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    27.3.2012, Giovanni Vittorio Adragna vittima dell’amianto

    Lottare per la vita è un nostro diritto
    di Giovanni Vittorio Adragna (salpato per l’ultima missione il 27 marzo 2012)

    Giovanni Vittorio Adragna per www.lavocedelmarinaio.comOgni anno, il 28 aprile è la giornata dedicata alle vittime del “Signor Amianto”, tutti dovremmo essere vicini alle Associazioni che lottano per la difesa dei diritti delle vittime decedute perché colpite da NEUPLASIE MALIGNE (MESOTELIOMA PLEURICO – ABESTOSI POLMONARE – CARCINOMA POLMONARE), malattie correlate all’esposizione delle fibre aerodisperse del serial killer AMIANTO.
    La lotta a queste ingiustizie ci dovrebbe unire sempre di più, solo noi possiamo dare la svolta storica e decisiva, se ci uniamo saremmo sempre più forti, le Associazioni hanno delle grosse difficoltà, purtroppo quanto si parla delle NEUPLASIE MALIGNE, le Istituzioni che dovrebbero essere le prime dare gli aiuti alle famiglie colpite da questi mali, fanno orecchio da mercante rendendosi latitanti non curandosi del loro dolore, il tutto perché, le persone colpiti non abbiano alcun aiuto e nessuna assistenza e tutto possa passare inosservato, (mi riferisco all’assistenza legale, e tutta la componente relativa ad un riconoscimento della malattia, per un eventuale indennizzo).
    I politici che ci rappresentano, e che dovrebbero essere il nostro punto di riferimento, se ne lavavano le mani, come Ponzio Pilato, per non ammettere le loro colpe, molti di loro sapevano quale rischio correvano gli operai che lavoravano il “serial killer amianto” ed erano esposti alle sue fibre aerodisperse, ma non hanno fatto nulla, perché tutto finisse, interessava andare avanti, la salute degli operai era meno importante degli interessi delle aziende.
    Ora sembra, che tutto possa essere finito, ma non è così, il disinteresse totale delle persone preposte a far luce ci fa effettivamente capire, che noi piccoli, non siamo altro che carne da macello, persone che non hanno alcun diritto ma solamente dei doveri.
    Siamo nelle mani di gente che davanti agli interessi personali non si fermano, quindi mi ripeto, uniamoci, non dimenticandoci che l’unione fa la forza, la nostra forza quella di diventare dei cittadini di serie “A” e non di serie”C”,.
    Abbiamo il potere in mano,  utilizziamolo per come deve essere fatto, non vogliamo fare nessuna rivoluzione, ma vogliamo un cambiamento radicale del sistema soprattutto da parte di tutte quelle Istituzioni che ci rappresentano,che non sono direttamente vicini non alle persone fisiche,  almeno possono contribuire aiutando le  Associazioni che lottano giornalmente perché i diritti vengano almeno rispettati. Lottare è un nostro dovere ed anche un nostro diritto, l’assistenza sanitaria ci è dovuta, non possono schiacciarci come se nulla fosse, come se non esistessimo, siamo presenti e vogliamo che i nostri diritti siano rappresentati da persone che hanno a cuore le nostre problematiche, sia ben chiaro noi non ci fermeremo, giornalmente la nostra voce sarà ascoltata da coloro che debbono tutelarci, cercando di essere il più uniti possibile e molto presenti, così solo non potranno dimenticarsi di noi.
    Forza, Italiani dobbiamo dare democraticamente un segno positivo a tutto il mondo, dimostrando di essere solidali con coloro che hanno bisogno di noi, della nostra vicinanza per non sentirsi soli.

