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    Torpedine

    di Franco Iaccarino‎
    https://www.facebook.com/franco.iaccarino.5

    Ciao Ezio, dal momento che tutti i miei che hanno vissuto nella Regia Marina hanno dovuto condividere la sorte a contatto dei siluri, ho pensato che un accenno a quella che fu una delle armi più temute sia meritevole di qualche riga, demandando a chi è più esperto di me di scendere in dati specifici.

    Breve storia della torpedine
    Prove di lancio della regia Marina nel 1930 f.p.g.c. Fanco IaccarinoIn ambito navale, il termine “torpedine” fu usato per la prima volta da Robert Fulton che nel 1805 circa chiamò la polvere da sparo su una zattera trainata dal sommergibile Nautilus per dimostrare che potesse affondare navi.
    Nel 1875 l’ingegnere inglese Robert Whitehead aveva aperto a Fiume la “Torpedo Fabrik von Robert Whitehead” pensando ad un ordigno filoguidato per difendere le coste dalle incursioni navali che chiamò SALVA COSTE.
    La prima torpedine o siluro Whitehead fu lunga 5,8 metri con diametro di 457 mm, di acciaio lucidato e bronzo al fosforo, con una testata di 90 kg. di fulmicotone che con aria compressa a 90 atmosfere muoveva due eliche mediante un motore Brotherhood a tre cilindri. Il siluro aveva una forma della coda tale che poteva essere lanciata da altezze superiori a 2,5 m. sul mare a viaggiava fino a 500 m. con velocità 32 nodi oppure a 800 m. con velocità di 26 nodi.
    Una fabbrica era sorta grazie ai fondi anticipati dalla Marina Imperiale Tedesca che voleva assicurarsi la fornitura di siluri, lanciasiluri e compressori per 10 anni con torpedini diametro 381 mm. che furono acquistate anche da Danimarca, Norvegia e Svezia ed in seguito da Russia e negli anni seguenti anche da Argentina, Cile, Belgio, Grecia e Portogallo.
    Dopo i primi anni la fabbrica era diventata una Società che nel 1907 stipulò un accordo con l’Italia per aprire un’officina a La Spezia e nel 1914 una anche a Napoli con la denominazione Società Anonima Italiana Whitehead che oltre ai siluri provvedevano anche alla produzione di lanciasiluri e compressori.
    Nel 1940 vi erano questi tipi: (la lettera è l’iniziale della fabbrica, il primo numero indica i Kg di tritolo, il secondo il calibro, il terzo la lunghezza in metri):
    – W/270/533/7,2 per sommergibili, incrociatori e cacciatorpediniere;
    – W/270/533/6,84 per sommergibili;
    – W/200/450/5,75 per sommergibili e torpediniere;
    – W/170/450/5,46 per Mas e aerei;
    – SI/270/533/6,84 per sommergibili;
    – SI/170/450/5,25 per torpediniere, Mas e aerei.
    La scelta della Propulsione, delle Classi e delle Dimensioni furono relative alle valutazioni che ciascuna Marina Militare mise in atto in relazione alle proprie disponibilità economiche.

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    Sabotaggio e incendio motonave Fella (30.3.1941)

    Notizie integrative per il Piroscafo Fella
    di Claudio53
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2015/03/30-3-1941-sabotaggio-e-incendio-motonave-fella/

    Incrociando alcuni dati con siti tedeschi posso confermare che la nave che si vede in fiamme nella fotografia, insieme al piroscafo italiano Fella, è il piroscafo tedesco da carico Eisenach unità della Classe Minden da 6515 tonnellate. Fu costruita in Germania nel 1921 nei cantieri Stettiner Vulcan in Stettino per la N.D.L. (North German Lloyd).

