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Michele Casolino (Termoli (CB), 13.1.1933 – 15.7.2012)

di Vincenzo Campese

(Termoli (CB), 13.1.1933 – 15.7.2012)

Il marinaio che salvò i macchinisti del Lecce Milano
Termoli 25-26  febbraio 1955

Il bravo marinaio, autore dell’eroico salvataggio del macchinista del direttissimo 450 che ha deragliato domenica notte dopo Ortona, gettandosi in mare, e raggiungendo la locomotiva andata per un cento metri in mare, dalla quale ha salvato, assieme ad un’altro marinaio, nativo dell’Aquila, il macchinista ed il fuochista, è stato dal nostro corrispondente di Termoli rintracciato. Egli è il marinaio di leva Casolino Michele di Mercurio, di anni 22, nativo di Termoli (Campobasso) ed in forza presso il distaccamento di Marina di Roma, dove rientrava appunto col direttissimo 450 dopo una licenza. E’ un ragazzo bruno, di media statura, che ha raccontato ancora eccitato l’avventura di cui è stato protagonista e con tanta modestia, come se il gesto eroico fosse stata la cosa più naturale di questo mondo, incurante dei suoi 22 anni che non aveva esitato a rischiare in un mare burrascoso e sotto il diluviare del temporale, dopo le prime emozioni brusche e terribili ricevute, appena ha intuito che il suo vagone, il primo subito dopo la locomotiva, sobbalzava sulle traverse, dopo un violento scossone, per un cento metri rovesciandosi di sbieco sul terreno franoso improvvisamente scosceso e determinando la definitiva fermata del convoglio già prontamente frenato dal macchinista Osvaldo De Fanis, anch’egli oriundo da Termoli. Gettandosi dal vagone raggiungeva col capotreno la testata del treno, ma con sorpresa non vi vedevano la macchina, che avvistavano per un cento metri infilata in mare con la testa verso Nord.Intuito il pericolo in cui giaceva il personale di macchina, il marinaio si gettava nel mare agitatissimo assieme ad un collega proveniente da Taranto e che andava in licenza a l’Aquila, raggiungevano la locomotiva e tiravano in salvamento il macchinista De Fanis ed il fuochista Leonardo Brenta.

A colloquio con il valoroso marinaio del direttissimo Lecce – Milano
Solo più tardi il marò Michele Casolino si convinse che aveva compiuto un po’ più del suo dovere.
La mattina di domenica 26 Febbraio 1955 il marinaio Michele Casolino non si presentò al distaccamento della Marina in Roma, di ritorno dalla licenza trascorsa a Termoli Imerese (n.d.r. errore del giornalista che equivocò con Termini Imerese in Sicilia) in quel di Campobasso. ma prima ancora che il suo insolito ritardo fosse notato, giunsero, come ogni mattina, nella bella caserma “Grazioli Lante” i giornali domenicali con le ampie cronache in quei giorni di moda sulle prime pagine; neve, strade bloccate, frane, allagamenti, ecc. Era appunto sui titoli di una di queste cronache che si parlava del valoroso marinaio Michele Casolino in servizio al Ministero Difesa Marina che in piena notte, sotto una bufera di acqua e vento, si era gettato in mare dalla scarpate ferroviaria dopo la galleria di Ortona per trarre in salvo il macchinista ed il fuochista della locomotiva del direttissimo Lecce-Milano investita da una frana e precipitata in mare proprio nel tratto tra Ortona e Pescara. Per due giorni del marinaio Casolino nessuna notizia al distaccamento di Roma dove molti lo attendevano, dopo tanto rumore di stampa, una telefonata euforica di Michele Casolino dalla stazione Termini per preannunciare il ritorno trionfale in caserma.Invece è arrivato alla chetichella tre giorni dopo, presentando al sottufficiale all’ingresso un certificato del sanitario del suo paese che dopo quel po’ di sfacchinata e di bagno in mare in piena notte di bufera, gli aveva ordinato due giorni di riposo.