    Monumento alle vittime dell'amianto (www.lavocedelmarinaio.com)

  • Attualità,  C'era una volta un arsenale che costruiva navi,  Marinai,  Marinai di una volta,  Naviglio,  Racconti,  Storia

    Ammiragli rottamatori ed ammiragli edificatori

    di Enzo Turco
    https://www.facebook.com/enzo.turco.73

     

    …riceviamo e pubblichiamo questa condivisibile testimonianza. Aggiungiamo che ognuno di noi marinai lascia una scia nella navigazione della vita e, come afferma l’autore, i signori del mare citati nell’accorato racconto sono con i loro esempi ed insegnamenti testimonianza di “dedizione, serietà e umanità”.
    (Pancrazio “Ezio” Vinciguerra)

    enzo turco per www.lavocedelmarinai.comCaro Ezio,
    è una legge universale che gli “edificatori” hanno sempre avuto poco seguito e pochissimo consenso. Nella Marina Militare, come in altre realtà nazionali, sono sempre stati di moda i “rottamatori” e l’Ammiraglio Egidio Alberti non è stato mai tra questi!
    Ammiraglio Egidio Alberti - www.lavocedelmarinaio.comPorto nel cuore di marinaio anche il ricordo dell’Ammiraglio Franco Papili che è stato il mio primo Capo Servizio sul vecchio Garibaldi nel lontano 1966. E’ uno degli ufficiali con i quali sono stato più a lungo imbarcato, anche se il record lo detiene l’Ammiraglio Alberti. Non a caso sono le due persone alle quali sono stato più legato e che in assoluto ho stimato per la loro correttezza e onestà intellettuale.
    Fatte le note caratteristiche ai miei superiori veniamo all’aneddoto…
    Ammiraglio Vittoriio Marulli- www.lavocedelmarinaio.comNel 1968/69 il Capitano di Fregata Franco Papili ricopriva l’incarico di Comandante in 2^ del costruendo Vittorio Veneto, chiamato in quel ruolo da un suo estimatore (lo si capiva da come si parlavano in plancia quando eravamo in navigazione), il Capitano di Vascello Vittorio Marulli.
    In quel periodo Papili, come era suo solito fare, da scapolone imperterrito non aveva orari ed era sempre sul pezzo, una notte fu ricoverato d’urgenza per una grave emorragia dovuta ad un’ulcera perforata. All’epoca si usava fare delle continue trasfusioni che richiedevano molto sangue. E qui sta il bello! Malgrado lo si ritenesse all’unanimità un duro tra i duri (la scorza, ma sotto, sotto ….), tutto l’equipaggio fece a gara per offrirgli il proprio contributo. I vecchi di bordo asserivano che lo stesso Marulli avesse partecipato (come suo solito in forma riservata) e anche diversi arsenalotti fecero la loro parte.
    Ammiraglio Franco Papil i- www.lavocedelmarinaio.comQuando Papili ritornò a bordo, per mantenere il suo aplomb di duro, quasi borbottando, proferì un generico e pesante: “grazie!”.
    Da quel momento ogni qualvolta che concedeva un qualcosa in più all’equipaggio, imputava la mollezza all’imbastardimento del suo sangue avvenuto per le molte trasfusioni subite.
    Mah! Si c’è un mah…
    Ogni volta che la vicenda veniva fuori, lui cercava di glissare, borbottando sull’argomento, ma veniva puntualmente tradito dal luccichìo degli occhi.
    La lunga permanenza a Castellammare di Stabia, il rispetto e il calore degli Stabiesi, lo avevano colpito al punto che sposò una Signora di quella terra.
    Veramente un grande uomo che però apprezzai solo quando era ormai tardi per dirglielo personalmente!
    Tutti i citati sono stati promossi Ammiragli, hanno fatto la cosiddetta carriera e noi, da obbedienti marinai, abbiamo seguito i loro esempi ed i loro insegnamenti pieni di “dedizione, serietà e umanità”.
    Aspirante Guardiamarina Leandro Papa - www.lavocedelmarinaio.comCito l’affetto che provo per Castellammare di Stabia perché mi ricorda  ”tante battaglie condotte insieme al Capo di Stato Maggiore del Dipartimento di Napoli (io ero il S.C.S.M.) Ammiraglio Leandro Papa a tutela e sostegno delle realtà produttive marina che ricadevano nella zona di nostra pertinenza. Nel 1987 era stata già chiusa la vecchia e gloriosa Marinarsen Napoli declassata a semplici Servizi Base di cui personalmente ero il Comandante. Questa chiusura fu assorbita quasi fosse ineluttabile da chi ci aveva preceduto. L’attacco ai …rami secchi proseguì con l’idea di cancellare un’altra eccellenza del napoletano: Maricorderia di Castellammare. Qui malgrado avessimo dalla nostra parte un onesto e sincero sindacalista chi doveva ascoltare .. non ascoltò. Questa , però, è un’altra storia non a tutti nota e che vide l’attivarsi, in negativo, di tanti personaggi”.
    P.s. Tra le mie tante foto sto cercandone una che lo faccia vedere nella sua piena maturità, un bell’uomo distinto e signorile.
    Un abbraccio Enzo.