    Eisenach - www.lavocedelmarinaio.com
    La compagnia fu fondata a Brema il 20 febbraio 1857 da Hermann Meier Henrich e Eduard Crüsemann ed era una delle più importanti compagnie di navigazione tra la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo.
    Il nome originario del piroscafo era Alda. Nel 1939 con la Roland Linie di Bremen prese il nome di Eisenach. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la nave rimase bloccata a Puntarenas, in Costarica. Fu incendiata dall’equipaggio il 30 marzo 1941. Mentre il Fella subì ingenti danni che non consentirono il suo recupero, gli USA riuscirono a recuperare l’Eisenach che dal novembre del 1941 fu impiegata con il nome Oceania dalla Cia. Nel 1943 il suo nome è stato modificato in Ultramarino e nel 1951 è stata riconsegnata al primo proprietario la NDL che la impiegò con il nuovo nome di Traunstein. E’ stata demolita nel 1960 dalla Eisen & Metall a Wilhelmshaven, in Germania.

    Piroscafo Porta

  • Attualità,  Lucio Dalla e Padre Pio (www.pierolaporta.it),  Racconti,  Recensioni,  Storia

    Lucio Dalla e Padre Pio (parte seconda)

    di Piero La Porta (*)
    www.pierolaporta.it

    La prima parte si può leggere su:
    https://www.lavocedelmarinaio.com/2015/03/lucio-dalla-e-padre-pio-parte-prima/

    Duello in dialetto
    Michele, incontrando Lucio la prima volta alle Tremiti, vi fece un’indimenticabile pessima figura; lo ricorda con molto divertimento.
    Colpito dalla bassa statura di Lucio, forse in qualche modo deluso che il suo aspetto fosse di gran lunga più modesto della sua fama, si lasciò andare con la sfrontatezza del giovane uomo di mare, a tentare il colpo basso alla celebrità. Quella sera si sarebbe vantato con gli amici e ne avrebbero riso: lui, Michele Bottalico, il marinaio, aveva preso in giro Lucio Dalla, il celebre cantante.
    Presunse di conoscere il dialetto, un dialetto molto difficile, ben più del cantante e partì all’attacco: «Madò! Quant si’ brutte!» Madonna, quanto sei brutto.
    Lucio, senza esitazione restituì il colpo come fosse pescatore di Mambredònje, nato a via Maddalena, sul porto: «Jü? A verè tu quant se’ brutte!» Io? Dovresti vederti, quanto sei brutto. Accento perfetto e sfoderò un bel sorriso canagliesco, come avesse fatto filotto da dodici al biliardo.
    Lucio Dalla e PadrePio f.p.g.c. Piero Laporta a www.lavocedelmarinaio.com
    Volevo nascondermi, ricorda Michele, volevo diventare invisibile mentre Lucio ghignava divertito e lo incalzò: «Guagliò! Vini qua, vì vì vì…» Ragazzo, vieni qui, vieni vieni vieni, col braccio teso e quattro dita, unite su e giù, gestualità tipica da pescatore.
    «Ma tu sì de Mambredònje?»
    «Sì, sì » Michele era oramai catturato «So’ de Mambredònje…»
    «Bravo, allora la prossima volta che vieni devi portarmi gli scavetatjille, due, tre chili di scaldatelli. Però mi raccomando solo quelli da via della Croce, da Nella, solo quelli di Nella. Ogni volta che vieni purteme le scavetatjille. Me’ capìte?».
    Gli scaldatelli, taralli di varie forme e dimensioni a seconda delle varie contrade garganiche, sono composti solo di acqua, farina e un po’ d’olio. Talune varianti lussuose annoverano il vino. Di zucchero e lievito neppure l’ombra. La semplicità della ricetta esige maestria da chi li confeziona e assoluta genuinità delle materie prime affinché il risultato finale sia di gran sapore, friabile ma non fragile, deliziosamente gustoso e fragante.
    Come faceva quell’accidente di polentone bolognese a sapere che gli scaldatelli di Nella sono i migliori del Gargano e quindi del mondo?
    Lucio, incurante del suo sbigottimento, gli dette il numero di telefono, stabilendo un contatto che non si sciolse più, affidando al giovane marinaio incarichi mano a mano più importanti, fino a farne autista, braccio destro e comandante della sua barca; l’amico infine che lo seguiva ovunque.