Il marò Casolino Michele di 23 anni, figlio di marinaio e primogenito di 6 figli, è un timido e mite ragazzo che arrossisce davanti all’obiettivo del fotografo. Nel circolo del distaccamento lo abbiamo pregato di raccontarci la scena di quella notte, dopo le versioni drammatiche che la stampa ne ha fornito. E altro se si tratto di dramma! un miracolo anzi se il dramma non diventò tragedia in quell’inferno di acqua e di terra che rotolò dalla collina sulla linea ferrata! Accade – sentiamo l’ottimo Casolino che sembra rivivere quei momenti angosciosi – accadde alle 23,40 della notte tra il 25 ed il 26 Febbraio, pioveva a dirotto da molte ore. Egli, il marò Casolino, era salito sul direttissimo dal quale sarebbe sceso a Pescara per prendere il primo treno per Roma e rientrare puntuale dalla licenza. Al termine della seconda galleria dopo la stazione di Ortona, il convoglio sembrava procedere proprio nel mare in tempesta, tra la furia delle onde che due metri più sotto la scarpate arrivavano fino ai binari e il torrente fangoso che sulla destra precipitava dalla collina alta una ventina di metri sui binari.Il nostro marinaio era sulla prima vettura dopo la locomotiva e il tender.Uno schianto, uno sferragliare cupo nella notte, un sobbalzar improvviso ” come quando si và in bicicletta sui selciato sconnessi “; e poi ancora e soltanto la furia delle onde e della pioggia.Il marò d’un balzo fu allo sportello e si trovò per primo sulla scarpata, subito seguito dal capotreno il quale correndo avanti verso la locomotiva, gettò un urlo di terrore: “La macchina in mare”. Era infatti accaduto che la grossa frana, staccatasi proprio all’arrivo del treno, aveva investito in pieno la macchina, facendola deragliare e spingendola nelle sottostanti onde. La prima vettura si era miracolosamente sganciata dal ” tender ” quando era già uscita dai binari spingendosi verso il mare.Solo che la frana avesse investito il centro del lungo convoglio, le conseguenze sarebbero state terrificanti per i settecento passeggeri che, si calcola, si trovavano nelle sei vetture.Il convoglio si era arrestato dopo qualche decina di metri si che la macchina si trovava ora tra le onde quasi alla metà del convoglio. Da laggiù intanto, dal nero infuriare del mare, giunsero all’orecchio del marò le grida di soccorso del macchinista e del fuochista. Scese a precipizio la scarpata, si trovò in mare, arrancò tra gli scogli, raggiunse i corpi dei due, immobili sopra le onde, aggrappati agli scogli.Altri scesero in mare accanto a lui, si caricarono i corpi dei due che furono adagiati in un vagone di prima classe.Era il macchinista il ferito più grave con un piede penzoloni.Accanto al marinaio Casolino accorse anche un’altro marinaio, il sottocapo Romeo Pacitti in servizio sul cacciatorpediniere ” Grecale ” che proveniva da Taranto ed era diretto all’Aquila. Con il cordone dell’uniforme e le cinghie, i due cercarono arginare la forte emorragia della gamba dello sventurato, e portare la prima assistenza ai due feriti.Un medico di Bari, tra i viaggiatori, recò ai due infortunati le prime cure. In un sedile di prima classe, egli recise al disgraziato macchinista, i tenui lembi di carne e di pelle che ancora congiungevano il piede alla gamba.Poco più tardi, un carrello inviato a tutta velocità raggiungeva il luogo dell’incidente.I passeggeri intanto si erano calmati dopo il panico determinato dal brusco arresto del convoglio e dallo spettacolo della locomotiva in mare. Con le vetture di coda rimaste sulla linea, due ore più tardi i passeggeri ritornavano ad Ortona.E fu qui, alla stazione di Ortona, che il nostro Casolino, al quale qualcuno all’arrivo aveva con insistenza chiesto nome e cognome, dopo le sue reticenze della notte prima dopo il salvamento, si senti chiamare a gran voce da un carabiniere. Uscì dalla sala d’aspetto e con sorpresa si trovò dinanzi ad un signore che si presentò come Prefetto di Chieti il quale teneva per primo a compiacersi con lui per il suo coraggio e la sua abnegazione.Fù cosi, che il bravo e modesto marò Casolino seppe che aveva compiuto qualcosa di insolito. Un qualcosa che oggi gli procura l’affetto e l’ammirazione dei suoi superiori e dei compagni d’arme che lo considerano un marinaio veramente degno della gloriosa uniforme dal solino blu.

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