    Nave Garibaldi 1966 - www.lavocedelmarinaio.com

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    L’affondamento del Tripoli (Enrico Alessandro Valsecchi)

    segnalato da Leonardo Varchetta
    https://www.facebook.com/figarolo

    Nella notte tra il 17 e il 18 marzo 1918, a poca distanza da Capo Figari in Sardegna un sommergibile tedesco provocò l’affondamento del piroscafo “Tripoli”, in servizio tra Golfo Aranci e Civitavecchia. In quel tragico evento morirono oltre trecento persone tra civili, equipaggio e militari, molti dei quali appartenenti alla Brigata Sassari della Marina Militare. Da allora, una coltre di silenzio sembra essere calata, sia a livello nazionale, sia a livello locale, su quello che a suo tempo fu definito “il più grande disastro della navigazione commerciale in Sardegna, ed il più grave e drammatico episodio della Prima Guerra Mondiale che abbia coinvolto l’isola”. Il libro ricostruisce nei particolari quella notte di tempesta e di morte.

    L'affondamento del Tripopli (Enrico Alessandro Valsecchi) copia copertina - www.lavocedelmarinaio.com
    Titolo: L’ affondamento del Tripoli.
    Autore: Enrico Alessandro Valsecchi.
    Editore: Fratelli Frilli (collana tascabili).
    Prezzo: € 8,50.
    Anno: 2004.
    Pagine: 120.
    Disponibile anche usato a € 4,25 su Libraccio.it

    Piroscafo Tripoli foto pagina fb Golfo Aranci Nascota - copia
    La storia
    Alle ore 22.30 della notte del 17 Marzo il posto di controllo costiero militare del semaforo di Capo Figari inviò alla stazione radio di Caprera il seguente messaggio:
    – “Sentiti colpi di cannone molto lontani in direzione est”.
    Tra i sopravvissuti il marinaio Camillo Ogno, di Alghero, prima che il Tripoli andasse a fondo, costruì una zattera con materiale di fortuna e salvò alcuni naufraghi. Sbarcato dopo il disastro del Tripoli a Golfo Aranci, vi ritornò a guerra finita per sposarsi. Gli fu concessa un’alta decorazione.
    Si salvarono anche due giovani di Golfo Aranci, Girolamo e Giovanni Di Martino.

    Come sul Titanic
    Nella cabina radio, accesi i fanali di emergenza a causa della mancanza dell’energia elettrica per l’avaria subita dalla dinamo, il marconista Carlo Garzia (nato a Cascina, Pisa) aveva lavorato alla riparazione dell’apparecchio radio danneggiato dall’esplosione. Garzia non pensò mai di allontanarsi.
    Alle 24.22 riuscì a lanciare il primo S.O.S. e a comunicare la posizione della nave. Il messaggio, intercettato da La Maddalena e dal Mafalda, giunse fino a Tolone. Il contatto radio proseguì tra il Tripoli e la stazione radio di Caprera sino alle ore 2.05, quando il Tripoli inviò l’ultimo messaggio di soccorso urgente.
    Alle 2.15 il Tripoli, sollevata la prua in alto, affondò in pochi secondi. L’ufficiale radiotelegrafista Carlo Garzia, che non aveva voluto abbandonare la nave, perse la vita trascinato dal risucchio del bastimento. Gli fu concessa una medaglia d’argento alla memoria con la seguente motivazione.
    Di fronte al nemico ed al pericolo, dava mirabile prova di sangue freddo, tenacia e cosciente abnegazione, rimanendo fino all’ultimo al proprio posto per lanciare segnali di soccorso che permisero ad altre navi di accorrere al salvamento dei naufraghi della propria nave irremissibilmente perduta.
    Scompariva con la sua nave, dando generosamente la vita nel compimento del proprio dovere. Paraggi di Capo Figari, 17 Marzo 1918
    “.
    (D.L. 26 Settembre 1918).

