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Un detective a bordo

di Giuseppe Procopio (*)

Vestire i panni di un detective per molti versi è molto interessante, una buona sensazione di un ricordo che ci si porta appresso dal tempo della fanciullezza un po’ cresciuta, quando si ha modo di leggere alcuni libri di questo genere letterario, molto noto e diffuso anche nei films.
Per certi versi, torna utile per scoprire delle verità. In realtà quando m’improvvisai detective non era come pensassi; non c’era un assassino da smascherare o un movente da provare, solo una semplice indagine conoscitiva.
Ero solo un Sottocapo Motorista addetto alla sicurezza che voleva svelare il mistero delle “Chiavi per manichette scomparse” dalle loro stazioni antincendio di bordo dei locali di vita o dei corridoi della nave.
Non sembrava un caso difficile, ma richiese un po’ di indagini serie e qualche appostamento per cogliere il responsabile sul fatto.

Non avevo molte nozioni sulla sicurezza della nave, le recuperavo per gradi. La ragione della mia perplessità era dovuta anche al fatto che il colpevole non si preoccupasse di riportarle al loro posto. Comportamenti irresponsabili che pur esistevano e non deponevano bene per la sicurezza della nostra nave.
“Come avremmo avvitato è stretto le manichette in caso di emergenza?”.
Quotidianamente effettuavo verifiche, un po’ per dovere, un po’ per caparbietà..
Un giorno, mentre gironzolavo nell’alloggio equipaggio, notai  che su uno degli armadietti  dei marinai, qualcosa attirò la mia attenzione: ”Si sono loro; eccole dove stavano”. Quel rosso mi era famigliare cosi come la forma di quell’oggetto.

Non accusai nessuno, ma proseguii nel mio piccolo impegno di sempre: tenere le stazioni antincendio con gli accessori al loro posto. In verità non ci volle molto a comprendere la ragione di questo approprio non autorizzato. Gli utensili erano usati per forzare i lucchetti personali di chiusura degli armadietti, quando qualcuno di noi se ne dimenticava la chiave all’interno.
Si inseriva una chiave antincedio nell’arco del lucchetto e si faceva leva per spaccarlo. Fin qui nessun problema, ma perché quei tipi non le rimettevano al loro posto?

Quella specifica attenzione, verso quella specifica anomala situazione, era ovviamente motivata dalla mia mansione a bordo.  Quando Capo Pellegrino e Capo Mongelli erano fuori bordo toccava a me fare le ispezioni e segnalare tutto quello che era fuori posto. Quel che facevo era un comportamento normalissimo, un atto di responsabilità che ogni buon marinaio apprende vivendo a bordo. Sono state lezioni importanti che ancora segnano la mia vita.
Si concludeva la mia indagine sulla sparizione delle chiavi e la frase:”La sicurezza prima di tutto in porto e in mare” ancora riecheggia dentro di me, come il ricordo di un Frà di bordo che mi dice: “Stiamo affondando in porto”.
Possibile? In porto? Mica ci hanno bombardato..
Mi rispose che a causa di un lavoro sulle valvole a clarinetto che stavano svolgendo alcuni operai dell’arsenale si stava imbarcando acqua.
Io assonato gli risposi: “Ma tu guarda …non si può nemmeno affondare in porto”.

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