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12.9.1943, ricordando Andrea Mansi

a cura Antonio Cimmino



…vittima dell’odio nazista ucciso per ritorsione.




Il 12 settembre 1943 rientrava dalla licenza per recarsi all’ospedale di Fuorigrotta a Napoli.
La città era in agitazione perché dopo l’armistizio di Cassibile e il successivo proclama del maresciallo Badoglio non aveva una guida sicura. I cittadini erano allo sbando, come del resto in altre parti d’Italia, e molti militari preso atto della caotica situazione optarono per la diserzione.
Con l’avanzata da sud degli alleati anglo-americani e la ritirata verso nord delle truppe tedesche, i generali nazisti diedero ordine di rastrellamenti, assedi ed instaurare quel clima di terrore con l’ordine di fucilare coloro che si opponevano al regime.
Antonio Mansi fu barbaramente trucidato, in questo clima di odio, sulla soglia dell’università partenopea, divenuta centro di anti nazi-fascisti.
L’università Federico II fu meditatamente scelta per ammonire la popolazione napoletana. 
Dapprima fu incendiata e, al culmine del rogo, Andrea Mansi fu forzato ad entrare dal portone e poi ulteriormente sventrato anche da una cannonata per essere arso vivo nell’atrio in fiamme.
Tirato a fuori dall’atrio, fu legato ad una delle porte roventi per essere facilmente visto dalla folla mentre urlava agonizzante, col metallo che gli ustionava la schiena. Alla cruenta esecuzione furono costretti ad assistere numerosi civili ai quali venne dato l’ordine di inginocchiarsi sotto la minaccia delle mitragliatrici, e guardare i soldati tedeschi che sparavano al Mansi che gemeva ed infine, alla sua morte, ad applaudire. I cine operatori della Gestapo riprendevano l’esecuzione…
Di che cosa era accusato? Di avere attentato alla vita di un militare tedesco.
In realtà non si dissociò della divisa che ancora indossò fino all’estremo sacrificio e al giuramento alla Regia Marina.

LA STORIA
Era l’alba del 12 settembre 1943. Un giovane marinaio di leva di Ravello, Andrea Mansi, classe 1919, faceva ritorno a Napoli, dove prestava servizio presso l’ospedale militare di Fuorigrotta, dopo una licenza breve. Prima di lasciare Ravello, quel giovane, dalla profonda devozione verso la Madonna, si incaricò di suonare a distesa le campane della chiesa parrocchiale del Lacco, il suo rione, nel giorno della ricorrenza del Santissimo Nome di Maria Vergine. Ma Andrea era all’oscuro di ciò che sarebbe accaduto in serata nel capoluogo partenopeo. Alle 18 e 30 Dwight D. Eisenhower, rese nota l’entrata in vigore dell’Armistizio di Cassibile (armistizio breve, già siglato il 3 settembre) e confermato poco più di un’ora dopo, alle 19 e 42, dal proclama del maresciallo Pietro Badoglio trasmesso dai microfoni dell’EIAR. Le forze armate italiane, come in tutto il Paese, a causa della mancanza di ordini dei comandi militari si trovarono allo sbando anche a Napoli. A Napoli la situazione, già difficile per i bombardamenti subiti e per lo squilibrio delle forze in campo (oltre 20mila tedeschi a fronte di soli 5mila italiani, in tutta la Campania), ben presto divenne caotica per la diserzione di molti alti ufficiali, incapaci di assumere iniziative se non addirittura conniventi con i nazisti, cui seguì lo sbando delle truppe, incapaci a loro volta di difendere la popolazione civile dalle angherie tedesche. Il 12 settembre i tedeschi decidono di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città. Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Walter Schöll l’ordine di non lasciare la città e in caso di avanzata delle truppe anglo-americane di non abbandonarla prima di averla ridotta “in cenere e fango”. Fu allora che proprio il 12 settembre, il colonnello Schöll, assunto il comando delle forze armate occupanti nella città partenopea, proclamò il coprifuoco e dichiarò lo stato d’assedio con l’ordine di passare per le armi tutti coloro che si fossero resi responsabili di azioni ostili alle truppe tedesche, in ragione di cento napoletani per ogni tedesco eventualmente ucciso. Ma il proclama (nella foto) venne reso noto soltanto il giorno successivo. Dopo alcuni minuti di bombardamento a scopo terroristico, i tedeschi penetrarono nelle case e cominciarono l’opera di saccheggio, di violenze e di distruzione. Gli abitanti venivano cacciati fuori, spogliati di ogni loro avere, incolonnati e costretti ad assistere all’incendio delle loro abitazioni. Anche l’Università venne invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L’obbiettivo non era scelto a caso, i tedeschi sapevano che dopo il 25 luglio l’Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell’antifascismo. Giunto presso l’Ospedale di Fuorigrotta Andrea Mansi non trovò nessuno. Erano spariti tutti. Non sapendo cosa fare, ma soprattutto non essendo a conoscenza di ciò che a Napoli stava accadendo (veniva da alcuni giorni di licenza e in tanti, parenti e amici gli avevano consigliato di non fare ritorno a Napoli), si diresse verso il centro, vestito della divisa militare S.E.B. (servizio estiva bianca) della Regia Marina, speranzoso di incontrare qualche suo commilitone, magari quel Luigi Nappo di Gaeta con il quale aveva un rapporto privilegiato. Ma riconosciuto dalla bianca divisa Andrea venne fatto prigioniero, ingiustamente accusato di aver attentato alla vita di un militare tedesco. Fu questo il vile pretesto per poterlo subito giustiziare, proprio come accadde per tanti altri innocenti militari italiani. Il 12 settembre il 24enne marinaio di Ravello venne condotto sul patibolo della soglia della sede centrale dell’Università Federico II ancora in fiamme per essere giustiziato. Alla cruenta esecuzione furono costretti ad assistere numerosi civili, ai quali venne dato ordine di inginocchiarsi ed applaudire alla sentenza, sotto l’occhio di una macchina da presa della Gestapo.

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