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22.5.1830, Pietro Aristofane Caimi

di Giorgio Gianoncelli

(Sondrio 22.5.1830 – 1.5.1886)

La presenza documentata nella marineria austro-veneta di Aristofane Pietro Caimi, discendente di nobile famiglia sondrasca impegnata nella politica, nella cultura e nell’arte, per il momento indica nello stesso il 1° Marinaio Militare dell’arco alpino centrale.
Nato il 22 maggio 1830 da Pietro e Rosa Mottarlini il giovane Aristofane lascia Sondrio all’età di dodici anni per entrare nel Collegio di Marina a Venezia il 1° ottobre 1842, al tempo, parte dell’impero d’Austria.
Nominato Guardiamarina nel 1848 serve la marina austriaca no al 23 marzo 1849. Da quel giorno c’è un vuoto di quasi due anni nella carriera del giovane ufficiale di mare sondrasco. In quegli anni è in corso il movimento di cospiratori contro i governanti della frazionata Italia con la prima guerra d’indipendenza ed è possibile che dopo il primo anno al servizio della Marina austriaca il giovane sia fuggito e rifugiato presso l’abitazione dei genitori in Sondrio.

Aristofane Caimi riappare il 1° agosto dell’anno 1851 al servizio della Marina Sarda. Da quel momento scala con professionalità i più alti livelli militari e diplomatici al servizio del regno di Sardegna prima e dell’Italia unita fino a raggiungere il grado di Contrammiragliodella Regia Marina Italiana da guerra post unitaria. Il Caimi nella carriera lascia segni positivi, sia come navigante, sia per l’attività politica militare diplomatica.
Nel 1855/56 con la Marina sabauda prende parte alla campagna d’Oriente ed è decorato della Medaglia Inglese di Crimea. Oltre ai normali servizi addestrativi per l’avanzamento di grado, l’Ufficiale partecipa a diverse missioni all’estero per studio e sperimentazione delle artiglierie navali.
Nel corso della carriera ricopre incarichi di prestigio come la direzione generale del 1° Dipartimento Militare Marittimo, di Comandante in Capo dello  stesso ed è parte del Consiglio Superiore di Marina. Ma il segno importante delle capacità militari e diplomatiche, il Caimi, lo esprime in occasione della campagna militare di Massaua, in seguito alla crisi Etiope-Egiziana-Abissina del 1884, precipitata per le mire economiche espansionistiche di alcune potenze militari straniere.2
Dopo alcuni anni di presenza commerciale marittima nell’area del Mar Rosso con la Compagnia di Navigazione Rubattino continuamente disturbata da azioni terroristiche promosse da Turchia, Egitto e Abissinia, finanziate da alcuni Stati europei interessati, il Governo italiano (Primo Ministro, Pasquale Stanislao Mancini, Ministro per gli Affari Esteri, Benedetto Brin), decide l’occupazione del porto di Massaua e la delicata missione, contestata da tedeschi, russi e francesi, è affidata al valtellinese Contrammiraglio Aristofane Caimi.
Nominato Comandante in Capo della Squadra navale destinata al Mar Rosso, l’Ammiraglio alza le insegne di comando generale su nave “Vespucci” e da La Spezia molla gli ormeggi con la Squadra composta dalle navi “Garibaldi”, “Castelfidardo”, “Vedetta”, “Messaggero”, “Esploratore”, “Vettor Pisani”, “Barbarigo”, “Conte di Cavour”, “Caio Duilio”. A Napoli è in attesa una nutrita scorta di Torpediniere con nave “Gottardo” che ospita a bordo il Corpo di Spedizione Militare composto di ottocento uomini al comando del Tenente Colonnello Tancredi Saletta.