    Zingarando sul Gargano, con un punto fermo
    Gargano, Santa Maria di Pulsano…
    Un paio di settimane prima dell’ultimo viaggio telefonò da San Severo; nevicava.
    «Michele, mi porti in giro? Dai, prendi la jeep».
    Come sempre, quando lo spettacolo finiva, spenta l’ultima luce, dissoltosi l’ultimo accordo, saliva la smania di cercare nella notte per lenire i tumulti interiori.
    Andarono ad Apricena, cenarono, da lì scesero a Manfredonia, poi a San Giovanni Rotondo, a notte tarda, per il solito giro intorno al convento.
    Padre Pio aveva ancora un rapporto speciale con Lucio – Michele ebbe modo di scoprirlo – un rapporto vivo e attuale, nonostante i lunghi anni trascorsi dalla morte del frate.
    Le zingarate sul Gargano, apparentemente senza meta, sempre comprendevano un passaggio notturno al convento di padre Pio.
    Mentre l’auto andava, l’umore di Lucio mutava. Michele intuiva quando il passeggero aveva bisogno di parlare, quando di silenzio.
    Cercavano il mare e il cielo, la terra e la velocità: «Come la volta da Termoli a San Severo, in venti minuti, duecentoquaranta all’ora, che neanche Nuvolari» Michele ha lo sguardo lontano.
    In una sera così, Lucio lo soprese: «Io ho un unico punto fermo, Gesù Cristo».
    I concerti li portavano in ogni dove e ovunque Michele aveva una missione prioritaria: cercare la chiesa dove Lucio potesse confessarsi, ascoltare la Santa Messa e ricevere l’Eucarestia.
    «Io sono cattolico» Lucio lo ripeteva ogni volta che poteva e ne dava prova, come nel 1994, quando nato Paolo, il primogenito di Michele, Lucio si candidò padrino.
    Michele avrebbe scoperto negli anni successivi che Lucio fu padrino d’innumerevoli bambini, anche fra gli zingari dei campi bolognesi. Un bambino portato al battistero per Lucio fu gioia cercata e ripetuta.
    «Io sono cattolico, te lo battezzo io, te lo battezzo io» Lucio lo ripeté a Michele da quando seppe che Chiara era incinta. Lucio era così: negli appuntamenti cruciali della vita si metteva in prima, seconda o ultima fila, come la sua sensibilità gli suggeriva.
    «Quando morì mio padre, presumevo che non lo sapesse» ricorda Michele, mentre Matteo annuisce commosso «Senz’aspettarcelo vedemmo la sua auto unirsi al corteo funebre» che a Manfredonia usa far transitare davanti alla casa del defunto, per un ultimo saluto «Mentre andavamo dalla chiesa della Croce verso casa, forse a causa del traffico, alcuni amici di Manfredonia si persero, distaccandosi dal corteo, Lucio invece lo seguì con disinvoltura, come fosse nelle strade del suo paese».
    I cortei delle auto, funebri o festosi, sono tuttora ricorrenti nel traffico di Manfredonia, la cui intensità spesso non ha nulla da invidiare a quello d’una metropoli. Un corteo di gran lunga più festoso si formò quando battezzarono, Paolo, il sospirato primogenito di Michele e Chiara, atteso ostinatamente per sedici anni. Era tutto pronto per la cerimonia nella chiesa di Santa Maria Regina, a Siponto, il quartiere balneare a sud di Manfredonia, fra pinete ed eucalipti.

