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Enrico Miccoli

di Marino Miccoli (*)

Enrico Miccoli, classe 1917, era il quarto di sei figli, originario di Spongano, un piccolo centro del Salento.
Svolse il servizio militare di leva nella Regia Marina, proprio come avvenne per altri due suoi fratelli maggiori, Giovanni (cl. 1912) e Antonio (cl. 1910). Quest’ultimo era mio padre che nel 1929 scelse di entrare in Marina dove fece carriera (1). A quell’epoca non era inusuale che più componenti di una stessa famiglia fossero chiamati a prestare servizio nella medesima forza armata e per la famiglia di mio padre evidentemente questa era la Regia Marina.

Enrico Miccoli fu chiamato alle armi nel 1935, proprio all’inizio della guerra Italo-etiopica e per questo fu inviato in Africa. Ma non è della sua permanenza nelle Colonie africane che desidero scrivere in questo mio articolo.
L’argomento è costituito dalla narrazione fattami direttamente da mio zio riguardante le vicende e vicissitudini che lui visse, allo scoppio della seconda guerra mondiale, quando si trovava in Albania (allora facente parte del Regno d’Italia). Enrico fu distaccato al Comando Di.C.A.T. (Difesa Contraerea Territoriale) di Durazzo, una bella cittadina situata sulla costa orientale del basso Adriatico, di fronte a Bari città capoluogo della Puglia.
A quell’epoca l’organizzazione militare stabiliva che i Comandi della Di.C.A.T. riassumevano interamente l’organizzazione contraerea della località in cui avevano sede. Enrico aveva la qualifica di S.D.T. ovvero Specialista Direttore Tiro e pertanto la difesa costiera era uno degli ambiti in cui operavano i Marinai appartenenti alla sua categoria. Disimpegnava con passione ed attenzione il suo incarico, e direi che gli veniva quasi naturale affrontare quella materia riguardante le armi ed il tiro perché proveniva da una famiglia in cui vi era una certa dimestichezza con le armi, in quanto sia suo padre Pietro, i suoi fratelli Antonio, Giovanni, Amedeo e lui stesso erano dei cacciatori.

Quando l’8 settembre 1943 fu firmato l’armistizio con gli anglo-americani, si trovava a Durazzo. Come gran parte dei suoi commilitoni si trovò improvvisamente a decidere (anche in assenza di ordini chiari e disposizioni dai suoi superiori) se rimanere al Comando Di.C.A.T. rischiando in tal modo di essere fatti prigionieri dai tedeschi, di essere internati se non addirittura di essere passati per le armi, oppure di allontanarsi per sfuggire alla cattura ormai certa. Fu così che per sfuggire alla caccia che i tedeschi infuriati davano a tutti i militari italiani (giudicati traditori) con altri suoi commilitoni si allontanò dal Comando. Si rifugiarono nell’entroterra, all’interno di un cimitero e quando anche in quel luogo giunse una pattuglia tedesca in azione di rastrellamento, Enrico si lanciò in una fossa, una sorta di ossario e per non farsi trovare si coprì con i corpi in decomposizione dei morti e vi rimase per diverso tempo. Quella sua astuta mossa di occultamento, sebbene gli consentì di sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi, per lui fu però causa della perdita definitiva dell’olfatto. E durante la sua permanenza in Albania ebbe anche ad ammalarsi di malaria, una patologia non poco diffusa in quella terra a quell’epoca.Tornato in Italia, appena congedato, nell’immediato secondo dopoguerra, aprì un apprezzato studio fotografico a Spongano laddove mise a frutto l’esperienza che aveva maturato in quel settore durante la sua permanenza in Albania.
Ad Enrico Miccoli e a tutti i Marinai che durante il secondo conflitto mondiale vissero quelle tragiche quanto dolorose vicende vada oggi e sempre il nostro deferente pensiero.
Da parte mia che sono suo nipote, nel narrarvi con commozione oggi quanto Egli mi ha raccontato, al compianto zio Enrico rivolgo un caro pensiero carico di sincero affetto e riconoscenza.

(*) per conoscere gli altri suoi articoli digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.
(1) per conoscere la sua storia digita sul motore di ricerca del blog il suo nome e cognome.

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