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Capitan Pantero Pantera, gentiluomo comasco

di Guglielmo Evangelista (*)

Come le tante che compaiono su “La Voce del marinaio” anche questa è una biografia, ma è di un marinaio vissuto quattrocento anni fa quando le navi e la marina erano molto diverse da oggi  perché le flotte si imperniavano sulle navi a remi che esigevano uomini particolarmente preparati perché il comandante di una galera, rispetto a quello di una nave supertecnologica di oggi, doveva fare sempre i conti con due fattori: l’estrema fragilità di quelle navi che comportava conoscenze e sagacia nel condurre la navigazione, pena il naufragio, e un pugno di ferro per tenere sotto controllo i rematori sempre pronti alla rivolta e gli  equipaggi rissosi e indisciplinati.
Il personaggio di cui ci occupiamo, dal curioso nome di Pantero Pantera, nacque a Como nel 1568 condividendo la città di nascita con un grande predecessore, Plinio il Vecchio che comandò la flotta romana di Miseno e perì durante l’eruzione di Pompei.

Dopo la morte del padre, ancora adolescente, verso il 1585 la famiglia decise di mandarlo a Roma sotto la protezione del cardinale comasco Tolomeo Gallio. A quell’epoca a Roma si andava solo per poche cose: studiare per intraprendere la carriera nel mondo ecclesiastico come sacerdote o come funzionario laico, oppure per fare l’artista, ma dobbiamo presumere che il giovane Pantero  non abbia dimostrato vocazione o talento per una o l’altra di queste strade, tanto che nel 1588 il suo protettore non trovò di meglio che  arruolarlo nella marina pontificia come “nobile di poppa” imbarcandolo sulla galera capitana della squadra, la San Bonaventura (1).
La flotta pontificia, secondo le disposizioni date da Sisto V, si componeva di dieci galere impiegate soprattutto nella protezione delle coste dalle incursioni dei pirati barbareschi.

Pantero Pantera imbarcò con  Bartolomeo Crescenzio che fu uno dei più esperti idrografi dell’età moderna ed ebbe come comandante della squadra Emilio Pucci “Generale delle galere” che furono i suoi maestri.  Il giovane si dimostrò presto un ufficiale molto capace e nel 1597 ottenne il comando della galera Santa Lucia con la quale l’anno successivo catturò quattro navi pirata.
Come comandante fu un osservatore sempre molto attento della vita sulle galere e cercò di venire incontro alle esigenze dei suoi equipaggi che, come scrisse, anche se non erano rematori erano condannati a una vita disagevole “come in carcere patendo ordinariamente del vivere” e mangiavano “poco altro che cibi salati e molto spesso guasti e non sani, bevendo quasi sempre acqua e alcune volte salmastra o di mala qualità e vini non schietti”.
Imputava questa situazione alle  rubberie (mai niente di nuovo…) e nei limiti del possibile  si adoperò per migliorare il tenore di vita dei marinai,  degli schiavi turchi e dei galeotti addetti al remo, anche se annotava sconsolato che non si può far ben la cucina in galea.
Dopo una quindicina di anni di navigazione, dimostrando “intelligenza grande del mestiero, esperienza e diligenza esquisita”, in Curia sia decise che sarebbe stato più utile a terra, nell’amministrazione della marina.
Questa posizione  assicurò al Pantera la tranquillità necessaria per scrivere e pubblicare nel 1614 “L’armata Navale”, primo libro del genere pubblicato in Italia. L’opera spazia su tutte le problematiche  dalla costruzione delle navi alle tattiche di guerra, dalle questioni inerenti la logistica  alla storia, all’idrografia, all’amministrazione, attingendo ad una colossale quantità di fonti antiche e moderne e trasfondendovi l’esperienza che aveva maturato sul mare.
Nel 1615 lasciò Roma. Sembra che fossero emersi dei contrasti sul modo di gestire la Marina Militare dal punto di vista amministrativo e finanziario e d’altra parte sapeva che come marinaio non aveva ulteriori mete da raggiungere (2).
Si ritirò a Como dove ebbe incarichi importanti nell’ambito dell’amministrazione cittadina. Abitava in un palazzo vicino la Cattedrale del quale oggi rimane solo una piccola parte.

Nel 1617 decise di allontanarsi dalle strette e buie strade cittadine per tornare ai grandi spazi aperti e si fece costruire una villa a Blevio, poco a nord della città,  in riva al lago, le cui acque in qualche modo gli ricordavano i flutti mediterranei.
Qui scrisse   Hidrografia nautica mediterranea,  Descrizioni sopra le galere del papa e  Discorso sulle galere; vi  trascorse gli ultimi anni della sua vita spegnendosi nel 1625.
Quasi dimenticato benché fosse una delle glorie degli anni più lontani marina italiana, oggi a lui sono intitolate solo una strada e una piazza, rispettivamente a Como e a Roma.
Solo recentemente il nome è riapparso alla ribalta della cronaca, anche se per una ragione insolita.
Da tempo esiste in commercio una linea di capi di abbigliamento chiamata “Pantero Pantera”, prodotti da un’azienda comasca che ha voluto abbinare idealmente la tradizione tessile locale e l’illustre concittadino il cui nome  aggressivo e facilmente memorizzabile può figurare come un efficace marchio commerciale.
Tale marchio è stato però contestato dalla nota ditta Cartier che opera nel campo della gioielleria e della profumeria ritenendolo incompatibile con la sua linea “Panthere” sia per l’assonanza del nome sia per il logo. A quanto pare, dopo un lungo braccio di ferro,i due marchi si sono rassegnati a convivere, considerato anche che i prodotti sono molto differenti e non possono entrare in concorrenza fra loro.

Note
(1) La nave era stata costruita a Roma nel 1588 e viene ricordata perché si rovesciò nel Tevere durante il varo; dopo essere stata recuperata si incagliò mentre scendeva verso il mare che non poté raggiungere se non dopo che le piogge fecero crescere il livello delle acque del fiume.
(2) Il grado apicale di “Capitano Generale delle galere”, equivalente ad ammiraglio, fu tradizionalmente riservato prima ai genovesi e poi ai Cavalieri di Malta.

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