    Lucio-Dalla-visto-da-Milo-Manara
    Lucio fa piangere il parroco
    Gargano, Vignanotica.
    Monsignor Valentino Vailati, arcivescovo di Manfredonia, s’era detto volentieri disponibile per il rito. Il prelato però ebbe un serio problema all’ultimo momento e dovette rinunciare.
    «Nooo, assolutamente non è possibile» rispose don Mario Carmone parroco della chiesa della Croce e zio di Chiara, quando Michele propose allo zio di celebrare in luogo del vescovo «Impossibile, il battesimo è sacro! Il padrino non può farlo un teatrante».
    Ma com’era possibile? Il vescovo non obiettava e invece don Mario, per giunta zio della madre del battezzando, non voleva Lucio come padrino. Don Mario d’altronde era davvero un buon prete, bisognava comprenderlo e, proprio per questo, rifiutava che il padrino di Paolo fosse un cantante, addirittura Lucio Dalla: «Impossibile, il padrino deve essere un cattolico convinto e praticante!»
    Michele, dal carattere un sanguigno, avrebbe volentieri mandato don Mario a quel paese. Questo avrebbe però amareggiato Chiara, l’avrebbe costretto ad annullare la cerimonia e rimandare delusi i numerosi invitati, mutando la festa in funerale. Si fece dunque animo per convincere il parroco: «Secondo voi, il vescovo non aveva accertato le qualità del padrino prima di accettare di battezzare Paolo?» chiese a don Mario e, mentre lo zio esitava, aggiunse «Che cosa direbbe monsignore della presa di posizione del parroco, dal momento che lui, l’arcivescovo, non obiettò nulla?»
    Don Mario, anche grazie all’intervento di Chiara, dopo molte insistenze si rassegnò obtorto collo, un po’ perché spinto dai legami familiari, soprattutto perché l’assenso iniziale dell’arcivescovo non gli lasciava vie di fuga.
    Iniziato il rito, don Mario dovette ricredersi ben presto, osservando quanto fossero puntuali e pieni della sua Fede i gesti di Lucio e le sue parole in risposta al celebrante; si sarebbe detto, non conoscendolo, che Lucio fosse un sacrista di professione. Tutti i presenti ne erano stupiti, tranne Michele. Don Mario, a sua volta, era più sorpreso di tutti, notando di sottecchi la solenne compostezza e la profonda partecipazione al rito del suo celebre chierichetto, con quanta mistica gioia s’accostò all’Eucarestia.
    Dopo l’Ite missa est, gli invitati si strinsero festosi al neocatecumeno e al celebre padrino, non si sa quale dei due più bersagliato dai flash, mentre Michele, al settimo cielo, si recò in sacrestia per ringraziare don Mario.
    Grande la sorpresa quando scoprì il coriaceo parroco, ancora coi paramenti sacri, singhiozzante a calde lacrime: «In tanti anni di sacerdozio mai ho visto servire e seguire la Santa Messa con la partecipazione e la fede di Lucio Dalla».
    S’abbracciarono e fu uno dei giorni più felici per don Mario e per Michele, altrettanto commosso ma non sorpreso, ben sapendo che l’uomo che serviva la Santa Messa era tutt’altro, del tutto differente e staccato dall’uomo di spettacolo, dal Lucio conosciuto dal pubblico. Il suo gesto rimaneva semplice ed essenziale, eppure ergeva una solennità che non lasciava dubbi circa la profonda e umile partecipazione nel servire per fare memoria del sacrificio di Cristo.
    Nel ricordo, con le parole semplici di Michele, s’avverte che nel servire la Santa Messa, Lucio frapponeva fra sé e il mondo rimanente una sorta di iconostasi, laddove un attimo prima era stato felicemente e sinceramente immerso fra la gente, rivolgendosi a Dio, tutto il resto era in second’ordine.
    (fine seconda parte…continua)

    Estratto per gentile concessione dell’autore a www.lavocedelmarinaio.com.
    Per la stesura completa digitare:
    http://www.pierolaporta.it/lucio-dalla-e-padre-pio/#more-10010

    Piero Laporta per www.lavocedelmarinaio.com(*) Piero Laporta, osservatore delle ambiguità del giornalismo italiano, dal 1994 s’è immerso nella pubblicistica senza confinarsi nei temi militari, come del resto sarebbe stato naturale considerando il lavoro svolto a quel tempo. Ha collaborato con numerosi giornali e riviste, non solo italiani (Libero, Il Giornale, Limes, World Security Network, ItaliaOggi).
    Ha scritto oltre 4mila articoli. Cura le rubriche “Tripwire” per il Corriere delle Comunicazioni (dal 2004) e “Il Deserto dei Barbari” per il mensile Monsieur (dal 2003); collabora col settimanale Il Mondo del Corriere della Sera e con Il Tempo.
    Oggi il suo più spiccato interesse è la comunicazione sul web, fondando il  sito  http://www.pierolaporta.it  per il blog OltreLaNotizia.
    È cattolico, sposatissimo, ha due figli.