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Voglia di aMare

di Giorgio Gianoncelli (*)

Durante l’anno scolastico del 1942 ho il primo incontro con la divisa della Marina italiana, per il semplice fatto che un ragazzo mio coetaneo e vicino di casa, nei giorni festivi veste alla marinara. Ho sette anni, abito nella contrada (quartiere per i cittadini) più vivace del Comune di Tresivio che si trova nella provincia di Sondrio, a quota 600 m sulla sponda destra del fiume Adda e frequento la seconda classe elementare.
Francamente della guerra in corso, e come me i miei coetanei, non ce n’accorgiamo affatto, tanto sono prevalenti gli interessi al gioco piuttosto che allo studio o alle cose degli adulti. Dell’assenza permanente del marito di mia madre, mobilitato per la guerra e dai discorsi che sento fare tra parenti e conoscenti, comincio ad intuire che in qualche luogo molto lontano da noi c’è qualche cosa di diverso dalla normale vita quotidiana tra familiari, persone della contrada e quelle del paese. È la guerra. Intuisco allora che nella guerra ci sono i soldati che sparano con il fucile come i cacciatori alle lepri, ma con tutto il rispetto dovuto, data l’età, poco mi riguarda perché sono molto più interessato al vestitino alla marinara del mio compagno ed al gioco delle “cicche” con gli amici.


Il vestitino alla marinara m’intriga molto, in particolare mi attirano il cordoncino bianco e il schietto appeso ad una lucida catenella; confesso che spesso mi viene il desiderio di farmeli dare e non escludo di averglieli chiesti.
La mia famiglia non vive nell’agiatezza, mia madre è titolare di un negozietto di sali e tabacchi e, da quanto ho saputo più tardi, a causa della guerra i prodotti per la vendita sono razionati, il sale manca sempre e la maggioranza dei potenziali clienti fumatori è in guerra, pertanto, lo scarso guadagno giornaliero serve appena per sbarcare il lunario, quindi, non mi è possibile chiedere in regalo un tale vestitino, così, per alcuni anni vivo con il desiderio di vestire… alla marinara.
Nell’anno 1945 termino la scuola elementare e, attraverso gli avvenimenti 1943/45, maturo una precisa cognizione del momento. Tanto per cominciare in terza elementare mi rifiuto di indossare la divisa di figlio della lupa, ma non per ragionamento, credo, per un semplice fatto istintivo, forse dovuto agli incontri negativi con alcuni caporioni fascisti che indossano un camicione nero e lucidi stivaloni che mi mettono paura; sono obbligato a fare il saluto alla romana, cosa che non amo fare. Poi la presenza in paese di molti Patrioti (Partigiani), i discorsi delle persone adulte ed in seguito alcuni tragici avvenimenti che hanno colpito la comunità, credo che abbiano cominciato a formare il mio giovane pensiero verso una direzione ben precisa, con molto riferimento al Risorgimento garibaldino più che mazziniano e di sicuro indirizzo repubblicano.

Devo dire che lo studio della storia mi ha sempre attirato e gli avvenimenti del periodo, forse anche inconsciamente li ho assorbiti, metabolizzati e nel tempo, anche concretamente analizzati.
Il secondo incontro con la divisa dei marinai è avvenuto tra la tarda primavera e l’estate dell’anno 1945. Come ho già detto abito nel Comune di Tresivio con la casa proprio di fianco alla strada principale che porta agli ospedali sanatoriali nelle località di Alpemugo e Prasomaso a quota 1.200/1.250 m, dove, dalla tarda primavera di quell’anno no alla ne dell’estate tutti i giorni a mezzogiorno e la sera alle diciotto, passa l’autocorriera stracarica di soldati per essere ricoverati in quegli ospedali; molti di questi sono in divisa di marinaio. Il passaggio dei soldati che salutano dai finestrini del mezzo di trasporto o addirittura dal tetto dove sono stipati tra i bagagli, i marinai che agitano il berretto, mi danno una strana sensazione e nel mio intimo sento il desiderio di rendere loro qualche cosa: forse, è un segno premonitore.
Intanto cresco e con il ritorno a casa dei soldati la vita delle famiglie si ricompone: anche se non tutti gli uomini purtroppo sono tornati dalla guerra, molti reduci ritornano al lavoro agricolo, altri in cerca di lavoro diverso e tutte le famiglie hanno bisogno di sistemare tutto.
Dopo il mese di maggio dell’anno 1945 gli animi si placano, chi ha subito delle ingiustizie nel corso degli ultimi mesi di guerra, pur nel suo dolore, ha messo il cuore in pace e quelli che le avevano fatte subire, bontà loro, sono scomparsi dal paese.
Un bel giorno anche per me arriva il momento di fare delle scelte. A scuola non sono stato negativo, ma nemmeno tra i migliori, sono frenato dall’aritmetica, le frazioni mi fanno impazzire e la scelta è: smettere o continuare, sono spaesato e confuso. Mia madre con suo marito m’invitano a continuare seriamente, ma la mia caparbietà è più forte del loro desiderio, allora la mamma prende una decisione che mi va bene: mi iscrive ad un doposcuola che chiamano sesta elementare. È questa un’iniziativa sperimentale organizzata per scolari un po’ asini come me, utile per colmare lacune precedenti, ma per questo corso la Direzione scolastica non rilascia attestati di frequenza se non per una richiesta ben motivata; in ogni caso, frequento il corso con profitto, in seguito, un corso di disegno tecnico e sono abbastanza bravo; in ne, una scuola per corrispondenza che abbandono a metà del corso. Tutto questo studiare sconclusionato mi è ugualmente utile, anche se non riconosciuto per attestati di qualifica.