    Marconista Carlo Garzia foto pagina fb Golfo Aranci nascosta - copia
    Per saperne di più si consiglia la pagina Facebook “Golfo Aranci Nascosta” che è tra le più accreditate a fornire particolari in merito, digitando il seguente link:
    https://www.facebook.com/figarolo

  • Attualità,  Lucio Dalla e Padre Pio (www.pierolaporta.it),  Marinai,  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Lucio Dalla e Padre Pio (parte prima)

    di Piero Laporta (*)
    www.pierolaporta.it

    Estratto per gentile concessione dell’autore a www.lavocedelmarinaio.com.
    Per la stesura completa digitare:
    http://www.pierolaporta.it/lucio-dalla-e-padre-pio/#more-10010

    Lucio Dalla fu legato a padre Pio e al Gargano. Un legame limpido e duro, un diamante, di cui oggi rimane la luce.
    L’artista ha d’altronde peculiari complessità che, unite a quelle altrettanto sfaccettate del frate, ne fanno una gemma, le cui facce si sottraggono a un’osservazione complessiva, persino di quanti hanno condiviso pezzi importanti di vita con Lucio. Uno di questi è certamente Michele Bottalico, marittimo di Manfredonia.
    «Cumpe’, come steji? La famiglia sta bene? E i bambini?»
    Michele vorrebbe udire ancora queste semplici domande dalla voce del suo amico Lucio, pronunciate in perfetto dialetto di Mambredònje, Manfredonia. Lucio vernacolava come fosse nato nei vicoli del porto garganico e in una certa misura era proprio così.

