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La storia di Dino Buglioni e del sommergibile Malachite

di Andrea Grelloni

(Camerino, 18.3.1921 – Mare, 9.2.1943)


Per la stesura di questo articolo ci tengo a ringraziare Gualberto Ferretti, ex sommergibilista e presidente della locale ANMI (Associazione Nazionale Marinai d’Italia) di Porto Potenza Picena, per le preziose informazioni confidatemi su Dino Buglioni, al cui eroismo e sacrificio questo contributo è dedicato.

A primo impatto può apparire un fatto alquanto insolito inoltrarsi nell’entroterra del maceratese, a ridosso della dorsale appenninica, ed imbattersi di fronte ad un monumento in stile marinaresco.
Il mare è lontano da queste terre, dove il paesaggio è caratterizzato in gran parte da montagne e rilievi collinari, a limite lo si può intravedere dalle cime più alte dei monti, in quelle limpide giornate prive di foschia che permettono allo sguardo di spingersi a chilometri e chilometri di distanza.
Eppure, recandosi presso il piccolo borgo fortificato di Castel Santa Maria, nel comune di Castelraimondo, almeno con l’ausilio dell’immaginazione, è possibile respirare un po’ di aria marittima.
Infatti, poco fuori le sue mura si trova una lapida commemorativa, con tanto di ancora appoggiata sul suo basamento, che attraverso le parole incise nel marmo ricorda la storia di un equipaggio di marinai che durante la Seconda guerra mondiale persero tragicamente la vita a bordo del sommergibile Malachite.
Nella lastra spiccano anche le generalità di uno dei membri di quel valoroso manipolo; si tratta del sottocapo Dino Buglioni, ed è proprio lui a rappresentare il trait d’union che lega in maniera così indissolubile il mare alla montagna.

Per conoscere la sua vicenda personale, insieme a quella del Malachite, bisogna andare parecchio a ritroso nel tempo ed addentrarsi negli eventi della storia italiana del secolo scorso.
Dino Buglioni nacque il 18.3.1921 a Camerino da una famiglia di umili origini, forgiando la sua giovinezza secondo i valori del dovere e del sacrificio.
Il destino di questo giovane ragazzo sembra già segnato a rimanere confinato nella sua terra, ma in testa ha altre ambizioni ed è il mare la fonte della sua aspirazione, così, motivato da una grande volontà di servire il suo Paese, appena sedicenne, si arruolò nella Regia Marina Militare in qualità di allievo elettricista.
Superato il corso di base, fu inviato a bordo di un’unita di superficie dove ottenne la qualifica di sottocapo, finché con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 viene imbarcato a bordo del sommergibile Malachite.
Quello del sommergibilista è un compito assai arduo e rischioso, per il cui adempimento è richiesta un’alta specializzazione tecnica, un grande coraggio e un forte spirito di adattamento, dovendo operare in spazi limitati ed in condizioni di elevata pressione psicologica.

Nel corso della guerra il Malachite partecipò a numerose e diversificate missioni nel Mar Mediterraneo, consistenti nel trasporto di truppe e materiali bellici, nel pattugliamento nonché in azioni offensive, fino al giorno del suo affondamento.
Nel febbraio del 1943, di ritorno da una missione in Algeria dove si era recato per sbarcare un gruppo di incursori, il Malachite, che si trovava in prossimità delle coste meridionali della Sardegna in procinto di attraccare presso il porto di Cagliari, fu intercettato da un sommergibile nemico, l’olandese Dolphin per la precisione, che con un siluro riuscì a centrarlo nella zona poppiera e nel giro di un minuto colò a picco.
Dei quarantotto membri dell’equipaggio soltanto in tredici riuscirono a mettersi in salvo e tra questi non vi era Dino Buglioni che con il Malachite si inabissò nelle profondità marine senza più fare ritorno nella sua amata Castel Santa Maria, dove oggi quella lapide ne ricorda il supremo sacrifico.