Gli anni passano e il ragazzo ch’è dentro di me cresce.
Tutta la Nazione è in fermento politico, nel periodo estivo, nelle ore serali e nei giorni festivi, i comizi sulle piazze sono frequenti, richiamano molte persone e i ragazzi sono presenti in gran numero. Gli oratori tutti usciti dall’esperienza della guerra hanno tante cose da raccontare, io non perdo un comizio di Giulio Spini, di Ezio Vanoni e del Comandante “Foglia” (Franco Zappa), ma di più lo Spini: la sua veemenza oratoria e i suoi argomenti mi entusiasmano, per di più, sventola un ciuffo di capelli corvini che sembra il piumetto del copricapo dei bersaglieri e soprattutto le sue parole mi danno il senso dell’azione operativa nella costruzione della libertà, nella direzione politica da lui prospettata che riguarda l’uguaglianza sociale ed economica. È un oratore gagliardo e chiaro (politicamente non gli è andata molto bene, perché altri politici, maliziosi, che non amano tanto la sua proposta popolare e popolana lo hanno contrastato anche in modo non troppo leale).
Dopo le mie titubanze e le mie sconquassate vicende scolastiche, mi trovo un giorno nella bottega di una importante Impresa elettrica della città di Sondrio, la ditta “Butti Ida”. Imparo l’attività di elettricista e ho due buoni maestri: Italo Ciampini e Quinto Gilardi, ai quali sono ancora oggi riconoscente e legato di amicizia, come sono per i titolari della ditta.
Un mattino percorrendo la strada dalla stazione ferroviaria alla sede della ditta, vedo un manifesto con un aereo che vola nel cielo azzurro, è dell’Aeronautica; leggo e leggo bene, che per presentare la domanda bisogna avere diciassette anni, io ne ho sedici ma provo lo stesso; salgo al Distretto militare su al castello Masegra, il maresciallo, che è proprio dell’aviazione mi dice: “Ragazzo! presentati il prossimo anno e vedremo cosa fare”. Due giorni dopo appare sui muri della città un altro manifesto, è della Marina Militare: rappresenta il braccio di un marinaio con l’uniforme bianca, cha porta in mano una valigetta e in trasparenza nella valigia si vede una nave a vela che solca il mare, con la scritta: “Imparerai un mestiere e girerai il Mondo ”.
In quel momento mi riappare il vestitino alla marinara del mio giovane amico e la divisa dei veri marinai reduci dalla guerra: il desiderio è diventato frenesia e la volontà di vedere almeno il mare e qualche città italiana mi ha messo una tale euforia in dosso, al punto che mia madre, in quel momento, s’è preoccupata della mia salute mentale.
Devo anche dire che l’attività sportiva di allievo “ciclista” che avevo intrapreso in quegli anni di crescita, ha accantonato in qualche angolo del cervello la visione della divisa dei marinai, ma la vista di quel manifesto ha risvegliato tutti i sentimenti accumulati negli anni da poco tempo passati.
Al manifesto si è aggiunto la presenza in paese di un ufficiale della Marina Militare, il Capitano di Corvetta Franco Traverso, figlio di Donna Maria Pia Guicciardi, in quel momento ospite della famiglia materna. Incontro spesso nelle sue passeggiate l’ufficiale che, informato del mio desiderio, mi dà consigli e stimola la mia curiosità con alcune sue storie importanti. Una volta incontro in divisa il Sergente di Marina Erminio Mauro che mi racconta alcune sue vicende della guerra e diventiamo amici per tutta la vita.
In un battibaleno raccolgo tutta la documentazione necessaria, ci vuole la visita preliminare d’idoneità sica di un ufficiale medico delle Forze Armate, ho la fortuna, per mezzo del Segretario Comunale Ragioniere Pietro Luzzi di trovare il Colonnello Medico dr. Leandro Giuliani di Ponte in Valtellina, ma quello che mi mette in apprensione è l’attestato di frequenza alla I classe del- la scuola d’avviamento o media, che io non ho e senza quell’attestato la mia richiesta non è accolta. Non mi perdo d’animo: chiedo alla Direzione della scuola per corrispondenza l’attestato di frequenza che, dopo aver sostenuto sempre per corrispondenza l’esame necessario, mi ha rilasciato, chiedo anche alla Direzione scolastica la dichiarazione della frequenza della sesta classe elementare che ottengo, in ne spedisco tutta la documentazione al Ministero della Marina di Roma. Ho qualche timore proprio per via del mancato attestato scolastico e in realtà, sono passati quattro mesi tra l’invio della domanda e la conferma favorevole o meno di poter affrontare l’esame del concorso, ma un giorno, verso la ne di febbraio dell’anno 1952, arriva una lettera dalla Marina Militare con l’invito a presentarmi a Venezia entro il 12 marzo dello stesso anno. La gioia di affrontare il mio primo lungo viaggio in treno, da solo, vedere Venezia come prima importante città d’Italia, è una sensazione meravigliosa, e Venezia, è sempre rimasta nel mio cuore.
Esco dalla stazione ferroviaria di Venezia alle ore sei di una giornata limpida, i bagliori del mattino brillano sull’acqua del canale e le punte degli alberi delle imbarcazioni ormeggiate sembrano stelle. In acqua e sulla banchina è gran trambusto di navicelle e continuo via vai di gente, richiami ad alta voce, ruggito di motori dei traghetti passeggeri in manovra, insomma, un meraviglioso movimento che non avevo mai visto; immagine di grandi colori visti solamente sui libri di scuola o sui pochi giornalini per ragazzi che ho letto, un’impressione meravigliosa di vivacità e per quanto molte persone stanno lavorando, danno l’impressione d’essere gioiose.
Il mare che vedo per la prima volta non mi impressiona, mi appare subito familiare, forse, per via dello studio della geografia scolastica questa distesa d’acqua è già nella mia anima.
In poco tempo, dopo avere chiesto informazioni per raggiungere il luogo indicato dalla lettera di convocazione, mi trovo al Deposito della Marina Militare in Campo san Daniele n. 27. Finalmente tra i veri marinai!

