell’anno si erano verificati diversi sabotaggi ad impianti militari ed industriali (fabbrica di dinamite di Genova; centrali idroelettriche ed hangar per dirigibili ad Ancona; incendi di magazzini nei porti di Napoli e Genova).
    Il successivo sabotaggio della corazzata Leonardo da Vinci avvenuto nel porto di Taranto la notte del 2 agosto 1916, creò nell’opinione pubblica italiana un certo sconforto. La nave consegnata due anni prima esplose a cause di bombe ad orologeria collocate dai sabotatori nelle ceste del vitto per l’equipaggio. Nello scoppio morirono 209 persone; il comandate Sommi Picenardi morì due giorni dopo per le ferite riportate.
    La frequenza dei sabotaggi mise in allerta il controspionaggio della Marina nella persona del Capitano di Vascello Marino Laurenti che riuscì a scoprire che la centrale nemica era presso il consolato austriaco di Zurigo nella persona del falso console Capitano di Corvetta Rudolph Mayer.
Fu organizzata una task force composta dal Capitano di Corvetta Pompeo Aloisi, dal marinaio Stenos Tanzini e dagli agenti segreti Salvatore Bonnes, Ugo Cappelletti, Remigio Bronzin, nonché lo scassinatore Remigio Bronzin, fatto uscire appositamente dal carcere di Livorno.
    Il gruppo si recò in Svizzera e riuscì a trafugare dalla cassaforte del consolato austriaco materiale compromettente più l’elenco delle spie e degli agenti segreti operanti in Italia. Si appurò che si stava brigando per far saltare anche la nave da battalia Giulio Cesare nel porto di Spezia.
    Con tale azione fu debellata una pericolosa rete di sabotatori che stavano mettendo in serio pericolo le sorti della guerra sul mare.

    Marinai decorati con Medaglia di Bronzo al Valor Militare
    Guardiamarina Ludovico Albert – “Guerra italo-turca” – 5.11.1911;
    Capo Torped. 1° cl. Cesare Martelli –“Guerra italo-turca” – 5.11.1911;
    Guardiamarina Pietro Carlani – Affondamento dell’unità nel 1915;
    Guardiamarina Ludovico A. Scaccia di Monte Argentario – Tripoli – 5.11.1911;
    Capo Torp 1° cl. Cesare Martelli – Tripoli – 5.11.1011.

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    Scheda tecnica
    Corazzata da battaglia BENEDETTO BRIN;
    Motto della nave: PER INGENIO VIRTUS ( Il valore è pari all’ingegno);
    Progettata: Benedetto Brin;
    Classe: Regina Margherita;
    Impostata: 30 gennaio 1899;
    Varata: 7 novembre 1901;
    Completata: 1° settembre 1905;
    In servizio: 1° aprile 1906;
    Dislocamento: 14.974 tonn. ( a pieno carico) – 13.427 (normale);
    Lunghezza: 138,60 metri (fuori tutta) – 130,00 metri (fra le perpendicolari);
    Larghezza: 23,80 metri;
    Immersione: 8,90 metri;
    Apparato motore: 28 caldaie – 2 gruppi alternativi a cilindri a triplice espansione – 2 eliche;
    Potenza: 20.475 cavalli vapore;
    Combustibile: 1.000 tonnellate di carbone;
    Velocità massima: 20 nodi;
    Autonomia: 9.000 miglia a 10 nodi – 1.700 miglia a 19 nodi;
    Protezione: verticale 150 mm. – ponte 80 mm. – artiglierie 22050 mm – torrione 150 mm;
    Artiglieria: 4 cannoni da 305/40 mm – 4 cannoni da 205/45 mm – 12 cannoni da 152 mm – 20 cannoni da 76 mm – 2 cannoni da 47 mm – 2 cannoni da 37 mm – 2 mitragliere – 4 tubi lancia siluri da 450 mm;
    Equipaggio: 800 uomini circa;
    Destino: affondata nel 1915.