    Lucio Dalla e PadrePio f.p.g.c. Piero Laporta a www.lavocedelmarinaio.com
    «Cumpe’, come steji? La famiglia sta bene? E i bambini?» le prime parole di Lucio ogni volta che telefona a Michele o quando s’incontrano dopo un po’ di tempo.
    Michele parla un po’ in italiano e molto in dialetto di Mambredònje, con accento forte e di tanto intanto italianizzato.
    Che cosa hai perso con Lucio? Ammutolisce mentre scorre la moviola di trent’anni di amicizia, lavoro, avventure, fratellanza.
    «Ho perso più che un fratello» Suo fratello Matteo annuisce, seduto accanto a lui, per niente offeso dalla posposizione, condivisa persino. E Michele racconta.
    Per mare con l’Olimpia, trasportando materiali per la residenza di Lucio alle Tremiti, Lucio cercava di chiamare i fratelli a Manfredonia ma il contatto falliva. Ne era lacerato perché la madre era ricoverata in gravi condizioni nell’ospedale di padre Pio, a san Giovanni Rotondo. Invocò Lucio alle Tremiti, con la radio di bordo: «Per favore fatti dire come sta.»
    Lucio attese Michele nel porticciolo di San Domino, a bordo del velocissimo motoscafo d’altura già in moto: «Dai, salta su, ti porto a Manfredonia in un attimo. Oppure faccio venire l’elicottero da Foggia e quando atterri trovi un’auto che ti porta a casa in venti minuti».
    Michele declinò l’una e l’altra offerta. La tristezza di Lucio gli aveva detto prima ancora che parlasse che la fretta era superflua. S’aggrappò al fatalismo dell’uomo di mare; però il ricordo di Lucio, lì ad aspettarlo, prodigo d’aiuto e consolatorio, lo commuove ancora.
    Siamo nel salotto di casa di Matteo, a poche decine di metri dal mare, lungo la riviera dell’«Acqua di Cristo», la sorgente fra gli scogli, dove Lucio dirigeva sovente la sua passeggiata preferita, dall’incrocio fra viale Miramare e via dell’Arcangelo, pochi passi dal Castello e dal chiosco di Tommasino, gelataio leggendario, accanto all’arena Impero, dove Lucio bambino gustava i film gratis dal balcone di casa.
    Se Michele sognasse Lucio nel chiedergli «Cumpe’, chiamami al telefono», egli non esiterebbe un istante, comporrebbe il numero e non si stupirebbe affatto d’udirne la voce: «Cumpe’, come steji? La famiglia sta bene? E i bambini?».
    «Lucio è speciale» Michele ne parla coniugando il tempo presente.
    «È una persona davvero speciale. Prima d’un concerto alle Tremiti, diluviava e il mare in tempesta impediva l’arrivo delle barche e degli spettatori dalla terraferma. Lucio che facciamo? Chiesi in ansia, dimenticando che altre volte, nella stessa situazione, aveva risolto allo stesso modo».
    In quale modo? Chiedo, ma Michele ha già cominciato a rispondere «Non preoccuparti» rispose Lucio «facciamo una preghiera a padre Pio, vedrai che ci aiuterà.»
    Lo aveva fatto altre volte. Lucio si raccolse in una breve e intensa preghiera. Pochi minuti dopo il cielo tornò azzurro, il sole splendeva di nuovo e il mare era calmo. Almeno tre volte Michele ha assistito a episodi analoghi. Succedeva e poi non ne parlavamo più. «Per Lucio fare così era semplice e naturale».
    Aveva 23 anni quando incontrò Lucio per la prima volta alle isole Tremiti, arrivandovi con la sua nave che trasportava il necessario per la vita nelle isole; era l’estate del 1982.
    Riconobbe Lucio sulla banchina del porticciolo di San Domino. Sapeva che vi dimorava.
    Michele non è timido e l’occasione fu ghiotta. Scambiarono qualche battuta e il cantante, com’era usuale, non si sottrasse.
    «Chiunque lo interpelli per strada per parlargli o per un autografo trova Lucio disponibile» Michele lo ripete più volte «Se gli rappresentano un problema di povertà o di malattia, allora lo fa suo concretamente» conclude.
    «Un giorno eravamo per strada insieme a De Gregori. Questo s’era camuffato sotto un giaccone col cappuccio e gli occhiali; fu ignorato dalla gente. Lucio invece lo riconobbero subito e lo circondarono. Non si sottraeva mai; battute, saluti, fotografie, si immergeva nella folla con la stessa beatitudine che gli dava il mare. L’altro stava in disparte, guardandolo un po’ sorpreso ma forse anche con una punta di invidia: Lucio era felice».
    Lucio, che faccio li allontano? Chiese Michele una delle prime volte. «No, no, devo essere grato a questa gente». FINE PRIMA PARTE …CONTINUA

    Lucio-Dalla-visto-da-Milo-Manara

    Piero Laporta per www.lavocedelmarinaio.com(*) Piero Laporta, osservatore delle ambiguità del giornalismo italiano, dal 1994 s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come del resto sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo. Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, non solo italiani (Libero, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi).
    Ha scritto oltre 4mila articoli. Cura le rubriche “Tripwire” per il Corriere delle Comunicazioni (dal 2004) e “Il Deserto dei Barbari” per il mensile Monsieur (dal 2003); collabora col settimanale Il Mondo del Corriere della Sera e con Il Tempo.
    Oggi il suo più spiccato interesse è la comunicazione sul web, fondando il  sito  http://www.pierolaporta.it  per il blog OltreLaNotizia.
    È cattolico, sposatissimo, ha due figli.