In quel cortile incontro molti ragazzi provenienti da tutte le Regioni del Nord Italia, della mia provincia nessuno. Subito un sottufficiale ci chiama in riga per tre e ci accompagna in un ampio camerone dove ad ognuno consegna un grosso involucro e assegna un posto. Proprio non mi rendo conto di cos’è quel sacco di tela ruvida e pesante, ma quando il sottufficiale ci mostra due puntali con dei ganci, sistemati a distanza e in linea tra loro come i pali di sostegno dei tralci nelle vigne, capisco che non può essere altro che il letto, la classica amaca. Lo stanzone è disastrato, alle finestre mancano dei vetri e altri sono rotti, all’esterno le pareti degli edifici sono segnate dalle schegge di granate, segni di guerra dappertutto, un grosso buco è ancòra aperto al centro del cortile, causato da una bomba d’aereo. Siamo nell’anno 1952, solamente sette anni dopo la ne della Seconda Guerra Mondiale, evidentemente ricostruire tutto ciò che è stato distrutto non è cosa semplice.

Dormo per la prima notte da marinaio e dormo profondamente avvolto nel ruvido letto. Il mattino seguente hanno inizio le prime visite mediche e i primi esami d’idoneità; personalmente sono sempre piuttosto apprensivo ed anche insicuro, perché vedo molti ragazzi davanti a me, per un motivo o per l’altro, anche per cose di poco conto, che vengono respinti. I verdetti negativi più frequenti sono dovuti al difetto dei “piedi piatti” oppure al “soffio al cuore”. Chi è respinto rimane male e molti ragazzi scoppiano in lacrime. Fanno pena e mettono ancòra più apprensione agli altri.
Nel giro di tre giorni si completano visite mediche e attitudinali, mi rimandano a casa con uno stampato sul quale è scritta l’idoneità all’arruolamento ma anche che “limitatamente ai concorrenti idonei al concorso, ammessi alla definitiva selezione” sarei stato informato; questo significa che devono ancòra valutare alcune cose, quindi non mi sento ancòra… sulla cresta dell’onda.
Passa la primavera e se ne sta andando anche l’estate, non conosco come stanno le cose e quasi abbandono l’idea di diventare marinaio. Medito di fare richiesta d’arruolamento nell’Esercito, ma verso la ne del mese di agosto, arriva la seconda lettera della Marina Militare con l’invito di raggiungere il Distaccamento di Roma entro il 25 settembre, per essere inviato alle scuole C.E.M.M. sull’isola di La Maddalena in Sardegna per la scuola di Motorista Navale.
In quel momento il mondo è tutto mio. Quel mese d’attesa non finisce più, non passa mai. Sarei partito anche a piedi pur di limitare il tempo e ho passato quei giorni d’attesa a sistemare le mie cosette: ho venduto la bicicletta da corsa, la tromba che usavo per suonare nella Banda del paese, le scarpe da calcio che da pochi giorni ho comperato (vendute ad un amico che non mi ha mai pagato) e con i soldi racimolati ho comperato le cose necessarie per partire e il rimanente l’ho consegnato a mia madre che me lo ha conservato.
