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Cesario Console

Guglielmo Evangelista (*)

UN AMMIRAGLIO SOPRAVVALUTATO

I napoletani o i marinai che hanno prestato servizio a Napoli sanno bene che l’ammiragliato e il circolo ufficiali si trovano lungo via Cesario Console in una magnifica posizione. Ma chi era e che cosa ha fatto di importante questa persona, sconosciuta ai più,  perché le fosse  intitolata una strada, che tra l’altro è l’unica che porta il suo nome in Italia?
La storia ci risponde che era un marinaio napoletano che visse  e navigò nei tempi più bui dell’alto medioevo…

Nell’VIII secolo, terminate da tempo le lotte fra Franchi e Longobardi, l’Italia centrale e meridionale godevano di una certa tranquillità ed esclusa la Sicilia, che era in mano agli arabi, le regioni appartenevano in buona parte all’impero greco-bizantino di cui costituivano themi, cioè province con a capo un Dux.
Col passare del tempo  in Campania i vari Duchi, pur restando funzionari imperiali, si erano trasformati di fatto in sovrani tanto che il trono passava di padre in figlio come in una  vera e propria dinastia. Era una situazione sostanzialmente conveniente perché il governo poteva essere esercitato localmente molto meglio che dalla lontana Costantinopoli e l’imperatore, concedendo questa autonomia, evitava ribellioni  e secessioni perché il duca-sovrano provvedeva a  risolvere tutte le diatribe locali, a riscuotere per lui le tasse e a mantenere il potere con i propri corpi armati.
Fra i vari ducati (Amalfi, Sorrento, Gaeta,Roma stessa dove governava il papa, anche lui duca imperiale prima che si formasse un autonomo Stato Pontificio) il più importante era quello di Napoli.
La forza militare era modellata su quella bizantina e quindi faceva un particolare affidamento sulla marina, basata sui dromoni: erano navi a remi e a vela capaci di 150 rematori e armate con il fuoco greco, la ben nota miscela di prodotti chimici la cui formula era segreta – e sostanzialmente lo è ancora oggi –  che veniva lanciata a distanza e incendiava le navi avversarie. L’armamento era completato da compagnie di arcieri ben addestrati e temutissimi. Insomma, se si avvistava un dromone l’unica salvezza stava nella fuga poiché erano navi piuttosto pesanti e quindi era abbastanza facile lasciarsele indietro nonostante il loro nome significasse “corridori”, ma l’impegnarsi in una battaglia con essi voleva dire una sconfitta immancabile.
Il nostro Cesario era il terzo figlio del Duca di Napoli Sergio I. Il padre era un abilissimo diplomatico e uomo politico, ma non era versato nelle arti militari, al contrario del figlio che accettò volentieri la carriera delle armi.
A quell’epoca la grande minaccia per le coste italiane veniva dagli arabi che, in costante espansione, attaccavano il traffico mercantile e razziavano i centri litoranei, tentando talvolta di costituire delle basi permanenti.  Nell’846 riuscirono ad arrivare fino a Roma in cui tuttavia non poterono penetrare, fermati dalle sue mura.
Vista l’impossibilità di entrare nella città, si spostarono verso sud devastando il Lazio meridionale e cinsero d’assedio Gaeta mettendo in seria difficoltà i difensori franchi e longobardi che si erano uniti con i latini e i greci contro il comune nemico mussulmano. In questa occasione incontriamo per la prima avventura di Cesario, che con una flotta  campana giunse in soccorso di Gaeta   riportando un buon successo grazie soprattutto allo sbarco ed all’uso sagace dei fanti di marina.
Nell’849 fu ritentata l’operazione contro Roma, ma gli arabi si trovarono di fronte le flotte congiunte dei ducati di Napoli, Gaeta, Amalfi e Sorrento con a bordo anche questa volta Cesario: dopo essere andato a Roma ed essere stato ricevuto dal papa Leone IV e avergli assicurato l’appoggio militare, Cesario  lo accompagnò ad Ostia dove il pontefice ispezionò le navi, benedisse l’impresa e celebrò una messa solenne alla presenza degli equipaggi.
Dopo aver atteso pazientemente l’avversario alla foce del Tevere, come i napoletani videro all’orizzonte le vele nemiche  vi si scagliarono contro prima che l’avversario potesse assumere la formazione di battaglia: molte navi furono distrutte o costrette ad arenarsi sulla costa dove i nemici furono catturati, portati a Roma e impiccati in un massacro sistematico che fu interrotto solo per l’intervento del papa.
Cesario, che divenne noto anche come Cesario Console (da cui il nome della strada), o Cesario di Napoli o Cesario il Valoroso, più tardi lo ritroviamo con il fratello a capo di un esercito operante in appoggio ad Ademario, Duca longobardo di Salerno che assediava Capua. Venuto a battaglia sulle rive del Volturno, forse poco esperto delle operazioni terrestri, non solo fu sconfitto, ma fu anche ferito, messo in catene e fatto prigioniero pur venendo presto rilasciato.
Negli anni successivi mantenne i suoi incarichi militari anche sotto il regno congiunto del padre e dello zio Gregorio III.
Tuttavia, nell’870, dopo la nomina a duca del cugino Sergio II , si trovò in contrasto con lui in quanto sosteneva una linea più intransigente contro i mussulmani forse considerando che la sua esperienza navale gli dava la sicurezza di poterli tenere a bada senza bisogno di intese diplomatiche.
Questo però contrastava con la politica più accomodante del Duca tanto che venne messo in carcere dove morì probabilmente all’inizio dell’872.
Venne sepolto nelle catacombe di San Gennaro.
Fin qui abbiamo riferito la versione più conosciuta dei fatti.
Da un punto di vista strettamente storico bisogna invece tenere conto di una realtà sostanzialmente diversa che  ridimensiona l’importanza del nostro personaggio.
In primo luogo  Cesario non fu mai Console, carica civile contrapposta a quella del Duca, sostanzialmente militare ma, soprattutto,  non fu un grande condottiero: fu certamente un soldato di rango elevato (era il figlio del Duca!) e visto l’ambiente in cui operò è in qualche modo assimilabile a un ammiraglio anche se non ricoprì il corrispondente titolo bizantino di “drungarios”,  ma sembra che fosse interessato o incaricato della cura dell’aspetto più diplomatico che  militare delle missioni: alla battaglia di Ostia fu presente, ma non comandò le operazioni pur rivestendo in quella occasione un ruolo di rilievo poiché, come abbiamo visto, aveva gestito le relazioni con il papa.

