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Chi non conosce tempesta in mare non può avere timore di Dio

di Enrico Vardanega

Una cosa che da giovanissimo mi cambiò la vita fu il primo imbarco, lontanissimo da casa, poiché lo volli.
Girare il mondo, imparare tutto velocemente, ma proprio così non fu…
I primi periodi furono duri perché marinaio non si nasce, il mare lo conoscevo solo dalla spiaggia sin da piccolo, ero un montanaro!
Il mare ti conquista solo se ci stai sopra o sotto, e ci vivi, assapori i momenti belli e quelli tristi duri fino a quando una mattina in servizio di vedetta cominci a capire che i giorni, tra cielo e mare e mare e cielo, non sono mai uguali.
Il silenzio assordante, le onde che mi portavano lontano con i miei pensieri più belli, e mi sentivo più vicino a DIO; e quel dondolio mi riportava alla mia infanzia, quando percorrevo la valla e poi il sentiero che mi conduceva in vetta, e mi sentivo più vicino a DIO.

Imbarcai  sul cacciatorpediniere Geniere 555 (ex U.S PRICHETT), appresi gli insegnamenti dei vecchi lupi di mare. Eravamo novanta fratelli,  una grande famiglia allargata come si direbbe oggi, ed ognuno di noi svolgeva un compito ben preciso.
Il nostromo  ripeteva:
sarà bene impariate e che gli ordini impartiti siano rigorosamente eseguiti alla lettera perché, se solo uno di voi si sbaglia, provocherebbe una reazione a catena con disastri spiacevoli per voi stessi”.
Solo allora capii la consapevolezza del dovere: ragionare e ubbidire, una grande famiglia.
Arrivò il battesimo del mare che quel giorno era ingrossato e nel pomeriggio aveva raggiunto forza 3/4 e a cena forza 6/7; quella notte nessuno dormì, era impossibile.  Ogni ondata era un tuffo nell’abisso per poi ritornare su;  ore interminabili, si “raccava”  in continuazione.
Le cuccette erano poste a poppa sottocoperta, sotto di noi il deposito munizioni, ma questo non ci dava fastidio…

In quello sballottamento, il peggio erano sentire le eliche mandate a tutta forza, che giravano piano quando la poppa affondava ma quando ci alzavamo con l’onda sembrava di essere in groppa ad un cavallo imbizzarrito; e le eliche giravano talmente veloci che assomigliavano ad un aereo in fase di decollo.
Le Bocche di Bonifacio sono sempre state per i marinai il banco di prova. Lo furono anche per me!
Nelle prime ore del mattino il mare tornò calmo,  l’equipaggio provato dalla navigazione prendeva un boccata d’aria salmastra, e i nostri polmoni erano grati di respirare…
Oggi, a distanza di anni, mi ricordo e comprendo quando il Nostromo ripeteva:
“CHI NON CONOSCE TEMPESTA IN MARE NON PUÒ AVERE TIMORE DI DIO”.

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