La Squadra Navale al completo lascia Napoli il 17 gennaio 1885 e il giorno 27 dello stesso mese le prime unità iniziano l’attraversata del canale di Suez. Nel frattempo, per essere a stretto contatto con il Comandante del Regio Esercito, l’Ammiraglio porta il Comando generale della spedizione su nave “Gottardo”. Lasciato Port Said le unità navali sono ormeggiate tra Suakim, Assab e Perim, nell’attesa dell’ordine di convergere nel porto di Massaua la mattina del 5 febbraio 1885.
Il Contrammiraglio Aristofane Caimi investito del Governatorato militare dell’area intorno a Massaua, particolarmente rivendicata dall’Abissinia e già dominio dell’Egitto, in ottemperanza alle direttive del Governo italiano issa la Bandiera italiana a fianco della Bandiera egiziana e lancia un proclama in arabo alle popolazioni per affermare che: “Il Governo italiano si presenta come amico dell’Inghilterra, della Turchia e dell’Egitto non meno che dell’Abissinia”.
Sceso a terra, l’Ammiraglio, prende contatto con le rappresentanze dei vari governi ed ordina lo sbarco del contingente militare che avviene senza incidenti e il Tenente Colonnello Saletta prende il comando militare della piazza. Il 24 febbraio parte dall’Italia una seconda spedizione con milleduecento soldati del Regio Esercito con il sottocapo di Stato Maggiore Tenente Generale Agostino Ricci; che arriva a Massaua mentre l’Ammiraglio Caimi è colpito da grave malattia al petto. Ricoverato su nave “Garibaldi”, adibita ad unità ospedaliera, il Caimi è temporaneamente sostituito dal Capitano di Vascello Camillo Corsi, fino all’arrivo del Contrammiraglio Noce che prende il Governatorato alzando l’insegna su nave “Varese”.
Aristofane Caimi rientra a La Spezia ed è collocato in disponibilità, ma la malattia piuttosto grave il 1° maggio 1886 a soli 56 anni di età lo porta alla morte. Aristofane Caimi rientra in quella cerchia di personalità valtellinesi che hanno prestato la propria opera per gettare le basi della crescita della giovane Italia tutta. Credo di poter collocare il Caimi a fianco di Luigi Torelli, che nel 1864 nella sua qualità di Ministro dell’Agricoltura e del Commercio propone al giovane Governo italiano l’acquisto di una colonia penale nell’Oceano Indiano, con il chiaro intento di appoggiare i traffici navali per e dalle Indie; a fianco di Visconti Venosta, Ministro degli Affari Esteri nel 1871, che ha inviato una commissione governativa ad Assab presieduta dal Generale del Regio Esercito Ezio De Vecchi e composta dal Capitano di Fregata Giuseppe Lovera De Maria e dagli ufficiali della pirocorvetta “Vettor Pisani”, allo scopo di studiare il territorio dal punto di vista toponomastico e idrografico. Tre personalità valtellinesi di alto pro lo politico, unite nella nobile e legittima visione di un periodo di larga intesa europea, con la legittima presenza italiana oltremare. Peccato che in seguito lo scadimento della politica abbia brutalmente distrutto ogni iniziativa dei nostri illustri conterranei.