Dino Buglioni
21/09/2008

A nome dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia, porgo il saluto alle Autorità Civili, Religiose e Militari, alle Rappresentanze delle Associazioni d’Arma e Combattentistiche, a tutti i graditi ospiti e sopra tutti a Voi ragazze e ragazzi delle Scuole Elementari e Medie che sarete le donne e gli uomini di domani, madri e padri del futuro.
Quella di oggi è la dodicesima volta che ci ritroviamo in Castel Santa Maria per ricordare il sacrificio di milioni di italiani per unire l’Italia e consegnarci, poi, un’Italia libera e democratica.
Sicuramente per oggi avevate altri progetti, altri programmi.  Questo piccolo sacrificio, di cui siete artefici, non è sicuramente lo stesso che fecero i vostri nonni e le persone che hanno dato la vita per l’Onore dell’Italia e la sua Bandiera. Il passato va ricordato e valorizzato come salda radice che affonda nella realtà di ieri, per consentire al tronco di oggi di mettere nuove gemme e nuovi virgulti per il domani. Queste gemme e questi virgulti siete Voi, cari ragazzi. A voi spetta l’onere e l’onore di continuare sul percorso tracciato dai vostri nonni e bisnonni, magari migliorarlo e perfezionarlo, in modo che simili orrori non vengano più a mortificarci il cuore e l’anima. E’ preoccupante la caduta di tensione verso i valori della Patria e dell’identità nazionale che porta a relegare cerimonie come questa, nella dimensione del “nostalgico”: una di quelle rievocazioni retoriche del “bel tempo andato”. Non c’è dubbio che gli incontri tra veterani assomigli un po’ alle rimpatriate tra vecchi compagni di scuola, ma con una differenza davvero non trascurabile che nulla toglie al piacere del ritrovarsi: quello di un forte presidio del rigore e del dovere della memoria. Qui ogni analogia finisce e con essa ogni rischio di caduta in un malinteso spirito nostalgico che, in genere, tende a contrapporre il bel tempo antico ad un presente preferibilmente dipinto con toni apocalittici.
La guerra, sia per chi vince sia per chi è sconfitto, porta solo lutti e distruzione!
Se essere giovani, non è soltanto una condizione generazionale, ma anche una inestinguibile propensione ad affrontare la vita con slancio e con spirito positivo, allora dobbiamo dire che la manifestazione di oggi è un’occasione veramente straordinaria per esprimere questo sentimento e questo senso giovanile della vita. Esser giovani nello spirito avendo l’età rispettabile del veterano, significa sempre e prima di tutto rifiutare questo atteggiamento persino quando esso, basandosi su dati di fatto, può trovare negli eventi dell’attualità una qualche consistente  ragione. Il compito, diremmo la missione, del veterano è la quinta essenza del pensare positivo. E’ il mettere la propria esperienza al servizio dei giovani che affrontano oggi, nel mutato spirito dei tempi, difficoltà non dissimili nella sostanza a quelle che hanno affrontato le vecchie generazioni. Quando si riesce a svolgere questa azione di supporto, mettendo a frutto davvero il privilegio e il saper vivere che deriva dall’esperienza, allora si dà un contributo fondamentale alla crescita della società e alla capacità dei giovani di assicurarle un futuro migliore.
Per essere vissuta e capita dai giovani di oggi la rievocazione del passato non deve cadere nella retorica, ma si deve riproporre con la semplicità, il rigore, il senso della misura di chi, raccontando la propria esperienza, vuole contribuire alla formazione delle generazioni dei propri figli e dei propri nipoti.
Il nostro dovere è quello di non soccombere alla nostalgia, che pure è un sentimento degno e rispettabile, ma di ricercare e di trovare nella nostra storia, nei volti e nella gesta degli uomini che l’hanno nobilitata, le ragioni che rendono le nostre radici e la nostra identità sempre più solide e forti.

Il Sottocapo Elettricista “Dino Buglioni”
La sua storia nella Regia Marina, anche se breve, è stata intensa. E’ durata soltanto cinque anni. Comincia da questa graziosa località di montagna, quando riceve la notizia che è stato accettato, come allievo elettricista, nella Regia Marina Militare. Correva l’anno 1937 ed Egli aveva appena sedici anni. Un forte giovincello, ancora imberbe, che aveva già nel cuore i valori di cui oggi si sono perse le tracce.  Dopo un anno di studi, superato il corso da elettricista, Dino, viene inviato a bordo di una Unità di superficie, sulla quale riceve i galloni di Sottocapo. L’Italia entra in guerra e il nostro Buglioni viene trasferito a bordo del Regio Sommergibile “Malachite”. Affronta, con successo, molte missioni, ma nel febbraio del 1942 al rientro da una missione in Nord Africa,  a 3 miglia a Nord di Capo Spartivento, vicino Cagliari, mentre era in superficie, viene individuato da un sommergibile olandese, il Dolphin, che lancia quattro siluri, tre dei quali vengono schivati dal Malachite ma il quarto lo colpisce affondandolo. Dei 52 uomini di equipaggio si salvano solo dodici marinai, ma tra questi non c’è Dino. Avrebbe compiuto 21 anni solo una settimana dopo l’affondamento. Quanto dolore, quanta costernazione, quale dramma, quante lacrime versate dalla mamma per l’unico fiore della sua casa. “Statti contenta” le avrà scritto Dino, che chi muore per la Patria e la Sua Bandiera, non muore mai. Certo è così! Il suo ricordo vivrà sempre, e fintanto ci saranno uomini che della memoria faranno un insegnamento per il futuro, la guerra non albergherà più nei nostri cuori. Il passato, è la garanzia dell’avvenire. Il Suo ricordo Vi ispiri, cari ragazzi, coraggio e fermezza nell’affrontare i compiti che la vita oggi vi affida, per missioni di pace e di fratellanza.  “Non torneremo mai! Tante le sofferenze ed il supremo sacrificio. Siamo i figli di tutta l’Italia. Siamo tanti. Sacrificati e dimenticati. Offesi dal lungo pesante silenzio. Abbiamo fatto il nostro dovere. Vi abbiamo insegnato ad amare la Patria. Se non ci ricordate Voi, noi siamo morti invano per l’Italia”.

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