Al Deposito della Marina Militare di Roma i candidati alla scuola motorista sono convocati per il mattino del 25 settembre e in quel luogo hanno inizio le prime amicizie che si consolidano nel tempo del servizio ed anche dopo. Tra queste amicizie amo ricordare in particolar modo Fernando Garti di Busto Arsizio e Andrea Lugo di Peschiera del Garda amici carissimi da allora ad oggi.
Pranzo alle ore 13,00, poi tutti su autocarri militari e trasportati al porto marittimo di Civitavecchia per essere imbarcati sulla motonave “Città di Alessandria”, una vecchia unità commerciale che ha partecipato alla seconda guerra mondiale come nave ospedale. Tutti i ragazzi sono sistemati sul ponte esterno per chi vuole passare la notte sotto coperta c’è il gavone di prora. Ci vado per cercare un posto dove potermi sistemare per la notte, ma la oca luce delle lampade di bordo mi offre uno spettacolo agghiacciante: con noi giovani aspiranti marinai viaggiano molti detenuti, sono incatenati l’uno all’altro e con le braccia inchiavardate. Sono questi uomini in traduzione verso le carceri della Sardegna. L’impressione che ho è forte e negativa, non ho mai visto uomini incatenati in tal guisa; essi hanno l’aspetto di animali in cammino verso il macello, una pratica di così elevata inciviltà dopo una guerra feroce come quella appena terminata non me l’aspettavo. Me la sono trovata in faccia e realizzo che le “prediche” degli oratori del dopoguerra, sono rimaste nelle piazze. Questo incontro mi turba e penso che l’umanità dichiarata finisce tra gli anelli di una catena d’acciaio e non si conosce mai la moralità di chi tira la catena e quella di chi chiude gli anelli.
Il mattino seguente alle ore 08,30 la motonave ormeggia alla banchina del porto di Olbia, una motozattera della Marina Militare è in attesa per trasportarci alla vicina isola di La Maddalena, proprio davanti alla Scuola, un grande edificio, di fronte al quale si eleva l’alto pennone dove sventola la Bandiera Nazionale con al centro della banda bianca lo stemma delle Repubbliche del Mare italiane. Sbarchiamo rapidamente ed entriamo nell’edificio. Seguono immediate le operazioni necessarie: dati anagrafici, impronte digitali, domande di particolare necessità, in ne il numero di matricola, il mio è 011770, poi al deposito vestiario per il cambio dei vestiti.
Alle ore 18,00 del 26 settembre 1952 anch’io vesto alla marinara, ma l’uniforme questa volta è vera; ho preso la rivincita sul mio amico d’infanzia con il suo vestitino intrigante e la sua lucida catenina. In quel momento ho avuto un pensiero anche per quei marinai che mi salutavano dalla corriera, un pensiero di solidarietà che le loro vicende di salute si siano risolte positivamente. Alle ore 22 tutti in branda e con l’armoniosa dolcezza delle note del silenzio si chiude la prima giornata per i giovani marinai, qualcuno piange per la commozione.
Dal giorno dopo inizia la mia breve e intensa avventura di Marinaio d’Italia, durata 79 mesi, avventura che mi ha dato molte soddisfazioni, allargato gli orizzonti conoscitivi, consolidato l’amore per la Bandiera e formato il sentimento di responsabilità.

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