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    Il regio incrociatore Partenope (23.12.1889 – 25.3.1918)

    di Antonio Cimmino

    – BANCA DELLA MEMORIA PER NON DIMENTICARE MAI –

    Antonio Cimmino per www.lavocedelmarinaio.comIl regio incrociatore Partenope fu varato nel cantiere navale di Castellammare di Stabia il 23 dicembre 1889.
    Nel 1906 venne trasformato, con sostanziali modifiche anche allo scafo, in posamine con combustione a nafta.
    L’11 maggio 1908 l’unità, in navigazione verso Genova (Capitano di Corvetta Galeazzo Somma Picenardi), fu interessato ai primi esperimenti di radiotelefonia con apparati ideati e messi in opera dall’americano Lee de Forest (inventore del triodo).
    Partecipò alla guerra italo-turca del 1912.
    All’inizio del 1° conflitto mondiale, al comando del Capitano di Corvetta Civalleri era di stanza a Taranto. Durante il conflitto svolse missioni a Tripoli, Durazzo, Valona, Santi Quaranta.
    Nel 1918, al comando del Tenente di Vascello Ernesto Urso, ebbe l’incarico di proteggere il traffico navale tra Napoli e Biserta.
    Il 25 marzo del 1918, al largo di Biserta, la nave fu affondata da un siluro del sommergibile tedesco UC-67 al comando di Karl Otto Helmuth von Rabenau.

    regia nave Partenope - www.lavocedelmarinaio.com

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    Quella volta che imitai il Comandante Brandano

    di Roberto Esposito
    https://www.facebook.com/roberto.esposito.5661

    …riceviamo e pubblichiamo questo curioso racconto. Ci auguriamo  che faccia comprendere ai lettori il rapporto umano che si instaurava nel periodo dove, nel nostro Paese, c’era il servizio di leva obbligatorio.

    Roberto Esposito per www.lavocedelmarinaio-comCarissimo Comandante Giovanni Brandano (*),
    ancora oggi, solo a pronunciare il suo nome,  una leggera brezza di timore mi assale!
    Ricordo sempre  quei poveri impiegati civili che verniciavano di giallo il muro della  nostra caserma e lo facevano con molta tranquillità e con troppa calma.
    Quel giorno, quatto quatto, mi avvicinai dietro di loro, e cercando di imitare la sua voce intimai:
    – “questo muro non è abbastanza giallooooo!”.
    Quei poveretti rimasero per una decina di secondi fermi, senza avere il coraggio di voltarsi indietro. Poi, uno di loro, si volse dietro e quando si accorse che non era il comandante ma un semplice marinaio, dapprima furibondi ma poi, svanita la tensione, iniziarono a ridere a crepapelle.

    Il Comandante Giovanni Brandano f.p.g.c. a www.lavocedelmarinaio.com

    Ricordo ancora quando Tiragallo Antonio, un commilitone, Le raccontò il fatto  e Lei mi convocò nel suo ufficio:
    – “imitami! Coraggio imitami!
    Mi venne un groppo in gola, non riuscivo ad emettere nessun suono, nessuna sillaba fino a quando Lei esclamo:
    – “non voglio più incazzarmi. Tu cazzierai le persone per me”.
    Seguirono i “cazziatoni” ai vari Bomboi, Unida. Eravamo in mensa, momenti di ilarità, di risate sincere, momenti di aggregazione indimenticabili.
    La frase di Lei che però mi colpì e che non scorderò fu:
    – “un vero marinaio deve prendere un mulo per la coda e tirarlo per 50 metri!”
    Avevo compreso quello che voleva dirmi.
    È stato un onore conoscerla ed un piacere avere condiviso momenti seri, di difficoltà, ma anche  piacevoli.
    Grazie, grazie di tutto, Lei sarà sempre per me il Comandante Giovanni Brandano.

    Roberto Esposito f.p.g.c. a www.lavocedelmarinaio.com

    (*)  https://www.facebook.com/giovanni.brandano.7