La  stessa battaglia di Ostia fu assai meno importante di quello che viene fatto credere: la vittoria napoletana derivò anche dallo scoppiare di una tempesta che scompigliò la flotta nemica facendone naufragare una parte  e abbiamo anche visto che nella battaglia di Capua, nella quale peraltro era anche questa volta senza il comando generale delle truppe, le prese sonoramente.
Allora?
Tutto deriva dal fatto che il combattimento di Ostia fu considerato a lungo, fino allo scontro  di Lepanto del 1571, come il simbolo della vittoria e della supremazia dell’occidente e del cristianesimo contro l’Islam tanto da meritarsi un affresco di Raffaello nei palazzi pontifici; è stata poi esaltata dagli storici dell’800 in quanto  le navi intervenute appartenevano ad una lega delle città campane e si volle vedere in questo un anticipo di quei moti e di quella unità di intenti, come per la molto più tarda Lega Lombarda, in cui si voleva vedere in questi  accordi temporanei dettati essenzialmente da un’impellente necessità e forse mal sopportati, come coalizioni di forze italiane contro gli invasori, e che furono ritenute in modo tutt’altro che velato come il prodromo della riscossa nazionale contro l’Austria.
Il fascismo fece il resto con il suo programma di rivalutazione ed esaltazione delle glorie navali italiane (e un esempio sono anche i nomi di navigatori  pressoché sconosciuti con i quali vennero battezzate le unità della nota classe di esploratori detta “dei navigatori” e in questo contesto il nome di Cesario fu rispolverato  con l’intitolazione della strada di Napoli, che in precedenza portava il nome tradizionale di Salita del Gigante.

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