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    In memoria di Pietro Pagni

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    La versione ufficiale della Marina Militare
    segnalata da Claudio Confessore

    Egregio sig. Ezio,
    Il 27 settembre 1915 affondò nel porto di Brindisi la corazzata Benedetto Brin. Io ho sempre detto che dai documenti consultati ciò non corrispondeva al vero e che quella del sabotaggio era solo un’ipotesi, la migliore però da diffondere e sostenere in tempo di guerra. Finalmente la Marina Militare ha ufficialmente dichiarato che:
    … “Come ormai acclarato, si trattò di una disgrazia non diversa da quelle accadute in altre marine da guerra dell’epoca: la causa dell’affondamento era infatti da attribuire ai nuovi esplosivi utilizzati per le cariche di lancio e di scoppio che, indispensabili e sempre più potenti, erano stati introdotti da troppo poco tempo perché se ne conoscessero tutte le caratteristiche relative alla loro stabilità.” …
    La notizia è riportata al seguente link: http://www.marina.difesa.it/storiacultura/storia/accaddeil/Pagine/1915_09_27.aspx

    Accadde il 27 settembre 1915
    Le “due vite” della nave da battaglia Benedetto BRIN

    motto-regia-nave-benedetto-brin-www-lavocedelmarinaio-com_Varata a Castellammare di Stabia nel 1901, la corazzata Benedetto Brin fu indiscutibilmente una tra le più belle, efficienti e grandi unità italiane d’inizio secolo.

    La nave partecipò a tutte le attività e operazioni che interessarono il nostro Paese nell’arco temporale della sua vita operativa, conclusasi, ma solo in apparenza, il 27 settembre 1915 quando, alla fonda nella rada di Brindisi, alle 8 del mattino affondò per un’improvvisa esplosione del deposito munizioni di poppa.
    La torre poppiera da 305 mm lanciata in aria si abbatté sul fianco sinistro della nave e la parte poppiera dello scafo, ridotta ad un ammasso di rottami, si immerse rapidamente, trascinando la nave sul fondo. 9 gli ufficiali e 473 i sottufficiali e i marinai superstiti, un centinaio dei quali feriti; 21 ufficiali e 433 i sottufficiali e i marinai caduti, tra i quali l’ammiraglio Rubin de Cervin e il comandante Fara Forni.
    Come ormai acclarato, si trattò di una disgrazia non diversa da quelle accadute in altre marine da guerra dell’epoca: la causa dell’affondamento era infatti da attribuire ai nuovi esplosivi utilizzati per le cariche di lancio e di scoppio che, indispensabili e sempre più potenti, erano stati introdotti da troppo poco tempo perché se ne conoscessero tutte le caratteristiche relative alla loro stabilità.

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    La storia del Brin non fu però improvvisamente spezzata dall’affondamento della nave; una nuova e trasfigurata vita lo attendeva: grazie all’abilità e all’ingegno degli uomini di Marina, vide il recupero ed il reimpiego di alcune sue parti, impiegate strategicamente a difesa della costa italiana durante il primo conflitto mondiale. Infatti, il Brin era da considerarsi superato per l’epoca ma non i suoi cannoni, che andarono ad alimentare un nuovo tipo di unità: i cosiddetti Pontoni Armati inquadrati nel gruppo “E” che, insieme ad altri mezzi del tutto fuori dagli schemi per i progettisti “puri”, avrebbe inciso profondamente sulle sorti della guerra. Una guerra che gli uomini del Brin, a bordo della nave, prima, e attraverso i suoi indistruttibili cannoni, dopo, gloriosamente vinsero!

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    27.9.1915, Benedetto Brin una nave da battaglia sfortunata. Dove sta la verità?

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    21.10.1843, varo della regia pirofregata Ercole

    di Antonio Cimmino

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    …a Castellammare di Stabia c’era un arsenale che costruiva navi, e adesso?

    antonio-cimmino-per-www-lavocedelmarinaio-com_1Il 21.10.1843 veniva varata, nel real cantiere navale di Castellammare di Stabia, la piro fregata Ercole. In questa fase il real cantiere si modernizza.
    La realizzazione di questa unità è di particolare importanza perché vengono sistemate le macchine a vapore fornite dalle Officine di Pietrasa, complesso industriale sorto prima della Breda e della Fiat. La macchina alternativa a vapore azionava due ruote laterali di propulsione a pale orientabili. Il tutto era di supporto al sistema velico.