Note
1. In quel periodo gli ufficiali superiori non potevano superare il grado di Contrammiraglio, per effetto della disonorevole sconfitta nella battaglia di Lissa.
2. Base navale acquistata dall’Italia, concessa in gestione alla Compagnia di Navigazione Ribattino, non conquistata con l’invasione armata come le Nazioni concorrenti facevano da invasori.

La polena del Capitano di Corvetta Aristofane Caimi
Nel 1866 Aristofane Pietro Caimi, giovane ufficiale con spiccate doti diplomatiche, ricopre il grado di Capitano di Corvetta ed è interessato allo studio per lo sviluppo delle unità navali in continua evoluzione e dei materiali bellici di bordo. Per queste ragioni l’ufficiale è spesso inviato in missioni all’estero. Nel corso di quell’anno al comando di due unità sperimentali con nuovi propulsori a vapore è inviato in sud America con le unità “Veloce” e “Messaggero” per un lungo collaudo delle macchine e per promuovere l’industria italiana delle costruzioni navali in quel Continente.
Aristofane Caimi, è Capo sezione al comando di nave “Veloce”; non appena entrato in Atlantico poco oltre lo stretto di Gibilterra, una vedetta avvista e segnala: “Corpo a mare!” In effetti, un corpo galleggiante dalle sembianze umane è alla deriva. Subito il Comandante ordina il recupero “del corpo a mare” e fa accostare le due unità per il recupero.
Ma è una bella sorpresa per tutto il personale vedere che il corpo umano alla deriva è una pregevole figura di legno che rappresenta una donna. Il simulacro ha lineamenti del viso raffinati, indossa una sontuosa tunica che cade dalla spalla destra e lascia scoperto quel seno di sodezza giovanile e con le mani, in modo aggraziato, solleva la lunga gonna, forse in segno… ammiccante, oppure intenta a saltare un fosso o un ruscello. Il “Corpo a mare” è chiaramente la polena di un veliero. Imbarcata la bella “naufraga” il Capo Sezione, pensando all’affondamento di un veliero, perlustra un ampio spazio di mare ma non trova altri naufraghi o rottami di nave, quindi riprende la rotta verso il Sud America, portando in crociera ben sistemata nel gavone di prora sotto la custodia del Capo Nocchiere, la sconosciuta damigella.
Al rientro dalla missione sudamericana, il Comandante Caimi consegna all’Arsenale di La Spezia il prezioso… naufrago e personalmente se ne dimentica.
Gli esperti delle antiche costruzioni dell’arsenale dopo l’esame del reperto, affermano che la polena raffigura Atalanta, mitica figura di rara bellezza, detta anche “l’impassibile”, che nell’antica Grecia diventa la Dea della morte,
per aver ucciso molti suoi pretendenti, dopo averli s dati nella corsa.
Dopo una bella rinfrescata con acqua dolce e sapone, la bella Atalanta è esposta al Museo Navale da poco tempo realizzato dalla Regia Marina all’ingresso dell’Arsenale spezzino.
Come tutti i cimeli esposti, polene comprese, sono o sembrano oggetti inespressivi, invece pare, che per molti visitatori e inservienti del Museo, Atalanta, spanda un fascino particolare, fino al punto che, osservando la statua non resistono ad allungare una mano per accarezzare il seno scoperto. Così, per queste incessanti carezze il turgido seno della mitica Dea si è tinto di nero. Il fascino di questa polena ha colpito anche in tempi non lontani l’immagina- rio erotico di alcuni uomini.
Nel 1923 un guardiano del Museo s’innamora al punto di passare molte ore con lo sguardo fisso alla statua: la pulisce, l’accarezza, la bacia; deriso dai compagni di lavoro, il poveretto in un momento di scoramento, per amore dell’“impassibile” Dea, si toglie la vita gettandosi nel bacino di carenaggio n. 6 dell’arsenale.
Nel 1944 un ufficiale tedesco in servizio a La Spezia visita spesso il Museo e si sofferma solamente davanti a quella polena; un giorno d’autorità fa trasferire la polena nel suo alloggio. Cosa è avvenuto non è possibile saperlo, ma il 13 ottobre dello stesso anno l’ufficiale si suicida con la sua pistola di ordinanza e lascia un biglietto con scritto: “Posto che nessuna donna seppe darmi il fascino che emana da te, o Atalanta, ti offro la mia vita”. In tempi più recenti un guardiano ha scoperto un ragazzo aggrappato ad Atalanta in atto di compiere atti comunemente definiti “osceni in luogo pubblico”.
In seguito a quest’ultimo fatto i dirigenti del Museo decidono di rimettere in magazzino per un po’ di tempo l’affascinante polena. Ora è ritornata al museo e collocata ancòra in bella vista, con il bel seno scoperto e annerito dalle carezze.

1. Atalanta – mitologia greca – uccide i suoi pretendenti, che sono molti, dopo averli battuti nella corsa. Sposa Ippomene, che aiutato a sua insaputa da Afrodite riesce a batterla nella corsa, perché distratta da alcune mele d’oro disposte dallo stesso sul percorso. Atalanta, che era anche un po’… discola, con Ippomene profana il Tempio di Zeus e per questo motivo i due sono mutati in leoni e messi al tiro del cocchio di Cibele.

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