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    17.10.1888, varo della regia nave Re Umberto 1°

    a cura Antonio Cimmino

    SPIGOLATURE DI STORIA DELLA MARINA: IL VARO DELLA CORAZZATA UMBERTO I A CASTELLAMMARE DI STABIA


    Nave corazzata da battaglia varata il 17 ottobre 1888.
    Il varo dell’unità ebbe vasto eco in Italia e all’estero. Accompagnato dal Re d’Italia, anche l’imperatore di Germania Guglielmo II partecipò alla cerimonia. La squadra navale era alla fonda nel golfo di Napoli assieme ad altre navi francesi ed inglesi. La squadra italiana era rappresentata dalle navi da battaglia Lepanto, Dandolo, Duilio e Affondatore, dagli incrociatori Galileo, Tripoli, Saetta, Sparviero e Nibbio, nonché dall’Etna, Bausan, Stromboli e Vesuvio, dalle torpediniere Goito, Folgore, Aquila e Avvoltoio e da Staffetta e Colonna. Era presente anche lo yacht reale Savoia.
    L’Illustrazione Italiana del 21 ottobre 1888 così scriveva:
    … La mattina del 17 i due Sovrani andarono a Castellammare ad assistere al varo dell’Umberto I ed a passare in rivista la squadra italiana posta sotto gli ordini del vice ammiraglio Acton comandante supremo, e dei contrammiragli Lovera di Maria e Martinez. L’Umberto I è una delle nostre grandi navi di prima linea che va alla pari col Duilio, l’Italia, la Lepanto e il Dandolo. La costruzione di questo nuovo colosso, di questa fortezza galleggiante, è stata diretta dal Comm. Capaldo direttore dell’arsenale di Napoli, e dal cav. Micheli direttore del cantiere di Castellammare, figlio del compianto comm. Micheli deputato e ispettore del Genio navale. La nave in cantiere, prima del varo, quale è rappresentata nel nostro disegno, era collocata sopra una invasatura di legno e di ferro, con trinche colossali intorno allo scafo, puntellata. ai due lati da grossi pali. Lo scafo dipinto di rosso e nero, con le due immense eliche sporgenti alle spalle di poppa, e le ancore provvisorie sospese ai due lati della prua, sembrava dolcemente inclinato verso il mare. Fra l’invasatura ed il pavimento eravi una soluzione di continuità di sei o sette millimetri ottenuta con una serie di zeppe di ferro. Questo breve spazio è stato riempito di sego, due giorni prima del varo, in modo che la nave immensa non si abbassasse levando con una macchina le zeppe di ferro. Parte dei puntelli fu tolta prima della cerimonia del varo. Al momento della cerimonia si abbatterono gli altri pochi, si tagliarono i due enormi cavi che trattenevano la prua allo scalo e la nave scivolò sullo strato di sego innalzando un denso e puzzolento nembo di fumo; effetto dalla combustione del sego determinato dallo sfregamento di tanta mole”.


    Il giornale The Illustrated London News del 27 ottobre 1888 nel descrivere le operazioni di varo e la visita dei Sovrani a Castellammare, affermò che la Umberto I era un delle più grandi navi da guerra del mondo:
    This ship, one of the largest war-ships in world), possedeva una compartimentazione interna ed un armamento di tutto rispetto (…and she is divide into 150 water-tight compartments; she carriers four 104-tonn Arstrong guns of seventeen-inch calibre, mounted on two barbettes difende by very strong armour, and many smaller guns…).

    Il giornale inglese descrive nei dettaglio la cerimonia e le operazioni del varo, che vedono presenti il vescovo della città ed il clero ed il popolo esultante:
    …The operations for the launch were begun as soon as the Emperor and the Royal party had arrived. The Bishop of Castellamare, in full canonicals, attended by his clergy, pronounced a benediction on the great ship; the christening with a bottle of Italian wine was duly effected; and then the Rè Umberto began her descent into the water amid tumultuous cheerinh from thousands of spectators, the Emperor taking off his hat waving it in salutation…”